Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 28526 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 28526 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10539/2024 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME -domicilio digitale all’indirizzo PEC: EMAIL–
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME -domicilio digitale all’indirizzo PEC: EMAIL–
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 598/2024 depositata il 28/02/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE aveva agito avanti al Tribunale di Milano convenendo in giudizio NOME COGNOME e chiedendone la condanna al rimborso degli interessi passivi per il periodo 2012/2016 su un mutuo bancario contratto dalla società e degli importi corrispondenti alle spese condominiali versati nel periodo 2012/2013. A fondamento della domanda la società aveva esposto che all’esito di un precedente giudizio era stata pronunciata la risoluzione del contratto di compravendita immobiliare intercorso tra le parti, rispetto al quale RAGIONE_SOCIALE era acquirente e NOME COGNOME venditore, e che il convenuto era stato condannato anche al risarcimento dei danni, liquidati, in base alla documentazione prodotta, sulla base degli interessi passivi del mutuo bancario contratto per l’acquisto, maturati fino al 2012 e delle spese condominiali sostenute per l’immobile, versate fino al 2012; in quel giudizio RAGIONE_SOCIALE aveva documentato, in sede di comparsa conclusionale, altri esborsi allo stesso titolo maturati dopo le preclusioni istruttorie e, in relazione a dette voci di danno, il primo Giudice aveva ritenuto tardive le richieste e le produzioni, non considerandole quindi ai fini della quantificazione del danno. Su questo punto della decisione del Tribunale di Milano -sentenza n.10825/2016- non era stato proposto appello, mentre sulla risoluzione e sul risarcimento dei danni riconosciuti la sentenza, pur impugnata, era stata confermata dalla Corte d’Appello di Milano, con pronuncia ormai definitiva.
RAGIONE_SOCIALE aveva quindi introdotto il presente giudizio chiedendo la condanna di NOME COGNOME al risarcimento del danno ulteriore, consistente negli interessi passivi del mutuo e negli esborsi per spese condominiali maturati dopo il 2012, già chiesti con domanda ritenuta tardiva nel precedente giudizio ed ulteriormente incrementati negli anni successivi. Il Tribunale di Milano prima e la Corte d’Appello di Milano -adita dalla società
soccombente in primo grado- poi avevano ritenuto la domanda risarcitoria proposta coperta da giudicato, sul presupposto che tutti i danni indicati sarebbero stati deducibili nel precedente giudizio e quindi non pretendibili in separato giudizio. In particolare, la Corte di merito aveva ritenuto che la società avrebbe potuto e dovuto ricorrere, nell’altro giudizio, al disposto dell’art.153 c.p.c. -in primo gradoe a quello dell’art.345 c.p.c. in sede di fase di appello: non avendolo fatto, la domanda risarcitoria riproposta era da considerare inammissibile.
Ricorre per cassazione RAGIONE_SOCIALE, formulando un unico motivo di doglianza.
Controricorre NOME COGNOME, instando per il rigetto dell’impugnazione.
Le parti non hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico articolato motivo di ricorso proposto RAGIONE_SOCIALE lamenta la violazione e/o falsa applicazione delle disposizioni di cui agli art.2908 e 2909 c.c. e degli art.153, 324, 325, 345 e 346 c.p.c.
Rileva la ricorrente che per tutte le voci di danno lamentate la Corte d’Appello propone lo stesso iter argomentativo di rigetto, e cioè: la società non avrebbe chiesto, nell’altro giudizio, di essere rimessa in termini ex art.153 c.p.c., non avrebbe impugnato incidentalmente la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto inammissibile la domanda dei danni successivi alle preclusioni istruttorie, non avrebbe utilizzato il disposto dell’art.345 c.p.c. quanto ai danni successivi alla sentenza di primo grado. In tal modo si sarebbe determinato il giudicato su tutte le domande risarcitorie, deducibili nell’ambito di quel giudizio e non coltivate/dedotte. La Corte di merito non avrebbe però considerato che, nel caso di specie, la questione non concerneva la tardiva produzione documentale ma il sorgere di danni ulteriori in epoca
successiva al maturare delle preclusioni istruttorie, danni ulteriori sui quali non vi era stata pronuncia nell’altro giudizio, nemmeno da parte del Tribunale di Milano che si era limitato ad una decisione in rito inidonea al giudicato sostanziale. Anche il richiamo operato dalla Corte di merito al disposto dell’art.345 c.p.c. sarebbe errato, perché la norma non imporrebbe di richiedere i danni ulteriori nella fase di appello ma riconoscerebbe solo una possibilità in tal senso.
Il motivo è infondato.
Si deve rilevare che In tema di risarcimento dei danni, il principio generale della immodificabilità della domanda originariamente proposta è derogabile in tre ipotesi: nel caso di riduzione della domanda (riduzione della somma originariamente richiesta), nel caso di danni incrementali (quando il danno originariamente dedotto in giudizio si sia ulteriormente incrementato nel corso dello stesso, ferma l’identità del fatto generatore) e nel caso di fatti sopravvenuti, quando l’attore deduca che, dopo il maturare delle preclusioni, si siano verificati ulteriori danni, anche -ma non necessariamente- di natura diversa da quelli descritti con l’atto introduttivo -cfr., in tal senso, Cass. n.25631/2018, Cass. n.2533/2024, Cass. n.4410/2025-.
E’ evidente che, nel caso di specie, i danni lamentati da RAGIONE_SOCIALE come ulteriori rispetto a quelli indicati entro i termini delle preclusioni istruttorie nel precedente giudizio, sono conseguenti allo stesso fatto generatore originariamente dedotto in quella causa, rappresentato dall’inadempimento -accertato come grave e tale da giustificare la risoluzione della compravendita immobiliare conclusa- del venditore convenuto, e costituiscono un incremento conseguente al trascorrere del tempo delle voci di danno già riconosciute in quella sede -interessi passivi del mutuo contratto dalla società acquirente per l’acquisto; spese condominiali sostenute in relazione all’immobile oggetto della compravendita risolta-, delle quali condividono appunto la stessa natura -ma le
stesse considerazioni in ordine alla possibilità di chiedere per essi il risarcimento del danno nel corso del precedente giudizio varrebbero anche se si considerassero le voci di danno richieste come ulteriori, correlate a fatti sopravvenuti pur sempre inerenti all’inadempimento della controparte -.
Gli interessi passivi del mutuo per il periodo dal 2012 in poi e gli esborsi per le spese condominiali per il periodo 2012/2013 avrebbero potuto e dovuto essere legittimamente richiesti nel precedente giudizio in quanto in esso deducibili alla luce delle considerazioni che precedono, e debbono essere considerati quindi non pretendibili con un’autonoma iniziativa giudiziaria successiva perché coperti dal precedente giudicato, ex art.2909 c.c. -secondo una lettura della norma che è pienamente coerente con il disposto dell’art.111 Cost. e con il principio di economia processuale pure da esso desumibile-.
Questa conclusione evidentemente non deriva dal riconoscimento di giudicato alla precedente pronuncia n.10825/2016 del Tribunale di Milano, che aveva ritenuto inammissibile la domanda relativa ai danni maturati dopo l’intervento delle preclusioni istruttorie, giudicato che certamente non si poteva formare e non si è formato su una pronuncia in rito, ma sul fatto che RAGIONE_SOCIALE, fermandosi a detta pronuncia -non corretta alla luce di quanto sopra esposto-, non ha coltivato quando doveva la possibilità di ottenere il risarcimento di tutti i danni subiti, generati dall’inadempimento grave della controparte, nella sede a ciò deputata che era, appunto, il precedente giudizio: per questo la società avrebbe potuto e dovuto insistere, in sede di appello avverso la sentenza n.10825/2016, per far valere la propria pretesa risarcitoria, anche ai sensi dell’art.345 c.p.c. -come rilevato, in questo giudizio, dai Giudici di merito-.
In conclusione, il ricorso deve essere integralmente respinto.
Le spese del giudizio di legittimità si pongono a carico della società ricorrente.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore di NOME COGNOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 2.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 27 maggio 2025.
Il Presidente NOME COGNOME