Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12764 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12764 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 282-2018 proposto da:
NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME NOME COGNOME
– intimati – avverso la sentenza n. 923/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 18/05/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
In data 17 dicembre 2001 decedeva in Ragusa COGNOME NOME, coniugato con NOME e padre di COGNOME NOME COGNOME e NOME
Il de cuius con testamento del 16 maggio 1984 istituiva erede universale il coniuge superstite, e la figlia conveniva in giudizio la madre ed il germano affinché si procedesse alla riduzione delle disposizioni testamentarie. Era convenuto in giudizio anche COGNOME NOME, al quale la convenuta aveva promesso in vendita un terreno sito in Nettuno facente parte dei beni relitti.
Si costituiva in giudizio COGNOME EmanueleCOGNOME che a sua volta proponeva azione di riduzione.
Il Tribunale di Ragusa con la sentenza n. 553/2012 dichiarava inammissibile la domanda attorea, ritenendo che vi fosse stata una preventiva rinuncia all’azione di riduzione.
Avverso tale sentenza proponeva appello NOME COGNOME cui resistevano i convenuti.
La Corte d’Appello di Catania con sentenza non definitiva n. 923 del 18 maggio 2017 dichiarava ammissibile l’azione di riduzione dell’attrice, riconoscendo alla medesima una quota di un quarto sui beni individuati ai fini della riunione fittizia, dichiarando al contempo inammissibile l’azione di riduzione proposta da NOME Emanuele.
Quanto alla pretesa rinuncia all’azione di riduzione, che il Tribunale aveva individuato nella scrittura allegata al preliminare con il quale la madre aveva promesso in vendita al Papaleo un
bene caduto in successione, scrittura nella quale era previsto che l’attrice riceveva un acconto di € 20.000,00, la Corte distrettuale reputava che dalla medesima fosse possibile evincere la sola conoscenza dell’esistenza del testamento e la volontà di incassare una parte del prezzo che la madre avrebbe ricevuto dalla vendita.
Mancava, però, una volontà di prestare acquiescenza alle disposizioni testamentarie, potendosi invece reputare che la pretesa di ricevere una parte del corrispettivo della vendita fosse contraria alla volontà del padre di istituire la moglie come unica erede.
Esclusa, quindi, la rinuncia all’azione di riduzione, la sentenza provvedeva alla riunione fittizia ai fini dell’individuazione della quota di riserva vantata dall’appellante, ed a tal fine esaminava la domanda di nullità della donazione compiuta nel 1985 dal de cuius in favore del figlio.
In questo atto risultava la donazione di un terreno e di una casa rurale, ma dalle indagini svolte dal consulente d’ufficio era emerso che già in epoca anteriore alla donazione era stato edificato un deposito in assenza di valido titolo autorizzativo.
Ciò implicava che la donazione era comprensiva anche del fabbricato abusivo, il tutto in violazione della normativa avente ad oggetto gli atti di trasferimento di immobili realizzati in contrasto con le previsioni urbanistiche.
Per l’effetto andava dichiarata la nullità della donazione in esame. Quanto al contratto di vitalizio alimentare con il quale la COGNOME aveva trasferito al figlio la nuda proprietà di alcuni immobili, la
sentenza escludeva che ne fosse possibile chiedere la risoluzione, essendo l’appellante priva di legittimazione, ed essendo ancora in vita l’alienante. Inoltre, era da escludersi anche la nullità per la pretesa abusività edilizia dei beni oggetto del contratto, essendo emerso che la costruzione originaria era anteriore al 1967 e che le successive modifiche erano state eseguite in virtù di un valido provvedimento autorizzativo.
Andava anche escluso che vi fossero state delle donazioni indirette da parte del de cuius in favore della moglie, in occasione dell’acquisto in comune di alcuni beni, non essendo stata offerta la prova che il denaro versato per il prezzo fosse di esclusiva pertinenza del de cuius, così che nella massa andava inclusa solo la quota formalmente appartenente al testatore.
Analogamente andava esclusa dalla riunione fittizia la pretesa donazione indiretta di un immobile in favore del figlio del convenuto, COGNOME NOMECOGNOME poiché anche in questo caso non era stata offerta la prova che il denaro per l’acquisto fosse stato fornito dal defunto genitore.
Quindi, individuati i beni costituenti la massa su cui calcolare la quota di riserva, la sentenza determinava in un quarto la quota spettante all’attrice e rimetteva la causa in istruttoria, per la divisione della massa, previa riduzione delle disposizioni testamentarie.
Infine, riteneva tardiva, e conseguentemente inammissibile, l’azione di riduzione avanzata da COGNOME EmanueleCOGNOME atteso che lo stesso si era costituito solo alla prima udienza di comparizione
del 24 ottobre 2007, incorrendo nella decadenza dalla relativa domanda riconvenzionale.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso COGNOME Emanuele sulla base di tre motivi.
Gli intimati non hanno svolto difese in questa fase.
Con ordinanza interlocutoria del 16 luglio 2024, la Corte, rilevato che si assumeva intervenuto il decesso di NOME senza che però ne risultasse formalmente attestato il decesso, ordinava l’integrazione del contraddittorio nei confronti della stessa o dei suoi eredi, rinviando la causa a nuovo ruolo.
Quindi a seguito di presentazione di istanza del difensore del ricorrente, la causa è stata fissata per l’adunanza del 14 gennaio 2025.
Preliminarmente deve essere disposta la revoca dell’ordine di integrazione del contraddittorio di cui alla precedente ordinanza interlocutoria, avendo parte ricorrente documentato che l’evento interruttivo che aveva colpito la COGNOME era stato già denunciato in appello, essendosi provveduto alla riassunzione del giudizio nei confronti di NOME Maria COGNOME anche quale erede della madre, sebbene di tale evento non ne sia stata fatta menzione nella sentenza impugnata che nell’epigrafe riporta come parte ancora la madre dei germani COGNOME
L’ordine logico delle questioni impone la previa disamina del terzo motivo di ricorso con il quale si lamenta la violazione e/o errata applicazione degli artt. 476, 519 e 553 c.c., in relazione
alla riforma della sentenza di primo grado, che invece aveva reputato inammissibile l’esercizio dell’azione di riduzione.
Si sostiene che la sottoscrizione da parte dell’attrice del preliminare con il quale la madre aveva promesso la vendita di un terreno caduto in successione ad un terzo, con la ricezione di una somma inferiore a quella spettantele a titolo di riserva, comporta un’inequivoca rinuncia all’esercizio dell’azione di riduzione.
Il motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte la conferma delle disposizioni testamentarie o la volontaria esecuzione di esse non opera rispetto a quelle lesive della legittima, in quanto gli effetti convalidativi di cui all’art. 590 c.c. si riferiscono alle sole disposizioni testamentarie nulle: ne deriva che in dette ipotesi non è preclusa al legittimario l’azione di riduzione, salvo che egli non abbia manifestato in modo non equivoco la volontà di rinunciare a far valere la lesione mediante un comportamento concludente incompatibile con la stessa (Cass. n. 168/2018).
Infatti, è stato precisato che (Cass. n. 1373/2009) il diritto, patrimoniale (e perciò disponibile) e potestativo, del legittimario di agire per la riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della sua quota di riserva, dopo l’apertura della successione, è rinunciabile anche tacitamente, sempre che detta rinuncia sia inequivocabile, occorrendo a tal fine un comportamento concludente del soggetto interessato che sia incompatibile con la volontà di far valere il diritto alla reintegrazione (conf. Cass. n. 20143/2013; Cass. n. 8611/1995).
Avuto riguardo a tali principi, la decisione del giudice di appello si palesa incensurabile, avendo questi correttamente evidenziato che la partecipazione dell’attrice al preliminare, se effettivamente denotava la consapevolezza dell’esistenza delle volontà testamentarie del de cuius (essendo la conclusione del preliminare avvenuta con l’assunzione della qualità di promittente venditrice da parte della sola madre, in quanto unica beneficiaria delle disposizioni testamentarie, e quindi unica legittimata in quel momento a disporre del bene relitto), tuttavia non consentiva anche di inferire la volontà inequivoca di rinunciare alla tutela dei propri diritti di legittimaria.
Piuttosto la ricezione di una parte del prezzo anticipatamente versato dal promissario acquirente non depone in maniera univoca nel senso che con tale dazione l’attrice fosse stata tacitata delle proprie aspettative successorie, ma piuttosto può avere il diverso significato di contestare la volontà testamentaria del padre, accampando pretese anche in relazione a quegli atti dispositivi che, in base alle disposizioni di ultima volontà, avrebbe potuto compiere la sola erede testamentaria, ricevendo quindi una quota parte del prezzo come una sorta di anticipazione rispetto a quanto le sarebbe poi stato riconosciuto una volta esperita vittoriosamente l’azione di riduzione.
Il motivo deve perciò essere disatteso.
Sempre seguendo l’odine logico delle questioni va esaminato il secondo motivo di ricorso che lamenta la violazione e/o errata
applicazione degli artt. 934, 1418 e 1419 c.c. nonché della legge n. 47/1985.
Si deduce che la sentenza impugnata ha dichiarato la nullità dell’atto di donazione del 28 luglio 1995 con il quale il de cuius aveva trasferito al figlio NOME vari appezzamenti di terreno, e precisamente un primo identificato catastalmente alla partita 3397, foglio 21, part. 109 e 175, con annessa casa rurale per deposito attrezzi agricoli, riportata al foglio 21, part. 249, ed un secondo riportato alla partita 4560, foglio 21, part. 595.
Il locale deposito abusivamente realizzato insiste solo su questo secondo appezzamento, così che il carattere abusivo del manufatto avrebbe dovuto determinare la nullità della donazione solo relativamente al fondo interessato dalla costruzione abusiva.
Si aggiunge, poi, che non è possibile affermare l’esistenza del manufatto abusivo alla data della donazione e che la legge n. 47/1985 non prevede che la nullità relativa al trasferimento di immobili abusivi si estenda anche agli appezzamenti di terreno sui quali questi insistono.
Il motivo è solo in parte fondato.
Quanto alla preesistenza del manufatto abusivo rispetto all’atto di donazione, osserva la Corte che la sentenza impugnata, oltre a far riferimento ad una aerofotogrammetria del 1987 (anteriore quindi all’atto impugnato), e che attesta la presenza del manufatto a quella data, ha altresì richiamato la non contestazione di tale circostanza da parte del donatario, così che si è al cospetto di un accertamento in fatto dell’esistenza della
costruzione abusiva alla data della donazione, accertamento che non risulta validamente contestato dal ricorrente.
Quanto poi alla conseguenza della realizzazione su di un terreno di un manufatto abusivo, la cui esistenza sia taciuta nell’atto di trasferimento, valga il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte che anche di recente ha ribadito che la nullità comminata dall’art. 17 comma 1, della l. n. 47 del 1985, ” ratione temporis ” vigente, sostituito dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 -che colpisce gli atti tra vivi sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto il trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi ad edifici o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, ove non risultino gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria -rileva anche in caso di atti di trasferimento di terreni sui quali siano state realizzate opere qualificabili come edifici (o loro parti), atteso che in tal caso la compravendita del terreno comporta il trasferimento, a titolo negoziale, anche dei fabbricati, acquisiti in proprietà per accessione ex art. 934 c.c. dal venditore del terreno, indipendentemente da chi li abbia costruiti, ancorché non menzionati espressamente nell’atto, salvo che il venditore al momento della cessione conservi espressamente la proprietà a sé o ad altri di tali manufatti (Cass. n. 21083/2022; Cass. n. 18195/2020; Cass. n. 9769/2016).
Risulta, quindi, conforme alla giurisprudenza di questa Corte la decisione del giudice di merito che ha ritenuto la nullità della donazione, anche se formalmente riferita al solo terreno.
Tuttavia, la sentenza appare censurabile nella parte in cui ha ritenuto di dichiarare la nullità dell’intera donazione, sebbene, come riferito dal ricorrente, e come riscontrabile anche dalla descrizione del contenuto dell’atto di donazione riportata nella sentenza impugnata (cfr. pag. 6), l’atto aveva ad oggetto due diversi appezzamenti di terreno.
Non appare adeguatamente chiarito in sentenza se la costruzione, di cui è stata accertata l’abusività, insista solo sulla particella n. 595, come sostenuto dal ricorrente, ovvero se gravi su entrambi i fondi donati.
Infatti, ricorrendo la prima ipotesi, la nullità coinvolgerebbe solo il trasferimento del fondo abusivamente edificato, potendosi pervenire alla declaratoria di nullità totale della donazione solo al ricorrere delle condizioni di cui all’art. 1419 c.c., la cui verifica implica accertamenti di fatto riservati al giudice di merito e nella fattispecie del tutto omessi.
L’assenza di tali doverose verifiche non consente quindi di ritenere correttamente formulato il giudizio di nullità dell’intera donazione e comporta che il motivo debba essere accolto, con rinvio al giudice di merito perché riesamini la vicenda alla luce di tali indicazioni.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione ed errata applicazione degli artt. 166 e 167 c.p.c., quanto alla declaratoria di inammissibilità della domanda riconvenzionale di riduzione proposta in primo grado dal ricorrente.
Si deduce che la sentenza ha tratto tale convincimento dal fatto che, a suo dire, il convenuto si sarebbe costituito direttamente alla prima udienza del 24 ottobre 2007, in violazione del regime delle preclusioni posto dal secondo comma dell’art. 167 c.p.c.
Si sostiene che però la conclusione è erronea in quanto la citazione della sorella indicava come prima udienza di comparizione quella del 30 gennaio 2008 (data rispetto alla quale il convenuto si era quindi tempestivamente costituito).
L’udienza del 24 ottobre 2007 alla quale ha fatto riferimento la Corte d’Appello è invece quella fissata per la discussione sulla istanza di reintegra nel possesso avanzata dalla sorella subito dopo la notifica dell’atto di citazione.
Ne deriva che si palesa erronea la dichiarazione di inammissibilità della domanda riconvenzionale di riduzione a suo tempo avanzata dal ricorrente.
Il motivo è fondato.
Con una precedente ordinanza interlocutoria del 24 ottobre 2023, è stata disposta l’acquisizione dei fascicoli di ufficio di merito, dal cui esame emerge che nell’atto di citazione in primo grado la data fissata per la prima udienza era quella del 30 gennaio 2008. Viceversa, l’udienza del 24 ottobre 2007 è stata fissata per la sola discussione del ricorso possessorio proposto in corso di causa, ed in via anticipata rispetto alla celebrazione della prima udienza di cognizione.
La decisione impugnata ha erroneamente reputato che la domanda di riduzione fosse preclusa per essere stata
tardivamente avanzata, prendendo a riferimento cronologico non già la data della prima udienza di comparizione e trattazione (rispetto alla quale la costituzione con la proposizione della domanda de qua andava compiuta nei venti giorni precedenti), ma quella dello svolgimento dell’udienza di trattazione del ricorso possessorio, che è stata celebrata ben prima della decorrenza del termine di cui all’art. 167 c.p.c., rivelandosi quindi tempestiva rispetto al giudizio a cognizione piena, la proposizione in quell’udienza anche della domanda de qua.
L’erronea declaratoria di inammissibilità della domanda riconvenzionale comporta, in accoglimento del motivo, la cassazione della sentenza impugnata anche in parte qua.
Il giudice di rinvio, che si designa nella Corte d’Appello di Catania, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, rigetta il terzo motivo, e cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’Appello di Catania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda