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Domanda risarcitoria: quando è tempestiva in giudizio

Un creditore agisce contro una società per un’operazione ritenuta lesiva dei suoi diritti su quote pignorate. I giudici di merito dichiarano tardiva la sua domanda risarcitoria. La Corte di Cassazione ribalta la decisione, stabilendo che la domanda risarcitoria non è nuova, e quindi è tempestiva, se i fatti costitutivi della richiesta erano già stati esposti nell’atto di citazione iniziale, anche se la pretesa non era stata formalmente quantificata. La Corte ha quindi cassato la sentenza e rinviato il caso alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.

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Domanda risarcitoria: la tempestività dipende dai fatti, non dalle formule

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione interviene su un tema cruciale della procedura civile: i confini della domanda risarcitoria e la sua ammissibilità quando viene precisata dopo l’atto di citazione. La Suprema Corte ha stabilito un principio fondamentale: se i fatti che giustificano la richiesta di risarcimento sono già descritti nell’atto introduttivo, la domanda è da considerarsi tempestiva, anche se formalizzata in un momento successivo. Questa decisione sottolinea la prevalenza della sostanza sulla forma, garantendo maggiore flessibilità processuale.

I fatti di causa

La vicenda trae origine dalla posizione di un creditore che, per soddisfare il proprio credito nei confronti dell’amministratore di una società, aveva pignorato l’usufrutto spettante a quest’ultimo su una quota pari al 50% del capitale sociale della società stessa. Successivamente, l’assemblea dei soci deliberava di cedere in affitto l’azienda alberghiera, unico asset della società, a un’altra impresa. Ritenendo tale operazione lesiva delle proprie garanzie patrimoniali, il creditore citava in giudizio la società, i suoi soci e amministratori, avanzando diverse richieste: la declaratoria di nullità della delibera assembleare, un’azione revocatoria e una domanda di risarcimento per i danni subiti.

La decisione dei giudici di merito

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello rigettavano le istanze del creditore. In particolare, la domanda risarcitoria veniva dichiarata inammissibile perché ritenuta tardiva. Secondo i giudici di merito, tale domanda era stata introdotta per la prima volta solo con la memoria ex art. 183 c.p.c. e non nell’atto di citazione originario, violando così le preclusioni processuali. Le altre domande, relative alla nullità della delibera e all’azione revocatoria, venivano respinte per altri motivi di diritto, tra cui il difetto di interesse ad agire del creditore.

La parola alla Cassazione: l’analisi della domanda risarcitoria

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha accolto il motivo di ricorso principale del creditore, relativo proprio alla presunta tardività della domanda risarcitoria. La Suprema Corte ha proceduto a un esame diretto degli atti processuali, rilevando che, contrariamente a quanto affermato dai giudici di merito, l’atto di citazione conteneva già tutti gli elementi di fatto e di diritto a fondamento della pretesa risarcitoria. Sebbene la richiesta non fosse stata formalizzata in modo esplicito nel petitum iniziale, i fatti costitutivi del danno (l’operazione societaria pregiudizievole) e la sua riconducibilità alla condotta dei convenuti erano chiaramente esposti fin dall’inizio del giudizio.

Le motivazioni

La Corte ha chiarito che non si può parlare di domanda nuova, e quindi tardiva, quando la richiesta formulata successivamente costituisce un mero sviluppo di una pretesa già contenuta, almeno nei suoi elementi essenziali, nell’atto introduttivo. I fatti che costituiscono la causa petendi della domanda risarcitoria erano già patrimonio del processo sin dal suo avvio. Di conseguenza, la precisazione della richiesta nelle memorie successive non integra una mutatio libelli (una domanda nuova e inammissibile), ma una semplice emendatio libelli (una precisazione o modificazione consentita). La Cassazione ha inoltre richiamato il principio espresso dalle Sezioni Unite (sent. 12310/2015), secondo cui è possibile modificare gli elementi della domanda (petitum e causa petendi) a condizione che la nuova domanda risulti comunque connessa alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio. Nel caso di specie, la richiesta di risarcimento era intrinsecamente legata alla vicenda della cessione d’azienda, già ampiamente descritta nell’atto di citazione.

Le conclusioni

La decisione ha importanti implicazioni pratiche. Viene confermato un approccio meno formalistico al processo civile, che valorizza la connessione sostanziale tra le pretese avanzate dalle parti. Un attore non perde il diritto a chiedere il risarcimento del danno solo perché non ha utilizzato una formula sacramentale nell’atto iniziale, a patto che i fatti su cui si basa tale richiesta siano stati chiaramente esposti. La sentenza della Corte d’Appello è stata quindi cassata limitatamente a questo punto, e la causa è stata rinviata al giudice del rinvio, che dovrà ora esaminare nel merito la fondatezza della domanda risarcitoria precedentemente dichiarata inammissibile.

Quando una domanda risarcitoria, precisata dopo l’atto di citazione, è considerata tempestiva?
Secondo la Corte di Cassazione, una domanda risarcitoria è tempestiva se i fatti che ne costituiscono il fondamento (la cosiddetta causa petendi) erano già stati esposti nell’atto di citazione, anche se la richiesta formale di condanna (il petitum) è stata specificata solo in una memoria successiva. Non si tratta di una domanda nuova, ma di una precisazione di quella originaria.

La possibile rilevanza penale di una delibera societaria la rende automaticamente nulla dal punto di vista civile?
No. La Corte ha escluso che una condanna penale per il reato di cui all’art. 388 c.p. (mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice) possa determinare in automatico la nullità della delibera societaria. La responsabilità penale genera una responsabilità civilistica da far valere con una domanda risarcitoria, ma non incide sulla validità della delibera secondo le specifiche ipotesi di nullità previste dal diritto societario (art. 2479-ter c.c.).

È possibile modificare sia la causa petendi che il petitum di una domanda nel corso del processo?
Sì, ma a una condizione precisa. Citando la giurisprudenza delle Sezioni Unite, la Corte ricorda che l’emendabilità della domanda consente di modificare entrambi gli elementi (causa petendi e petitum) a patto che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio fin dall’inizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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