Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6349 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6349 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 775/2022 proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv.to NOME COGNOME (EMAIL.ordineavvocaticatania.it.);
– ricorrente –
contro
COGNOME e RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro-tempore , NOME COGNOME entrambi rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME (avvmariaclaudiagiordanoEMAIL;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 247/2021 della CORTE D’APPELLO DI MESSINA, depositata in data 1/6/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/1/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
ritenuto che,
con sentenza resa in data 1/6/2021, la Corte d’appello di Messina, in accoglimento per quanto di ragione dell’appello proposto da NOME COGNOME e dalla RAGIONE_SOCIALE e in parziale riforma della decisione di primo grado, per quel che ancora rileva in questa sede, ha condannato NOME COGNOME al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE, delle somme a quest’ultima dovute a titolo di canoni di affitto in relazione al godimento dell’azienda concesso dalla RAGIONE_SOCIALE Cavalieri, nonché a titolo di rimborso delle spese e degli oneri di adeguamento dei locali aziendali da parte della RAGIONE_SOCIALE;
a fondamento della decisione assunta, la Corte territoriale – dopo aver confermato la decisione del primo giudice, in ordine alla rilevata risoluzione consensuale del contratto preliminare (originariamente concluso tra i soci della RAGIONE_SOCIALE e la Cavalieri) avente ad oggetto la cessione delle quote della RAGIONE_SOCIALE alla medesima Cavalieri, e la conseguente correttezza della condanna del COGNOME (socio accomandante della RAGIONE_SOCIALE) alla restituzione degli importi dallo stesso ricevuti dalla RAGIONE_SOCIALE sulla base di tale titolo contrattuale – ha rilevato l’erroneità della decisione del giudice di primo grado, nella parte in cui aveva ritenuto tardive le domande riconvenzionali proposte dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE in relazione all’accordo intercorso tra queste ultime due parti (diverso da quello contestualmente concluso dai soci della RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE per la cessione delle quote sociali);
in particolare, dette domande della RAGIONE_SOCIALE dovevano ritenersi tempestivamente proposte e dovevano altresì ritenersi parzialmente fondate, segnatamente nella parte in cui la Cavalieri era
risultata inadempiente agli obblighi di corresponsione, in favore della RAGIONE_SOCIALE, dei corrispettivi per la temporanea cessione in godimento dell’azienda gestita dalla medesima società (in attesa dell’eventuale definizione della cessione delle relative quote alla stessa Cavalieri), nonché dei rimborsi relativi alle spese e agli oneri per l’adeguamento dei locali aziendali da parte della società;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione;
NOME COGNOME e COGNOME RAGIONE_SOCIALE resistono con controricorso; la ricorrente ha depositato memoria;
considerato che,
con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la Corte territoriale erroneamente omesso di rilevare l’inammissibilità delle domande riconvenzionali originariamente proposte dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della Cavalieri, siccome contraddittoriamente proposte in contrasto con la preliminare eccezione, sollevata dalla stessa RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto la rivendicazione della propria pretesa carenza di legittimazione passiva rispetto alla principale domanda proposta dalla Cavalieri, senza che la stessa RAGIONE_SOCIALE avesse provveduto a sottolineare il carattere subordinato o alternativo della proposizione di dette domande riconvenzionali rispetto alla sollevata eccezione preliminare;
il motivo è infondato;
osserva il Collegio come la Corte territoriale abbia del tutto correttamente confermato la decisione del giudice di primo grado nella parte in cui ha riconosciuto il difetto di legittimazione passiva della RAGIONE_SOCIALE con riguardo alla domanda proposta dalla Cavaliere ai fini della restituzione, in proprio favore, degli importi versati per
l’acquisto delle quote della RAGIONE_SOCIALE, apparendo del tutto evidente la circostanza secondo cui la RAGIONE_SOCIALE, in quanto tale, non disponendo delle proprie quote, non potesse assumere la veste di cedente delle stesse, dovendo ritenersi, tali quote, beni di esclusiva pertinenza dei soci;
da ciò discende la correttezza della decisione del giudice d’appello nella parte in cui ha rilevato il difetto di legittimazione passiva della RAGIONE_SOCIALE rispetto alla domanda proposta dalla Cavalieri ai fini della restituzione di quanto corrisposto per l’acquisto delle quote della stessa società;
tutt’altro discorso attiene alle domande riconvenzionali proposte dalla RAGIONE_SOCIALE per l’adempimento delle obbligazioni direttamente assunte dalla Cavalieri nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, avendo quest’ultima società validamente concesso alla prima il godimento dell’azienda sociale, fino alla definizione dell’accordo relativo alla cessione delle quote sociali in favore della stessa Cavalieri; ed avendo la stessa RAGIONE_SOCIALE validamente sostenuto spese e oneri nell’interesse della Cavalieri per l’adeguamento dei locali aziendali;
dal rilievo della descritta complessità soggettiva e oggettiva degli accordi negoziali (tra loro collegati) intercorsi tra la Cavalieri, i soci della RAGIONE_SOCIALE e quest’ultima società, deriva dunque l’impossibilità di ravvisare quella contraddittorietà (qui infondatamente denunciata dalla ricorrente) tra l’eccepita carenza di legittimazione passiva rilevata dalla RAGIONE_SOCIALE rispetto alla domanda di restituzione del corrispettivo per la cessione delle quote sociali, e le successive domande riconvenzionali, avanzate dalla stessa RAGIONE_SOCIALE per conseguire l’adempimento, da parte della Cavalieri, degli
impegni direttamente e validamente assunti da quest’ultima nei confronti della medesima società;
con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi, nonché per violazione dell’art. 81 c.p.c. (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), per avere la Corte territoriale omesso di considerare adeguatamente il reale oggetto degli accordi intercorsi tra le parti dell’odierno giudizio, avendo trascurato di rilevare che una prima pattuizione riguardava l’obbligo di cessione delle quote da parte dei soci della RAGIONE_SOCIALE (con l’evidente estraneità di quest’ultima) e che con una successiva pattuizione la RAGIONE_SOCIALE aveva concesso alla Cavalieri la provvisoria gestione dell’azienda con tutte le ulteriori pattuizioni destinate a consentirne il subingresso nel patrimonio aziendale;
ciò posto, la successiva risoluzione consensuale degli accordi intercorsi tra le parti, convenuta in data 1/7/2006 da NOME COGNOME con la Cavalieri, rendendo giuridicamente impossibile (per causa sopravvenuta) l’acquisto del patrimonio sociale da parte di quest’ultima, avrebbe imposto al giudice d’appello il riconoscimento della cessazione degli impegni assunti dalla Cavalieri anche confronti della RAGIONE_SOCIALE alla data dell’1/7/2006, e non già a quella del 31/12/2006 (come diversamente riconosciuto dal giudice a quo ) con il conseguente carattere ingiustificato della condanna della Cavalieri al pagamento dei canoni di affitto dal luglio del 2006 al 31/12/2006;
né la Cavalieri avrebbe potuto essere condannata all’ulteriore pagamento di detti canoni a titolo risarcitorio, non avendo la RAGIONE_SOCIALE. mai proposto una corrispondente domanda;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come la Corte territoriale abbia ritenuto che la RAGIONE_SOCIALE dovesse corrispondere alla RAGIONE_SOCIALE i « canoni
concordati in ragione di euro 2800 al mese da corrispondersi nelle more del perfezionamento dell’accordo di cessione dell’azienda » (oltre agli altri rimborsi indicati) (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata);
la stessa Corte territoriale ha rilevato come la Cavalieri avesse in primo grado opposto a tale domanda una « contestazione generale e generica, e nel presente giudizio, nel quale le stesse domande sono state riproposte, si è limitata a sostenere che esse sarebbero prive di fondamento perché la società fino alla costituzione in giudizio non aveva mai lamentato l’inadempimento dell’odierna appellata e nulla aveva richiesto » ( ivi );
il giudice d’appello ha infine rilevato che « per quel che riguarda i canoni di locazione la contestazione della Cavalieri – articolata nei termini già riferiti – a fronte dell’allegazione della loro previsione al punto 5) del contratto (che – si ribadisce – la Corte non è in grado di leggere perché non prodotto) non è così incisiva da far dubitare di tale previsione. Ne consegue che la Cavalieri avrebbe dovuto non limitarsi a contestare ma provare il loro pagamento. Poiché così non è stato, deve ritenersi la fondatezza della domanda riconvenzionale avanzata » (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata);
la Corte territoriale, dunque, ha ritenuto che la Cavalieri non avesse mai contestato di dovere l’importo preteso dalla RAGIONE_SOCIALE a titolo di canoni fino al 31/12/2006, essendosi limitata unicamente ad affermare che la società non avesse mai lamentato l’inadempimento ;
questa essendo la ratio decidendi posta a fondamento della condanna della Cavalieri al pagamento dei canoni fino al 31/12/2006 (sostanzialmente consistente nel riconoscimento del carattere incontestato del debito della Cavalieri corrispondente ai canoni dovuti fino al 31/12/2006 senza offerta di alcuna prova del pagamento), la mancata impugnazione di tale ratio decidendi (avendo la Cavalieri in
questa sede evocato, per la prima volta in difetto di prova contraria, una diversa scadenza temporale degli obblighi di pagamento dei canoni – solo fino al luglio 2006 – contestando altresì l’eventuale ‘titolazione’ risarcitoria della domanda di pagamento dei canoni dal luglio 2006 al 31/12/2006 perché mai rivendicata) vale a rendere inammissibile la censura in esame, siccome inidonea a cogliere il contenuto dell’effettiva ratio decidendi posta a fondamento della decisione impugnata sul punto;
con il terzo motivo, proposto in via subordinata, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la Corte territoriale erroneamente omesso di rilevare la mancata dimostrazione, ad opera della RAGIONE_SOCIALE, di aver corrisposto i canoni dovuti al locatore dell’immobile aziendale per il relativo godimento, con la conseguente mancata dimostrazione dell’obbligo della Cavalieri di corrispondere alla RAGIONE_SOCIALE la quota parte del canone di affitto d’azienda corrispondente all’importo del canone dovuto dalla RAGIONE_SOCIALE al locatore dell’immobile aziendale;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come il carattere pacifico e incontestato della circostanza secondo cui il canone di affitto dell’azienda concessa in godimento dalla RAGIONE_SOCIALE alla Cavaliere fosse comprensivo anche della quota dovuta dalla RAGIONE_SOCIALE al locatore dell’immobile aziendale, vale a costituire un implicito riconoscimento, ad opera di entrambe le parti, che l’adempimento degli oneri relativi alla locazione dell’immobile aziendale fosse stato da sempre rimesso a carico della RAGIONE_SOCIALE, con la conseguente presunzione, in difetto di alcuna prova di contestazioni da parte del locatore, del costante regolare adempimento di tali oneri;
la censura in esame, nella misura in cui pone in discussione l’avvenuto regolare adempimento degli oneri locatizi da parte della RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto essere corredata della prova dell’infedeltà contrattuale di tale ultima società in relazione all ‘adempimento delle obbligazioni discendenti dal contratto di locazione dell’immobile aziendale, dovendo ritenersi del tutto ragionevole la presunzione contraria tratta dalla corte territoriale in assenza di alcuna prova di contestazioni da parte del locatore;
in breve, la censura in esame, lungi dal tradursi nella pretesa violazione dell’art . 2697 c.c. (ossia della pretesa inversione degli oneri probatori imposti alle parti), si risolve in una sostanziale proposta di rilettura nel merito dei fatti di causa e delle prove, in dissenso rispetto a quanto operato dal giudice di merito, sulla base di un’impostazione critica non consentita in questa sede di legittimità;
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 4.500,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione