Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18527 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18527 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11627/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, INDIRIZZO, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE COATTA
AMMINISTRATIVA, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di TRIBUNALE MILANO n. 2281/2019 depositata il 06/03/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
Con la sentenza impugnata il Tribunale di Milano ha dichiarato inammissibile il ricorso col quale i soggetti in epigrafe indicati avevano proposto una domanda di insinuazione tardiva allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa della RAGIONE_SOCIALE, per crediti restitutori correlati a un previo acquisto di strumenti finanziari.
Tali crediti erano stati accertati dalla C orte d’appello di Genova con sentenza pubblicata l’11 -6-2015 e passata in giudicato il 13-7-2016.
Il tribunale ha ritenuto che alla fattispecie non potessero applicarsi, ratione temporis , le previsioni del d.lgs. n. 385 del 1993 (cd. T.u.b.) come modificate dal d.lgs. n. 181 del 2015, salvo però l’art. 89 , primo comma.
Questa norma, nel testo conseguente all’art. 1, comma 31, del d.lgs. citato, ha previsto un termine per la presentazione delle domande tardive di sei mesi dall’entrata in vigore del d.lgs. medesimo, e dunque di sei mesi dal 16-11-2015, salva la prova della non imputabilità del ritardo. Ma una prova del genere non era stata fornita, visto che la sentenza della corte d’appello era stata emessa l’11 -6-2015 e che già da quella data gli istanti avrebbero potuto attivarsi per gli effetti
restitutori stabiliti in sentenza, eventualmente proponendo una domanda di ammissione con riserva.
Viceversa, essi avevano lasciato decorrere infruttuosamente circa dieci mesi perfino dopo il passaggio in giudicato di detta sentenza, avanzando la domanda il 30-6-2017 senza alcuna giustificazione.
I soccombenti hanno impugnato la decisione con ricorso per cassazione affidato a sei motivi, illustrati da memoria.
La procedura ha replicato con controricorso.
Ragioni della decisione
I. -Col primo mezzo i ricorrenti deducono la violazione o falsa applicazione degli artt. 52 e 72 legge fall., 83 e 89 del T.u.b., 3 del d.lgs. n. 181 del 2015, in quanto sarebbe opponibile alla procedura concorsuale la sentenza che ha statuito su obblighi restitutori a seguito di risoluzione contrattuale, senza necessità di insinuazione.
Col secondo mezzo denunziano la violazione o falsa applicazione degli artt. 96 legge fall. e 89 del T.u.b., stante la non applicabilità al caso di specie dell’istituto dell’ammissione con riserva .
Col terzo assumono la violazione o falsa applicazione degli artt. 89 del T.u.b. e 3 del d.lgs. n. 181 del 2015, non essendo in tema discorrere di giustificabilità o meno del tempo trascorso dopo il superamento incolpevole di un termine di decadenza e prima di un ‘ azione giudiziale.
Col quarto motivo i ricorrenti censurano la sentenza per violazione e falsa applicazione delle medesime norme, stante l’inapplicabilità del termine di decadenza per le domande tardive relative a crediti sorti dopo l’apertura della procedura concorsuale : a loro dire il termine decadenziale non si dovrebbe applicare in esito al medesimo principio tratto dalla giurisprudenza formato si sull’art. 101 legge fall.
Col quinto motivo denunziano la violazione o falsa applicazione degli artt. 80 e 91 T.u.b., 111 e seg. legge fall., 212 stessa legge, essendo la sentenza in ogni caso errata a proposito della mancata
ammissione in prededuzione delle spese legali liquidate nella sentenza della corte d’appello di Genova .
Infine, col sesto motivo deducono l’i llegittimità costituzionale de ll’ art. 3 del d.lgs. n. 181 del 2015 in relazione agli artt. 3 e 24 cost., essendo stato previsto un termine di decadenza applicabile a procedura già aperte al momento dell’entrata in vigore della norma.
II. -È opportuno premettere che alla liquidazione coatta delle banche si applicano, per quanto non espressamente previsto, le norme della legge fallimentare, se compatibili (art. 80, ultimo comma, T.u.b.).
Tra queste certamente rileva il principio del concorso formale, come attuato dal canone di inderogabilità dell’accertamento del passivo (art. 52 legge fall.).
Il procedimento di formazione dello stato passivo nella liquidazione coatta amministrativa delle banche è invece declinato in termini di specialità in funzione dell’obiettivo di favorire per quanto più possibile la celerità delle attività di verifica.
A ciò sono funzionali i termini e le attività scandite nell’art. 86 del T.u.b.
Questa norma è stata novellata dal d.lgs. n. 181 del 2015 in relazione alle modalità di comunicazione e ad alcuni adempimenti, anche se la struttura del procedimento è rimasta inalterata.
Di contro è stato modificato dall’art. 1, comma 31, del d.lgs. n. 181 del 2015 il regime delle insinuazioni tardive (art. 89 del T.u.b.) nel senso che ‘ dopo il deposito dello stato passivo e fino a che non siano esauriti tutti i riparti e le restituzioni, i creditori e i titolari dei diritti indicati nell’articolo 86, comma 2, che non abbiano ricevuto la comunicazione ai sensi dell’articolo 86, comma 8, e non risultino inclusi nello stato passivo, possono chiedere di far valere i loro diritti secondo quanto previsto dall’articolo 87, commi da 2 a 5, e dall’articolo 88. Decorsi sei mesi dalla pubblicazione dell’avviso previsto dall’articolo 86, comma 8, le domande tardive sono ammissibili solo se l’istante dimostra che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile ‘ .
Il d.lgs. n. 181 del 2015 ha altresì disposto (con l’art. 3, comma 4) che l’art. 89 nel testo così modificato si applica ” anche alle procedure di liquidazione coatta amministrativa in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto e per le quali non sia stato già autorizzato il deposito della documentazione finale “. E inoltre sempre il menzionato d.lgs. ha disposto (con l’art. 3, comma 5) che ” per le procedure di cui al comma 4, le sentenze pronunciate dopo l’entrata in vigore del presente decreto ai sensi dell’articolo 87 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sono impugnabili esclusivamente con il ricorso per cassazione di cui al comma 2 del medesimo articolo 87, come modificato dal presente decreto. Si applica l’articolo 88 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, come modificato dal presente decreto. Per le medesime procedure, il termine per la proposizione delle domande tardive di cui all’articolo 89 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, come modificato dal presente decreto, decorre dall’entrata in vigore di quest’ultimo “.
III. -Il dubbio di costituzionalità paventato nel sesto motivo di ricorso, il cui esame per ovvie ragioni va anteposto, non ha fondamento, perché si è al cospetto di una previsione procedurale dettata da evidenti esigenze di celerità. Ed è noto che, in tema di disciplina degli istituti processuali il legislatore gode di ampia discrezionalità, nei limiti della non manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle soluzioni adottate (cfr. ex aliis C. cost. n. 247-22).
IV. -Ora il d.lgs. n. 181 del 2015 è entrato in vigore il 16-112015.
Questo giustifica l’affermazione del tribunale per cui proprio l’art. 89 doveva trovare applicazione nel caso di specie, visto che la domanda di ammissione era stata pacificamente presentata (fatto incontroverso) il 30-6-2017, dopo il deposito dello stato passivo e ampiamente dopo il decorso di sei mesi dal 16-11-2015.
Tenuto conto del citato excursus , la domanda andava vagliata alla luce del n ovellato testo dell’art. 89 citato.
V. – Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Oltre a contraddire il senso stesso della domanda che era stata presentata, esso infondatamente assume che dalla sentenza della Corte d’appello di Genova, non impugnata, doveva derivare la possibilità (quando non la necessità) di ottenere il pagamento da parte della procedura senza necessità di insinuazione.
È, questa, una tesi mai prospettata nel giudizio di merito, e in ogni caso in contrasto col chiarissimo tenore dell’art. 86 del T.u.b.
La sentenza della corte d’appello è intervenuta nel 2015 ma in riforma di altra, del tribunale, del 2008.
La convenuta è stata posta in liquidazione coatta amministrativa nel 2012.
La pretesa restitutoria azionata dai ricorrenti integrava un credito concorsuale, perché rinveniente la sua genesi in un fatto anteriore alla procedura.
Per quanto la sentenza risulti esser stata emessa nei confronti dell ‘impresa già in l.c.a. (con statuizione -retroattiva negli effetti – di risoluzione dei contratti di negoziazione dei titoli e di condanna dell’istituto bancario a restituire agli investitori gli importi a loro tempo versati per gli acquisti), essa ha rappresentato (al più) l’antecedente logico (ovvero il titolo) dell’insinuazione, ferma la necessità del rispetto del procedimento inderogabile di accertamento del passivo.
In termini generali, in vero, la sentenza di condanna pronunciata in sede ordinaria contro un’impresa già in l.c.a. opera come pronuncia di mero accertamento (v. per la l.c.a. delle imprese assicurative Cass. Sez. 3 n. 18525-09, Cass. Sez. 3 n. 17165-07, Cass. Sez. 3 n. 682001). Essa, ove anche opponibile alla procedura in base al titolo formatosi contro la stessa e non impugnato, pur sempre implica che l’avente diritto provveda poi a insinuarsi allo stato passivo della procedura stessa.
In altre parole, era (ed è) necessaria l’insinuazione per poter partecipare al concorso.
VI. -Diventa allora decisiv a l’affermazione del tribunale secondo la quale la domanda era da considerare ‘colpevolmente ultratardiva’ (art. 89 T.u.b.) , visto che non era stato assolto l’onere probatorio a carico dei ricorrenti circa la presenza di una causa non imputabile del ritardo nell’insinuazione .
Secondo il tribunale, ‘ persino rispetto al passaggio in giudicato della sentenza d’appello (..) i ricorrenti lasciato decorrere un arco temporale di circa dieci mesi, senza alcuna valida motivazione o giustificazione’.
Si tratta di una ratio decidendi che resiste alle censure formulate nei motivi terzo e quarto.
Questa Corte ha chiarito (quanto al fallimento, ma con principio estendibile anche alla liquidazione coatta amministrativa) che il disposto dell’ultimo comma dell’art. 101 legge fall., relativo alle domande ultratardive, va interpretato nel senso che il creditore è chiamato non solo a dimostrare la causa esterna impeditiva della tempestiva o infrannuale sua attivazione, ma anche la causa esterna, uguale o diversa dalla prima, che abbia cagionato l’inerzia tra il momento della cessazione del fattore impediente e il compimento dell’atto, dovendo escludersi che, venuto meno l’impedimento, la richiesta di ammissione al passivo possa comunque essere presentata entro lo stesso termine (dodici mesi) del quale sia stata allegata l’impossibilità di osservanza, essendo necessaria l’attivazione del creditore in un termine ragionevolmente contenuto e rispettoso del principio della durata ragionevole del procedimento (Cass. Sez. 1 n. 11000-22).
Al fondo dell’orientamento vi è la considerazione basica per cui non è possibile, in casi del genere, indicare in astratto quale sia il tempo necessario alla presentazione di un ‘istanza di ammissione ; cosa che di contro implica che si debba svolgere sempre un apprezzamento in concreto, in base -certo – alle peculiarità del caso singolo, ma pur sempre ispirato al principio che il ritardo, se c’è, è colpevole.
Il tribunale ha valutato come ingiustificato, nelle condizioni date, un ritardo di dieci mesi dal passaggio in giudicato della sentenza costituente (secondo gli stessi ricorrenti) valido titolo per insinuare il credito.
Si tratta di una valutazione in fatto, ben plausibile e immune da errori di diritto; come tale insindacabile in cassazione.
VII. – Resta assorbito il secondo motivo.
VIII. -Il quinto motivo è inammissibile.
Si assume che il credito relativo alle spese legali liquidate nella sentenza della corte d’appello di Genova era (ed è) prededucibile, e si censura la decisione del tribunale di Milano per aver dichiarato inammissibile l’insinuazione anche riguardo a questo, che pur non si sarebbe potuto ritenere contestabile.
La tesi non è conducente.
Il credito prededucibile trova la sua disciplina nel l’art. 111 -bis legge fall., col discrimine tra quelli non contestati e quelli contestati (non importa se fondatamente o meno).
Nel caso concreto gli stessi ricorrenti hanno ritenuto di dover proporre la domanda di insinuazione, così implicitamente riferendo la pretesa a un credito contestato.
Dalla sentenza risulta che la procedura aveva eccepito la tardività della domanda e la sua conseguente inammissibilità.
In effetti per le considerazioni già esposte la domanda, fatta valere mediante l’insinuazione , era inammissibile.
Dopodiché, fermo che il credito relativo alle spese liquidate in sentenza è in effetti prededucibile, è ovvio che al distinto scrutinio della esistenza o meno di una contestazione al riguardo (ovvero di una astratta contestabilità, al di là cioè della questione relativa alla mancata dimostrazione del fattore impediente un’insinuazione sollecita) i ricorrenti non hanno interesse in questa sede.
Difatti il credito prededucibile – che si dice non contestato – può essere fatto valere al di fuori del concorso.
IX. -L’anteriorità del ricorso rispetto al formante giurisprudenziale sopra indicato giustifica la compensazione delle spese processuali.
p.q.m.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione