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Domanda tardiva: termini e onere della prova

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18527/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di alcuni investitori che avevano presentato una domanda tardiva di insinuazione al passivo di un istituto di credito in liquidazione coatta. La Corte ha confermato che, a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 181/2015, il creditore ha l’onere di dimostrare che il ritardo nella presentazione della domanda è dipeso da causa a lui non imputabile, anche per il periodo successivo alla cessazione dell’impedimento. Un ritardo di dieci mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che accertava il credito è stato ritenuto ingiustificato.

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Domanda tardiva: la Cassazione chiarisce termini e onere della prova

L’ordinanza n. 18527 del 2024 della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sui termini per la presentazione della domanda tardiva di ammissione al passivo nelle procedure di liquidazione coatta amministrativa bancaria. La pronuncia sottolinea il rigoroso onere probatorio che grava sul creditore per giustificare il proprio ritardo, anche alla luce delle recenti modifiche normative.

I Fatti di Causa

Un gruppo di risparmiatori, titolari di un credito restitutorio nei confronti di un istituto bancario, si era visto accogliere le proprie ragioni da una sentenza della Corte d’Appello emessa nel 2015 e passata in giudicato nel 2016. Tuttavia, l’istituto di credito era stato posto in liquidazione coatta amministrativa già nel 2012.

Nonostante il consolidamento del loro diritto, gli investitori presentavano la domanda di insinuazione al passivo della liquidazione solo il 30 giugno 2017, ovvero circa dieci mesi dopo il passaggio in giudicato della sentenza. Il Tribunale di Milano dichiarava la domanda inammissibile per tardività, ritenendo che i creditori non avessero fornito alcuna prova valida per giustificare il ritardo.

I risparmiatori ricorrevano quindi in Cassazione, sollevando diverse questioni, tra cui la presunta inapplicabilità dei nuovi termini di decadenza e la violazione di norme procedurali.

La Disciplina della Domanda Tardiva nella Liquidazione Coatta

La Corte di Cassazione ha innanzitutto ricostruito il quadro normativo di riferimento, incentrato sull’art. 89 del Testo Unico Bancario (T.u.b.), come modificato dal D.Lgs. n. 181 del 2015. Questa riforma ha introdotto un termine specifico per le domande tardive, stabilendo che, decorsi sei mesi dalla pubblicazione dell’avviso di liquidazione, esse sono ammissibili solo se l’istante dimostra che “il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile”.

La normativa transitoria (art. 3 del D.Lgs. 181/2015) ha reso questa nuova disciplina applicabile anche alle procedure già in corso, prevedendo che il termine di sei mesi per le domande tardive decorresse dall’entrata in vigore del decreto stesso (16 novembre 2015).

L’Onere della Prova a Carico del Creditore

Il punto cruciale della decisione riguarda l’onere probatorio. La Corte ribadisce un principio già affermato in materia fallimentare, estendendolo alla liquidazione coatta: il creditore che presenta una domanda tardiva (definita “ultratardiva” se oltre un certo limite temporale) deve dimostrare due cose:
1. La causa esterna che gli ha impedito di presentare tempestivamente la domanda.
2. La causa esterna (uguale o diversa dalla prima) che ha determinato l’inerzia nel periodo compreso tra la cessazione dell’impedimento e l’effettiva presentazione della domanda.

Non è sufficiente, quindi, giustificare il ritardo iniziale. Il creditore deve attivarsi in un termine ragionevole una volta venuto meno l’ostacolo, senza poter beneficiare nuovamente dell’intero termine originario. La valutazione di questa “ragionevolezza” è rimessa al giudice di merito.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte Suprema ha ritenuto l’affermazione del Tribunale di Milano decisiva e immune da vizi. La domanda dei risparmiatori era stata presentata ampiamente dopo la scadenza del termine di sei mesi decorrente dal 16 novembre 2015.

Il fatto che il credito fosse stato accertato con una sentenza passata in giudicato nel luglio 2016 non esonerava i creditori dal rispetto delle procedure concorsuali. Anzi, proprio da quel momento essi avevano un titolo certo per insinuarsi al passivo. Aver lasciato trascorrere infruttuosamente circa dieci mesi da quella data, senza alcuna giustificazione, è stato considerato un ritardo colpevole.

La Cassazione ha inoltre precisato che una sentenza di condanna emessa nei confronti di un’impresa già in liquidazione coatta non permette di bypassare la procedura di insinuazione al passivo. Tale sentenza funge da titolo per la domanda, ma non sostituisce la necessità di sottoporre il credito alla verifica concorsuale, nel rispetto del principio della par condicio creditorum.

Infine, è stato respinto anche il motivo relativo al presunto carattere prededucibile delle spese legali liquidate in sentenza. La Corte ha osservato che i crediti prededucibili, se non contestati, possono essere fatti valere al di fuori del concorso, ma nel momento in cui vengono inseriti in una domanda di insinuazione, ne seguono le sorti. Essendo l’intera domanda stata dichiarata inammissibile per tardività, anche questa pretesa non poteva essere accolta.

Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un orientamento rigoroso in materia di domanda tardiva nelle procedure di liquidazione coatta. I creditori, anche se muniti di un titolo giudiziale definitivo, non possono attendere indefinitamente per far valere i propri diritti. Devono attivarsi con diligenza e in tempi ragionevoli non appena viene meno la causa ostativa alla presentazione della domanda. In mancanza di una prova puntuale e convincente sulla non imputabilità del ritardo, la domanda sarà dichiarata inammissibile, con la conseguente impossibilità di partecipare alla ripartizione dell’attivo della liquidazione.

Cosa deve dimostrare un creditore che presenta una domanda tardiva in una liquidazione coatta bancaria?
Il creditore deve dimostrare che il ritardo nella presentazione della domanda è dipeso da una causa a lui non imputabile. Inoltre, deve provare che, una volta cessato l’impedimento, si è attivato in un tempo ragionevole per presentare l’istanza, giustificando anche l’eventuale inerzia in questo secondo periodo.

Una sentenza di condanna contro una banca in liquidazione permette di ottenere il pagamento senza insinuarsi al passivo?
No. La sentenza, anche se passata in giudicato, opera come mero accertamento del credito e costituisce il titolo per presentare la domanda di insinuazione al passivo. Non esonera il creditore dal rispetto della procedura concorsuale di accertamento dei crediti, che è inderogabile.

Qual è il termine per presentare una domanda tardiva secondo le norme del D.Lgs. 181/2015?
La norma prevede che, decorsi sei mesi dalla pubblicazione dell’avviso ai creditori, le domande tardive sono ammesse solo se il ritardo è giustificato da causa non imputabile al creditore. Per le procedure già in corso al momento dell’entrata in vigore della legge (16 novembre 2015), il termine di sei mesi per presentare la domanda senza dover fornire prova rigorosa decorreva da quella data.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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