Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 982 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 982 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26041/2018 R.G. proposto da
COGNOME rappresentato e difeso dagli avv.ti COGNOME e NOME COGNOME presso il cui studio in Padova, INDIRIZZO è elettivamente domiciliato.
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 1572/2018 della Corte d’Appello di Venezia, pubblicata il 7/6/2018 e notificata via pec il 8/6/2018 udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18
dicembre 2023 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
Con atto di citazione notificato il 5 ottobre 2012, COGNOME NOME convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Padova, RAGIONE_SOCIALE onde ottenere l’attribuzione, a suo favore, della
nuda proprietà dell’immobile sito in Padova, INDIRIZZO oggetto di donazione invalida, nonché della donazione dell’usufrutto dello stesso, dal momento in cui la convenuta aveva iniziato a beneficiarne, ossia dal 1 luglio 2010 al 9 marzo 2011, data del decesso del de cuius , con restituzione dei relativi frutti percetti e percipiendi, nonché la corresponsione, da parte della convenuta in suo favore, delle somme di denaro trasferitele dal de cuius in vita, oggetto di invalide donazioni, prive della forma richiesta ad substantiam e dell’ animus donandi . Esponeva che, in data 9 marzo 2011, era deceduto il padre, NOME COGNOME, coniuge in seconde nozze della convenuta; che questi, in data 4 luglio 1998, aveva redatto testamento olografo, pubblicato il 4 agosto 2011, col quale aveva lasciato tutti i suoi beni al figlio NOME e l’usufrutto dell’appartamento di INDIRIZZO alla moglie NOME; che la scheda testamentaria era stata da lui rinvenuta unitamente ad una lettera del 2001, con la quale il padre, nel confermare le volontà espresse nel testamento, chiariva di non avergli potuto intestare alcunché a causa delle vicende giudiziarie che lo avevano coinvolto e di intendere trasferire alla moglie i beni con l’intesa che la stessa, dopo la sua morte e la conclusione delle predette vicende giudiziarie, avrebbe provveduto ad adempiere alle volontà testamentarie del marito, ritrasferendogli i beni ricevuti; che, nonostante l’intestazione fiduciaria de i beni alla moglie, quest’ultima, al decesso del coniuge, ne aveva disatteso le volontà, disconoscendo i diritti successori del figlio e godendo indebitamente di tutti i beni mobili ed immobili; che, in assenza di animus donandi , le donazioni di denaro e di immobili in favore della stessa dovevano considerarsi invalide e che il prezzo della compravendita di due immobili in Spagna, Costa Brava, e di altro
appartamento in Sanremo era confluito in un conto corrente intestato alla controparte.
Costituitasi in giudizio, la convenuta non contestò la validità del testamento del 1998 e della missiva del 2001, ma riferì dell’esistenza di due ulteriori testamenti, rispettivamente datati 21 aprile 2001 e 12 marzo 2003, che avevano determinato la revoca del precedente in quanto con essi veniva lasciata al figlio la casa di Sanremo, INDIRIZZO essendo stata quella di INDIRIZZO, donata alla moglie.
Con sentenza n. 4843/16 del 2 agosto 2016, il Tribunale di Padova accertò e dichiarò la validità ed efficacia del testamento del 1998, dichiarò l’attore erede universale del padre, accertò e dichiarò l’autenticità delle sottoscrizioni dell’attore contenute nella scrittura del 15 aprile 2009, accertò e dichiarò l’autenticità della scheda testamentaria del 2010, pubblicata dalla convenuta in data 2 febbraio 2012, e rigettò ogni altra domanda attorea.
Il giudizio d’appello, instaurato da COGNOME NOME e nel quale si costituì RAGIONE_SOCIALE proponendo appello incidentale, si concluse con la sentenza n. 1572/2018, pubblicata il 7 giugno 2018, con la quale la Corte d’Appello di Venezia rigettò l’appello principale, confermando integralmente la sentenza impugnata.
Contro la predetta sentenza COGNOME NOME, propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, illustrati anche con memoria. Si difende con controricorso, illustrato anche con memoria, RAGIONE_SOCIALE
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la nullità della sentenza, con riguardo agli artt. 112 e 161 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., perché i giudici di merito, limitandosi ad escludere l’invalidità delle donazioni effettuate in vita dal padre per difetto di forma, siccome
qualificate in termini di donazioni indirette, avevano omesso di pronunciarsi sulla domanda, pur proposta, con la quale era stato chiesto che venisse affermata l’invalidità delle donazioni dirette e indirette, di denaro e di immobili, poste in essere da NOME COGNOME in favore di NOME COGNOME per difetto dell’ animus donandi in capo al primo, avendo questi realizzato un’intestazione fiduciaria dei beni perché venissero trasferiti in un secondo momento al figlio.
Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito omesso di verificare la sussistenza o meno dell’ animus donandi nei trasferimenti patrimoniali senza corrispettivo di NOME COGNOME a NOME COGNOME, la quale costituiva elemento decisivo per disporre la restituzione e l’attribuzione al ricorrente, quale erede universale, dei beni oggetto delle donazioni stesse.
Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 769, 809, 1325, 1418 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per non avere i giudici di merito accertato e dichiarato la nullità delle donazioni di denaro e di immobili di NOME COGNOME a NOME COGNOME per difetto dell’ animus donandi in capo al primo, la cui sussistenza non era stata peraltro provata dalla seconda pur essendone gravata, e non avere accolto la conseguente domanda di condanna della controparte alla restituzione in natura o per equivalente dei beni alla massa ereditaria. Secondo il ricorrente, i giudici avevano trascurato il fatto che l’ animus donandi era elemento costitutivo di qualsiasi donazione, integrandone secondo alcuni l’elemento volitivo e secondo altri l’elemento oggettivo o la causa, sicché il suo difetto ne comportava la
nullità, e che l’onere della prova della sua esistenza incombesse sul donatario, tanto più a fronte della contestazione della sua insussistenza da parte del preteso donante o di un terzo. Le donazioni erano, infatti, avvenute non per spirito di liberalità del donante nei confronti della donataria, ma soltanto per salvare il patrimonio di famiglia da possibili esecuzioni coattive in danno del ricorrente, nominato erede universale dal padre, come evincibile dalla lettera del 18 ottobre 2001 che spiegava i motivi di tali atti dispositivi, mentre era irrilevante la successiva revoca del testamento del 31 marzo 2010 e pure dell’istituzione di erede del ricorrente, atteso che tale requisito doveva esistere al momento dell’atto e non sopravvenire ad esso, sicché la lettera del 31 marzo 2010 non poteva sanare ex post la nullità per difetto di animus donandi di atti di liberalità già perfezionati in precedenza, nell’arco temporale compreso tra il 2001 e il 2009.
L’esame dei primi tre motivi di censura può effettuarsi congiuntamente, vertendo tutti sullo stesso thema decidendum -che ruota intorno all’asserita insussistenza dell’ animus donandi , al mancato accertamento di tale requisito e, di conseguenza, all’omessa pronuncia sul punto da parte dei giudici di merito. Gli stessi sono infondati.
Il ricorrente afferma, in sostanza, che le donazioni compiute in favore della controricorrente difettassero tutte di tale requisito in quanto gli atti di disposizione paterna costituivano, in realtà, espressione di negozio fiduciario, idoneo ad escluderne l’ animus donandi .
In disparte il fatto che la questione è stata riproposta in sede di gravame soltanto limitatamente all’immobile di INDIRIZZO come risulta, in assenza di indicazioni nella sentenza impugnata, dal motivo d’appello riportato virgolettato in ricorso, sicché non è ammissibile l’estensione della stessa a tutti gli altri atti di
liberalità non espressamente menzionati nell’atto d’appello, rispetto ai quali si è formato il giudicato, deve evidenziarsi come i giudici di secondo grado abbiano effettivamente omesso di analizzare l’eccepita invalidità del predetto atto dispositivo, sotto il profilo del difetto dell’ animus donandi , avendo focalizzato l’attenzione sulla sola natura di donazione indiretta degli atti di disposizione compiuti dal de cuius e ritenuto non necessario in siffatti casi il requisito di forma.
Nonostante ciò, se è vero che l’essenza della donazione, come ricavabile dall’art. 769 cod. civ., sta nel fatto che, per puro spirito di liberalità, una persona operi una diminuzione del proprio patrimonio e un incremento del patrimonio di un’altra e che tale istituto si caratterizza non soltanto per l’elemento oggettivo, dato dal depauperamento di chi ha disposto del diritto o ha assunto l’obbligazione, ma anche per la concorrente sussistenza dell’elemento soggettivo, ossia lo spirito di liberalità (Cass., Sez. 1, 11/3/1996, n. 2001), e se è vero che la nullità per difetto dell’ animus donandi è fattispecie diversa dalla nullità per difetto di forma (sul punto si è espressa, sia pure indirettamente, Cass., Sez. 2, 8/10/1981, n. 5294; anche Cass., Sez. 2, 24/4/1980, n. 2757, che parla di novità della domanda), è altrettanto vero che tale concetto non ha i contenuti oggi pretesi dal ricorrente.
Secondo quanto già affermato da questa Corte, infatti, l’ animus donandi , che partecipa della causa del contratto come qualificazione in senso soggettivo della gratuità, consiste nella consapevolezza, in capo al donante, di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale nullo jure cogente , ossia in assenza di un obbligo giuridico, extragiuridico o morale (Cass., Sez. 1, 11/3/1996, n. 2001; Cass., Sez. 1, 5/12/1998, n. 12325; Cass., Sez. 2, 21/5/2012, n. 8018), e, dunque, di agire a titolo di mera
spontanea elargizione fine a sé stessa (Cass., Sez. 2, 18/2/1977, n. 737; Cass., Sez. 2, 28/8/2008, n. 21781), senza che debba necessariamente essere caratterizzato dall’intento benefico o altruistico e senza necessità di una diversa manifestazione specifica, identificandosi con l’obiettiva gratuità dell’attribuzione considerata ex parte donantis (Cass., Sez. 2, 24/7/1965, n. 1728; Cass., Sez. 3, 26/1/1980, n. 651).
Ciò significa che la spontaneità dell’attribuzione patrimoniale, una volta accertata, non può essere esclusa da spinte motivazionali del donante, le quali, quando non integranti ipotesi di cogenza giuridica o costrizione morale, mantengono valenza neutra rispetto a quella causale dell’atto di liberalità.
E neppure può dirsi che, in caso di diritto reale immobiliare attribuito senza corrispettivo e senza costituire adempimento di un’obbligazione, l’assenza del requisito dell’ animus donandi possa essere tratta da documenti esterni rispetto all’atto pubblico che, sotto pena di nullità, lo contiene ai sensi dell’art. 782 cod. civ., dovendo detto requisito emergere, in tali casi, proprio dall’atto (Cass., Sez. 2, 28/2/2018, n. 4682 in motivazione), e dovendosi presumersi sussistente quando l’attribuzione avvenga senza corrispettivo e senza costituire adempimento di un’obbligazione, neppure morale o etica (Cass., Sez. 2, 19/3/1998, n. 2912).
Peraltro, la deduzione della sua insussistenza, arguita dalla scrittura del 2001, che, ad avviso del ricorrente, avrebbe comportato l’instaurazione di un rapporto fiduciario tra donante e donatario, si scontra con le caratteristiche proprie di questo istituto, il quale, pur nel suo multiforme atteggiarsi, consiste in una operazione negoziale che consente ad una parte (il fiduciante) di far amministrare o gestire per finalità particolari un bene da parte di un’altra (il fiduciario), trasferendogliene
direttamente la proprietà o fornendogli i mezzi per l’acquisto in nome proprio da un terzo (c.d. fiducia dinamica) oppure facendogli gestire propri diritti nell’interesse altrui (c.d. statico), con il vincolo che il fiduciario rispetti un complesso di obblighi volti a soddisfare le esigenze del fiduciante e ritrasferisca il bene al fiduciante o a un terzo da lui designato (Cass., Sez. U, 6/3/2020, n. 6459).
L’assetto di rapporti che, sul piano obbligatorio, si viene così a creare, in forza del quale il fiduciario è tenuto verso il fiduciante a tenere una certa condotta nell’esercizio del diritto fiduciariamente acquistato, ivi compreso il ritrasferimento del diritto al fiduciante o a un terzo da lui designato, non può che postulare, però, la sussistenza di un pactum fiduciae tra fiduciante e fiduciario, il quale, ancorché stipulato solo verbis quand’anche riferito a beni immobili (in tal senso Cass., Sez. U, 6/3/2020, n. 6459, cit.), deve purtuttavia sussistere ed essere provato, non essendo all’uopo sufficiente un atto unilaterale del fiduciante ricognitivo dello stesso in assenza di altri, univoci elementi dimostrativi dell’obbligo assunto dal fiduciario.
In ragione di quanto detto, deve allora escludersi che la lettera del 2001, scritta dal de cuius e indirizzata al figlio, possa incidere, elidendolo, sull’ animus donandi riguardante l’atto dispositivo compiuto nei confronti della coniuge e avente ad oggetto l’immobile di INDIRIZZO non risultando questo escluso dall’atto pubblico che lo contiene, ma essendo anzi presunto dall’assenza di coazione, e non potendo essere eliso da un atto ad esso esterno, oltretutto privo di valenza pattizia, salva l’eventuale simulazione della donazione, nella specie neppure dedotta.
Da ciò deriva l’infondatezza delle censure.
5.1 Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 769, 782 e 809 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito reputato donazioni indirette ex art. 809 cod. civ., anziché donazioni dirette ex art. 769 cod. civ., quelle disposte da NOME COGNOME a favore di RAGIONE_SOCIALE COGNOME e averle, dunque, reputate valide, nonostante il riscontrato ed incontestato difetto della prescritta forma dell’atto solenne notarile e dell’ animus donandi del disponente, senza argomentare sui motivi di tale convincimento. Il ricorrente, nell’affermare che le donazioni, in assenza di forma scritta ad substantiam , erano state realizzate, alla stregua di dazioni di denaro, attraverso bonifici bancari e giroconti da conti già intestati al padre a conti già intestati o cointestati alla moglie, senza costituire un nuovo rapporto bancario o modificarne uno preesistente e senza specifiche causali, ha, sul punto, evidenziato come il concetto di donazione indiretta si ricavi solo per esclusione, atteso che la liberalità costituisce per le donazioni indirette il risultato dell’atto e per quelle dirette il relativo contenuto, e come la decisione si ponga in contrasto con la pronuncia di questa Corte a Sezioni unite n. 18725 del 27/7/2017.
5.2 Il quarto motivo è fondato.
I giudici di merito hanno, infatti, ritenuto di confermare la sentenza di primo grado, che aveva qualificato in termini di donazione indiretta i passaggi di denaro da NOME COGNOME a NOME COGNOME, facendoli rientrare nella previsione di cui all’art. 809 cod. civ., per la cui validità non era prevista alcuna prescrizione formale, richiamando all’uopo alcuni precedenti di questa Corte relativi, in particolare, all’atto di cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito e appartenuta a uno solo
dei cointestatari e la cointestazione di buoni postali fruttiferi operata dal genitore per ripartire tra i figli anticipatamente le proprie sostanze, limitandosi a condividere laconicamente l’indirizzo interpretativo fatto proprio dal giudice di primo grado ed evidenziandone la conformità alla citata giurisprudenza di legittimità, senza null’altro aggiungere.
A ben vedere, però, tale orientamento si discosta dai principi espressi da questa Corte in ordine ai trasferimenti di denaro da un conto ad un altro e dalla loro qualificazione in termini di donazione diretta, come tale soggetta al requisito di forma.
Premesso, infatti, che le liberalità diverse dalla donazione (dette anche donazioni indirette o liberalità atipiche) ex art. 809 cod. civ., pur accomunate al contratto tipico di donazione ex art. 769 cod. civ., ossia all’atto con il quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa una obbligazione, per essere anch’esse volte all’arricchimento senza corrispettivo, voluto per spirito liberale da un soggetto a favore dell’altro, se ne distinguono in quanto con esse l’arricchimento del beneficiario non si realizza con l’attribuzione di un diritto o con l’assunzione di un obbligo da parte del disponente, ma in modo diverso, le Sezioni Unite di questa Corte hanno, infatti, affermato il principio di diritto secondo cui il trasferimento, attraverso un ordine di bancogiro del disponente, di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione tipica ad esecuzione diretta, soggetta alla forma dell’atto pubblico, salvo che sia di modico valore, poiché realizzata non tramite un’operazione triangolare di intermediazione giuridica, ma mediante un’intermediazione gestoria dell’ente creditizio. Infatti, l’operazione bancaria tra il donante ed il donatario
costituisce mero adempimento di un distinto accordo negoziale fra loro concluso e ad essa rimasto esterno, il quale solo realizza il passaggio immediato di valori da un patrimonio all’altro, e tale circostanza esclude la configurabilità di un contratto in favore di terzo, considerato che il patrimonio della banca rappresenta una ‘zona di transito’ tra l’ordinante ed il destinatario, non direttamente coinvolta nel processo attributivo, e che il beneficiario non acquista alcun diritto verso l’istituto di credito in seguito al contratto intercorso fra quest’ultimo e l’ordinante (Cass., Sez. U, 27/7/2017, n. 18725).
Tale soluzione ha, in definitiva, respinto l’orientamento che, considerando, viceversa, l’accreditamento nel conto corrente del beneficiario come frutto di un’operazione , sostanzialmente trilaterale, eseguita da un soggetto diverso dall’autore della liberalità sulla base di un rapporto di mandato sussistente tra beneficiante e banca, obbligata in forza di siffatto rapporto a dar corso al bancogiro e ad effettuare la prestazione in favore del beneficiario, riteneva indiretto l’atto di liberalità in quanto eseguito attraverso un mezzo, il bancogiro, diverso dal contratto di donazione e, dunque, sottratto all’obbligo di forma, evidenziando, invece, come l’operazione bancaria in adempimento dello iussum svolga in realtà una funzione esecutiva di un atto negoziale ad esso esterno, intercorrente tra il beneficiante e il beneficiario, il quale soltanto è in grado di giustificare gli effetti del trasferimento di valori da un patrimonio all’altro, e come, dunque, l’attribuzione patrimoniale costituisca una donazione diretta ad esecuzione indiretta.
Negli stessi termini, si è espressa di recente anche Cass., Sez. 2, 19/8/2021, n. 23127, che ha ritenuto costituire donazione diretta, soggetta in quanto tale al vincolo di forma nel rapporto base tra il tradens e l’ accipiens , e non liberalità atipica, il
trasferimento donationis causa di titoli di credito astratti, essendo gli stessi suscettibili di realizzare in modo diretto qualsiasi scopo voluto dalle parti.
Nella specie, non soltanto la sentenza non distingue tra le singole operazioni esaminate, delle quali non è data neppure alcuna descrizione se non quella generica di ‘passaggi di denaro’ tra il de cuius e la moglie, ma cita precedenti di questa Corte non conferenti, in quanto riguardanti ipotesi in cui l’arricchimento non è prodotto direttamente dall’operazione compiuta, costituendone lo scopo, ma costituisce effetto indiretto di un’operazione trilaterale di movimentazione finanziaria con l’intermediazione dell’ente creditizio, come in caso di cointestazione, con firma disgiunta, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito e appartenuta ad uno solo dei cointestatari (così Cass., Sez. 2, 12/11/2008, n. 26983) o di cointestazione di buoni postali fruttiferi (Cass., Sez. 2, 9/5/2013, n. 10991).
Deriva da quanto detto l’accoglimento del motivo.
6.1 Con il quinto motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 116 e 210 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano rigettato l’istanza di esibizione del conto corrente svizzero intestato a RAGIONE_SOCIALE e in cui si assumevano confluiti fondi di NOME COGNOME, formulata sia in primo che in secondo grado, fornendo, al riguardo, una motivazione apparente e apodittica, in quanto fondata sull’asserita natura esplorativa della stessa, ma senza spiegare perché le difese sul punto fossero state considerate mere congetture. Peraltro, il richiamo, contenuto in sentenza, alla motivazione del giudice di primo grado, secondo cui dagli estratti del conto della Banca popolare di Venezia non risultavano trasferimenti di denaro verso il conto Ovest 3162 acceso dalla convenuta presso l’istituto di credito
svizzero Banca Stato di Chiasso, non era conferente, in quanto entrambi i conti correnti erano intestati alla medesima convenuta, mentre sarebbe stato necessario verificare la sussistenza di movimentazioni bancarie dal conto del de cuius a quello della moglie. Peraltro, non soltanto il mezzo di prova richiesto avrebbe dimostrato un punto decisivo della controversia, posto che si era persa qualsiasi traccia dei corrispettivi della vendita degli immobili in Spagna, ma non poteva neppure considerarsi esplorativo, poiché era già emerso che il prezzo della vendita dell’immobile in Sanremo era confluito nel conto della convenuta e che il conto cifrato svizzero denominato ‘Lampo’, intestato al de cuius , era stato trasferito nel conto cifrato svizzero denominato ‘Ovest’ intestato alla convenuta, sicché era del tutto plausibile che da quest’ultimo conto potessero emergere ulteriori trasferimenti di denaro dal marito alla moglie.
6.2 Il quinto motivo è infondato.
L’ordine di esibizione è, infatti, subordinato alle molteplici condizioni di ammissibilità di cui agli artt. 118 e 210 cod. proc. civ. e 94 disp. att. cod. proc. civ., che impongono alla parte di dare specifica indicazione dei documenti che ne costituiscono oggetto, il cui possesso l’istante provi di non essere riuscito diversamente ad acquisire (Cass., Sez. L, 24/1/2014, n. 1484), e di dimostrare, quando necessario, che la parte o il terzo li possieda, onde evitare indagini istruttorie non pertinenti o comunque non utilmente esperibili (Cass., Sez. 1, 4/4/1997, n. 2935), essendo tali prescrizioni espressione di un principio generale in base al quale nessuna indagine istruttoria, anche inquisitoria, può essere ammessa ove non siano forniti elementi apprezzabili, anche indiziari, della sua pertinenza e della
concreta possibilità della stessa di pervenire a risultati utili per il processo (Cass., Sez. L, 12/2/1982, n. 877).
Peraltro, come già affermato, in più occasioni, da questa Corte, l’ordine di esibizione costituisce strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova dei fatti non soltanto sia indispensabile, ma non possa in alcun modo essere acquisita con altri mezzi e non sia perciò volto a supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio a carico della parte istante, sicché esso è espressione di una facoltà discrezionale rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, il cui mancato esercizio non può, quindi, formare oggetto di ricorso per cassazione per violazione di norma di diritto (Cass., Sez. 2, 3/11/2021, n. 31251; Cass. Sez. 2, 29/10/2010, n. 22196; Cass. Sez. L, 25/10/2013, n. 24188; Cass. Sez. L, 25/05/2004, n. 10043).
E a tali principi si è attenuta la Corte di merito, allorché ha affermato che l’ordine di esibizione non fosse ammissibile in quanto fondato su mere congetture o tesi indimostrate e in quanto avente natura esclusivamente esplorativa.
Consegue, perciò, da quanto detto l’infondatezza del motivo.
7.1 Con il sesto motivo di ricorso, si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., perché il rigetto dell’ordine di esibizione dei documenti attestanti le movimentazioni avvenute nel conto corrente bancario cifrato svizzero, intestato alla convenuta, aveva comportato il mancato esame dei trasferimenti e/o versamenti di denaro effettuati da NOME COGNOME o dietro suo ordine, sul conto corrente bancario svizzero intestato alla moglie NOME COGNOME i quali avrebbero consentito di verificare se essi fossero avvenuti a titolo liberale e avessero, dunque, determinato una
lesione della quota di legittima del ricorrente e se fossero o meno validi in rapporto alla necessaria sussistenza dell’ animus donandi e della forma solenne prescritta dall’articolo 782 cod. civ.. Peraltro, tale questione era stata ampiamente oggetto di discussione tra le parti ed era decisiva per il giudizio in quanto avrebbe consentito di verificare la natura di liberalità dei trasferimenti di denaro e la sussistenza della lamentata lesione della legittima.
7.2 Il sesto motivo di ricorso è inammissibile.
Ne ll’ipotesi di c.d. «doppia conforme», prevista dall’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) -deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (per tutte, Cass., Sez. 5, 18/12/2014, n. 26860; Cass., Sez. 5, 11/05/2018, n. 11439; Cass., sez. 1, 22/12/2016, n. 26774; Cass., sez. L., 06/08/2019, n. 20994).
Non avendo il ricorrente adempiuto nella specie a tale incombente, deriva, sotto questo profilo, l’inammissibilità della censura.
8.1 Con il settimo motivo di ricorso, si lamenta, infine, la falsa applicazione degli artt. 542, 555, 556, 559, 560 e 561 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici
di merito rigettato la domanda di riduzione esercitata dal ricorrente, non avendo conteggiato nel donatum i trasferimenti di fondi di NOME COGNOME nel conto corrente svizzero della moglie, benché nel calcolo dell’asse ereditario andassero ricostruite anche le donazioni, le quali, peraltro, ove invalide, avrebbero dovuto essere restituite alla massa ereditaria e dunque attribuite al ricorrente quale unico erede. Pertanto, i giudici di merito, respingendo l’istanza di esibizione, avevano sbagliato il calcolo della quota riservata.
8.2 La censura è assorbita, atteso che la necessità di rivalutare la validità, sotto il profilo del rispetto del requisito di forma, dei singoli atti di liberalità posti in essere dal de cuius in favore della coniuge, a seconda della rispettiva natura da valutarsi alla luce dei principi espressi nel punto 5.2, non può che incidere sulla formazione della massa dei beni ereditari e sul calcolo delle quote di legittima.
In conclusione, dichiarata l’infondatezza del primo, del secondo, del terzo e del quinto motivo, l’inammissibilità del sesto motivo, la fondatezza del quarto e l’assorbimento del settimo, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia, che, in diversa composizione, dovrà statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, infondati il primo, secondo, terzo e quinto motivo, inammissibile il sesto e assorbito il settimo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18/12/2023.
Il Presidente
NOME COGNOME