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Domanda tardiva: quando il ritardo è imputabile?

Una società, promissaria acquirente di un immobile, ha presentato una domanda tardiva di insinuazione al passivo nel fallimento della società venditrice, che nel frattempo aveva venduto lo stesso bene a terzi. La ricorrente sosteneva che il ritardo non fosse a lei imputabile, poiché il contratto preliminare era sospeso in attesa delle decisioni del curatore. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che il diritto al risarcimento era sorto e divenuto esigibile al momento della vendita al terzo, ovvero prima del fallimento. Di conseguenza, il ritardo di quasi dieci anni nella presentazione della domanda è stato considerato ingiustificato e imputabile al creditore.

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Domanda Tardiva di Insinuazione al Passivo: Quando il Diritto del Creditore si Scontra con i Termini

L’ordinanza in esame offre un importante chiarimento sui termini per la presentazione della domanda tardiva di insinuazione al passivo, delineando con precisione il momento in cui un credito diventa esigibile e l’onere di diligenza che grava sul creditore. Il caso analizzato dalla Corte di Cassazione riguarda un promissario acquirente che, a seguito dell’inadempimento della società venditrice poi fallita, ha atteso quasi dieci anni prima di far valere le proprie ragioni, adducendo una giustificazione che i giudici non hanno ritenuto valida.

I Fatti del Caso: Un Contratto Preliminare Infranto

La vicenda ha origine da un contratto preliminare di compravendita immobiliare. Una società edile (la promissaria acquirente) versava una cospicua somma a titolo di caparra e acconto per l’acquisto di un immobile da un’altra società (la promittente venditrice). Tuttavia, quest’ultima non rispettava gli accordi e, contravvenendo a quanto pattuito, vendeva lo stesso immobile a una terza società.

Successivamente, la società promittente venditrice veniva dichiarata fallita. Solo a distanza di quasi dieci anni dalla dichiarazione di fallimento, la società promissaria acquirente presentava domanda di insinuazione al passivo per ottenere la restituzione delle somme versate, sostenendo che il proprio ritardo fosse dovuto a una causa non imputabile.

Il Lungo Percorso Giudiziario e la Domanda Tardiva

La tesi della società creditrice si fondava sull’idea che, con la dichiarazione di fallimento, l’esecuzione del contratto preliminare fosse rimasta “sospesa” in attesa della decisione del curatore fallimentare di subentrare nel contratto o sciogliersi da esso, ai sensi dell’art. 72 della legge fallimentare. Secondo questa interpretazione, solo con la scelta del curatore il suo credito sarebbe diventato azionabile, giustificando così la presentazione tardiva della domanda.

Sia il Giudice Delegato che il Tribunale, in sede di opposizione, rigettavano però questa ricostruzione. I giudici di merito ritenevano che il credito fosse diventato liquido ed esigibile ben prima del fallimento, ovvero nel momento in cui la società venditrice aveva venduto l’immobile a un terzo, commettendo un inadempimento definitivo. Pertanto, il ritardo nella presentazione della domanda era da considerarsi ingiustificato e imputabile alla negligenza del creditore.

La Decisione della Cassazione sulla Domanda Tardiva di Insinuazione al Passivo

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione del Tribunale, rigettando il ricorso della società creditrice. I giudici hanno chiarito un principio fondamentale per la gestione delle domande tardive di insinuazione al passivo in casi di inadempimento contrattuale pre-fallimentare.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha stabilito che la condotta del proprietario che, dopo aver promesso in vendita un bene a una persona, lo vende successivamente a un terzo, costituisce un inadempimento contrattuale definitivo. Questo inadempimento fa sorgere immediatamente in capo al promissario acquirente il diritto alla risoluzione del contratto e al risarcimento del danno.

Il momento cruciale, quindi, non è la dichiarazione di fallimento, ma l’atto di vendita al terzo. Da quel momento, il credito del promissario acquirente (per la restituzione della caparra e degli acconti) è da considerarsi certo, liquido ed esigibile. Di conseguenza, il creditore avrebbe potuto e dovuto agire tempestivamente per insinuarsi al passivo del fallimento.

La tesi della “sospensione” del contratto non è stata accolta perché l’inadempimento si era già perfezionato e consumato prima dell’apertura della procedura concorsuale. Non vi era alcun contratto “pendente” su cui il curatore dovesse decidere, ma solo un credito risarcitorio già maturato. Il fatto che il contratto preliminare non fosse stato trascritto rendeva, inoltre, evidente la non opponibilità dell’accordo al curatore e ai terzi, rafforzando la necessità di agire unicamente sul piano risarcitorio con una tempestiva domanda di ammissione al passivo.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un’importante lezione per i creditori: la tempestività è essenziale. Un creditore che subisce un inadempimento definitivo, come la vendita del bene promesso a un altro acquirente, deve attivarsi immediatamente per tutelare i propri diritti. Attendere quasi un decennio per presentare una domanda di insinuazione al passivo, sperando di poter giustificare il ritardo con l’incertezza legata alle decisioni del curatore, è una strategia rischiosa e, come dimostra questo caso, perdente. Il diritto al risarcimento sorge con l’inadempimento, e da quel momento decorre l’onere per il creditore di agire diligentemente.

Quando diventa esigibile il credito del promissario acquirente se il promittente venditore vende l’immobile a un terzo?
Il credito diventa esigibile e il diritto al risarcimento può essere fatto valere dal momento esatto in cui avviene la vendita del bene al terzo, poiché tale atto costituisce un inadempimento definitivo del contratto preliminare.

Il ritardo nella presentazione della domanda di insinuazione al passivo è giustificato se il contratto preliminare è “sospeso” in attesa della decisione del curatore?
No. La Corte ha chiarito che se l’inadempimento (come la vendita dell’immobile a terzi) si è verificato prima della dichiarazione di fallimento, il credito risarcitorio del promissario acquirente era già sorto e azionabile. Pertanto, la regola sulla sospensione dei contratti pendenti non si applica e non può giustificare un ritardo nella presentazione della domanda.

Perché la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del creditore?
La Corte ha rigettato il ricorso perché il diritto del creditore al risarcimento del danno era già liquido ed esigibile dal momento dell’inadempimento della controparte, avvenuto prima del fallimento. Il ritardo di quasi dieci anni nella presentazione della domanda di insinuazione al passivo è stato quindi considerato una conseguenza dell’inerzia del creditore e non una causa a lui non imputabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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