Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10110 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10110 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18227/2019 R.G. proposto da :
DELL’UOMO NOMECOGNOME DELL’UOMO COGNOME DELL’UOMO NOMECOGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende ; -ricorrenti- contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende; -controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 2163/2019, depositata il 27/03/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
PREMESSO CHE
NOMECOGNOME NOME e NOME COGNOME, nonché NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Roma NOME COGNOME chiedendo di accertare l’esistenza di gravi difetti incidenti sulla struttura e stabilità di un’opera, di dichiarare la responsabilità del convenuto per i danni subiti e, conseguentemente, di condannarlo al risarcimento del danno e alla restituzione delle somme indebitamente trattenute. Gli attori esponevano che, con contratto d’appalto, NOME e NOME COGNOME avevano commissionato al convenuto la realizzazione di un fabbricato ad uso abitazione e che, fin dall’inizio, avevano contestato la mancata esecuzione a regola d’arte dei lavori, fin quando, nel 1993, il convenuto aveva abbandonato il cantiere, posto sotto sequestro dall’autorità giudiziaria a causa della mancanza di regolare permesso di costruzione. Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 13787/2011, ha dichiarato il difetto di legittimazione di NOME e NOME COGNOME, nonché di NOME COGNOME; ha dichiarato l’estinzione per intervenuta prescrizione delle pretese fatte valere da NOME e NOME COGNOME ha accolto la domanda riconvenzionale del convenuto e ha condannato le COGNOME, in solido fra loro, a corrispondergli la somma di euro 154.296,33.
La sentenza è stata impugnata da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME. Con la sentenza n. 2163/2019 la Corte d’appello di Roma ha parzialmente accolto il gravame: ha dichiarato legittimati a proporre l’azione NOME COGNOME e NOME COGNOME; ha condannato in solido NOME e NOME COGNOME a pagare in favore di COGNOME euro 138.742,62.
Avverso la sentenza ricorrono per cassazione NOMECOGNOME COGNOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in cinque motivi.
I primi due motivi sono tra loro connessi e ne è pertanto opportuna la trattazione congiunta:
il primo motivo denuncia ‘nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 84 c.p.c., domanda riconvenzionale senza poteri, vizio di ultrapetizione’; il difensore di controparte ha svolto domanda riconvenzionale senza che tale potere gli fosse conferito nella procura;
il secondo motivo contesta ‘illegittimità/nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c., vizio di ultrapetizione’; la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto infondata l’eccezione di ultrapetizione proposta con l’appello per non avere il primo giudice rilevato l’inammissibilità della domanda di COGNOME di condanna al pagamento del saldo delle opere realizzate, fatta valere per la prima volta con la memoria di cui all’art. 183, n. 1 c.p.c., rispetto a quella di mero accertamento del suo diritto, illegittimamente proposta in via riconvenzionale con la comparsa di costituzione.
I motivi sono infondati.
Quanto al mancato conferimento nella procura del potere di proporre la domanda riconvenzionale, va precisato che la procura in oggetto ha previsto in favore del difensore la concessione della ‘più ampia facoltà di legge, compresa quella di transigere, conciliare, rinunciare agli atti, chiamare terzi in causa e farsi sostituire’. Tra gli atti il cui potere è stato conferito al difensore è da ritenere compreso il potere di proporre domanda riconvenzionale. Secondo la giurisprudenza di questa Corte ‘la
procura alle liti conferita in termini ampi ed omnicomprensivi (nella specie, “con ogni facoltà”) è infatti idonea, in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa processuale attuativa dei principi di economia processuale, di tutela del diritto di azione nonché di difesa della parte ex artt. 24 e 111 Cost., ad attribuire al difensore il potere di esperire tutte le iniziative atte a tutelare l’interesse del proprio assistito’ (così Cass., sez. un., n. 4909/2016), ivi comprese le domande riconvenzionali (cfr., ex multis , Cass. n. 4356/2000).
Non sussiste poi il vizio di ultrapetizione denunciato dai ricorrenti. COGNOME ha, nella comparsa di risposta, chiesto di accertare il proprio residuo credito nei confronti delle committenti e nella memoria proposta ai sensi del sesto comma, n. 1 dell’art. 183 c.p.c. ha domandato di condannare al pagamento del medesimo credito. Il mutamento della domanda di mero accertamento in domanda di accertamento e condanna è infatti mutamento consentito: secondo l’orientamento delle sezioni unite di questa Corte tale mutamento ‘può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (” petitum ” e ” causa petendi “), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali.’ (cfr. Cass., sez. un., n. 12310/2015; negli stessi termini, da ultimo, v. Cass. n.23975/2024.). Nel caso in esame la vicenda sostanziale è, senza dubbio, la medesima e la modificazione non ha compromesso le potenzialità difensive della controparte, né ha allungato i tempi processuali, così che legittimamente la Corte d’appello si è pronunciata sulla domanda di condanna.
Gli ulteriori tre motivi sono altrettanto connessi tra loro:
il terzo motivo denuncia ‘violazione delle norme sulla prescrizione e in particolare degli artt. 1669 e 2934 c.c., omesso
esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’; la Corte d’appello ha erroneamente sostenuto la prescrizione del diritto fatto valere dai ricorrenti; la Corte d’appello non ha, infatti, considerato che nel 1993 è stato introdotto un altro processo tra le parti, che si è concluso con sentenza del 2002, che ha chiaramente avuto come effetto quello di interrompere la prescrizione tra il 1993 e il 2002, interruzione della prescrizione che comunque perdura tuttora, in quanto con l’atto di citazione di questo processo sono stati denunciati vizi occulti molto più gravi, scoperti tra il 2006 e il 2007;
b) il quarto motivo contesta ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2999 c.c. e 324 c.p.c., la Corte d’appello applica un falso giudicato esterno, anzi, una consulenza tecnica d’ufficio contenuta in un falso giudicato esterno’; la Corte d’appello ha confermato l’accoglimento della domanda riconvenzionale, ritenendo che in un altro giudizio sia stato accertato che COGNOME ha diritto di percepire la somma di euro 220.266,82; tale giudicato è, in realtà, un falso giudicato esterno in quanto non si è svolto tra le stesse parti e portava deduzioni e vizi diversi e, pertanto, non può avere nessuna incidenza nell’attuale processo, salvo per quanto riguarda la sua operatività sull’interruzione della prescrizione;
c) il quinto motivo lamenta ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2999 c.c. e 324 c.p.c., grave errore di fatto e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio’; la Corte d’appello arriva addirittura a dire che i ricorrenti hanno pretestuosamente avanzato in questo processo la denuncia di un vizio occulto, che era invece palese, solo al fine di potere agire oltre i termini consentiti, confondendo così i vizi denunciati con il primo atto di citazione del 1993, relativi al ‘famoso bagno’, che comunque interruppe la prescrizione, e quelli occulti e gravissimi scoperti solo a seguito
delle perizie di parte e della consulenza tecnica d’ufficio nella fase di primo grado del presente giudizio.
I motivi sono infondati.
Il terzo motivo non si confronta con la ratio decidendi della Corte d’appello, che ha identificato nel deposito della consulenza tecnica di parte, che denunciava gravi vizi costruttivi, il dies a quo del termine annuale di prescrizione. La Corte d’appello ha sottolineato la necessità di verificare il momento della scoperta dei difetti strutturali dell’immobile e se rispetto a tale data fosse stato rispettato il termine per la denuncia e per la proposizione dell’azione. La Corte d’appello ha precisato che, dalla documentazione prodotta in primo grado da COGNOME risulta che con l’atto di impugnazione della sentenza n. 29697/2002 del Tribunale di Roma i ricorrenti avevano prodotto la perizia del loro consulente che riscontrava la presenza di crepe e lesioni nello stabile e indicava i necessari interventi di risanamento statico dell’edificio. I ricorrenti erano quindi in quel momento, ossia il 16 ottobre 2003, a conoscenza dei difetti dell’edificio posti alla base del presente processo, e la perizia medesima va considerata quale denuncia dei vizi, cosicché la prescrizione annuale di cui al secondo comma dell’art. 1679 c.c. era ampiamente maturata alla data di notificazione della citazione della presente causa, ossia il 20 luglio 2006.
Il quarto motivo, anch’esso, non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata. La sentenza impugnata non parla affatto di giudicato esterno, ma ai fini della dimostrazione della domanda riconvenzionale di COGNOME ha considerato idoneo elemento di prova la consulenza tecnica d’ufficio dell’altro processo, svoltasi nel contraddittorio delle stesse parti, le cui risultanze, ha aggiunto la Corte d’appello, non sono state oggetto di contestazione specifica in questo processo.
Non esiste, infine, la confusione denunciata con il quinto motivo in quanto la Corte ha considerato che l’altro processo aveva un oggetto diverso (vedere pag. 11 della sentenza impugnata) e unicamente ha ritenuto, come si è già detto, che nel momento del deposito della perizia di parte nel giudizio d’appello dell’altro processo i ricorrenti fossero a conoscenza dei vizi denunciati nel presente processo e che il deposito dell’atto equivalesse alla denuncia dei medesimi.
II. Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio in favore del controricorrente, che liquida in euro 5.700, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione