Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23801 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 23801 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17323/2020 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME difesa dall’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME difesa dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di TRIBUNALE FIRENZE n. 293/2020 depositata il 30/01/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia trae origine da un contratto di appalto per opere di ristrutturazione edile che RAGIONE_SOCIALE eseguiva in un
alloggio di proprietà di NOME COGNOME A fronte di un corrispettivo complessivo di circa € 37.000 , l ‘appaltatrice emetteva un decreto ingiuntivo per il pagamento del saldo residuo di € 3.053,73.
La committente proponeva opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. dinanzi al Giudice di Pace di Firenze, formulando una domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni di importo pari a € 14.000, derivanti da vizi delle opere. In via preliminare, il Giudice di Pace separava la causa riconvenzionale, sulla quale dichiarava la propria incompetenza per valore, rimettendo le parti dinanzi al Tribunale. Successivamente egli dichiarava inammissibile l’opposizione tardiva, ritenendo regolare la notificazione del decreto ingiuntivo eseguita con il rito degli irreperibili (art. 143 c.p.c.)
La committente ha proposto appello, lamentando l’illegittimità del ricorso al rito degli irreperibili, poiché la notificante era a conoscenza del suo luogo di lavoro e del luogo di sua dimora stabile; ha riproposto altresì le sue difese di merito. Il Tribunale di Firenze ha accolto l’appello sotto il profilo del vizio della notificazione, dichiarando ammissibile l’opposizione tardiva, mentre nel merito ha rilevato che la committente non aveva contestato l’esistenza del rapporto d’appalto, né la quantificazione del credito azionato dall’appaltatrice , salve le questioni relative ai vizi e ai danni lamentati, oggetto del giudizio sulla domanda riconvenzionale, già separato e riassunto in primo grado dinanzi al Tribunale. Pertanto, ha confermato il decreto ingiuntivo, dando atto dell’avvenuto pagamento della somma in corso di causa (alla committente era stato notificato un atto di pignoramento presso il datore di lavoro).
Ricorre in cassazione la committente con cinque motivi, illustrati da memoria. Resiste l’appaltatrice con controricorso e memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-In via preliminare è da osservare che la narrazione dei fatti processuali contenuta nel ricorso diverge rispetto a quella contenuta nella sentenza impugnata su un punto centrale: in quest’ultima
si rileva che la committente non ha contestato (non solo l’esistenza del contratto di appalto e la sua esecuzione, ma anche) il diritto al corrispettivo vantato dall ‘appaltatrice , salvo le questioni relative ai vizi e ai danni oggetto della causa riconvenzionale separata. Il ricorso critica tale rilievo, sostenendo che, se la committente propone (come ha proposto) una domanda riconvenzionale per danni d’importo superiore al corrispettivo pattuito, cagionati nell’esecuzione dello stesso rapporto contrattuale per cui l ‘appaltatrice domanda il corrispettivo , ciò costituisce una contestazione radicale del credito dell’appaltatrice .
Nel paragrafo successivo si esporranno contestualmente le questioni oggetto dei cinque motivi del ricorso (ivi numerati come 1, 2, 3, 5 e 6, per un errore materiale in cui è incorso il ricorrente), poiché esse rinvengono il loro asse portante nella incompatibilità logica tra l’affermare che l’a ppaltatrice non si è vista contestare la propria pretesa al corrispettivo e il dare atto nello stesso tempo che la committente ha sollevato questioni relative ai vizi e ai danni (di importo superiore al corrispettivo), oggetto della (ormai) separata causa riconvenzionale.
– Il primo motivo denuncia la violazione delle norme sulla competenza e sulla sospensione necessaria del processo. Si sostiene che, essendo pendente dinanzi al Tribunale la causa sulla domanda riconvenzionale per danni da vizi dell’opera, il giudice dell’opposizione avrebbe dovuto sospendere il giudizio ai sensi dell’art. 295 c.p.c. in attesa della definizione della causa pregiudiziale. La decisione di merito sulla domanda di pagamento dell’appaltatore dipende, infatti, dall’accertamento dei vizi e dei conseguenti danni lamentati dalla committente. La mancata sospensione viola le norme sulla competenza e crea il rischio di un contrasto tra giudicati, poiché la conferma del decreto ingiuntivo potrebbe precludere l’esame della domanda riconvenzionale.
La controricorrente obietta che non sussiste alcun rapporto di pregiudizialità necessaria tra la causa di opposizione e quella sulla domanda riconvenzionale. La decisione sulla pretesa creditoria dell’appaltatrice non dipende inderogabilmente dall’accertamento dei vizi, potendo le due questioni essere trattate separatamente. La scelta di non sospendere il processo rientrerebbe, inoltre, nel potere discrezionale del giudice di merito, insindacabile in Cassazione.
Il secondo motivo lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e per motivazione apparente e contraddittoria. Si evidenzia un insanabile contrasto tra la motivazione, in cui si dà atto della pendenza della causa riconvenzionale, e il dispositivo, che conferma il decreto ingiuntivo senza tener conto della contestazione del credito insita nella domanda riconvenzionale stessa. Tale contraddizione vizia la sentenza e viola il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, nonché le norme costituzionali sul giusto processo e sul giudice naturale.
Il terzo motivo denuncia la violazione del diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost. La conferma del decreto ingiuntivo, se divenuta definitiva, coprirebbe con l’efficacia del giudicato non solo il dedotto, ma anche il deducibile, impedendo così alla ricorrente di ottenere una pronuncia sulla sua domanda di risarcimento danni. Tale esito lede in modo irreparabile il suo diritto di agire in giudizio per la tutela delle proprie ragioni.
La controricorrente ribatte che la sentenza impugnata ha espressamente fatto salva la disamina delle questioni relative ai vizi nella sede del giudizio riconvenzionale. Pertanto, non si è verificato alcun pregiudizio al diritto di difesa della ricorrente, né vi è il rischio di un giudicato preclusivo, avendo il Tribunale circoscritto l’oggetto della propria decisione alla sola pretesa creditoria, al netto delle contestazioni sui vizi.
Il quarto e il quinto motivo censurano la violazione delle norme in materia di contratto di appalto, di responsabilità contrattuale e di
onere della prova. Si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1655, 1218 c.c., nonché degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c. Si sostiene che il Tribunale, nel decidere il merito della controversia e confermare il decreto ingiuntivo, ha errato nel ripartire l’onere della prova tra le parti. Essendo in contestazione l’esatto adempimento di un’obbligazione contrattuale e avendo la committente tempestivamente denunciato la presenza di vizi e difformità dell’opera, gravava sull’appaltatrice, quale debitrice della prestazione, l’onere di dimostrare di aver eseguito i lavori a regola d’arte. La Corte di appello, invece, confermando la pretesa creditoria dell’appaltatrice senza considerare le contestazioni sui vizi, avrebbe violato tale principio, invertendo l’onere della prova e ponendolo a carico della committente. La decisione sarebbe inoltre viziata per non aver tenuto conto dei fatti e delle prove relative ai vizi, in violazione dell’art. 115 c.p.c.
La controricorrente obietta che il Tribunale non ha violato alcuna regola probatoria, in quanto ha semplicemente preso atto della mancata contestazione, da parte della Fiore, del quantum del corrispettivo richiesto, a prescindere dalla questione dei vizi. La decisione si fonda quindi sul principio di non contestazione e non su una errata applicazione dell’art. 2697 c.c.
-In forza del loro carattere dirimente, conviene muovere dalle due censure poste a fondamento del secondo motivo: la violazione dell’art. 112 c.p.c. e la motivazione apparente e contraddittoria.
La parte di sentenza censurata è essenzialmente la seguente: «è pacifico infatti che Domus abbia eseguito i lavori in appalto per conto della Fiore di cui chiede il pagamento del saldo. Nessuna questione si pone neanche in punto di quantificazione del credito, salve le questioni sui vizi e sui danni».
Il secondo motivo è accolto nei termini delineati in questo e nei successivi paragrafi (dal n. 3 al n. 7).
Dal passo citato si desume che il Tribunale ha ritenuto priva di contestazione non solo l’esecuzione dei lavori, ma anche l’importo del corrispettivo residuo, così come quantificato dall’appaltatrice .
Orbene, è illogico affermare che le doglianze della committente sui vizi dell’opera e i danni che ne sono scaturiti non valgano a contestare il diritto di credito dell’appaltatrice. Né la coerenza logica può essere recuperata dando atto che essi sono stati tratti ad oggetto di una domanda riconvenzionale, ormai oggetto di un giudizio separato. Infatti, essa si fonda su fatti estintivi (o comunque modificativi) del diritto dedotto in giudizio che «già appart alla causa come mezzo di eccezione»: così si esprime l’art. 36 c.p.c. con parole che, lette con occhio solerte a cogliere il bisogno di disciplina del caso attuale, ad esso corrispondono.
La sentenza impugnata viola l’art. 36 c.p.c. (censura implicata dalla più generale denuncia di violazione dell’art. 112 c.p.c., parimenti oggetto del secondo motivo) innanzitutto poiché rimuove illegittimamente questa «appartenenza» originaria alla causa dei fatti estintivi (o modificativi) del credito, che la committente ben avrebbe potuto fare valere come eccezioni di merito. Né la legittimità di questa operazione può essere accreditata argomentando che la committente li ha posti a fondamento di una domanda riconvenzionale che eccede la competenza per valore del giudice adito e quindi ne ha eliso la rilevanza di fatti estintivi (o modificativi) del credito azionato dall’appaltatrice in via di procedimento d’ingiunzione. Infatti, tale rilevanza originaria (fino all’ammontare del corrispettivo vantato) rimane intatta – in forza di quel dettato dell’art. 36 c.p.c. – sebbene la committente li abbia tratti ad oggetto di una domanda riconvenzionale. Altrimenti si dovrebbe concludere in modo paradossale che la committente vede pregiudicato il suo diritto di difendersi nell’ambito del processo di opposizione al decreto ingiuntivo, poiché ha allegato danni di importo superiore al corrispettivo pattuito e quindi si è vista costretta a proporre do-
manda riconvenzionale eccedente la competenza per valore del Giudice di pace.
Infatti, tale riconvenzionale ha innanzitutto una funzione difensiva, diretta al rigetto della domanda dell’at trice in ingiunzione (a differenza di una riconvenzionale che dipende dallo stesso titolo dedotto in giudizio dall’attore o di una riconvenzionale non connessa oggettivamente con il diritto dell’attore ) e tale funzione essenziale non può essere frustrata dal concorrere di due meri accidenti: cioè che il petitum della riconvenzionale sia di importo superiore al l’ammontare del credito azionato in via ingiuntiva e che il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo radichi una competenza funzionale, inderogabile, del giudice che ne è investito.
4. – Svolta la critica, è da indicare la soluzione.
Conviene muovere dal correggere una inesattezza narrativa contenuta nella sentenza impugnata, ove si afferma che con la domanda riconvenzionale era stata richiesta: «la riduzione del corrispettivo ed il risarcimento dei danni per i vizi delle opere». In realtà, la committente opponente non ha mai (nemmeno in via subordinata) proposto una domanda di riduzione del prezzo.
La censura di un error in procedendo , quale l a violazione dell’art. 112 c.p.c., consente di accedere ai fascicoli di causa, per accertare il contenuto saliente degli atteggiamenti difensivi della committente, a partire da quelli delineati nella citazione introduttiva del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo: «in accoglimento della domanda riconvenzionale che qui si propone, condannare la Società opposta accertati i vizi lamentati e i danni subiti dalla esponente a risarcire i danni tutti subiti e per l’effetto condannarla a pagare alla esponente somma pari a totali € 14.000». Nell’atto di citazione in appello la committente insisteva « nella domanda riconvenzionale già fatta oggetto, giusta il provvedimento di separazione di autonomo giudizio pendente avanti il Tribunale di Firenze».
In sintesi, la committente ha mantenuto sempre ferma la sua posizione iniziale, ben compendiata in una frase che si estrae dalla memoria depositata in prossimità dell’adunanza camerale di questa Corte: «La ricorrente ha sempre riferito della esecuzione viziata delle opere e del fatto che, sulla base di tale medesimo rapporto contrattuale, ad essere creditrice fosse lei NOME e non certo essa la debitrice. Erra quindi il Tribunale ad asserire che la NOME mai avrebbe contestato la propria debenza». La tesi si armonizza bene con la proposizione di una domanda riconvenzionale di valore eccedente l’importo del corrispettivo (residuo) del contratto di appalto, richiesto in via monitoria dall’appaltatrice.
Precisato il petitum della domanda della committente, si è sollecitati ad inquadrare in termini di continenza il rapporto tra la causa riconvenzionale (continente), pendente attualmente in primo grado dinanzi al Tribunale, e la causa di opposizione al decreto ingiuntivo (contenuta), di cui questa Corte è investita attualmente. Peraltro, come si apprende dalla memoria della ricorrente, la causa continente è oggetto di un provvedimento non condivisibile di sospensione, in attesa dell’esito di questo giudizio di legittimità: quasi che quella fosse da qualificare come causa dipendente da questa.
Pertanto, la disciplina del caso di specie risulta dal combinare il contenuto normativo rilevante dell’art. 36 c.p.c. sulle domande riconvenzionali con quello dell’art. 39 co. 2 c.p.c. sulla continenza di cause: «Nel caso di continenza di cause, se il giudice preventivamente adito è competente anche per la causa proposta successivamente, il giudice di questa dichiara con ordinanza la continenza e fissa un termine perentorio entro il quale le parti debbono riassumere la causa davanti al primo giudice. Se questi non è competente anche per la causa successivamente proposta, la dichiarazione della continenza e la fissazione del termine sono da lui pronunciate».
Come si è avuto già occasione di osservare in relazione all’art. 36 c.p.c., una disposizione giuridica assume il contenuto normativo che è conformato dalle istanze regolative che il caso concreto proietta su di essa al momento dell’applicazione (nel rispetto ovvio del tenore letterale della disposizione). Il dettato legislativo dell’art. 39 co. 2 c.p.c. è ispirato prevalentemente dall’immagine di due cause -l’una continente, l’altra contenut a -incardinate in tempi diversi dinanzi a giudici diversi. È certo però che esso non disdegni di offrirsi come quadro di orientamento normativo al caso in cui le due cause sono incardinate in tempi diversi dinanzi ad uno stesso giudice: invero, accade sempre così nell’evento di una domanda riconvenzionale.
Si configura quindi dinanzi ai nostri occhi una situazione in cui -se lo sguardo oscilla opportunamente tra la lettera dell’art. 39 co. 2 c.p.c. e il caso di specie – il giudice preventivamente adito (in via di procedimento d’ingiunzione) non è competente anche per la causa (riconvenzionale) proposta successivamente, per cui «la dichiarazione della continenza e la fissazione del termine» dovrebbero essere in prima battuta «da lui pronunciate».
-Nel paragrafo precedente si è compiuto solo il primo passo ricostruttivo.
Infatti, in questo caso non può accadere ciò che il legislatore ha immaginato debba accadere dopo che il giudice ha dichiarato la continenza: che egli si spogli anche della causa (ora) contenuta anteriormente proposta, per affidarla alle cure del giudice della causa (ormai) continente. Infatti, come si è già ricordato, sulla causa contenuta egli è investito di una competenza funzionale alla cognizione dell’opposizione al decreto ingiuntivo.
Né può accadere – evidentemente – che egli si spogli di tale competenza revocando sic et simpliciter il decreto ingiuntivo. Indicare questa via varrebbe come mettere in mano ai debitori ingiunti più o meno consapevoli di aver torto una «mina» che costoro potrebbero
collocare agevolmente alla base di uno degli istituti pur sempre più acuminati per la tutela del credito: per reciderne la punta basterebbe loro il proporre una domanda riconvenzionale (anche manifestamente) infondata, ma comunque eccedente la competenza del giudice adito in via di procedimento d’ingiunzione .
È appena il caso di ricordare che la giurisprudenza di questa Corte si frappone ad avallare un esito come questo: cfr., tra le meno remote, Cass. 29441/2024: «In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, la continenza di cause non è idonea a spostare la competenza funzionale e inderogabile a decidere sull’opposizione, spettante all’ufficio di appartenenza del giudice che ha emesso il provvedimento monitorio, ma rileva per la determinazione della competenza di quest’ultimo giudice, nel senso che – qualora la causa in cui è stata emessa ingiunzione sia in rapporto di continenza con altra pendente davanti a diverso giudice, preventivamente adito e competente per entrambi i giudizi – il giudice dell’opposizione deve dichiarare l’incompetenza del giudice che ha pronunciato il decreto ingiuntivo e dichiararne la caducazione, fissando il termine perentorio entro il quale le parti debbono riassumere la causa innanzi al giudice già precedentemente adito».
Il corsivo nella citazione precedente intende segnalare appunto che il decreto ingiuntivo viene caducato solo se il giudice competente per entrambi i giudizi è stato adito per primo, non anche quando esso è stato investito della causa per secondo (come è accaduto nel caso attuale, per via della separazione della causa riconvenzionale).
6. -È l’art. 36 c.p.c. che dà la risposta alla domanda che l’a rt. 39 co. 2 c.p.c. lascia aperta. Mettiamo il testo dinanzi ai nostri occhi nella sua formulazione integrale: «Il giudice competente per la causa principale conosce anche delle domande riconvenzionali che dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione, purché non ec-
cedano la sua competenza per materia o valore; altrimenti applica le disposizioni dei due articoli precedenti».
L’applicazione della prima parte dell’art. 36 c.p.c. è scartata dal fatto che abbiamo a che fare con una domanda riconvenzionale che eccede la competenza per valore del Giudice di pace. Non rimane che ricorrere ad uno dei due articoli cui rinvia l’ultima parte del l’art. 36 c.p.c.
L’ impiego dell’art. 34 c.p.c. (cioè il rimettere al giudice superiore anche la causa sul corrispettivo dell’appalto) è scartat o dalla competenza funzionale del Giudice di pace sull’opposizione al decreto ingiuntivo (competenza che -è bene ripetere – non può essere disattesa attraverso la revoca del decreto ingiuntivo, poiché altrimenti l’ordinamento precostituirebbe uno strumento di abuso del diritto di difesa da parte del debitore e di indebolimento intollerabile dell’efficienza del procedimento ingiuntivo nella tutela del credito).
Non rimane che la strada indicata da ll’art. 35 c.p.c. : «Quando è opposto in compensazione un credito che è contestato ed eccede la competenza per valore del giudice adito, questi, se la domanda è fondata su titolo non controverso o facilmente accertabile, può decidere su di essa e rimettere le parti al giudice competente per la decisione relativa all’eccezione di compensazione, subordinando, quando occorre, l’esecuzione della sentenza alla prestazione di una cauzione». Essa non offre semplicemente una via di uscita residuale, ma dà una risposta adeguata al caso, sol che se ne colga il profilo saliente di condanna con riserva, che si staglia con incisività notevole, proprio in forza del rinvio operato dall’art. 36 c.p.c., come è stato chiarito da studi dottrinali ormai classici e riconosciuto dall’interpretazione di questa Corte .
– Nei suoi essenziali lineamenti strutturali e funzionali, la condanna con riserva entra in gioco -nei casi previsti dalla legge (il più recente è l’art. 183 -ter c.p.c. introdotto dalla recente riforma
del processo civile, ma cfr. tra gli altri, oltre agli artt. 35 e 36 c.p.c., l’art. 65 r. d. 1669/1933 sulla cambiale, l’art. 57 r. d. 1736/1933 sull’assegno bancario, l’art. 648 co. 1 c.p.c., l’art. 665 c.p.c.) -laddove l’attore abbia la prova del l’esistenza dei fatti costitutivi del proprio credito (oppure essi non vengano contestati o anche possano essere accertati facilmente). In tale ipotesi la legge conferisce al giudice -valutata l ‘ infondatezza manifesta delle eccezioni o della riconvenzionale – il potere di emanare un provvedimento esecutivo, rinviando ad una fase successiva del processo stesso (oppure ad un processo separato) la cognizione piena ed esauriente delle difese del convenuto . L’accoglimento di queste ultime (all’esito di un ribaltamento della cognizione sommaria di infondatezza manifesta) toglie effetto al provvedimento. In altre parole, l’efficacia esecutiva d i questa è condizionata risolutivamente all’evento dell’accoglimento successivo (nel proseguimento dello stesso processo o nel processo separato) delle eccezioni o della domanda riconvenzionale.
Il congegno è diretto a bilanciare il diritto di difesa del convenuto con la tutela del credito dell’attore , nelle ipotesi (tali sono quelle che risaltano nella controluce scaturente dal tratteggio della struttura dell’istituto ), in cui vi sia il rischio concreto che il convenuto abusi delle garanzie che l’ordinamento gli mette a disposizione con il processo a cognizione piena. La condanna con riserva serve appunto a neutralizzare l’abuso del diritto di difesa, distogliendo il convenuto dalla proposizione di quelle difese che non trovano fondamento se non nel suo animo di procrastinare nel tempo l’emanazione di un provvedimento esecutivo nei propri confronti (per esempi applicativi dell’istituto, scelti tra le pronunce massimate: cfr. Cass. 23573/2013, 24098/2006, 9876/2005, 4378/2003, 6522/1996, 3730/1995, 2619/1990).
-In relazione al caso attuale, ne discende l’accoglimento non solo del secondo, ma anche del terzo motivo di ricorso.
Lede il diritto di difesa del convenuto la soluzione di separare senz’altro la causa riconvenzionale dal giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, svincolando così le sorti di quest’ultimo da ogni cognizione sull’es istenza dei fatti posti a fondamento della riconvenzionale e quindi da ogni giudizio sulla fondatezza di quest’ultima.
– In sede di rinvio, il giudice dovrà in primo luogo conoscere sommariamente dei fatti allegati dalla committente a base della domanda riconvenzionale. Ove tale cognizione sfoci in un giudizio di manifesta inesistenza, dovrà confermare provvisoriamente il decreto ingiuntivo e rimettere la causa riconvenzionale al Tribunale, cosicché si possa rientrare nell’ alveo di disciplina della condanna con riserva (con ogni conseguenza, prima fra tutte la revoca del decreto ingiuntivo in ipotesi di accoglimento successivo della riconvenzionale).
Altrimenti – ove tale cognizione sommaria non attinga ad un esito di infondatezza manifesta -il giudice dovrà far precedere la separazione della riconvenzionale da un accertamento (evidentemente, con valenza limitata alla decisione sul l’opposizione al decreto ingiuntivo) dell’effetto modificativo o estintivo (fino a concorrenza eventuale dell’importo dei danni lamentati dalla committente con il corrispettivo residuo azionato in via ingiuntiva dall’appaltatrice ) dei fatti posti a fondamento della riconvenzionale. Infatti, la circostanza che essi siano stati allegati con questo scopo non rimuove la loro appartenenza alla causa come mezzo di eccezione.
Va da sé che questa seconda variante, fra le due che si dischiudono dinanzi al giudice di rinvio, non solo trova fondamento nell’art. 36 c.p.c., ma si rivela in armonia con la giurisprudenza di legittimità . Ci si riferisce all’orientamento secondo il quale l’eccezione di inadempimento, formulata dal committente in considerazione di alcuni vizi dell’opera dell’appaltatore , opera nei limiti del l’ importo corrispondente. Ne seguono due corollari tra di loro
corrispondenti: il primo è che il committente – una volta effettuata la parziale compensazione tra i reciproci crediti delle parti -è tenuto a corrispondere il corrispettivo dovuto per i lavori esenti da vizi (così, tra le altre, Cass. 5869/2007); il secondo è che l’appalta tore è tenuto a risarcire i danni ulteriori rispetto all’importo compensato con il credito al corrispettivo: di quest ‘ultimo corollario il caso attuale non costituisce che una specie.
In questi termini, il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono accolti.
L’accoglimento del secondo e del terzo motivo determina l’assorbimento dei motivi restanti.
-La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, dichiara l’assorbimento dei motivi restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, rinvia la causa al Tribunale di Firenze, in persona di magistrato diverso, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, dichiara l’assorbimento dei motivi restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, rinvia la causa al Tribunale di Firenze, in persona di magistrato diverso, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, a seguito di riconvocazione, il 25/06/2025.