Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26912 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 26912 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 20887-2020 proposto da:
NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
NOMECOGNOME NOME;
-intimata –
avverso la sentenza n. 81/2020 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 21/02/2020 R.G.N. 133/2018;
Oggetto
R.G.N. 20887/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 12/09/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Con sentenza n. 133 del 2018 la Corte di appello di Caltanissetta, per quanto qui rileva, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda con la quale COGNOME NOME aveva agito nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali soci accomandatario e accomandante e della RAGIONE_SOCIALE, per ottenerne la condanna, tra l’altro, al pagamento di differenze retributive per il lavoro subordinato svolto per la suddetta società nel periodo dal 26/3/2003 al 28/2/2012.
La Corte ha ritenuto che relativamente a tale periodo la domanda giudiziaria del lavoratore fosse stata proposta nei confronti della disciolta RAGIONE_SOCIALE(la RAGIONE_SOCIALE), nelle persone degli ex soci, rispettivamente accomandatario, il COGNOME e accomandante, la COGNOME, e non nei confronti del COGNOME personalmente. Pertanto ha ritenuto errata la decisione del giudice di prime cure, che, dopo aver affermato non raggiunta la prova di un rapporto di lavoro tra COGNOME e la detta società aveva poi condannato (sia pure per il periodo non coperto da prescrizione) il COGNOME a titolo personale al pagamento delle differenze retributive richieste.
3.-La Corte di appello ha ritenuto che tale capo della sentenza doveva ritenersi nullo poiché pronunciato in violazione dei principi della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.).
4.-La corte ha poi rigettato l’appello incidentale condizionato proposto dal lavoratore, con il quale costui aveva chiesto che fosse accertata la subordinazione con la società, poiché, concordando con il primo giudice, ha ritenuto che dalla prova testimoniale assunta e dal materiale documentale acquisito nel
processo, non emergessero elementi connotanti la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato verso la società piuttosto che verso la persona fisica (nei confronti della quale, tuttavia, ha ritenuto non formulata la domanda).
Avverso la decisione di secondo grado l’COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
COGNOME NOME ha depositato controricorso e memoria
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
Considerato che:
6.- I motivi possono essere così sintetizzati.
6.1.-Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione degli art. 434 e 112 c.p.c., e nullità della sentenza, in cui sarebbe incorsa la Corte di appello, accogliendolo nonostante lo stesso difettasse degli elementi necessari per essere ammissibile, poiché generico.
La corte, secondo il ricorrente, per identificare la domanda come formulata anche nei confronti del COGNOME persona fisica, avrebbe dovuto considerare non solo l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, ma il complesso delle questioni sulle quali si è sviluppato il contraddittorio, ossia le conclusioni le precisazioni, le specificazioni intervenute in corso di causa ‘anche ‘ dalla parte resistente (cfr. pag. 19 ricorso), e solo su tali basi valutare la corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. 6.2.- Con il secondo motivo di ricorso parte ricorrente deduce la violazione degli artt. 2094, 1173, 1375 cc., in cui sarebbe incorsa la corte non tenendo conto dei principi generali che tutelano ‘l’apparenza del diritto’ e ‘l’affidamento incolpevole’.
Ed infatti, nella prospettiva del ricorrente, la corte avrebbe dovuto considerare, all’esito dell’esame del materiale probatorio richiamato analiticamente nel ricorso per cassazione, dal quale emergeva prova della commistione tra attività personale e societaria da parte del COGNOME, che il ricorrente, assunto con contratto concluso oralmente dal COGNOME, che poi gestiva tutte le attività dello studio e si presentava a lui come interlocutore e superiore gerarchico, nonché quale soggetto che provvedeva al pagamento degli assegni, era in realtà il rappresentante apparente della società, con la quale il contratto di lavoro orale del 7 gennaio 2005 doveva considerarsi concluso, in virtù della tutela della buona fede e dell’apparente situazione giuridica.
6.3.- Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente deduce la violazione dell’articolo 115 c.p.c., in cui sarebbe incorsa la corte, non accogliendo l’appello incidentale condizionato, con il quale egli aveva chiesto, subordinatamente all’accoglimento del p rimo motivo di appello principale, di accertarsi la sussistenza di un rapporto di lavoro con la RAGIONE_SOCIALE, nonostante dalle deposizioni testimoniali si doveva evincere che i pagamenti erano avvenuti da parte del COGNOME non a titolo personale, ma in qualità di socio.
Il ricorso è infondato.
7.1. Il primo e il secondo motivo di ricorso, con i quali sono dedotte plurime violazioni di legge nella interpretazione della domanda giudiziale e nullità della sentenza, sono infondati.
La pretesa violazione del canone processuale che impone la ‘corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato’, così come rubrica l’art. 112 c.p.c., nella specie non sussiste in quanto la Corte territoriale, interpretando l’atto introduttivo del giudizio nel suo complesso (come era suo compito) e la domanda proposta, ha ritenuto, sulla base della sua formulazione letterale (nel ricorso di primo grado) che la stessa fosse stata presentata
esclusivamente nei confronti della società in liquidazione e dei soci, non anche nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME in nome proprio, argomentando in maniera logica e condivisibile, sulla circostanza che la persona fisica e la società sono due soggetti diversi, di talchè non è possibile far ricadere gli effetti della domanda verso un soggetto diverso, se non incorrendo nella violazione denunciata in appello e correttamente riscontrata.
Si tratta di interpretazione della domanda e dei suoi confini che è competenza del giudice del merito (cfr., tra le altre, Cass. n. 18 del 2015, Cass. n. 21421 del2014; Cass. n. 12944 del 2012; Cass. n. 21208 del 2005)
Quanto alla dedotta questione della rappresentanza apparente (di cui a pag. 33 del ricorso) e della tutela dell’affidamento e dell’apparenza del diritto, tali profili non paiono dedotti nei gradi precedenti di giudizio, né risulta che, sulla base di tale prospettazione, sia stata proposta la domanda di accertamento, in via subordinata, nei confronti del COGNOME in proprio, cosicchè in relazione a tale aspetto, il ricorso manca di specificità. All’evidenza si tratta di questione nuova, in quanto non specificamente affrontata dalla sentenza impugnata e senza che la parte abbia dedotto in quale atto, quando e in che termini è stata sottoposta al giudice del merito.
7.2.- Infondato è pure il terzo motivo, con il quale ci si duole dell’omesso accoglimento dell’appello incidentale, e dell’esclusione del rapporto di lavoro con la società; riguardo a tale aspetto, peraltro, i giudizi del giudice di primo grado e di appe llo sono stati conformi nell’escluderlo, dopo un’attenta valutazione del materiale probatorio, che in questa sede di legittimità non può essere nuovamente posto in discussione (Cass. n. 9760 del 2017). E’ infatti è preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass., Sez. U, n. 11708 del2016), indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perché gli è estraneo il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali.
Il motivo, in discorso, peraltro, pur se formulato quale violazione di legge, evoca il vizio di motivazione, incorrendo nella censura di inammissibilità di cui all’art. 348-ter, comma 5, c.p.c., per il principio della c.d. “doppia conforme”. Infatti, entrambe le decisioni di merito, ossia quella di primo grado e quella resa dalla Corte d’Appello, hanno risolto in modo conforme le questioni di fatto poste al loro esame, escludendo tale rapporto di lavoro.
Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
9.- Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio, il 12 settembre