Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2370 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 2370 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/01/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 11951/2018 R.G. proposto da:
NOME COGNOME , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME
-controricorrente / ricorrente incidentale –
Oggetto: Successioni
Azione di riduzione
Donazioni indirette
Azienda
R.G.N. 11951/2018
Ud. 15/11/2023 PU
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 669/2017 depositata il 16/03/2017.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del giorno 15/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il AVV_NOTAIO Ministero, in persona del AVV_NOTAIO , che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso principale e per il rigetto del ricorso incidentale;
udito per il ricorrente l’AVV_NOTAIO con delega orale, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto del ricorso incidentale;
udito per il resistente l’AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso incidentale ed il rigetto del ricorso principale .
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 669/2017 del 16 marzo 2017, la Corte d’appello di Bologna, decidendo in sede di rinvio a seguito della sentenza di questa Corte n. 4617/2012 del 22 marzo 2012, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Parma n. 1381/2003, ha accertato che le disposizioni testamentarie contenute nel testamento olografo di NOME COGNOME datato 22 febbraio 1986 erano lesive della quota di legittima spettante ad COGNOME, procedendo alla riduzione delle disposizioni medesime e condannando COGNOME COGNOME a corrispondere alla medesima NOME COGNOME l’importo di € 119.805,00 oltre accessori, compensando per due terzi le spese di tutti i gradi di giudizio.
NOME COGNOME con atto notificato il 25 novembre 1998, aveva citati innanzi al Tribunale di Parma il fratello NOME COGNOME chiedendo: 1) dichiararsi la nullità dei testamenti olografi redatti dal padre NOME
COGNOME il 22 febbraio 1986 e l’11 novembre 1980; 2) dichiararsi la successione del medesimo regolata dal testamento pubblico del 7 novembre 1985, pubblicato il 12 marzo 1987; 3) dichiarare il carattere simulato della intestazione a nome di NOME COGNOME di un’ azienda casearia, comprensiva di partite di formaggio, di cui era titolare NOME COGNOME e che era stata trasferita senza corrispettivo a NOME COGNOME nel 1957; 4) in subordine, disporre la collazione di quanto ritenuto efficacemente donato; 5) accertare e dichiarare che le disposizioni contenute nel testamento in data 22 febbraio 1986 erano comunque lesive della quota di legittima all’attrice medesima spettante, riducendo conseguentemente le donazioni e le disposizioni testamentarie.
Costituitosi regolarmente COGNOME, il Tribunale di Parma aveva espletato attività istruttoria nonché una CTU finalizzata a ricostruire il patrimonio del de cuius , ed all’esito, con la sentenza n. 1381/2003, aveva respinto le domande dell’attrice.
Proposto appello da NOME COGNOME – limitando le proprie censure alla domanda subordinata di collazione delle supposte donazioni al fratello (relative al caseificio, alle partite di formaggio, alle scorte vive e morte ai macchinali ed ad altri beni mobili, nonché al fondo “Ceresole”) ed a quella di riduzione delle disposizioni contenute nell’olografo dell’11 novembre 1980, richiamato dal testamento del 22 febbraio 1986 e ritenute lesive della quota di legittima – la Corte di Appello di Bologna, con sentenza n. 1081/2009, aveva respinto il gravame.
Su ricorso di NOME COGNOME, questa Corte, con la già citata sentenza n. 4617/2012 del 22 marzo 2012 aveva cassato con rinvio la decisione della Corte d’appello di Bologna
5. La Corte d’appello felsinea, adita in sede di rinvio, ha disposto una nuova CTU e, nel motivare la propria decisione, ha, in primo luogo, affermato – richiamando le valutazioni espresse da questa Corte – la sussistenza di un quadro indiziario (costituit o dall’assenza di prova di versamento di un corrispettivo; dalla dichiarazione fatta da NOME COGNOME nel testamento pubblico datato 7 novembre 1985, di non aver ricevuto alcunché come corrispettivo dell’intestazione dell’azienda; dalle dichiarazioni rese dallo stesso COGNOME in sede di interrogatorio formale) da cui emergeva che l’intestazione dell’azienda casearia effettuata nel 1957 da NOME COGNOME a favore di COGNOME veniva ad integrare una donazione indiretta dell’azienda medesima.
Passando al profilo della valutazione dell’azienda ai fini della riunione fittizia, la Corte d’appello ha tuttavia richiamato le conclusioni della CTU in ordine all’assenza di dati univoci, soprattutto in ordine alla presenza ed all’entità di scorte aziend ali ed in particolare in ordine all’esistenza alla data del 1957 quando era avvenuta l’intestazione di un magazzino corrispondente a due anni di produzione di parmigiano, ed è quindi giunta alla conclusione dell’assenza di prove concrete sulla consistenza del magazzino aziendale.
A tale riguardo la Corte d’appello ha dichiarato inammissibili le produzioni documentali offerte da NOME COGNOME, in quanto effettuate in un giudizio di rinvio nel quale l’istruttoria doveva considerarsi chiusa, non senza sottolineare, ulteriormente, il carattere contradditorio delle deduzioni dell’appellante.
Passando al vaglio di ulteriori profili (la donazione indiretta di un podere; la determinazione delle scorte vive e delle scorte morte; i macchinari), la Corte felsinea ha, in primo luogo, escluso che potessero essere esaminate le osservazioni alla CTU svolte da NOME COGNOME
nella comparsa conclusionale del medesimo giudizio di rinvio, limitandosi quindi all’esame dei rilievi espressi nel precedente giudizio di appello e nell’atto introduttivo del giudizio di rinvio.
Quindi la Corte d’appello ha , da un lato, affermato il carattere di donazione indiretta del podere e, dall’altro lato, fatto proprie le valutazioni espresse dal CTU in ordine alla stima dei beni.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bologna ricorre ore NOME COGNOME.
Resiste con controricorso e ricorso incidentale COGNOME.
Le parti hanno entrambi depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Deve essere esaminata preliminarmente l’eccezione mossa dal ricorrente incidentale in relazione alla memoria ex art. 378 c.p.c. depositata nell’interesse della ricorrente principale.
Il ricorrente incidentale, infatti, eccepisce che con tale memoria la ricorrente è venuta a replicare inammissibilmente al ricorso incidentale, cui avrebbe potuto e dovuto invece controdedurre con controricorso che tuttavia non è stato notificato.
Osserva tuttavia il Collegio che, fermo il principio per cui, ai sensi dell’art. 371, quarto comma, c.p.c., per resistere al ricorso incidentale il ricorrente principale (salvo che non intenda difendersi solo in sede di discussione orale) può proporre controricorso tempestivamente notificato, ma non può produrre prima dell’udienza una semplice memoria, della quale, quindi, non va tenuto conto (Cass. Sez. 3 Ordinanza n. 1542 del 25/01/2021; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11597 del 22/06/2004; Cass. Sez. L, Sentenza n. 270 del 12/01/1984), nel caso in esame la memoria ex art. 378 c.p.c. della ricorrente principale
non risulta contenere repliche dirette al ricorso incidentale, limitandosi la memoria a sviluppare argomentazioni che pertengono al ricorso principale in replica alle controdeduzioni del ricorrente incidentale.
Il ricorso principale è affidato a quattro motivi.
3.1. Con il primo motivo il ricorso deduce:
-in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli art. 115, 116, 394 c.p.c. e 2697, 2727, 2729, 2909 c.c.
-in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
La ricorrente impugna la decisione della Corte d’appello nella parte in cui la stessa ha ritenuto non provata la circostanza che, al momento dell’intestazione dell’azienda a COGNOME nel DATA_NASCITA, l’azienda medesima disponesse di un magazzino di forme di parmigiano equivalente a due anni di produzione.
Deduce la mancata valutazione da parte della Corte territoriale di tutta una serie di elementi indiziari che invece verrebbero a comprovare tale circostanza ed argomenta ulteriormente che nell’assumere la propria decisione la Corte d’appello avrebbe recepi to un’eccezione sollevata dal controricorrente solo in sede di giudizio di riassunzione, e quindi tardivamente, con conseguente violazione non solo delle preclusioni processuali, ma anche del giudicato scaturito dalla mancata precedente formulazione delle eccezioni medesime.
3.2. Il motivo è infondato.
Le doglianze della ricorrente, invero, postulano (cfr. pag. 11 del ricorso) che il valore dell’azienda casearia che la Corte d’appello ha ritenuto costituire oggetto di una donazione indiretta da parte del de cuius all’odierno controricorrente dovesse essere determinato con
riferimento alla data in cui tale donazione indiretta ha avuto luogo, e cioè l’anno 1957.
Questa Corte, tuttavia, ha già enunciato il principio per cui, in sede di divisione ereditaria, la collazione per imputazione che abbia ad oggetto la donazione di un’azienda, resta sottratta ai criteri concernenti i singoli beni, mobili od immobili, che compongono l’azienda medesima, (artt. 746 e 750 c.c.), e va effettuata alla stregua del valore da essa assunto quale complesso unitario organizzato per fini produttivi, al tempo dell’aperta successione ex art. 747 c.c.
Operando tale principio anche per la determinazione del valore dell’azienda ai fini della verifica di una lesione della quota di legittima, risulta quindi che nella specie la valutazione dell’azienda casearia doveva essere effettuata con riferimento alla data del decesso del de cuius , e cioè alla data del 14 agosto 1986 e non con riferimento all’anno DATA_NASCITA.
Osservato, ulteriormente, che deve escludersi che, nel tenere in considerazione deduzioni del ricorrente incidentale in ordine ai criteri di determinazione del magazzino, la Corte d’appello abbia recepito eccezioni tardive ed inammissibili – in quanto dette deduzioni non costituivano contenuto di una eccezione ma si limitavano a svolgere deduzioni sui criteri di stima dell’azienda medesima – si deve, a questo punto, concludere che non costituisce vizio della decisione impugnata il mancato recepimento delle deduzioni dell’odierna ricorrente in ordine all’esistenza di scorte di magazzino nell’anno 1957 , in quanto tale profilo non avrebbe comunque potuto essere valorizzato ai fini della stima di un compendio che, si ripete, doveva essere valutato con riferimento alla data dell’apertura della successione.
4.1. Con il secondo motivo il ricorso deduce:
-in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 2730 e 2733 c.c.
-in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Argomenta, in particolare, il ricorso che la decisione impugnata, nel recepire le conclusioni del CTU avrebbe omesso di considerare circostanze oggetto di specifica confessione da parte di COGNOME in sede di interrogatorio formale.
4.2. Il motivo è privo di pregio.
Il motivo, infatti, soffre del medesimo vizio che affligge il primo motivo di ricorso, in quanto viene a dolersi dell’omessa integrale valutazione dell’azienda alla data della sua accertata attribuzione in liberalità indiretta al controricorrente, laddove, come si è detto, era alla data dell’apertura della successione che detto valore doveva trovare determinazione.
Escluso, quindi, che i fatti oggetto dell’interrogatorio formale devoluto al ricorrente incidentale -e della dedotta confessione di quest’ultimo potessero assumere rilevanza ai fini della stima dell’azienda, si deve ulteriormente rilevare l’insussistenz a del vizio dedotto dalla ricorrente.
Quanto alla determinazione del numero di capi di bestiame facenti parte delle scorte vive, infatti, si deve rilevare che la ricorrente viene a denunciare una discrasia tra l’oggetto della confessione del ricorrente incidentale e la stima del CTU che risulterebbe limitata a soli quattro capi di bestiame, ma la cui stessa sussistenza non è stata adeguatamente -recte ammissibilmente – suffragata ex art. 366 c.p.c., essendosi la ricorrente limitata a riprodurre dei meri frammenti
della consulenza tecnica , venendo meno all’obbligo del rispetto del canone di specificità del motivo di ricorso.
Quanto al profilo del numero di forme di parmigiano -la cui irrilevanza è già stata ampiamente illustrata -si deve rilevare ulteriormente che le doglianze della ricorrente non colgono correttamente la ratio della decisione impugnata, la quale non ha disatteso i dati fattuali emersi dall’interrogatorio formale, ma ha evidenziato che tali dati avrebbero dovuto essere completati da profili -come i dati sul volume delle vendite e quindi sulla giacenza media del magazzino -che non erano invece disponibili.
Né è possibile imputare alla decisione impugnata la mancata considerazione di un ‘notorio’ consistente nel fatto ‘che ogni caseificio detiene nei magazzini per la stagionatura almeno la produzione di due annualità di formaggio’ , non risultando -a tacer d’ogni altra considerazione -che tale profilo di ‘notorio’ sia mai stato dedotto nei precedenti gradi di giudizio.
Quanto alla deduzione di un vizio riconducibile alla previsione di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c., la stessa appare del tutto anodina e si traduce di fatto in una inammissibile critica alla valutazione degli elementi indiziari operata dal giudice di merito, dovendosi richiamare il principio, da questa Corte affermato, per cui spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, e fermo restando che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di
merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 5279 del 26/02/2020).
5.1 . Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 111 e 24 Cost. nonché degli artt. 132, secondo comma, c.p.c. e 118, primo e secondo comma, disp. att. c.p.c.
La ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello abbia recepito le conclusioni cui era pervenuto il CTU all’esito della consulenza disposta dalla stessa Corte territoriale, senza in alcun modo valutare le osservazioni critiche che la ricorrente avev a mosso all’elaborato peritale e che erano state rinnovate in sede di comparsa conclusionale.
5.2. Il motivo è inammissibile.
Va infatti richiamato il principio -affermato da questa Corte -per cui in tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, la parte che lamenti l’acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l’operato, ma, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di
motivazione (Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 19989 del 13/07/2021; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11482 del 03/06/2016; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16368 del 17/07/2014).
Tale ultimo principio non risulta essere stato tenuto in considerazione dalla ricorrente, la quale ha radicalmente omesso di riprodurre il benché minimo passaggio delle osservazioni critiche che assume essere state neglette dalla decisione impugnata, in tal modo omettendo ancora una volta di osservare il canone di specificità di cui all’art. 366, n. 6), c.p.c.
Lacuna, questa, che non può trovare rimedio invocando l’esercizio, ad opera del giudice di legittimità, del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, essendo dedotto un errore in procedendo , in quanto l’esercizio di tale potere presuppone pur sempre l’ammissibilità del motivo di censura, avuto riguardo al principio di specificità di cui all’art. 366, primo comma, n. 4 e n, 6, c.p.c., che deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa Succi ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 3612 del 04/02/2022; ma cfr. anche Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 24048 del 06/09/2021).
È necessariamente dall’ammissibilità del motivo di ricorso che discende l’esercizio del potere -dovere del giudice di legittimità di
accertare la sussistenza del denunciato vizio attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15071 del 10/09/2012; Cass. Sez. 5 – Sentenza n. 27368 del 01/12/2020).
6.1 . Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c.
Il ricorso censura la decisione della Corte territoriale di disporre la compensazione per due terzi delle spese di tutti i gradi di giudizio, evidenziando che, alla luce dell’esito dei singoli gradi, la decisione sarebbe ‘errata e ingiusta’.
6.2. Anche tale motivo è inammissibile.
È sufficiente, sul punto, rammentare il principio per cui la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92, secondo comma, c.p.c., rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 14459 del 26/05/2021; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 30592 del 20/12/2017).
7 . Il ricorso incidentale è affidato anch’esso a quattro motivi.
8 .1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 111 e 24 Cost. nonché degli artt. 132, secondo comma, c.p.c. e 118, primo e secondo comma, disp. att. c.p.c.
Impugnando la sentenza della Corte d’appello nella parte in cui la stessa ha ritenuto provata in via indiziaria la circostanza della donazione indiretta dell’azienda da parte di NOME allo stesso controricorrente, il motivo denuncia l’assenza di mot ivazione in ordine alla specifica valenza delle circostanze indiziarie, che la Corte d’appello avrebbe enumerato senza tuttavia procedere ad una specifica e motivata valutazione.
8.2. Il motivo è infondato.
Giova rammentare che questa Corte a Sezioni Unite ha chiarito che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con Legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si sia tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, esaurendosi detta anomalia nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, e risultando invece esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022).
Come recentemente rammentato da questa Corte (Cass. Sez. U Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023), la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che il vizio di motivazione apparente ricorre ‘ quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia,
percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante, Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016 Rv. 641526; Sez. U, Sentenza n. 16599 del 2016; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022 Rv. 664061; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019 Rv. 654145) ‘ .
Nessuna di dette carenze estreme risulta ravvisabile nella motivazione della decisione impugnata, la quale espone invece il proprio percorso argomentativo in modo completo, univoco, comprensibile ed immune da affermazioni reciprocamente inconciliabili – peraltro valorizzando elementi che erano già stati posti in evidenza sentenza di questa Corte n. 4617/2012 nel momento in cui la stessa aveva invece cassato la precedente decisione della Corte d’appello, sollecitando una nuova valutazione degli elementi indiziari – di talché risulta inevitabile constatare che le doglianze del ricorrente incidentale si sostanziano in una critica del merito della decisione.
9.1. Con il secondo motivo il ricorso deduce:
-in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli art. 2727 e 2729 c.c.
-in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Deduce il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe violato le previsioni in tema di presunzioni, conferendo rilevanza ad elementi privi dei caratteri della gravità, della precisione e della concordanza.
9.2. Il motivo è infondato.
Questa Corte ha chiarito che, in tema di prova presuntiva, la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 9054 del 21/03/2022 – Rv. 664316 – 01).
Come già fatto in relazione al secondo motivo del ricorso principale, occorre rammentare che spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo, e neppure occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare
sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo criterio di normalità, visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile (Cass. Sez. L -Ordinanza n. 22366 del 05/08/2021).
Ne consegue, infine, che in tema di giudizio di cassazione, la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 5279 del 26/02/2020), e ciò in quanto ciò che compete alla Corte di cassazione è controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione concreta (Cass. Sez. L – Sentenza n. 18611 del 30/06/2021).
Il motivo di ricorso ora in esame non viene a censurare la decisione impugnata sotto i profili appena individuati, ma -oltre a contestare una valenza confessoria della dichiarazione contenuta nel testamento del de cuius che tuttavia la Corte di merito non risulta aver affermato, limitandosi a valorizzare detta dichiarazione assieme ad altri elementi – si diffonde in un ‘analisi delle singole circostanze esaminate, tuttavia, atomisticamente e senza procedere a quella valutazione complessiva che invece questa Corte ha costantemente individuato come criterio finale per operare una corretta inferenza probatoria presuntiva (Cass.
Sez. 2 – Ordinanza n. 7647 del 16/03/2023; Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 9059 del 12/04/2018).
La censura viene di fatto a scadere in una mera ricostruzione alternativa delle circostanze fattuali e nella prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella individuata dal giudice di merito, omettendo -a ben vedere -di illustrare gli elementi dai quali dovrebbe desumersi la violazione, da parte del giudice di merito, dei paradigmi fissati dall’ art. 2729 c.c., non senza rammentare, ancora una volta, che la valenza indiziaria, almeno potenziale, dei profili poi valorizzati dal giudice di merito era già stata posta in evidenza dalla sentenza di questa Corte n. 4617/2012.
Quanto al dedotto omesso esame di un fatto decisivo, il ricorrente incidentale, in realtà, viene a dolersi dell’omesso esame di ulteriori circostanze fattuali che avrebbero dovuto condurre ad un diverso giudizio di inferenza presuntiva, risultando, pertanto, la censura già superata dalle considerazioni sinora svolte.
10.1 . Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 111 e 24 Cost. nonché degli artt. 132, secondo comma, c.p.c. e 118, primo e secondo comma, disp. att. c.p.c.
Il ricorso impugna la sentenza nella parte in cui la stessa ha ritenuto provata la donazione indiretta del fondo denominato ‘Ceresole’, argomentando che la valutazione della Corte territoriale sul punto risulta basata su una sola circostanza -costituita da annotazioni sul registro domestico del de cuius -del tutto neutra ed invece ritenuta dalla Corte d’appello dirimente sulla scorta di una motivazione solo apparente.
10.2. Anche tale motivo è infondato.
Vanno richiamati -come già in relazione al primo motivo di ricorso incidentale – i principi enunciati da questa Corte in tema di vizio di omessa motivazione o di motivazione apparente.
Operata tale premessa si deve rilevare che anche in questo caso la motivazione della Corte felsinea, per quanto non diffusa, viene ad illustrare in modo completo e coerente il percorso logico che l’ha indotta a ritenere provato -seppur in via indiziaria -il fatto che il podere ‘Ceresole’ fosse stato oggetto di una donazione indiretta da parte del de cuius all’odierno ricorrente incidentale.
Il ricorso, in realtà, non deduce effettivamente il carattere apparente o inesistente della motivazione bensì, ancora una volta, viene a censurare il percorso inferenziale che ha condotto la Corte d’appello a ritenere l’esistenza di indizi idonei ad integrare una prova a carattere presuntivo.
Tale censura, tuttavia, esorbita dall’ambito della deduzione di una motivazione apparente o inesistente e trascende inammissibilmente come già avvenuto con il secondo motivo di ricorso – nella deduzione di una ricostruzione fattuale ed inferenziale diversa da quella seguita dalla Corte d’appello, evidentemente del tutto estranea all’ambito del vizio dedotto.
11.1 . Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dei ‘principi generali in tema donazione indiretta’ nonché degli artt. 2727 e 2729 c.c.
Sempre in relazione alla statuizione concernente la donazione indiretta del fondo denominato ‘Ceresole’, il ricorso deduce che la decisione impugnata:
-avrebbe violato i principi generali in tema di donazione indiretta, valorizzando la mera dichiarazione dello stesso
presunto donante e senza valutare tutte le circostanze del caso concreto;
-avrebbe conferito rilevanza ad elementi meramente indiziari privi dei caratteri della gravità specificità e concordanza.
11.2. Il motivo è inammissibile.
Si deve rammentare che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della
sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Nel caso in esame le doglianze del ricorrente incidentale si mantengono in gran parte in un ambito di genericità – al punto da richiamare ‘principi generali’ in tema di donazione indiretta di cui, peraltro, la decisione impugnata ha fatto buon governo -senza riuscire ad individuare un’affermazione concreta della Corte felsinea che venga effettivamente ad integrare il vizio ex art. 360, n. 3), c.p.c.
Il motivo si traduce per l’ennesima volta in un inammissibile sindacato sulla valutazione probatoria indiziaria operata dalla decisione di merito, valutazione in relazione alla quale, tuttavia, si deve pur sempre richiamare il principio per cui che gli elementi assunti a fonte di prova non debbono essere necessariamente più d’uno, ben potendo il giudice fondare il proprio convincimento su uno solo di essi, purché grave e preciso, dovendo il requisito della “concordanza” ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi (Cass. Sez. 5 Ordinanza n. 11162 del 28/04/2021; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 23153 del 26/09/2018).
Dalle considerazioni che precedono discende il rigetto sia del ricorso principale sia del ricorso incidentale, esito che vale a determinare la statuizione di integrale compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento ‘ sia da parte della ricorrente principale sia da parte del ricorrente incidentale ‘ di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a
norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020 – Rv. 657198 – 05).
P. Q. M.
La Corte, rigetta il ricorso principale;
rigetta il ricorso incidentale;
compensa integralmente le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dal L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, sia da parte della ricorrente principale sia da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio in data 15 novembre