Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32677 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 32677 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 13185-2022 proposto da:
NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
NOMECOGNOME NOME COGNOME rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrenti –
avverso la sentenza n. 482/2021 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 23/11/2021;
lette le memorie delle parti;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. NOME NOME, nella qualità di unico erede del defunto NOME, ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Enna NOME e NOME, deducendo che il de cuius aveva effettuato delle donazioni di somme di denaro in favore delle convenute, per un importo di € 147.457,69 in favore di entrambe, e di € 16.461,99 in favore della sola NOME, tramite la negoziazione sul conto bancario intestato alle convenute di assegni tratti dal de cuius su di un conto corrente del quale era intestatario, ed alimentato unicamente con denaro di sua pertinenza; ancora evidenziava che sempre sul conto corrente delle convenute il defunto aveva versato degli assegni circolari a lui intestati emessi dalla BNL, avvalendosi a tal fine della delega che aveva ricevuto per operare anche sui rapporti intestati alle controparti. Inoltre, la somma di cui era beneficiaria la sola NOME era stata alla stessa versata tramite la sottoscrizione di due fondi di investimento, successivamente svincolati in favore della convenuta.
Deduceva pertanto che le donazioni erano affette da nullità per difetto di forma e che pertanto le somme donate dovevano essergli restituite, in quanto unico erede del donante.
Nella resistenza delle convenute, il Tribunale adito rigettava la domanda ed avverso tale sentenza proponeva appello COGNOME NOME, cui resistevano le appellate.
La Corte d’Appello di Caltanissetta, con la sentenza n. 482 del 23 novembre 2021 ha rigettato l’appello.
Nell’esaminare i primi tre motivi di appello la sentenza riteneva che non fosse stato provato lo spirito di liberalità che avrebbe dovuto connotare le dazioni oggetto di causa.
Infatti, secondo la ricostruzione attorea, le donazioni sarebbero avvenute tramite la negoziazione su di un conto corrente del quale le convenute erano cointestatarie, di assegni bancari tratti su di un diverso conto corrente del quale il Clama era cointestatario con la convenuta Clama Leandra, nonché mediante il versamento su libretti di risparmio intestati alle convenute di alcuni assegni circolari emessi dalla BNL e dei quali il de cuius era beneficiario.
Rilevava la Corte d’Appello che il conto sul quale erano stati tratti gli assegni bancari vedeva come cointestatari i germani Clama, e che non era stata offerta alcuna prova idonea a superare la presunzione di contitolarità delle somme ivi depositate.
Ne derivava che le somme versate erano di spettanza anche della pretesa donataria, il che non permetteva di affermare che vi fosse uno spirito di liberalità nel versamento.
Nella sostanza il NOME stava gestendo del denaro anche della sorella, il che portava ad escludere, in presenza di una donazione indiretta, che vi fosse la prova dell’ animus donandi .
Anche per gli assegni circolari era poi mancata la prova che gli stessi fossero stati emessi per una ragione di credito riferibile unicamente al preteso donante.
Anche gli altri motivi di appello erano disattesi, e ciò in quanto era stata offerta la prova che il de cuius e le convenute coabitavano nello stesso immobile così che, alla luce della cointestazione dei rapporti e della delega ad operare conferita al Clama per i rapporti
cointestati alle sole convenute, doveva reputarsi che le operazioni effettuate fossero riconducibili ad un incarico gestorio finalizzato all’amministrazione delle risorse del mandatario e della sorella.
Era poi rigettato anche il motivo di appello che investiva la condanna al rimborso delle spese di lite.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso, affidato a tre motivi, NOME
Le intimate hanno resistito con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 115, co. 1, c.p.c. in relazione all’art. 1298 co. 2, c.c., in quanto la Corte d’Appello ha ritenuto che non fosse stata fornita la prova idonea a vincere la presunzione di contitolarità delle somme giacenti sul conto cointestato tra NOME e NOME, senza tenere conto che la titolarità esclusiva delle somme in capo al primo era circostanza specificamente affermata in citazione e che non era stata fatta oggetto di specifica contestazione da parte delle convenute; si lamenta altresì che la Corte d’Appello abbia erroneamente ritenuto che non fosse stata offerta documentazione volta a provare che le somme di cui agli assegni circolari era riferibile unicamente alle disponibilità del de cuius.
La Corte d’Appello ha rigettato il gravame proposto osservando che, quanto agli assegni bancari versati dal de cuius sul conto corrente cointestato alle convenute, la provvista era stata tratta da un diverso conto corrente del quale NOME era cointestatario con la sorella NOME
Tuttavia, la documentazione versata in atti non era idonea a comprovare quanto sostenuto dall’attore, e cioè che il conto sul quale erano stati tratti gli assegni era in realtà alimentato con denaro di esclusiva appartenenza del de cuius, concludendo quindi nel senso, che non essendo stata vinta la presunzione di contitolarità di cui all’art. 1298, co. 2, c.c., non era possibile sostenere che il versamento degli assegni avesse una finalità liberale, ben potendosi piuttosto ipotizzare un’attività di carattere gestorio riferita a somme rientranti nella disponibilità dei due germani.
Si deduce in ricorso che, a fronte dell’affermazione contenuta in citazione secondo cui, a prescindere dalla formale cointestazione, il conto era alimentato unicamente con i proventi e la pensione del de cuius, le convenute non avevano contestato tale asserzione, ma avevano anzi impostato la loro difesa sul presupposto che si trattava di versamenti spontaneamente effettuati dal de cuius, al fine di remunerare le convenute dell’assistenza prestata in suo favore, e senza mai essere state preventivamente informate.
Anche per quanto concerne gli assegni circolari, la difesa delle convenute aveva ribadito che il versamento rispondeva alla esigenza del Clama di girare spontaneamente i propri emolumenti a favore della sorella che si prendeva cura di lui.
Il motivo è fondato.
Rileva in primo luogo che nella fattispecie, essendo stato il giudizio di primo grado introdotto nel 2011, trova applicazione il testo dell’art. 115 c.p.c., quale novellato dalla legge n. 69/2009, che prevede che il giudice debba porre a fondamento della
decisione le prove proposte dalle parti, nonché i fatti non specificamente contestati da parte convenuta.
Pertanto, il convenuto, a fronte di una allegazione da parte dell’attore chiara e articolata in punto di fatto, ha l’onere ex art. 167 c.p.c. di prendere posizione in modo analitico sulle circostanze di cui intenda contestare la veridicità e, se non lo fa, i fatti dedotti dall’attore debbono ritenersi non contestati, per i fini di cui all’art. 115 c.p.c. (cfr. ex multis Cass. n. 9439 del 23/03/2022). Inoltre, è stato precisato che l’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte e dedotti nel processo, non anche per quelli ad essa ignoti o allegati in sede extraprocessuale, atteso che il principio di non contestazione trova fondamento nel fenomeno di circolarità degli oneri di allegazione, confutazione e prova, che è tipico delle vicende processuali (Cass. n. 2174 del 01/02/2021).
Il principio di non contestazione, pur essendo stato codificato con la modifica dell’art. 115 c.p.c. introdotta dalla l. n. 69 del 2009, è applicabile anche ai giudizi antecedenti alla novella, avendo questa recepito il previgente principio giurisprudenziale in forza del quale la non contestazione determina effetti vincolanti per il giudice, che deve ritenere sussistenti i fatti non contestati, astenendosi da qualsivoglia controllo probatorio in merito agli stessi (cfr. ex multis , Cass. n. 5429 del 27/02/2020).
Peraltro nella giurisprudenza meno recente era stato anche specificato che i fatti allegati da una parte possono considerarsi “pacifici”, esonerando la stessa dalla necessità di fornirne la prova, solamente quando l’altra parte abbia impostato la propria difesa su argomenti logicamente incompatibili con il
disconoscimento dei fatti medesimi, ovvero quando si sia limitata a contestarne esplicitamente e specificamente taluni soltanto, evidenziando in tal modo il proprio non interesse ad un accertamento degli altri (cfr. Cass. n. 23862 del 29/10/2020).
Ove poi si intenda denunciare la violazione del principio di non contestazione da parte del giudice di merito, ai fini del rispetto del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione con cui viene dedotta la violazione del principio di non contestazione deve indicare sia la sede processuale in cui sono state dedotte le tesi ribadite o lamentate come disattese, inserendo nell’atto la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi, sia, specificamente, il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori scritti difensivi, in modo da consentire alla Corte di valutare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione dell’art. 115 c.p.c. (cfr. Cass. n. 15058 del 29/05/2024).
Alla luce di tali principi deve reputarsi fondata la censura di cui al motivo in esame.
Il ricorrente ha riportato in ricorso i passaggi di cui all’atto di citazione nei quali ribadiva che le somme giacenti sul conto corrente dal quale erano stati tratti gli assegni bancari versati sul conto cointestato alle convenute erano di pertinenza del solo COGNOME ed ha altresì riprodotto il passaggio della comparsa di risposta delle convenute, in cui si sostiene che i versamenti de quibus erano frutto di una spontanea attività del de cuius, che in tal modo provvedeva a girare i propri emolumenti alla sorella ed alla nipote, al fine di compensare l’impegno morale che le stesse si erano assunte in vista del soddisfacimento dei
bisogni, materiali e morali, del disponente, essendo a tanto spinto anche da motivi affettivi.
Risulta evidente che la difesa delle convenute, lungi dall’offrire una specifica contestazione dell’affermazione in fatto contenuta nella citazione, si fonda anzi su affermazioni che sono incompatibili con una contestazione della titolarità esclusiva delle somme girate, essendo piuttosto confermativa dell’assunto attoreo, e mirando invece a fornire una giustificazione del trasferimento in chiave remuneratoria degli impegni assistenziali che le convenute nel corso del tempo avevano assunto verso il congiunto.
Tale linea difensiva implica la possibilità di invocare la previsione dell’art. 115 c.p.c., e rendere quindi non necessitante di prova l’affermazione circa la titolarità esclusiva in capo a Clama Armando delle somme versate, anche in relazione alle somme di cui agli assegni circolari, per le quali, oltre ad apparire non conferente il richiamo operato dalla Corte d’Appello alla previsione di cui all’art. 1298, co. 2, c.c., – trattandosi in questo caso di somme non provenienti da un conto cointestato, ma risultanti unicamente da assegni dei quali unico intestatario era il dante causa del ricorrente -, la giustificazione offerta dalle convenute (e cioè che si trattava di un modo con il quale il de cuius intendeva sdebitarsi nei confronti delle convenute) appare confermativa dell’assunto secondo cui si trattava in realtà di denaro di esclusiva pertinenza del Clama.
Può quindi reputarsi pacifico, e quindi non necessitante di prova da parte dell’attore, l’assunto secondo cui tutte le somme versate dal padre fossero di sua esclusiva pertinenza, e ciò sia relazione al fatto che il conto corrente cointestato con la sorella era stato
alimentato solo con denaro del primo, sia in relazione al fatto che gli assegni circolari erano relativi a somme appartenenti al de cuius.
Né può sostenersi, come dedotto in controricorso, che in tal modo il principio di non contestazione abbia vinto la presunzione legale di cui all’art. 1298 c.c., dovendo piuttosto reputarsi che la presunzione di pari titolarità delle somme giacenti sul conto cointestato possa essere superata ove risulti il contrario, il che può scaturire sia dalla prova dell’effettiva diversa alimentazione del rapporto, sia dal fatto che l’esclusiva pertinenza sia pacifica ex art. 115 c.p.c. e quindi non necessiti di prova.
Quanto poi alle considerazioni svolte in sentenza secondo cui la documentazione prodotta non forniva la prova dell’esclusiva titolarità delle somme, è pur vero che il principio di non contestazione non può prevalere sulle prove comunque raccolte nel corso del giudizio, ma ciò vale nel caso in cui dalle prove emerga la certezza che i fatti di causa siano diversi da quelli scaturenti dalla semplice applicazione del principio di non contestazione, nel mentre nella fattispecie, le prove documentali offerte sono state reputate in grado di offrire la prova circa la titolarità delle somme in un senso o nell’altro, così che non appaiono idonee ad impedire l’effetto di esclusione dal thema probandum che scaturisce, come detto, dal principio di non contestazione.
Il motivo è, quindi, fondato e per effetto la sentenza impugnata deve essere cassata.
Il secondo motivo di ricorso lamenta la falsa applicazione dell’art. 1703 c.c. per avere la Corte d’appello erroneamente applicato alla fattispecie la disciplina del mandato, negando
l’applicazione della disciplina in materia di donazioni dirette con la conseguente violazione degli artt. 769 e 770 c.c.
Si deduce che la sentenza gravata, partendo dal presupposto che le somme di cui al rapporto cointestato tra il de cuius e la sorella fossero appartenenti ad entrambi, ha giustificato i versamenti operati in chiave gestoria, reputando che il de cuius fosse stato abilitato ad operare con una procura ad operare sui rapporti dei quali non era cointestatario, quale mandatario delle convenute.
Anche tale motivo è fondato, sia in ragione del contenuto delle allegazioni difensive delle convenute, come riportate a pag. 13 del ricorso, dove si dà atto che le stesse in comparsa di risposta avevano sostenuto di esser del tutto ignare delle operazioni che RAGIONE_SOCIALE poneva in essere (affermazione che appare evidentemente incompatibile con la configurazione di un mandato), sia in ragione dell’accoglimento del primo motivo di ricorso, in quanto, una volta escluso che possa operare la presunzione di cui all’art. 1298, co. 2, c.c. per il rapporto cointestato, viene meno anche la possibilità di configurare i versamenti quale attività finalizzata alla gestione del denaro comune.
5. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 769 e 770 c.c., con la conseguente e falsa applicazione dell’art. 809 c.c., per avere la Corte d’Appello reputato che le dazioni di denaro effettuare dal de cuius, mediante il versamento di assegni sui rapporti dei quali le convenute erano cointestatarie costituissero delle donazioni indirette, per le quali non era necessaria la forma scritta prevista per le donazioni formali, ed imponendo anche la prova dell’esistenza dell’ animus donandi .
Anche tale motivo è fondato.
Come si ricava dai passaggi della motivazione della sentenza impugnata, la stessa (cfr. pag. 6, secondo capoverso) ha inquadrato la fattispecie dedotta in giudizio dall’attore nel novero delle donazioni indirette, ed ha sostenuto che, proprio in ragione dell’esenzione di tali donazioni dal rigore formale di cui all’art. 782 c.c., era necessario provare l’ animus donandi .
Trattasi però di affermazione che è chiaramente fuorviata dall’erronea sussunzione della fattispecie nella nozione di donazione indiretta, in contrasto con quanto invece recepito nella giurisprudenza di questa Corte.
A tal fine rileva quanto precisato da Cass. S.U. n. 18725/2017, che ha precisato che il trasferimento, attraverso un ordine di bancogiro del disponente, di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione tipica ad esecuzione indiretta, soggetta alla forma dell’atto pubblico, salvo che sia di modico valore, poiché realizzato non tramite un’operazione triangolare di intermediazione giuridica, ma mediante un’intermediazione gestoria dell’ente creditizio. Infatti, l’operazione bancaria tra il donante ed il donatario costituisce mero adempimento di un distinto accordo negoziale fra loro concluso e ad essa rimasto esterno, il quale solo realizza il passaggio immediato di valori da un patrimonio all’altro, e tale circostanza esclude la configurabilità di un contratto in favore di terzo, considerato che il patrimonio della banca rappresenta una ‘zona di transito’ tra l’ordinante ed il destinatario, non direttamente coinvolta nel processo attributivo, e che il beneficiario non acquista alcun diritto verso l’istituto di credito in seguito al contratto intercorso fra quest’ultimo e l’ordinante.
In piana applicazione delle riflessioni svolte dalle Sezioni Unite, è stato poi precisato che (Cass. n. 23127/2021) il trasferimento ” donationis causa ” di titoli di credito astratti non dà luogo ad una donazione indiretta, intesa come mezzo per conseguire, attraverso l’utilizzazione di un negozio con causa tipica, un risultato pratico da questo divergente, essendo detti titoli suscettibili di realizzare in modo diretto qualsiasi scopo voluto dalle parti, sicché integra una donazione diretta, soggetta in quanto tale al requisito di forma nel rapporto base tra il ” tradens ” e l'” accipiens “.
Anche il terzo motivo deve essere accolto, dovendo il giudice di rinvio procedere a nuovo esame, alla luce della corretta qualificazione della vicenda, ove inquadrata in termini di liberalità.
Il giudice del rinvio che si designa nella Corte d’Appello di Caltanissetta in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, nei limiti di cui in motivazione, e cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di Caltanissetta, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio;
Così deciso nella camera di consiglio del 26 novembre 2024