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Domanda tardiva: termini e onere della prova

La Corte di Cassazione ha confermato l’inammissibilità di una domanda tardiva di ammissione al passivo di una banca in liquidazione coatta. Nonostante i creditori avessero ottenuto una sentenza favorevole, la loro richiesta è stata presentata oltre il termine di decadenza previsto dalla legge. La Corte ha ribadito che il creditore ha l’onere di dimostrare che il ritardo è dipeso da una causa a lui non imputabile, e che un lungo lasso di tempo trascorso dopo il passaggio in giudicato della sentenza, senza agire, costituisce un ritardo colpevole. La sentenza sottolinea la rigidità dei termini procedurali e l’inderogabilità della procedura di accertamento del passivo.

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Domanda Tardiva: Quando il Ritardo Costa il Credito

Nelle procedure concorsuali, come la liquidazione coatta amministrativa, il rispetto delle scadenze è cruciale. Presentare una domanda tardiva di ammissione al passivo può compromettere irrimediabilmente il diritto a recuperare il proprio credito. Un’ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui rigidi requisiti richiesti al creditore per giustificare il proprio ritardo, anche quando in possesso di una sentenza favorevole. Vediamo nel dettaglio il caso e i principi affermati.

I Fatti di Causa

Un gruppo di investitori aveva ottenuto dalla Corte d’Appello una sentenza di condanna nei confronti di un istituto bancario, che li obbligava a restituire somme versate per l’acquisto di strumenti finanziari. La sentenza era stata emessa nel maggio 2015 e passata in giudicato nel giugno 2016. Tuttavia, la banca era stata posta in liquidazione coatta amministrativa già nel 2012. Gli investitori, forti della loro sentenza, hanno presentato domanda di insinuazione al passivo della liquidazione solo il 30 giugno 2017, ben oltre i termini previsti.

La Decisione del Tribunale

Il Tribunale di Milano ha dichiarato la domanda inammissibile. La motivazione si fonda sull’applicazione di una nuova normativa (D.Lgs. 181/2015), entrata in vigore il 16 novembre 2015, che fissava un termine perentorio di sei mesi per la presentazione delle domande tardive nelle procedure già in corso. Secondo il Tribunale, i creditori non solo avevano superato ampiamente tale termine, ma non avevano fornito alcuna prova che il ritardo fosse dovuto a una causa a loro non imputabile. Anzi, già dalla data della sentenza d’appello avrebbero potuto e dovuto attivarsi.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione, investita della questione, ha rigettato il ricorso degli investitori, confermando la decisione del Tribunale. Le motivazioni della Corte sono un importante vademecum per chiunque vanti un credito verso un’impresa in crisi.

Inapplicabilità della Giustificazione per la Domanda Tardiva

Il punto centrale della decisione riguarda l’onere della prova. La Corte chiarisce che il creditore che presenta una domanda tardiva oltre il termine di decadenza (nel caso di specie, sei mesi dall’entrata in vigore della nuova legge) deve dimostrare due cose:
1. La causa esterna che gli ha impedito di presentare la domanda tempestivamente.
2. La causa esterna, uguale o diversa, che ha provocato l’inerzia nel periodo tra la cessazione dell’impedimento e l’effettiva presentazione della domanda.

Nel caso analizzato, il Tribunale aveva valutato come ingiustificato un ritardo di circa un anno dal passaggio in giudicato della sentenza, che costituiva il titolo per insinuare il credito. Questa valutazione, secondo la Cassazione, è una valutazione di fatto, ben motivata e non censurabile in sede di legittimità. Il principio è chiaro: una volta rimosso l’ostacolo, il creditore deve attivarsi in un tempo ‘ragionevole’.

Necessità dell’Insinuazione al Passivo

I ricorrenti sostenevano che la sentenza di condanna fosse direttamente opponibile alla procedura, senza bisogno di insinuazione. La Corte ha smontato questa tesi, ribadendo il principio del ‘concorso formale’. Anche una sentenza definitiva ottenuta contro un’impresa già in liquidazione non consente di ‘saltare’ la procedura di accertamento del passivo. Essa rappresenta il titolo per chiedere l’ammissione, ma non sostituisce la domanda stessa. L’insinuazione è un atto inderogabile per partecipare al riparto dell’attivo fallimentare.

La Questione dei Crediti Prededucibili

Un altro motivo di ricorso riguardava le spese legali liquidate in sentenza, che i ricorrenti ritenevano essere un credito prededucibile (da pagare con priorità). La Corte ha dichiarato il motivo inammissibile. Sebbene un credito prededucibile non contestato possa essere pagato anche al di fuori della procedura di accertamento del passivo, i ricorrenti avevano scelto di includerlo nella loro domanda di insinuazione. Così facendo, lo hanno assoggettato alle regole procedurali della domanda stessa, inclusi i termini di decadenza. Essendo la domanda tardiva, anche la richiesta relativa a questo credito è stata respinta.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione ribadisce con forza alcuni principi cardine del diritto fallimentare:
1. Tempestività: I termini per l’insinuazione al passivo sono perentori. Il ritardo è ammesso solo in circostanze eccezionali e rigorosamente provate.
2. Onere della Prova: Spetta al creditore dimostrare che il ritardo non è a lui imputabile, non solo fino al sorgere del diritto, ma anche nel periodo successivo.
3. Inderogabilità della Procedura: Nessun titolo, neanche una sentenza passata in giudicato, esonera il creditore dal presentare la domanda di insinuazione al passivo secondo le forme e i tempi previsti dalla legge.

Questa decisione serve da monito per i creditori: la vigilanza e la tempestività sono essenziali per tutelare i propri diritti nelle procedure concorsuali. Affidarsi a un titolo giudiziale senza attivarsi prontamente per l’insinuazione può portare alla perdita definitiva del credito.

Una sentenza di condanna ottenuta contro una società poi messa in liquidazione è sufficiente per ottenere il pagamento?
No. La sentenza, anche se passata in giudicato, non permette di ottenere il pagamento diretto. Essa costituisce solo il titolo per presentare la domanda di insinuazione allo stato passivo della procedura concorsuale. È necessario seguire l’iter previsto dalla legge fallimentare per partecipare al riparto dell’attivo.

Quali sono i termini per presentare una domanda tardiva di ammissione al passivo in una liquidazione coatta amministrativa?
La normativa applicabile al caso di specie (art. 89 T.U.B. come modificato dal D.Lgs. 181/2015) prevede che, decorsi sei mesi dalla pubblicazione dell’avviso di formazione dello stato passivo, le domande tardive sono ammissibili solo se l’istante dimostra che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile.

Cosa deve dimostrare un creditore per giustificare una domanda tardiva presentata oltre i termini di decadenza?
Il creditore non solo deve dimostrare la causa esterna che gli ha impedito di agire tempestivamente, ma deve anche provare che l’inerzia nel periodo successivo alla cessazione di tale impedimento sia dovuta a una causa non imputabile. Un ritardo non giustificato dopo aver avuto la possibilità di agire, come ad esempio dopo il passaggio in giudicato di una sentenza, viene considerato ‘colpevole’ e rende la domanda inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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