Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1703 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1703 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/01/2025
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso iscritto al n. 36032/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del curatore p.t. , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende per procura speciale in calce al ricorso -ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende per procura speciale in calce al controricorso -controricorrente- avverso il DECRETO del TRIBUNALE di ROMA n. 56462/2017 depositato il 02/11/2018; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/05/2024 dal
Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale ha chiesto la rimessione alle Sezioni Unite o in subordine il rigetto del ricorso.
RILEVATO CHE
-Con atto di citazione del 31/10/2015, trascritto ai sensi dell’art. 2652 c.c., RAGIONE_SOCIALE (di seguito NOMERAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma Emanuele 2000 s.p.aRAGIONE_SOCIALE (di seguito E. 2000) chiedendo: i) la risoluzione del contratto, stipulato con atto notarile dell’11/6/2013, col quale aveva venduto alla società convenuta un immobile sito nel Comune di Riano, per inadempimento della stessa a ll’obblig azione di pagamento del prezzo entro il termine del 30/10/2013, assunta anteriormente, con scrittura privata corredata di timbro postale del 25/05/2013; ii) la dichiarazione di inefficacia dello stesso contratto per avveramento della condizione risolutiva (mancata concessione di un mutuo all ‘ acquirente) entro il termine previsto nella predetta scrittura privata; iii) il riconoscimento del suo diritto sull’immobile, con conseguente ordine a E. 2000 di ritrasferirgliene la proprietà a mezzo di atto notarile da trascrivere nei registri immobiliari.
1.1. -E NOME rimase contumace e, dopo il suo fallimento, sopravvenuto nel 2016 e segnalato dalla stessa attrice, il giudizio fu dichiarato interrotto ai sensi dell’art. 43 l.fall.
1.2. –NOME, con ricorso ex art. 93 l.fall. del 1°/6/2017, propose quindi in sede fallimentare -se del caso in via di ‘riassunzione’ del giudizio a cognizione ordinaria interrotto domanda di restituzione e/o rivendica de ll’ immobile, chiedendo che il RAGIONE_SOCIALE (di seguito Fallimento) fosse condannato a ritrasferirlo in suo favore e che del relativo atto notarile venisse ordinata la trascrizione nei Registi immobiliari; in via subordinata, chiese l’ammissione al passivo del co ntrovalore del bene.
1.3. -Il G.D. respinse la domanda affermando che l’azione di risoluzione del trasferimento immobiliare non poteva essere esaminata in sede di verifica.
1.4. -L’opposizione ex art. 98 l.fall. proposta da NOME contro il provvedimento del G.D. è stata accolta dal Tribunale di Roma che, con decreto del 2/11/2018, ha condannato il Fallimento a restituire l’ immobile a ll’opponente «mediante ritrasferimento, a mezzo di atto notarile da trascriversi».
1.5. -A sostegno della decisione il tribunale: i) ha affermato di condividere l’insegnamento di questa Corte (Cass. n. 11775 del 1998) secondo cui la domanda di rivendicazione di un bene compravenduto, proposta ai sensi dell’art. 103 l. fall. per inadempimento della controprestazione da parte del fallito, presuppone il diritto di proprietà del richiedente sul bene rivendicato, e, quindi, l’accertamento che tale bene sia virtualmente uscito dal patrimonio del debitore a seguito della risoluzione del contratto, con conseguente necessità che dinanzi al giudice fallimentare cui si è chiesta la rivendica venga proposta anche la domanda di risoluzione, se non già accolta in altra sede; ii) ha ritenuto che la domanda di risoluzione del contratto di compravendita immobiliare per inadempimento dell’acquirente non trov i ostacolo nella sopravvenienza del fallimento del convenuto, qualora essa risulti ‘quesita’, attraverso la sua trascrizione, anteriormente alla sentenza dichiarativa; iii) ha rilevato che nel caso di specie non era documentata la pendenza del giudizio, interrotto e non riassunto, promosso da NOME in sede ordinaria previa trascrizione della domanda di risoluzione, sicché era necessario entrare nel merito dell’opposizione ; iv) nel merito ha accertato che la vicenda nasceva da una più complessa operazione , comprovata dalla scrittura privata del maggio 2013 – munita di data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento con la quale le parti avevano stabilito che il trasferimento degli immobili sarebbe stato eseguito al fine di far acquisire ad NOME una porzione del capitale sociale di E. 2000, il tutto nell’ambito di un’ operazione economica unitaria, comune alle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, attraverso più atti collegati che contemplavano anche la condizione risolutiva della mancata concessione di un mutuo all’acquirente; v) ha quindi rilevato che la condizione si era avverata e che, anche a voler ritenere che la clausola risolutiva, non contenuta nel definitivo, non fosse opponibile al Fallimento, il curatore aveva ammesso che il
prezzo non era mai stato pagato, per cui il contratto di vendita doveva essere dichiarato risolto e gli immobili dovevano essere restituiti.
1.6. -Il Fallimento ha proposto ricorso per la cassazione del decreto, affidato a due motivi, cui NOME ha resistito con controricorso. In vista della pubblica udienza del 25/10/2023, entrambe le parti hanno depositato memorie; la Procura Generale ha chiesto la rimessione alle Sezioni unite e, in subordine, il rigetto del ricorso.
1.7. -Con ordinanza interlocutoria n. 30547 del 2023 è stato disposto rinvio a nuovo ruolo, al fine della trattazione congiunta con il ricorso iscritto al n. RG 28928/2016, in relazione al quale, con analoga ordinanza interlocutoria n. 13544 del 2023, altro Collegio di questa Sezione aveva richiesto all’Ufficio del massimario una relazione sul seguente quesito : ‘ Qualora un’appaltatrice in bonis abbia invocato la risoluzione del contratto per fatto della committente, avanzando contestuale domanda di condanna al pagamento di somme, e la committente abbia a sua volta richiesto in via riconvenzionale l’accertamento della risoluzione per fatto imputabile all’altra parte, chiedendone la condanna al risarcimento del danno, quale sia, sopravvenuto il fallimento dell’appaltatrice, l’assetto dei rapporti tra le domande di risoluzione promosse innanzi al giudice ordinario e la domanda di ammissione al passivo successivamente proposta dalla committente per i crediti risarcitori e restitutori già fatti valere in sede ordinari a’.
Quesito che, sebbene di portata più ampia, è stato ritenuto rilevante ai fini del decidere, in quanto involgente la medesima « questione della sorte della domanda di risoluzione per inadempimento proposta nei confronti dell’imprenditore poi fallito, riguardo alla quale la Sezione ha espresso orientamenti contrastant i».
1.8. -La trattazione dei suddetti ricorsi (e di altri analoghi) è stata così fissata per la pubblica udienza del 28/02/2024, in vista della quale le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
1.9. -Contestualmente alla memoria del 16/02/2024, NOME ha depositato copia del decreto con cui il Tribunale ordinario di Roma, accogliendo la sua stessa istanza, ha dichiarato estinto per inattività delle parti, ai sensi dell’art. 307 c.p.c., il processo instaurato nei confronti di E.2000 in bonis interrottosi per il sopravvenuto fallimento della convenuta e ha ordinato al Conservatore RR.II. la cancellazione della trascrizione dell’atto di citazione, ex art. 2668, comma 2, c.c.
1.10. -A seguito del rinvio d’ufficio dell’udienza pubblica al 17/05/2024, il pubblico ministero ha depositato una seconda requisitoria scritta e la controricorrente ha depositato ulteriore memoria.
In particolare, la Procura generale ha chiesto nuovamente la rimessione degli atti alla Prima P residente per l’assegnazione alle Sezioni Unite della questione ‘ se la domanda di risoluzione proposta e trascritta prima della dichiarazione di fallimento, se diretta in via esclusiva a far valere le consequenziali pretese risarcitorie o restitutorie in sede fallimentare, possa proseguire legittimamente con il rito ordinario, mentre le pretese, accessorie, di restituzione e risarcimento del danno devono necessariamente procedere, previa separazione dalla prima, nelle forme della L. Fall., art. 93 e ss., ovvero debba essere interamente proposta secondo il rito speciale disciplinato dalla L. Fall., artt. 93 e ss .’ ;
In via subordinata, il pubblico ministero ha chiesto il rigetto del ricorso con l’affermazione del seguente principio di diritto: ‘ in caso di interruzione L. Fall., ex articolo 43 del giudizio ordinario di cognizione nel quale sia stata proposta una domanda di risoluzione al fine di conseguire una condanna a contenuto risarcitorio e restitutorio, il contraente in bonis, in forza della L. Fall., articolo 72, comma 5, secondo periodo, deve riassumere l’intero giudizio davanti al giudice delegato, con domanda di insinuazione al passivo del credito restitutorio e/o risarcitorio previo accertamento incidentale della fondatezza della presupposta domanda di risoluzione. Trasferimento dell’azione in sede fallimentare che deve avvenire con un atto riassunzio ne entro il termine di tre mesi dall’interruzione del
giudizio ordinario al fine di conservare gli effetti della domanda giudiziale svolta in sede ordinaria ‘ .
-La camera di consiglio svolta all’esito della pubblica udienza del 17/05/2024 è stata riconvocata in data 08/07/2024.
CONSIDERATO CHE
2.1. – Con il primo motivo il Fallimento lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 72 e 45 l.fall., 307 c.p.c., 2668, 2915 e 2652 c.c., per avere il tribunale ritenuto ammissibile, e suscettibile di essere decisa nel merito in sede fallimentare, la domanda di risoluzione della compravendita immobiliare già proposta da NOME nel giudizio ordinario di cognizione introdotto con citazione trascritta prima del fallimento, nonostante questo si fosse estinto di diritto, ex art. 307 c.p.c. -in quanto non riassunto nel termine trimestrale decorrente dall’interruzione e l’efficacia della trascrizione fosse venuta meno ai sensi dell’art. 2668 c.c. ; con la conseguenza che la domanda di risoluzione introdotta da NOME in sede di verifica doveva ritenersi proposta dopo il fallimento e, come tale, essere dichiarata inammissibile ai sensi dell’ art. 72 l.fall., il quale prevede che, per essere efficace nei confronti del curatore, l’azione di risoluzione deve essere avanzata – e se avente ad oggetto beni immobili, anche trascritta – prima del fallimento. In definitiva, secondo il ricorrente, NOME avrebbe dovuto coltivare il giudizio originariamente introdotto sino alla decisione favorevole e se del caso azionare in sede fallimentare le domande di restituzione e risarcimento.
2.2. – Con il secondo motivo , in via subordinata, il Fallimento lamenta violazione e falsa applicazione dell’art . 45 l.fall., per avere il tribunale ritenuto opponibile alla massa (e suscettibile di regolare il rapporto tra le parti) una scrittura privata che, quand’anche effettivamente munita di data certa, non era stata trascritta, e doveva ritenersi assimilabile ad un preliminare, le cui clausole (segnatamente la condizione risolutiva e il termine per l’adempimento dell’obbligazione di pagamento del pre zzo) non erano state però riprodotte nel definitivo di compravendita: il giudice del merito avrebbe perciò violato il principio, elaborato dalla giurisprudenza in relazione all’art . 1351 c.c., secondo cui il definitivo
di compravendita supera le pattuizioni non riprodotte o fatte salve del preliminare, e costituisce unica fonte delle reciproche obbligazioni. Il ricorrente denuncia, infine, anche la violazione dell’art . 1455 c.c., per avere il tribunale pronunciato, sia pure solo incidentalmente, la risoluzione per inadempimento senza argomentare nulla circa la sua gravità.
-Sulla questione sollevata con il primo motivo, afferente l’interpretazione del disposto di cui all’art. 72, comma 5, l.fall., è emerso un contrasto tra alcune pronunce di questa Corte (cfr. Cass. n. 2990 del 2020 e Cass. n. 3953 del 2016) la cui soluzione va devoluta alle Sezioni Unite.
3.1. -A ben vedere, la tesi sostenuta dal ricorrente è che la domanda di risoluzione del contratto di compravendita immobiliare non era ammissibile in sede fallimentare non già ex sé , ma in quanto doveva ritenersi una domanda ‘nuova’, cioè proposta dopo il fallimento -e non, come invece ritenuto dal tribunale, una domanda ‘quesita’ e trascritta prima di esso, ai sensi dell’art. 72, comma 5, l.fall. -poiché introdotta con il ricorso ex art. 93 l.fall. quando (asseritamente) l’identico giudizio promosso pr ima del fallimento dinanzi al giudice civile si era già estinto di diritto, ex art. 307 c.p.c., per mancata riassunzione nel termine trimestrale decorrente dall’interruzione ex art. 43 l.fall., con conseguente venir meno dell’efficacia prenotativa della trascrizione della domanda, ai sensi dell’art. 2668 c.c.
3.2. -Se ne desume che, anche secondo il ricorrente, ove la domanda fosse stata quesita e trascritta prima del fallimento, e poi ritualmente riassunta dinanzi al giudice fallimentare, quest’ultimo ben avrebbe potuto e dovuto esaminare (anche) la domanda di risoluzione, prodromica a quella di restituzione degli immobili compravenduti, come sostanzialmente affermato dal tribunale ed in linea con la lettura divisata in Cass. 2990/2020, cui la Procura generale ha prestato esplicita adesione. Il vero discrimine della censura risiede perciò nella ritualità o meno della riassunzione della domanda di risoluzione trascritta prima del fallimento, e non nella preclusione a priori del suo esame da parte del giudice fallimentare, come invece opinato in Cass. 3953/2016.
3.3. -Corre allora l’obbligo di evidenziare che, in realtà, per quanto risulta dagli atti di causa -fatta salva l’ammissibilità ex art. 372 c.p.c. della produzione del decreto di estinzione del giudizio con la memoria del 16/02/2024 (depositata in vista della seconda udienza, fissata a seguito di ordinanza interlocutoria) -il processo, come visto instaurato dinanzi al giudice civile nel 2015 (prima del fallimento), è stato dichiarato interrotto (a seguito del fallimento del convenuto contumace, dichiarato nel 2016) solo in data 12/06/2017, quando cioè la medesima domanda era stata già presentata dinanzi al giudice fallimentare, nelle forme del rito di accertamento del passivo, a mezzo ricorso ex art. 93 l.fall. del 01/06/2017, invero espressamente formulato (sia pure con qualche titubanza espressiva, però del tutto comprensibile in un panorama giurisprudenziale a dir poco ondivago) in termini di ‘riassunzione’ della domanda già proposta in sede ordinaria.
3.4. -Di conseguenza, non pare qui in discussione la tempestività della ‘riassunzione’, la quale, peraltro, andrebbe valutata alla luce del sopravvenuto indirizzo nomofilattico per cui, «in caso di apertura del fallimento, l’interruzione del processo è automatica ai sensi dell’art. 43, comma 3, l. fall., ma il termine per la relativa riassunzione o prosecuzione, per evitare gli effetti di estinzione di cui all’art. 305 c.p.c. e al di fuori delle ipotesi di improcedibilità ai sensi degli artt. 52 e 93 l. fall. per le domande di credito, decorre dal momento in cui la dichiarazione giudiziale dell’interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte; tale dichiarazione, qualora non già conosciuta in ragione della sua pronuncia in udienza ai sensi dell’art. 176, comma 2, c.p.c., va notificata alle parti o al curatore da uno degli interessati o comunque comunicata dall’ufficio giudiziario» (Cass. Sez. U, 12154/2021).
3.5. -Ed anzi le stesse Sezioni unite appena citate hanno sottolineato che la correlazione tra interruzione ex art. 43 l.fall. e riassunzione o prosecuzione non vale per tutti i processi pendenti, essendovene alcuni nei quali «la dichiarazione di fallimento si atteggia a causa di improcedibilità, ove l’orizzonte sia la definitiva
migrazione e conversione (altrettanto volontarie) della domanda di credito in una insinuazione al passivo (ex artt. 52, 93 l.f.), con rito speciale (nonché regole temporali ivi dettate) avanti agli organi concorsuali e arresto dell’iter processuale rilevabile d’ufficio, anche nel giudizio di cassazione (Cass. 6196/2020, per il fallimento; Cass. 17327/2012, per l’amministrazione straordinaria; Cass. 9461/2020, per la liquidazione coatta amministrativa)».
Anche più di recente il massimo organo nomofilattico è tornato a precisare che « le domande di accertamento del credito, risarcimento del danno, compensazione di crediti con debiti e, in linea generale, tutte quelle volte a sentir dichiarare che un soggetto poi fallito è tenuto al pagamento di somme, vanno dichiarate improcedibili ai sensi dell’art. 52 l.f., senza che vengano neppure in rilievo altre norme della legge fallimentare o del codice di procedura civile (tra cui le forme di acquisizione della dichiarazione di fallimento quale evento interruttivo ex art. 300 c.p.c.)» (Cass. Sez. U, 5694/2023).
3.6. -In questa prospettiva, l’esito del giudizio instaurato dinanzi al giudice civile prima del fallimento avrebbe dovuto essere non già la dichiarazione di estinzione per inattività delle parti, bensì la declaratoria di improcedibilità della domanda, appunto perché da proporre in sede fallimentare, ai sensi dell’art. 52 l.fall.; ove in effetti è stata tempestivamente proposta, come visto prima ancora che quel giudizio ordinario fosse stato dichiarato interrotto.
E dunque, più che di interruzione e riassunzione in senso tecnico, dovrebbe parlarsi di ‘traslazione’, nella sede speciale esclusiva, della domanda divenuta improcedibile nella sede ordinaria.
3.7. -La precisazione è particolarmente rilevante nel caso in esame, poiché l’art. 2668 c.c. prevede che la cancellazione della trascrizione deve essere giudizialmente ordinata in caso di rigetto della domanda o di estinzione del processo per rinunzia o inattività delle parti, non anche di declaratoria di sua improcedibilità o inammissibilità, nel qual caso gli effetti della trascrizione possono essere conservati nel giudizio che prosegue in sede fallimentare (cfr. Cass. 148/1993).
3.8. -In ogni caso, atteso il contrasto rilevato, questa Corte è chiamata ad esprimersi sulla questione di diritto circa la corretta interpretazione del disposto di cui all’art. 72, comma 5, l.fall.
4. -L’esegesi dell’art. 72, co mma 5, l. fall.
L’art. 72 l.fall . è contenuto nella sezione IV del capo IV del titolo II della legge fallimentare, relativa agli ‘Effetti del fallimento nei rapporti giuridici preesistenti’, la cui disciplina, pur avendo subito alcuni rimaneggiamenti in base agli stratificati interventi succedutisi dal 2006 in poi (d.lgs. n. 5/2006, d.lgs. n. 169/2007, d.l. n. 83/2012, conv. in l. n. 134/2012), è rimasta invariata nelle sue articolazioni di fondo, e segnatamente per quel che concerne la regola fondamentale dettata dall’art. 72 (‘Rapporti pendenti’) in base alla quale, per effetto della dichiarazione di fallimento di uno dei contraenti, i contratti pendenti entrano in uno stato di “sospensione”, destinato a protrarsi fino al momento in cui il curatore non eserciti, su autorizzazione del comitato dei creditori, la propria scelta, nel senso del subentro nel vincolo negoziale ovvero del suo scioglimento, in tal caso ” salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto “. La sospensione del rapporto è destinata a venir meno in due ipotesi, con esito opposto: quella in cui il curatore dichiari espressamente di voler subentrare nel contratto e quella in cui, a fronte dell’assegnazione o del decorso di un termine per far conoscere le proprie determinazioni, l’orga no concorsuale rimanga inattivo, così determinandone lo scioglimento ipso iure .
4.1. – Vi è poi un’ipotesi che ‘sterilizza’ la facoltà di scelta del curatore di subentrare o meno nel rapporto, ed è proprio quella in cui, prima del fallimento, sia stata «promossa azione di risoluzione del contratto nei confronti della parte inadempiente», poiché quell’azione come recita il quinto comma dell’art. 72 l.fall. «spiega i suoi effetti nei confronti del curatore», sia pure a condizione che, nei casi in cui essa è prevista (cfr. art. 2652 c.c.), vi sia stata trascrizione della domanda, la quale integra una formalità opponibile alla massa fallimentare solo se eseguita prima del fallimento, ai sensi dell’art. 45 l.fall.
4.2. -Le norme della legge fallimentare sui rapporti pendenti non declinano un regime esonerativo dal concorso formale, e dal
connesso rito della verifica del passivo, neppure nell’ipotesi appena vista della domanda di risoluzione “quesita” prima dell’apertura del concorso. Tuttavia, l’art. 72, comma 5, l.fall. si preoccupa di disciplinare il ‘raccordo’ tra il giudizio ordinario anteriormente instaurato ed il giudizio di accertamento del passivo fallimentare nel quale le relative pretese risarcitorie e restitutorie devono necessariamente confluire, in forza del principio del ‘concorso formale’ consacrato nell’art. 52 l.fall.
Di norma, infatti, i giudizi instaurati anteriormente al fallimento spiegano effetti in sede concorsuale solo se approdati almeno ad una pronuncia di primo grado, la quale legittima l’ammissione al passivo ‘con riserva’ (art. 96, n. 3, l.fall.) e consente la prosecuzione del giudizio ordinario nei gradi successivi proprio ai fini dello scioglimento della riserva. Si tratta di un’ipotesi eccezionale in cui il giudice dell’accertamento del passivo fallimentare viene in qualche modo ‘esautorato’ del potere dec isionale, dovendosi limitare a ‘prendere atto’ dell’esito del giudizio sul credito o sul diritto reale, mobiliare o immobiliare, comunque destinati poi a realizzarsi nel ‘concorso sostanziale’ con gli altri creditori o terzi titolari di analoghi diritti.
4.3. -Sul punto le Sezioni unite hanno di recente ricordato che la specialit à̀ del procedimento di accertamento del passivo (art. 52 l.fall.) può «patire le eccezioni ivi previste solo da una formula di riserva di legge», sicché «un’eventuale eccezione al principio di esclusivit à̀ dell’accertamento dello stato passivo, per il quale ciascun credito va appurato secondo le disposizioni della legge fallimentare e nel contraddittorio simultaneo fra chi lo vanta e gli altri creditori insinuati, potrebbe ammettersi innanzitutto solo in via diretta, come per lo pi ù̀ prevedono norme incidenti su an e quantum (ad es. gli artt. 111bis, 56, 87bis l.f.) o di giurisdizione (come l’art. 2 d.lgs. n. 546 del 1992 per i crediti tributari e nemmeno in termini di assoluto deferimento esterno, come precisato in generale da Cass. 25897/2020 per l’IVA)»; e quindi, alla dom anda se -in caso di prosecuzione del giudizio arbitrale dopo il fallimento -l’art. 83 -bis l.fall. integri quella riserva di legge idonea a derogare al regime di esclusivit à̀ , ha dato una risposta recisamente «negativa, al pari di
ogni indagine sul perimetro dei giudizi che, con l’organo concorsuale ed in prosecuzione della previa posizione del fallito, dirimano tuttavia controversie sui diritti di credito verso l’insolvente» (Cass. Sez. U, 5694/2023).
Il massimo organo nomofilattico ha ribadito che «la corrente regola di attuazione del concorso impone infatti un’unica sede ricognitiva tanto dei beni del debitore come dei suoi crediti ed in via di simultaneit à̀ coordinata, conseguendone che n é giudici esterni n é arbitri possono surrogarsi alla verifica del passivo, cui sono funzionalmente preposti gli organi concorsuali gestionali e giudiziali», sottolineando che si tratta di «un principio fermo e articolazione risolutiva di conflitti su cui anche queste Sezioni Unite (sent. n. 9070 del 2003 e, pi ù̀ di recente, ord. 15200 del 2015) si sono espresse con chiarezza».
In particolare, nell’arresto viene rimarcata «la coerenza costituzionale con i principi del giusto processo ex art. 111 Cost. di un sistema che, concentrando la tutela giurisdizionale, come chiarito in dottrina e ripreso nella stessa giurisprudenza costituzionale (Corte cost. 778/1988), realizza con l’art. 52 l.f. (e tutti i suoi strumenti, come l’art. 24 l.f., per Corte cost. n. 139/1981) l’obiettivo di assoggettare al procedimento per l’accertamento del passivo tutte le pretese suscettibili di riversarsi sul patrimonio fallimentare, dirette a partecipare alla distribuzione dello stesso o finalizzate a sottrarvi alcuni beni, mobili ed immobili; ed il congegno prescelto è quello della cd. competenza funzionale del giudice delegato che vi attende, per cui se la esclusivit à̀ della verifica del passivo riposa sull’esigenza che ciascun creditore sia posto nella condizione di partecipare dialetticamente all’accertamento di ogni situazione soggettiva fatta valere in funzione dell’inserimento di un credito, proprio o altrui, nel passivo dell’unico insolvente, cioè̀ a confronto di un attivo analogamente riunito, la stessa esclusivit à̀ implica che il giudice delegato (e il tribunale nelle sedi dei reclami), unico preposto all’accertamento delle ragioni di credito ai fini del concorso (ex art. 25 co.1 n.8 l.f.), sia costantemente provvisto di poteri di controllo e reazione rispetto alle vicende pendenti al momento d’avvio della procedura».
Di qui l’affermazione che «il procedimento di verifica non può̀ implicare prese d’atto di decisioni assunte altrove sul credito, sul suo rango, sulla sua attitudine al concorso; n é pu ò̀ sopportare la devolvibilit à o la permanente esperibilit à di un processo in capo a giudici diversi»; ed inoltre, «sul piano della giustificazione in tema di diritti, che la esclusivit à dell’accertamento del passivo riunisce pertanto l’aspirazione al concorso sostanziale (con la soddisfazione per i propri crediti sul ricavato delle liquidazioni) con gli oneri procedimentali del concorso formale (sottoponendosi ciascuno al vaglio unitario dei propri titoli), cos ì realizzandosi la par condicio creditorum e, in essa, il controllo reciproco e avanti allo stesso giudice (in processo simultaneo) sulle disuguaglianze di trattamento, priorit à̀ e specialit à̀ di statuto legalmente previste, combinandosi accertamento del credito e attitudine concorsuale di ogni pretesa insinuata» (cd. contraddittorio incrociato).
Sulla stessa lunghezza d’onda si colloca la dottrina che declina l’ esclusività dell’accertamento del passivo come espressione di «un principio immanente alla tutela della par condicio omnium creditorum », sin dalla fase della cognizione concorsuale.
4.4. -Ciò premesso, nell’art. 72, comma 5, l.fall. la disciplina del raccordo tra il giudizio ordinario, instaurato dal contraente in bonis per la risoluzione del contratto prima del fallimento della controparte, ed il giudizio di accertamento del passivo fallimentare, ove le sue pretese restitutorie e risarcitorie devono farsi necessariamente valere (nella logica speciale e derogatoria del concorso) è affidato alla prescrizione finale per cui « se il contraente intende ottenere con la pronuncia di risoluzione la restituzione di una somma o di un bene, ovvero il risarcimento del danno deve proporre la domanda secondo le disposizioni del capo V ».
L’ipotesi opposta è, all’evidenza, quella in cui il contraente intenda, invece, ottenere solo la pronuncia di risoluzione del contratto (anche per precludere al curatore la possibilità di subentrarvi); e in tal caso la norma esclude che la domanda debba essere proposta in sede fallimentare, in piena sintonia con la logica del concorso, che deroga alle regole ordinarie e comprime i diritti dei terzi solo quando essi vantino delle pretese sull’attivo fallimentare.
Non a caso la rubrica del Capo V del Tit. II della legge fallimentare è intitolata accertamento ‘ del passivo ‘, volendosi così «correlare indissolubilmente quell’accertamento alla successiva fase di distribuzione dell’attivo» (così, da ultimo, Cass. 11155/2024).
Detto altrimenti, un qualsivoglia accertamento del diritto ha senso in sede concorsuale solo nella misura in cui esso sia strumentale alla partecipazione alla distribuzione dell’attivo fallimentare; nella fisionomia del procedimento di accertamento del passivo, infatti, «la situazione sostanziale che viene in rilievo è il diritto al concorso, ossia, come autorevole dottrina ha precisato, il diritto di credito nella sua porzione concorsuale: si tratta di un diritto sostanziale ‘a tempo’, che si esaurisce nell’ambito del concorso, destinato a essere realizzato all’interno della procedura fallimentare attraverso la partecipazione ai riparti» (Cass. 4632/2023, 11808/2022).
4.5. – E’ utile considerare che la disposizione in commento risulta pedissequamente riprodotta nell’art. 172, comma 5, CCII.
La più recente dottrina ne ha rimarcato la ‘continuità’ con l’art. 72 l.fall., affermando, proprio in ordine alla previsione del quinto comma, che -come «già previsto dalle norme vigenti» -l ‘azione di risoluzione promossa prima dell’apertura della liquidazione giudiziale, e nei casi previsti debitamente trascritta, spiega i suoi effetti anche nei confronti del curatore, tuttavia, se il contraente intende ottenere non solo la pronuncia di risoluzione per inadempimento, ma anche la restituzione di una somma o di un bene ovvero il risarcimento del danno, la domanda deve essere proposta secondo le disposizioni sull’accertamento del passivo.
Su questa stessa linea ricostruttiva si collocano i vari contributi dottrinali a commento dell’art. 172, comma 5, del nuovo Codice (come detto identico all’art. 72, comma 5, l.fall.), nei quali si sostiene che, se il petitum è circoscritto alla dichiarazione di risoluzione del contratto, l’azione prosegue dinanzi al giudice ordinario originariamente adito, con la sola sostituzione del curatore al debitore insolvente; se, invece, il contraente in bonis richiede, oltre alla risoluzione, la restituzione di una somma di denaro o di un bene (per effetto del parziale adempimento della sua prestazione) ovvero il risarcimento dei danni patiti, allora il relativo giudizio si
dovrebbe interrompere e le domande dovrebbero essere ripresentate, secondo le disposizioni relative all’accertamento dei crediti, nell’ambito della liquidazione giudiziale.
Si tratta, del resto, di una lettura conforme all’intenzione del legislatore, come riversata nella Relazione illustrativa all’art. 172, comma 5, CCII, ove si legge: «poiché il giudice delegato, nel corso dell’accertamento del passivo deve poter conoscere con pienezza dei suoi poteri della domanda di ammissione, verificandone la fondatezza sia in rapporto al petitum che alla causa petendi , ne consegue che la controparte in bonis avrà interesse a coltivare l’azione di risoluzione introdotta prima dell’apertur a della liquidazione giudiziale solo in presenza di un interesse giuridico, attuale e concreto, diverso da quello all’accoglimento della domanda restitutoria o di ammissione al passivo del credito».
5. – Le due opzioni ermeneutiche .
I l testo dell’art. 72, comma 5, l.fall., sebbene apparentemente lineare, ha rivelato qualche ambiguità semantica in punto di raccordo tra il preventivo giudizio di risoluzione promosso in sede ordinaria e quello successivo da promuovere in sede fallimentare, ingenerando così diverse opinioni dottrinali, sussumibili, l’una, nella tesi della ‘divaricazione processuale’ tra giudizio ordinario e giudizio fallimentare e, l’altra, nella tesi della ‘trasmigrazione integrale’ in sede fallimentare.
5.1. – La tesi della divaricazione processuale comprime il perimetro dell’art. 72, comma 5, l.fall. , riferendo la porzione che rimanda alle modalità delineate dal ‘ capo V ‘ alle sole istanze restitutorie e risarcitorie correlate alla domanda di risoluzione del vincolo negoziale introdotta prima del fallimento, che continua invece a far capo al giudice ordinario.
Secondo questa opinione, la pur spiccata ‘specialità’ della norma non sembra autorizzare -né esplicitamente, né implicitamente -una lettura ‘unitaria’ della prima e della seconda parte della disposizione, stante la diversa attitudine alla stabilità del provvedimento finale del giudizio di cognizione ordinaria (giudicato ex art. 2909 c.c.) e del giudizio di verifica del passivo (mera
stabilizzazione endoconcorsuale), da cui discenderebbe, quale logica conseguenza, la necessità che la domanda di risoluzione già proposta resti nella sede di giudizio ordinario ed ivi conservi i suoi effetti sostanziali e processuali. Di qui la prospettata delimitazione del rinvio alle modalità delineate dal ‘capo V’, contenuto nella seconda parte, alle sole domande ulteriori restitutorie e risarcitorie, correlate alla domanda di risoluzione, che non possono proseguire davanti al giudice della cognizione ordinaria e devono essere oggetto di separata istanza di ammissione al passivo concorsuale, per essere ivi valutate dal giudice delegato.
Tale filone è costretto a professare la separazione necessaria delle cause, serbando in capo al giudice ordinario (solo) la cognizione sul titolo negoziale -che pure costituisce il presupposto giuridico per l’ammissione del credito allo stato passivo del fallimento -e così aprendosi o alla sospensione ex art. 295 c.p.c. del giudizio di verifica del passivo, che rappresenterebbe lo sbocco pressoché ineludibile (cfr. Cass. 8972/2011) o, in alternativa, all’ammissione con riserva del credito restitutorio o risarcitorio, in attesa della decisione in sede ordinaria sulla domanda di risoluzione.
In particolare, sul piano processuale sono stati prospettati vari scenari: (i) sospensione della decisione sul credito da parte del giudice delegato, ex art. 295 c.p.c., in attesa della pronuncia sulla domanda pregiudiziale da parte del giudice ordinario; (ii) rigetto della domanda di ammissione al passivo, per carenza del presupposto a monte, ed eventuale opposizione allo stato passivo del creditore ex art. 98 e 99 l.fall. con possibilità di sospensione successiva di quest’ultimo giudizio ai sensi dell’art . 295 c.p.c., in attesa della decisione in sede ordinaria; (iii) richiesta del creditore, previa concessione delle misure cautelari, di beneficiare degli accantonamenti ai sensi dell’art. 113 comma 2, l.fall., con deposito delle somme eventualmente accantonate ex art. 117 l.fall. in vista della successiva distribuzione a chi di spettanza, ovvero in caso di definitiva esclusione del credito, all’esito dell’opposizione, del riparto supplementare tra gli altri creditori (v. ora l’art. 220, comma 2, CCII sul ri lascio di idonee garanzie condizionate all’esito del giudizio di primo grado); (iv) ammissione del credito con riserva, ai sensi
dell’art. 96, comma 2, n. 1) o n. 3), l.fall., fino alla definizione del giudizio ordinario di cognizione di primo grado.
Tali prospettive scontano la compatibilit à̀ del giudizio di cognizione ordinaria con il procedimento di accertamento del passivo, pur dovendosi comunque individuare la soluzione pi ù̀ ragionevole che contemperi l’interesse del creditore a non subire le cons eguenze pregiudizievoli della durata del processo ordinario e quello del debitore alla garanzia effettiva del diritto di difesa (art. 24 Cost.).
Il provvedimento che il giudice della cognizione ordinaria dovrebbe adottare sulle domande restitutorie, risarcitorie o condannatorie in genere sarebbe un’ordinanza di separazione delle cause ex artt. 103, comma 2 e 104 c.p.c. (dettati però per le cause legate da vincoli di connessione semplice o impropria e non di pregiudizialitàdipendenza) o meglio la dichiarazione della loro improcedibilità, in quanto attratte al giudizio di verifica del passivo.
Questo approccio fa leva sull’assenza di un principio di simultaneità del processo di rango costituzionale (Corte cost. 124/2005) e sulla mancanza di un’indicazione esplicita in punto di translatio in sede fallimentare della domanda di risoluzione, oltre alla difficoltà di ipotizzare una riassunzione formale del giudizio, eventualmente dichiarato interrotto, in quella sede; meccanismo neppure adombrato nell’art. 72 l.fall., ove si dice genericamente che l’attore « deve proporre la domanda secondo le disposizioni di cui al Capo V ».
5.2. – La tesi della trasmigrazione integrale valorizza invece la struttura sintattico-grammaticale della norma, reputando che la domanda da proporre « secondo le disposizioni del capo V » sia proprio quella di risoluzione che il precetto menziona dapprincipio, che va dunque ‘traslata’ in sede concorsuale insieme a (« con ») quelle restitutorie e risarcitorie cui è strumentale, anche perché, come osservato dalla Procura generale, l’interpretazione opposta svuoterebbe di senso la norma, essendo pacifico che queste ultime domande debbano essere sottoposte al giudice fallimentare.
Secondo tale opzione ermeneutica (perorata con forza da una parte della dottrina), la norma sarebbe diretta a permettere la ‘trasmigrazione’ nel procedimento di verifica dello stato passivo, in
uno alle domande accessorie e consequenziali, anche di quella prodromica, in quanto ‘pregiudiziale’ alla genesi stessa del credito da insinuare allo stato passivo o della domanda di restituzione.
In quest’ottica, non sarebbe un ostacolo il carattere costitutivo dell’azione di risoluzione, purché la domanda sia stata trascritta anteriormente al fallimento, qualora abbia ad oggetto diritti reali su beni immobili ai sensi dell’art. 2652 n. 1, c.c. Ed anzi, secondo autorevole dottrina, tale conclusione dovrebbe essere estesa -per l’evidente identità di ratio processuale rispetto alla domanda di risoluzione del contratto, che incide sul sinallagma funzionale -alle ulteriori azioni che incidono anche sul sinallagma genetico, e dunque sia alle domande eterodeterminate di tutela costitutiva (annullamento, simulazione, rescissione) sia alle domande autodeterminate di tutela dichiarativa (nullità, simulazione assoluta), che rappresentino il presupposto per l’accoglimento, in sede concorsuale, delle istanze di ammissione di crediti, ovvero di restituzione o rivendicazione di beni mobili ed immobili.
Su queste basi, la competenza funzionale del tribunale fallimentare cederebbe il passo alla competenza del tribunale ordinario solo a fronte di azioni lato sensu caducatorie (risoluzione, simulazione, revocatoria, nullità, rivendica) che non rappresentino un antecedente logico, e cioè il presupposto, di successive pretese creditorie, restitutorie o risarcitorie nei confronti della massa fallimentare (ad es. azione di simulazione, nullità o revocatoria di un atto di conferimento da parte di terzi in natura ex art. 2468 c.c. in una società dichiarata fallita, oppure di un fondo patrimoniale costituito da un terzo ex art. 167 c.c. in favore dei coniugi, soci illimitatamente responsabile di società fallita, se i conferenti non vantino crediti nei confronti della massa fallimentare e quindi l’accertamento della loro posizione non possa avere carattere prodromico rispetto all’accertamento e al riparto concorsuale).
Pertanto, di fronte al giudice delegato al fallimento approderebbero tutte le domande legate da un rapporto di pregiudizialità ovvero dipendenza rispetto ai crediti o diritti sui beni vantati nel concorso con gli altri creditori; viceversa, resterebbero proseguibili in sede ordinaria le cause il cui epilogo non ponga problemi di opponibilità
alla massa dei creditori concorsuali (limitandosi l’attore a perseguire solo utilità estranee alla partecipazione al concorso).
L’approccio del passaggio contestuale in capo al giudice fallimentare della domanda di risoluzione e di quelle condannatorie, poggia su due punti di forza, il primo dei quali è la pregnanza del nesso sostanziale che intercorre tra la prima e le seconde.
Si sostiene da parte dei fautori di tale teorica che le domande di risoluzione e quelle di restituzione, pagamento o ristoro dei pregiudizi evidenziano una connessione accentuata, riconducibile nei paradigmi della pregiudizialità-dipendenza ex art. 34 c.p.c. ovvero dell’accessorietà ex art. 31 c.p.c.; con la conseguenza che, ogni qualvolta vengano esercitate contemporaneamente l’azione di risoluzione e la pedissequa azione di condanna, entrambe prendono la via dell’alveo fallimentare, in quanto collegate da un vincolo di connessione e dipendenza tale da rendere necessaria una loro trattazione unitaria.
Il giudice fallimentare dovrebbe quindi poter conoscere principaliter anche delle situazioni che si collocano in rapporto di pregiudizialità rispetto alle richieste di tutela concorsuale. La ‘trasmigrazione’ nell’ambito fallimentare della causa sulla risoluzione del vincolo sarebbe, insomma, indispensabile affinché il contraddittorio non si presenti alterato, ma esteso alla precondizione stessa del riconoscimento del credito.
In ultima analisi, la ratio a sostegno della trasmigrazione integrale in favore del giudice fallimentare deriva dalla medesimezza del fatto costitutivo -da un lato l’adempimento, dall’altro la risoluzione da cui le parti del rapporto potrebbero ottenere differenti utilità, così da giustificare l’innesto del rito dell’accertamento del passivo con ogni tipologia di giudizio ordinario di cognizione.
Un secondo aspetto, particolarmente esaltato in dottrina, è che sarebbe proprio il principio del concorso formale a determinare la confluenza davanti al giudice fallimentare di tutte le questioni controverse suscettibili di incidere anche, in via mediata, sulla fisionomia del passivo fallimentare. Questa opzione interpretativa valorizza pertanto -in piena sintonia con l’indirizzo delle Sezioni
unite (sentenza n. 5694 del 2023 di cui si è dato conto, v. sub 4.3) -la vis espansionistica del concorso, oramai teso ad attrarre tendenzialmente nella sede fallimentare, tutte le controversie atte a riverberarsi sul patrimonio da liquidare a beneficio dei creditori.
In effetti, il trend delle riforme concorsuali dell’ultimo ventennio testimonia una progressiva dilatazione dell’area della giurisdizione concorsuale in tema di accertamento dei crediti e dei diritti (reali e personali) dei terzi sui beni appresi all’attivo fallimentare, a pa rtire dal d.lgs. n. 5 del 2006, che dopo aver espunto dall’art. 24 l.fall. la riserva al giudice ordinario della competenza sulle azioni reali immobiliari, ha attribuito alla competenza del giudice fallimentare anche le domande di restituzione e rivendicazione di beni immobili (art. 93 l.fall.); e lo stesso art. 72, comma 5, l.fall., introdotto dalla medesima riforma, sembra condividerne lo spirito estendendo il rito di accertamento del passivo alle domande di risoluzione dei contratti pendenti, come a posteriori è emerso dalla Relazione illustrativa all’art. 172, comma 5, CCII (di identico tenore).
Inoltre, come si vedrà, l’approdo delle riforme nel Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza testimonia un ulteriore trend di superamento dei connotati di stretta tipicità del procedimento di accertamento del passivo, tradizionalmente volto a far valere esclusivamente crediti pecuniari e diritti personali o reali sui beni, acquisiti all’attivo, rispettivamente mediante la domanda di ammissione al passivo, di restituzione e di rivendicazione.
6. – Il contrasto nomofilattico.
Anche nella giurisprudenza della Prima Sezione civile di questa Corte sono emerse, sul tema, posizioni almeno in parte divergenti.
6.1. – In un arrêt del 2016 (relativo a domanda di accertamento della simulazione assoluta o relativa di un contratto di compravendita, nonch é́ di risoluzione di diritto ex art. 1454 c.c., ovvero per inadempimento ex art. 1453 c.c., del dissimulato preliminare di permuta immobiliare di cosa futura, con condanna alla restituzione del bene permutato e al risarcimento del danno) si è affermato che le domande principali e prodromiche di simulazione e risoluzione contrattuale, trascritte anteriormente alla dichiarazione
di fallimento della parte convenuta in giudizio, possono proseguire legittimamente con il rito ordinario, attesa l’opponibilità della relativa sentenza alla massa dei creditori in ragione dell’effetto prenotativo della trascrizione; viceversa, le pretese, accessorie, di restituzione e risarcimento del danno devono necessariamente procedere, previa separazione dalle prime, nelle forme degli artt. 93 e ss. l.fall., in quanto assoggettate alla regola del concorso e non suscettibili di sopravvivere in sede ordinaria (Cass. 29 febbraio 2016, n. 3953; cfr. Cass. 7547/2018, che ha richiamato la tesi nella diversa fattispecie di domanda ex art. 2932 c.c. proposta e trascritta ex art. 2652, n. 2 c.c. prima del fallimento del promittente venditore).
L’arresto fa perno innanzitutto sul principio, protetto a livello costituzionale e di convenzione europea dei diritti dell’uomo, della ragionevole durata del processo, che verrebbe minato qualora si imponesse « all’attore, inutilmente, di ricominciare tutto il giudizio daccapo in sede fallimentare ». In secondo luogo, mette in risalto l’effetto prenotativo della trascrizione, nel senso che, ove l’attore abbia trascritto la domanda prima della sentenza dichiarativa di fallimento, il diritto alla risoluzione del contratto dovrebbe considerarsi già “quesito” al momento dell’emanazione di quella sentenza, sicché la relativa cognizione sarebbe destinata a proseguire presso il giudice originariamente adito.
La proiezione della tesi sul piano processuale comporta che solo le domande risarcitorie e restitutorie debbono essere dichiarate improcedibili dal giudice ordinario, per essere incardinate innanzi al giudice fallimentare; salvo poi dover individuare gli strumenti idonei ad evitare il possibile contrasto tra giudicati (stante il ‘doppio binario’ che gemma dalla separazione delle domande) e la forma di raccordo tra i due giudizi, per evitare un vulnus agli interessi della parte in bonis , come avverrebbe se questa dovesse attendere la decisione sulla domanda di risoluzione in sede ordinaria, prima di azionare le consequenziali pretese restitutorie o risarcitorie in sede concorsuale (in tal senso, Cass. 1190/2018).
Il meccanismo della sospensione ex art. 295 c.p.c. è una soluzione pressoché unanimemente ritenuta incompatibile con le esigenze di celerità e concentrazione del giudizio fallimentare.
Si veda in tal senso, da ultimo, Cass. 270/2023 che -in fattispecie in cui era stata invocata la sospensione ex art. 295 c.p.c. del giudizio di opposizione allo stato passivo, in pendenza del giudizio instaurato dal curatore in sede ordinaria contro la cedente del credito insinuato al passivo, per il carattere pregiudiziale delle questioni dedotte (abusiva concessione del credito controverso e validità dei contratti di finanziamento) rispetto a quelle oggetto di esame in sede fallimentare -ha escluso la ricorrenza dei presupposti per la sospensione necessaria del processo «qualora, come nel caso in esame, la questione attinente alla nullità del titolo sia introdotta nel giudizio asseritamente pregiudicante quale allegazione difensiva e sulla quale l’esame del giudice presenti natura di accertamento incidentale»).
Ma anche la soluzione dell’ammissione con riserva registra forti critiche in dottrina, per le problematiche connesse all’applicazione estensiva o analogica dell’art. 96, comma 2, l.fall. oltre i casi stabiliti dalla legge, essendo inveterata tra gli espert i del settore l’opinione che la norma non ammetta casi di riserve non tipizzate (v. ex multis Cass. 25286/2013, 20191/2017).
Entrambi gli strumenti sono esclusi nella giurisprudenza della seconda sezione civile di questa Corte: la sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. del giudizio di opposizione al passivo, poiché il curatore può eccepire in sede di verifica del passivo i fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto fatto valere dal creditore; l’ammissione del credito con riserva, in quanto consentita solo nei casi tassativamente indicati nell’art. 96, comma 2, l.fall., sia (Cass. 3804/2022, con riguardo alla contemporanea pendenza di azione di responsabilità proposta in sede ordinaria dal curatore nei confronti di amministratori/sindaci e di opposizione allo stato passivo proposta da questi ultimi per il riconoscimento del compenso).
Apparentemente, la prospettiva dell’ammissione con riserva potrebbe trovare conforto nei precedenti giurisprudenziali in tema di deroga al principio generale dell’esclusività dell’accertamento del passivo, ex art. 52 l.fall.; tuttavia essi si riferiscono in modo specifico alle ipotesi in cui «la controversia sul credito è sottratta alla cognizione del giudice fallimentare (perché quest’ultimo è carente di
giurisdizione, o perché sussiste una competenza inderogabile di altro giudice)», e quindi «gli organi del fallimento devono considerare il credito assimilabile ai crediti condizionati, con facoltà di ammetterlo con riserva, da sciogliersi dopo la definizione del processo dinanzi al giudice giurisdizionalmente competente, in relazione all’esito di tale giudizio» (Cass. Sez. U, 15200/2015; v. anche Cass. Sez. U, 12371/2008 e 11073/2012 sulla giurisdizione esclusiva della Corte dei conti; più di recente, v. Cass. Sez. U, 33944/2023, sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, per cui: «In caso di insinuazione allo stato passivo fallimentare di un credito attinente ad una convenzione di bonifica e trasferimento di aree alla P.A., contestato nella sua esistenza, liquidità ed esigibilità, per il quale sussistano questioni devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, gli organi fallimentari sono tenuti a considerare il credito come condizionale, con conseguente sua ammissione con riserva, da sciogliersi all’esito della definizione del giudizio amministrativo, e ciò anche nel caso in cui della questione di giurisdizione vengano medio tempore investite le sezioni unite della Corte di Cassazione »).
In tali casi, però, è solo a causa del difetto di giurisdizione del giudice ordinario -qual è anche il giudice fallimentare -che il credito contestato viene considerato ‘condizionale’, e quindi da ammettere al passivo fallimentare ‘con riserva’, in modo da assicurare al titolare la possibilità di partecipare al riparto mediante accantonamento, in attesa della decisione del giudice munito di giurisdizione (che potrebbe intervenire quando il riparto dell’attivo sia già in tutto o in parte avvenuto).
Risulta invece discutibile che una soluzione analoga possa essere adottata nei casi in cui il giudice fallimentare sia pienamente munito di giurisdizione, oltre che di competenza funzionale.
Questa è, del resto, la direzione in cui si sono mosse le Sezioni unite nell’affermare la prevalenza del principio di esclusività dell’accertamento del credito in sede concorsuale, ex artt. 52 e 93 l.fall., ove il rapporto sia ancora pendente ai sensi dell’art. 72 l.fall., rispetto a controversie devolute alla giurisdizione arbitrale (Cass. Sez. U, 5694/2023 cit., sub 4.3., che ha dichiarato improcedibile la
domanda di accertamento del credito svolta dal committente nel giudizio arbitrale promosso in base a clausola compromissoria accessoria ad un contratto di appalto, in quanto da proporre nel sopravvenuto procedimento di liquidazione coatta amministrativa dell’appaltatore, ai fini della insinuazione al passivo).
6.2. – Successivamente, anche alla luce delle criticità messe in rilievo dalla dottrina, con due sentenze ‘gemelle’ del 2020 questa Corte ha maturato il convincimento in base al quale il secondo periodo dell’art. 72, comma 5, l.fall. postulerebbe che la do manda di risoluzione proposta prima della dichiarazione di fallimento, se diretta in via esclusiva a far valere, in sede concorsuale, le consequenziali pretese risarcitorie o restitutorie, di cui costituisca l’antecedente logico -giuridico, non possa proseguire in sede di cognizione ordinaria, ma debba essere interamente proposta secondo il rito speciale disciplinato dagli artt. 93 ss. l.fall.
E ciò perché, si è detto in quelle pronunce: per un verso, non sarebbe applicabile in via analogica o estensiva l’istituto dell’ammissione con riserva ex art. 96, comma 2, l.fall. -segnatamente né il n. 1 (non essendo ancora intervenuta una pronuncia del giudice ordinario) né il n. 3 (non potendo considerarsi come ‘condizionato’ il credito caratterizzato da una pregiudizialità logico-giuridica, neppure nella più lata lettura giurisprudenziale che lo ravvisa, al di là dell’art. 55 l.fall., nelle ipotesi di difetto di giurisdizione dello stesso giudice ordinario sopra menzionate) -stante la tipicità e tassatività delle ipotesi contemplate dalla norma (Cass. 24866/2014, 3397/2004, 17526/2003, 7329/2002); e, per altro verso, sarebbe incompatibile con il giudizio di accertamento del passivo fallimentare la sua sospensione, ex art. 295 c.p.c., in attesa della decisione in sede ordinaria sulla domanda pregiudiziale di risoluzione (così, ex multis , Cass. Sez. U, 21499/2004; Cass. 5255/2017, 7547/2018).
Solo la domanda di risoluzione diretta a conseguire finalità estranee alla partecipazione al concorso (come la liberazione della parte “in bonis” dagli obblighi contrattuali o l’escussione di una garanzia di terzi) resterebbe invece procedibile in sede di cognizione ordinaria, dopo l’interruzione del processo ex art. 43 l.fall. e la sua riassunzione
nei confronti della curatela fallimentare (Cass. 7 febbraio 2020, n. 2990 e n. 2991).
Secondo questa ricostruzione, il rischio di conflitto tra giudicati sarebbe escluso dalla diversa attitudine alla stabilit à dei provvedimenti conclusivi dei rispettivi giudizi: l’uno avendo infatti autorità di giudicato ex art. 2909 c.c., l’altro essendo invece munito di sola valenza endoconcorsuale, ex art. 96, ultimo comma, l.fall.
La tesi della ‘trasmigrazione integrale’ delle domande in sede fallimentare -ogni qual volta all’azione di risoluzione proposta originariamente in sede ordinaria si accompagni l’azione restitutoria o risarcitoria -fonda la sua ratio sui principi di specializzazione, concentrazione e speditezza sottesi al combinato disposto degli articoli 24, 52 e 93 l.fall., ed in particolar modo sul vulnus che verrebbe altrimenti inferto alla tutela dei diritti dei creditori concorsuali, di cui è espressione il princip io del ‘contraddittorio incrociato’, tipico del procedimento di accertamento del passivo.
Come infatti segnalato anche da accorta dottrina, gli altri soggetti che vantassero crediti o altre pretese sui beni compresi nell’attivo fallimentare, di fronte alla separazione delle domande, alla prosecuzione di quella pregiudiziale di risoluzione in sede ordinaria ed al suo eventuale accoglimento, non potrebbero interloquire sulle ragioni vantate con la domanda pregiudiziale di risoluzione, ma si troverebbero costretti a proporre l’opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c., oppure l’accertamento dei propr i diritti in separato giudizio.
Del resto già due lustri prima le Sezioni unite, pronunciandosi su altra questione in tema di accertamento del passivo, avevano rilevato il favor dell’ordinamento per «una soluzione che privilegi la concentrazione in un unico procedimento delle diverse questioni che possono sorgere nella delibazione circa la sussistenza del credito azionato», osservando che «l ‘esame congiunto di ogni vicenda costitutiva di detto credito, oltre che degli eventuali fatti impeditivi e modificativi del diritto e delle possibili ragioni di inefficacia, consente infatti un esame completo ed esaustivo della posizione creditoria, per di più espletato con un medesimo rito, nel più assoluto rispetto della rilevanza concorsuale del rapporto e con soluzione spiegante effetti all’interno della stessa procedura » e concludendo che l’esame
unitario «costituisce una più puntuale realizzazione del giusto processo, poiché consente una effettiva partecipazione ad esso di tutte le parti interessate ed incide in termini positivi sulla sua durata », anche perché «l’instaurazione di parentesi di cognizione esterne rispetto al modulo procedimentale concorsuale costituisce infatti uno dei fattori più significativi delle violazioni normative derivanti dall’eccessiva durata del processo (L. n. 89 del 20 01)» (Cass. Sez. U, 16508/2010).
Pertanto, la domanda di risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c., se finalizzata ad ottenere la restituzione o il risarcimento del danno, va proposta incidenter tantum -e cioè senza efficacia di giudicato, ma con effetti limitati alla risoluzione della controversia nell’ambito della quale è sorta, tanto da poter essere ancora oggetto di un autonomo giudizio -in sede di accertamento del passivo, ove si innesta così una cognizione incidentale di carattere costitutivo, per vero ritenuta inammissibile so lo ‘salva diversa disposizione di legge’, la quale viene ravvisata proprio nell’art. 72, comma 5, l.fall.
La proiezione processuale di questa lettura esegetica comporta che l’intera domanda di risoluzione per inadempimento contrattuale, ‘con’ le connesse domande dipendenti (restitutorie) o accessorie (risarcitorie), come originariamente proposta innanzi al giudice ordinario, deve essere dichiarata improcedibile o inammissibile (a seconda se azionata prima o dopo la dichiarazione di fallimento) per essere devoluta nella sua interezza al giudice fallimentare, in ragione del vincolo di connessione che astringe tutte le domande e del principio dell’unicità del concorso.
L’attore è quindi tenuto a (ri)proporre l’intera domanda con il ricorso ex art. 93 l.fall., posto che l’art. 72 comma 5 l.fall. non parla di ‘riassunzione’ del giudizio ma semplicemente di proposizione della domanda in sede di accertamento del passivo fallimentare, ove saranno senza dubbio utilizzabili le prove già raccolte nel giudizio ordinario, salvo il potere del giudice delegato di disporre gli «atti di istruzione compatibili con le esigenze di speditezza del procedimento» (art. 95, comma 3, l.fall.).
Ove si ritenesse necessario un vero e proprio atto di riassunzione, come affermato da parte della dottrina (cfr. Cass. 148/1993), la
translatio judicii innanzi al giudice fallimentare richiederebbe l’assegnazione di un termine, o in mancanza l’applicazione del termine ex art. 50 c.p.c. (da conciliare con le scansioni temporali dell’insinuazione al passivo), a decorrere dal momento in cui la dichiarazione giudiziale di interruzione del processo ex art. 43 l.fall. sia stata portata a conoscenza della parte (Cass. sez. U, 12154/2021); si tratterebbe comunque di un atto di riassunzione atipico, adattato al rito fallimentare, essendo ineludibile il deposito del ricorso ex art. 93 l.fall. (v. Trib. Verona 3 febbraio 2023).
Peraltro, nell’ottica della valenza solo endo -concorsuale della decisione, non vi sarebbe nemmeno quell’identità di oggetto tra i due giudizi che costituisce l’essenza del giudizio di riassunzione; il problema emerge tuttavia, come si vedrà, in relazione agli effetti della trascrizione della domanda.
6.3. Parte della dottrina, pur favorevole a questa tesi, ritiene criticabile la divisata compatibilità tra una cognitio incidenter tantum trasferita in sede fallimentare e una cognitio principaliter proseguita in sede ordinaria, poiché il rischio di conflitto tra giudicati non sarebbe escluso dalla diversa attitudine al giudicato delle due pronunce, ben potendo dagli esiti opposti dei due giudizi insorgere un conflitto ‘pratico parziale’ o ‘semi -prat ico’ (si fa il caso del rigetto in sede ordinaria della domanda di risoluzione proposta dall’acquirente in bonis per ottenere la liberazione dall’obbligo residuo di pagamento del prezzo e dell’accoglimento di quella trasferita in sede fallimentare per il risarcimento del danno da inadempimento del venditore fallito, in cui la seconda sarebbe una vittoria ‘dimezzata’ anche ammettendo la compensabilità delle opposte partite di dare e avere); propugna quindi, semmai, la «devoluzione in via esclusiva al giudice fallimentare della domanda di risoluzione e del potere di pronunciare a ogni effetto».
In alternativa potrebbe anche ipotizzarsi che in simili fattispecie, del tutto peculiari, si accetti il rischio di un conflitto tra giudicati; conflitto che l’ordinamento in effetti tollera quando le diverse finalità dell’azione e la diversità delle regole di giudizio consentono di ten ere in non cale l’eventuale ‘cortocircuito’ tra i giudicati formati nelle rispettive sedi processuali.
A ben vedere, su queste basi si fonda la tradizionale ammissibilità della prosecuzione dei giudizi civili interrotti per fallimento di una parte, ove l’altra dichiari espressamente di voler solo precostituire un titolo spendibile dopo e al di fuori della vicenda concorsuale.
Significativo è anche il paragone con l’art. 652 c.p.p., che secondo le Sezioni unite, costituisce (come gli artt. 651, 653 e 654 c.p.p.) un’eccezione al principio dell’autonomia e separazione dei giudizi penale e civile, tanto da non essere applicabile in via analogica oltre i casi espressamente previsti (Cass. Sez. U, 1768/2011).
E dunque, in teoria, un analogo principio di autonomia e separazione potrebbe predicarsi anche nei rapporti tra giudice civile e giudice fallimentare, salve le eccezioni espressamente previste (p.es. art. 96, comma 1, n. 3, l.fall.). Per tale via potrebbe in teoria assumersi che -quantomeno con riguardo alle pretese risarcitorie -la rilevata diversità dei campi (l’accertamento del credito in sé, da una parte, e del diritto di partecipare al riparto, dall’altra) possa ‘tollerare’ un contrasto di giudicati, e dunque persino che (per quanto si vedrà) un contratto sia ritenuto risolto in sede fallimentare e non risolto in sede civile (ovvero risolto per colpa dell’una o dell’altra parte), così come il fatto generatore di responsabilità può ritenersi insussistente o non commesso in sede penale, e, al contrario, sussistente o commesso in sede civile.
6.4. Sul tema dell’ammissione con riserva dei crediti condizionati va dato conto di ulteriori sviluppi interpretativi.
Come rilevato in un recente arresto (Cass. 21813/2023) i crediti condizionati rappresentano un genus assai difficile da definire, potendosi individuare al riguardo due diverse interpretazioni della loro nozione: i) da un lato vi sono la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria di legittimità, secondo cui le ipotesi di credito condizionato sarebbero tassative, escludendosi ogni possibile allargamento del perimetro a ttraverso il ricorso all’analogia; sicché rientrano tra i crediti condizionati ex art. 96, comma 2, n. 1, l.fall. (ora art. 204 CCII), oltre a quelli sottoposti a condizione sospensiva o risolutiva, solo quelli indicati nell’ultimo comma dell’art. 55 l.fall. (ora art. 154 CCII), ivi espressamente richiamati, e cioè quelli che non possono farsi valere contro il fallito se non previa escussione
dell’obbligato principale ( ex multis , Cass. 4336/2020); ii) dall’altro lato si pone una parte della dottrina e della giurisprudenza di legittimità (tra cui Cass. 21813/2023 cit.) che, in base alla fattispecie esemplificativa di cui all’art. 55, comma 3, l.fall. (ora art. 154 CCII), inserisco no all’interno di tale macrocategoria anche altre tipologie di crediti, senza necessità di ricorrere allo strumento dell’analogia, vietata per le norme eccezionali, ma con una attenta attività di interpretazione estensiva; viene quindi introdotta una forma di condizionalità ‘impropria’, diversa da quella ‘tecnico -giuridica’, che attiene alla condizione, come elemento accidentale del negozio. La conseguenza è che dovrebbero essere «inclusi tra i crediti condizionali quelli che, pur non essendo certi, liquidi ed esigibili prima della dichiarazione di fallimento, comunque affondano le radici in atti compiuti prima della decozione e sono condizionati, anche nel loro sorgere, alla verificazione di un determinato ulteriore evento, come se si trattasse di una fattispecie a formazione progressiva o complessa prevista dalla legge per la formazione del credito. Solo una porzione della fattispecie costitutiva si è generata prima del fallimento, mentre l’esistenza del diritto dipende d a un elemento ulteriore, diverso dalla volontà del soggetto, che non incide solo sull’efficacia ma proprio sulla nascita del diritto ».
E’ evidente l’adesione alle tesi dottrinali della ‘fattispecie a formazione progressiva’ e della ‘condizionalità impropria’, laddove l’incompletezza della fattispecie non dipende da un atto volontario del creditore -come nell’ipotesi del fideiussore del fallito che paga interamente il debito dopo il fallimento -ma da elementi obiettivi ed accidentali esterni al negozio, che vanno a incidere sull’esistenza stessa del credito.
Su questa scia, Cass. 21813/2023, nell’ambito di una complessa vicenda processuale caratterizzata dalla pendenza di un «procedimento amministrativo-sanzionatorio destinato a concludersi con un provvedimento di cui alla procedura non resta che prendere atto», ha affermato (con espressioni ben accolte anche da attenta dottrina) che -come testimonierebbe la congiuntiva «e» che lega nell’art. 96, comma 2, n. 1, l.fall. i ‘crediti condizionati’ ai ‘crediti condizionali’ (« indicati nell’ultimo comma dell’articol o 55 », ivi
compresi « quelli che n on possono farsi valere contro il fallito, se non previa escussione di un obbligato principale ») -la nozione di ‘credito condizionato’ è più ampia di ‘credito condizionale’ (che infatti «ricomprende in sé, quale parte del tutto») e non è limitata ai soli crediti già sorti in forza di un negozio stipulato prima della dichiarazione di fallimento, pur se sottoposti a condizione sospensiva o risolutiva (la cui efficacia sia quindi subordinata, per volontà delle parti, ex art. 1353 c.c. ad un evento futuro e incerto), ma include «ogni credito, preesistente, la cui ammissione al passivo fallimentare dipenda da un evento futuro e incerto realizzatosi in corso di procedura». E così, piuttosto che « ricorrere all’analogia legis o iuris per giustificare l’ammissione con riserva» e con una conclusione definita in dottrina ‘innovativa’ si è ampliata la stessa nozione di ‘credito condizionato’, che in ultima analisi sarebbe, più genericamente, ogni credito incerto e inesigibile, per ragioni estranee alla volontà del debitore, però munito di una causa giustificatrice anteriore al fallimento (come del resto dev’essere, necessariamente, per tutti i crediti ‘concorsuali’) .
Ora, al di là delle diffuse resistenze ontologiche e sistematiche ad una ulteriore dilatazione del concetto di ‘credito condizionato’ cui come visto la giurisprudenza di questa Corte ha già ricondotto i crediti sottratti alla giurisdizione del giudice ordinario (v. sopra sub 6.1., ultima parte) -occorre verificare se in quella inedita nozione di ‘credito condizionato’ (o forse, rectius , ‘condizionale’) rientri anche il credito (risarcitorio o restitutorio) derivante dalla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento, quesita prima del fallimento. In tal caso, potrebbe infatti ritenersi che il credito sia piuttosto assimilabile al credito litigioso, incerto sia nell’ an che nel quantum , perché oggetto di una pretesa azionata davanti al giudice ordinario, sicché la fattispecie rientrerebbe nel n. 3) dell’art. 96 l.fall., ove il presupposto dell’ammissione con riserva è che, prima del fallimento, il giudizio pendente abbia già prodotto una sentenza non passata in giudicato.
In altri termini, nel caso in esame non vi è una decisione su cui ‘poggiare’ l’ammissione con riserva, in attesa dello sviluppo delle impugnazioni. E tuttavia parrebbe questo, ontologicamente, l’ambito
della vicenda, a meno che non si voglia immaginare una ulteriore ipotesi di ammissione con riserva risultante dalla crasi tra le ipotesi di cui ai numeri 1 e 3 dell’art. 96, comma 2, l.fall.; operazione che se non altro confliggerebbe con la tesi della natura eccezionale dell’istituto dell’ammissione con riserva, in quanto derogatorio rispetto al principio dell’esclusività dell’accertamento del passivo ex art. 52 l.fall.
D’altro canto, e più in generale, occorre evitare che l’ammissione con riserva si tramuti in una ‘riserva di ammissione’, trattandosi di una peculiare forma di partecipazione al concorso formale che spiega rilevanti effetti anche sul piano del concorso sostanziale, in quanto attribuisce un particolare statuto, che comporta una serie di diritti (accantonamenti, partecipazione al voto nel concordato fallimentare ecc.), giustificato solo se fondato su elementi solidi (come appunto una sentenza di primo grado, o dei documenti che devono essere prodotti, o un diritto già esistente ma sottoposto a condizione) e non già su un’ipotesi di esito vittorioso di un giudizio non ancora pervenuto alla decisione di primo grado.
6.5. – Le Sezioni unite, pur non essendo state ancora chiamate a pronunciarsi sul contrasto tra i due orientamenti qui in disamina, hanno di recente avuto occasione di tenerne conto, adombrando la natura ‘più concessiva’ del primo e la maggiore aderenza de l secondo al principio di esclusività dell’accertamento del passivo, di cui ha accuratamente tratteggiato la valenza pubblicistica (Cass. Sez. U, 5694/2023).
In particolare, il massimo organo nomofilattico ha osservato che «in generale, il credito è concorsuale se si fonda su fatto genetico anteriore al fallimento, ai sensi dell’art. 1173 c.c. e però esibisce, nel confronto con gli altri creditori, propri requisiti di ammissione all’esecuzione, restandone esclusi, secondo i principi di sbarramento di cui agli artt. 42 co.1, 44 co. 1, 45 l.f. (tutti richiamati per le LCA dall’art. 200 l.f.), crediti imperniati su titoli postumi », sicché tali « norme mirano ‘ ad assicurare la completa cristallizzazione del patrimonio del fallito, preservandolo da pretese di soggetti che vantino titoli formatisi dopo la sentenza dichiarativa di fallimento ed impedendo che altre ne siano fatte valere, nel concorso fallimentare,
rispetto a quelle facenti parte del suddetto patrimonio alla data della medesima dichiarazione’ (Cass. 19025/2013)».
Di qui il rilievo per cui «coerentemente Cass. 3953/2016 ha precisato che, a loro volta e pur in un indirizzo più concessivo, ‘ le pretese, accessorie, di restituzione e risarcimento del danno devono necessariamente procedere, previa separazione dalle prime , nelle forme degli art. 93 e ss. l.fall., in quanto assoggettate alla regola del concorso e non suscettibili di sopravvivere in sede ordinaria’ ».
In prosieguo, però, le stesse Sezioni unite hanno evidenziato che l’improcedibilità delle azioni cognitive in corso in sedi diverse da quella concorsuale è « l’effetto diretto della esclusività dell’accertamento del passivo avanti al giudice della procedura, secondo regole esprimenti la scelta di uno specifico procedimento, cioè di un rito più che di una competenza dell’organo », tanto che la pronuncia di improcedibilità non è assoggettabile a regolamento di competenza (Cass. 21669/2013, Cass. 9030/2014, 15383/2014), aggiungendo che «ciò spiega come la menzionata valenza pubblicistica del principio sia sottesa all’indirizzo per il quale la questione concernente l’autorità giudiziaria dinanzi a cui va introdotta una pretesa creditoria nei confronti di un debitore assoggettato a fallimen to ‘ è rilevabile in ogni stato e grado, ed anche oltre i limiti temporali stabiliti con riferimento al rilievo dell’incompetenza’ (Cass. 5063/2008, 10485/2011; 24156/2018 vi ravvisa una exceptio litis ingressus impedientes ) e dunque va esaminata prima di ogni altra (Cass. 16867/2011), conseguendone inammissibilità o improcedibilità a seconda che il fallimento sia stato dichiarato prima della domanda o nel corso del giudizio».
La conclusione è che « l’oggetto della pronuncia più coerentemente può abbracciare, oltre alle domande di condanna (incompatibili ex se alla formazione di un titolo in sede extraconcorsuale), anche quelle di accertamento e che per ò siano strettamente funzionali ad una successiva insinuazione al passivo (cos ì, anche per ‘ la domanda di risoluzione che costituisca antecedente logico-giuridico della domanda di risarcimento o restituzione’ , Cass. 2990/2020)».
6.6. Le considerazioni del supremo consesso trovano eco nella chiosa dottrinale per cui «consentire la proposizione della domanda pregiudiziale nella sede speciale ad ogni effetto, in modo tale che sia il giudice delegato a realizzare la modificazione giuridica a cui è diretta (Cass. nn. 2990 e 2991 del 2020), realizza nel più alto grado il c.d. concorso formale e la concentrazione del processo».
Ed anche nella giurisprudenza di merito si è registrato un radicamento dell’indirizzo nomofilattico del 2020, forse grazie anche al suo recepimento -a testo invariato -nella relazione al Codice della crisi (come visto sub 4.5).
Nondimeno, quell’indirizzo ha rivelato alcune difficoltà applicative in fattispecie particolari. Come quella, qui scrutinata, in cui viene in rilievo una domanda di restituzione di beni immobili, con le implicazioni sul relativo regime di circolazione (per vero già risolte, nella prassi, dai giudici di merito: v. Trib. Verona 3 febbraio 2023).
Ma soprattutto, quella in cui pendano contrapposte domande di risoluzione cd. ‘incrociate’, oggetto del ricorso di cui è stata disposta la trattazione unitaria con quello in esame.
Di queste criticità e delle soluzioni possibili si dirà oltre.
7 . – Una soluzione di ‘terza via’?
Preme al Collegio rimettente segnalare che nel frattempo è emersa, nella giurisprudenza di legittimità, una ulteriore linea esegetica, in certo qual modo ‘intermedia’ tra quelle sopra riepilogate.
7.1. -Difatti, in una pronuncia di questa sezione (Cass. 5368/2022) si è precisato che tra i due indirizzi del 2016 e del 2020 vi sarebbe solo una ‘parziale dissonanza’, poiché, «anche in base al primo degli orientamenti citati, è del tutto pacifico che deve essere sempre e comunque esaminata e decisa dal giudice fallimentare la domanda di risoluzione che, non trascritta, costituisca l’antecedente logico-giuridico della domanda di risarcimento o restituzione». E dunque, «in sostanza la divergenza tra i due orientamenti viene in questione solo ove si tratti di domanda di risoluzione trascritta prima del fallimento, in relazione alla possibilità di prosecuzione del giudizio di risoluzione nella sede propria anziché -come affermato dall’indirizzo più recente – in quella di verifica dei crediti».
Nella fattispecie concreta lì esaminata, la Corte, rilevato che la domanda di risoluzione di una cessione di ramo d’azienda «(a) non era stata trascritta; (b) non era stata formulata per conseguire finalità estranee alla partecipazione al concorso», ha ritenuto che il tribunale, in sede di opposizione ex art. 98 l.fall., lungi dal limitarsi a rigettare, a causa della mancata trascrizione della domanda di risoluzione, le conseguenti pretese restitutorie e risarcitorie insinuate dalla cessionaria, avrebbe dovuto esaminare quella domanda, «siccome trasferita nella sede di verifica dei crediti, per modo da stabilirne il fondamento ai limitati effetti dell’insinuazione»; ed ha altresì ritenuto irrilevante, in quanto ‘assolutamente neutra’, la circostanza che il creditore avesse «ritenuto di proseguire il giudizio anche nella sede ordinaria».
Pertanto, secondo questa interpretazione di ‘terza via’ dell’art. 72, comma 5, l.fall., la domanda pregiudiziale di risoluzione che non sia ‘autonoma’ (cioè formulata per conseguire finalità estranee alla partecipazione al concorso, come la liberazione della parte in bonis dagli obblighi contrattuali o l’escussione di una garanzia di terzi), ma costituisca l’antecedente logico-giuridico delle domande accessorie di risarcimento o restituzione, se ‘quesita’ in sede di cognizione ordinaria prima del fallimento del debitore, deve essere necessariamente trasferita e decisa nella sede dell’accertamento del passivo -anche alla luce dei principi di specializzazione, concentrazione e speditezza sottesi agli artt. 24 e 52 l.fall. -sia pure ai limitati effetti dell’i nsinuazione, e dunque anche se quella stessa domanda continui ad essere coltivata (evidentemente ad altri fini) nella sede ordinaria originariamente adita.
7.2. -Siffatta lettura è stata di recente condivisa in una pronuncia della seconda sezione civile (Cass. 25393/2023, che ha confermato la decisione della corte d’appello di dichiarare improcedibile in sede ordinaria la domanda volta ad ottenere, ‘con’ la pronuncia di risoluzione di un contratto di fornitura di beni mobili, anche la restituzione delle somme versate ed il risarcimento del danno, in quanto da proporre interamente in sede fallimentare).
7.3. -In questa prospettiva (ancorata all’inciso «fatta salva, nei casi previsti, l’efficacia della trascrizione della domanda » ), l’art. 72, comma 5, l.fall. conterrebbe una regola e un’eccezione.
La regola sarebbe la competenza esclusiva del giudice fallimentare ad esaminare incidentalmente, per gli effetti endofallimentari, la domanda di risoluzione pregiudiziale che costituisca l’antecedente logico-giuridico delle domande restitutorie e risarcitorie azionate (ed azionabili solo) secondo il rito dell’accertamento del passivo.
L’eccezione sarebbe costituita dall’ipotesi in cui quella domanda sia stata non solo proposta, ma anche trascritta (ovviamente, laddove previsto) prima del fallimento, nel qual caso gli effetti prenotativi della domanda comporterebbero il permanere della competenza del giudice ordinario sulla sola domanda pregiudiziale di risoluzione, e la separazione, da questa, delle domande accessorie di restituzione e risarcimento, da proporre invece, necessariamente, dinanzi al giudice fallimentare, nelle forme dell’ac certamento del passivo.
A tale ipotesi si affiancherebbe -con conferma della persistente competenza del giudice ordinario -quella in cui la domanda di risoluzione, sebbene quesita e non trascritta prima del fallimento, sia proposta per conseguire finalità estranee alla partecipazione al concorso (come ad es. la liberazione della parte in bonis dagli obblighi contrattuali o l’escussione di una garanzia di terzi).
Resterebbe in predicato l’ipotesi della domanda di risoluzione che, pur trascrivibile, sia stata quesita ma non trascritta ante fallimento.
In tal caso verrebbe meno la ragione di deroga alla ‘ vis attractiva fallimentare’ fondata sugli effetti prenotativi della domanda, e si potrebbe anche ipotizzare una pronuncia volutamente limitata ai soli effetti restitutori e risarcitori endofallimentari.
La tesi, che ha il pregio di intercettare, partendo dalla specifica regula iuris dettata dall’art. 72, comma 5, l.fall., la base comune condivisa in tutte le pronunce, al di là dei diversi sviluppi che ne gemmano -e cioè, come visto, « che deve essere sempre e comunque esaminata e decisa dal giudice fallimentare la domanda di risoluzione che, non trascritta, costituisca l’antecedente logicogiuridico della domanda di risarcimento o restituzione » -soffre,
laddove la domanda sia stata trascritta, di tutte le questioni di cui si è dato conto, senza offrire spunti di soluzione sulle problematiche connesse alle fattispecie particolari di cui si è detto sopra (v. sub 6.5), alle quali può aggiungersi il tema dell’eve ntuale litisconsorzio con terzi estranei alla procedura fallimentare.
7.4. -V’è da dire che il Collegio nutre qualche perplessità sulla soluzione di trattare diversamente -ai fini dell’attrazione nella competenza fallimentare, con la precisazione che, a rigore, non si tratta di una questione di competenza del foro fallimentare ex art. 24 l.fall., non derivando l’azione dal fallimento, bensì di una questione di rito, ex artt. 52 e 92 ss. l.fall. (v. Cass. 20131/2005, 7129/2011, 24363/2017, 16443/2018) -le domande di risoluzione che siano state comunque ‘quesite’ prima del fallime nto, e cioè proprio la categoria di domande unitariamente considerata dal quinto comma dell’art. 72 l.fall. , a seconda che, in ragione del loro oggetto, esse siano state o meno (anche) trascritte prima del fallimento.
Sembra piuttosto che l’inciso « fatta salva, nei casi previsti, l’efficacia della trascrizione della domanda» contenuto nella norma abbia non già lo scopo di sottrarre al rito dell’accertamento del passivo (per mantenerle nella sede di cognizione ordinaria) le domande trascritte, bensì quello di escludere -più radicalmente -che in sede fallimentare possano essere fatte valere pretese restitutore o risarcitorie dipendenti da domande di risoluzione trascrivibili, ma non trascritte, prima del fallimento; e ciò in forza del regime di inopponibilità sancito dall’art. 45 l.fall.
E’ pur vero che nella giurisprudenza di questa Corte si trova costantemente affermato -in forza dei principi di intangibilità dell’attivo e cristallizzazione del passivo fallimentare, della par condicio creditorum e della facoltà del curatore di sciogliersi dai rapporti pendenti ex artt. 72 ss. l.fall. -che la condizione affinché possano essere azionati in sede fallimentare crediti (o diritti reali o personali sui beni) che trovino titolo in una pronuncia giudiziale costitutiva, ex art. 2908 c.c., è che la relativa domanda sia stata proposta -e se del caso anche trascritta -prima della sentenza dichiarativa di fallimento (Cass. Sez. U, 12476/2020, 30416/2018;
Cass. 10294/2018, 22280/2017), proprio come indicato nella prima parte dell’art. 72, comma 5, l.fall.
Ma è anche vero che posizioni critiche in dottrina segnalano l’insussistenza di « valide ragioni per negare al terzo incolpevole (perché viene ad essere pregiudicato da un evento al quale è estraneo, come la dichiarazione di insolvenza) la tutela che il codice civile gli accorda; e, in particolare, per negare che, nell’esecuzione concorsuale, il conflitto tra il terzo pretendente (come ad esempio è il dante causa dell’imprenditore sulla base di un titolo impugnabile) e i creditori concorrenti (creditori dell’imprenditore-avente causa) sia disciplinato dalle ordinarie regole apprestate dal codice civile per dirimere il conflitto tra il terzo pretendente e il subacquirente dall’avente causa, alla cui posizione, ex art. 2915, comma 2, c.c., è parificata quella del creditore pignorante e degli intervenuti nell’esecuzione individuale contro il debitore », posto che nemmeno la tutela per equivalente potrebbe risultare rimedio sufficiente, stante il concorso sostanziale con gli altri creditori.
In ogni caso, l’effetto prenotativo, di per sé, consiste solo nel fatto che le sentenze che accolgono le domande di risoluzione aventi ad oggetto i diritti immobiliari menzionati nell’art. 2643 c.c. «non pregiudicano i diritti acquistati dai terzi in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda» (art. 2652, comma 1, n. 1, c.c.) -principio richiamato dall’art. 2690 comma 1, n. 1, c.c. per le domande di risoluzione aventi ad oggetto i diritti sui beni mobili registrati ex art. 2684 c.c. -sicché la ratio è tutelare l’attore rispetto a diritti acquisiti dai terzi dopo la trascrizione della domanda, e non porre una regola processuale distributiva della competenza tra giudice ordinario e fallimentare.
In questa direzione si è detto, in dottrina, che la trascrizione tempestiva della domanda vale a «prenotare gli effetti sostanziali della futura risoluzione, se la domanda verrà accolta; ma questo nulla ha a che vedere con il rito nell’ambito del quale la domanda deve essere decisa, una volta dichiarato il fallimento».
E dunque, sarebbe proprio l’assenza di una regola processuale analoga a quella posta -in tesi -nell’art. 72, comma 5 l.fall. a non consentire di ricorrere alle diverse conclusioni tratte in ordine
all’effetto prenotativo della domanda ex art. 2932 c.c.; la quale, se trascritta prima del fallimento, preclude al curatore fallimentare del promittente venditore di sciogliersi dal contratto preliminare, sempre che la domanda del promissario acquirente sia poi accolta con sentenza, la cui trascrizione, a norma dell’art. 2652 n. 2, c.c., prevale, appunto, sull’iscrizione della sentenza di fallimento nel registro delle imprese ed è quindi opponibile alla massa dei creditori, impedendo l’acquisizione del bene (Cass. Sez. U, 18131/2015, 12505/2004; Cass. 13786/2018; si veda ora l’art. 173, comma 1, CCII, che oltre a recepire tali criteri di matrice giurisprudenziale in tema di domanda ex art. 2932 c.c. del promissario acquirente di immobile, ha altresì regolamentato l’esercizio del potere sostanziale di scioglimento del curatore).
7.5. – A testimonianza del disorientamento ingeneratosi sul tema, si segnala altra recente pronuncia della seconda sezione civile (Cass. 17777/2023) -resa in una fattispecie di procedura d’insolvenza transfrontaliera disciplinata dal Reg. 1346/2000 CE, avente ad oggetto le pretese restitutorie e risarcitorie derivanti dalla risoluzione del contratto di vendita di un’imbarcazione pe r inadempimento della venditrice, dichiarata fallita in Germania -in cui la Corte, dopo aver ritenuto proseguibile l’intero giudizio in sede ordinaria, in applicazione, ex art. 4 Reg. cit., della legge tedesca di apertura della procedura (che non contempla un accertamento endofallimentare dei crediti), ha comunque affermato -nella diversa prospettiva dell’ordinamento interno di condividere appieno l’orientamento del 2020 sulla competenza funzionale assorbente del giudice fallimentare, ma ha poi concluso, sul rilievo che la domanda di risoluzione era stata proposta dall’acquirente anche per ottenere la liberazione dagli obblighi assunti con il contratto di compravendita, che il giudice ordinario avrebbe dovuto «separare le pretese risarcitorie e restitutorie, affidate alla competenza del giudice fallimentare in applicazione dell’art. 24 L. Fall., dalla domanda di risoluzione del contratto per grave inadempimento della società venditrice, che avrebbe invece potuto e dovuto esaminare»; e così ha finito per aderire (sia pure per gli interessi extraconcorsuali considerati anche in quell’orientamento) alla diversa tesi della separazione processuale, escludendo che il giudice fallimentare
potesse esaminare anche la domanda di risoluzione presupposta dalle pretese risarcitorie e restitutorie.
8 . – La giurisprudenza della sezione lavoro
Un contributo di riflessione può provenire dalla giurisprudenza della Sezione Lavoro, maturata per lo più nei casi di amministrazione straordinaria o liquidazione coatta amministrativa del datore di lavoro, ma anche in fattispecie di accertamento dei crediti di lavoro in sede fallimentare, seppure con percorsi argomentativi diversi da quelli da ultimo esaminati, non essendovi lì problematiche collegate alla trascrizione della domanda di risoluzione.
8.1. – In detta sezione, ove è da tempo emersa la distinzione tra le domande che mirano a pronunce di mero accertamento, o costitutive (ad esempio, domanda di annullamento del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro) -da un lato- e domande dirette alla condanna al pagamento di somme di denaro, «anche se accompagnate da domande di accertamento o costitutive aventi funzione strumentale» dall’altro – si è affermato che solo per le prime va «riconosciuta la perdurante competenza del giudice del lavoro, mentre per le seconde opera la regola della improcedibilità o improseguibilità della domanda», in caso di amministrazione straordinaria, ovvero l’attrazione al rito di accertamento del passivo, in caso di fallimento (Cass. 11123/2019, che lo declina come «il più recente orientamento di questa Corte», evocando Cass. 15066/2017, 19271/2013; v. anche in senso conf. Cass. 13877/2004, 7990/2018).
8.2. – In particolare, merita menzione, per l’ampia base argomentativa, la pronuncia di Cass. 16443/2018, in tema di tutela non già reintegratoria, bensì risarcitoria (nel regime introdotto dall’art. 18, l. 300/1970, come novellato dall’art. 1, comma 42, l. 92/2012 – cd. “legge Fornero”) da licenziamento illegittimo.
Nell’individuare il discrimen tra le «due cognizioni specialistiche» del giudice del lavoro, quale ‘giudice del rapporto’, e del giudice fallimentare, quale ‘giudice del concorso’ (Cass. 24363/2017, 1646/2018, 7990/2018), la Corte ha attribuito al primo la cognizione di ogni controversia avente ad oggetto lo status del lavoratore (artt.
4, 35, 36 e 37 Cost.) -e ciò «per effetto dell’esercizio di azioni sia di accertamento mero, come in particolare di esistenza del rapporto di lavoro (Cass. 3151/1994, 8708/1999, 11439/2004) o di riconoscimento della qualifica della prestazione (Cass. 18557/2009, 23418/2017), ovvero di azioni costitutive, principalmente di impugnazione del licenziamento (Cass. 2411/2010), anche quando comprensive della domanda di condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro (Cass. 3129/2003, 4051/2004, 4547/2009, 19308/2016), pure qualora conseguente all’accertamento di nullità, invalidità o inefficacia di atti di cessione di ramo d’azienda, in funzione del ripristino del rapporto di lavoro con la parte cedente, in caso di fallimento della cessionaria (Cass. 1646/2018)» -ed al secondo «l’accertamento, con la relativa qualificazione, dei diritti di credito dipendenti dal rapporto di lavoro, in funzione della partecipazione al concorso».
Al riguardo ha aggiunto: «È noto, oltre che indiscusso, come l’unico titolo idoneo per l’ammissione allo stato passivo e per il riconoscimento di eventuali diritti di prelazione sia costituito dall’accertamento del giudice fallimentare (Cass. 3151/1994, 19248/2007, 21204/2017), anche eventualmente in conseguenza di domande di accertamento o costitutive in funzione strumentale (Cass. 19271/2013). Tale riserva di cognizione deriva dal principio di esclusività del giudizio di verifica dello stato passivo (…) E ‘ bene però avere chiaro il limite di efficacia esclusivamente endoconcorsuale dell’accertamento di stato passivo fallimentare, a norma dell’art. 96, ult. comma l.fall.» (conf. Cass. 1646/2018).
Ha infine ribadito, sotto il profilo del petitum , che «la distinzione è posta tra domande del lavoratore miranti a pronunce di mero accertamento oppure costitutive (come più sopra illustrato), rientranti nella cognizione del giudice del lavoro, o piuttosto dirette alla realizzazione di diritti di credito a contenuto patrimoniale, anche se accompagnate da domande di accertamento o costitutive aventi funzione strumentale, nella cognizione del giudice fallimentare (Cass. 19271/2013, 24363/2017)».
8.3. – Nondimeno, vi sono altre pronunce della stessa sezione che, in ragione della «natura dei diritti di cui si chiede tutela, i quali
hanno una prioritaria dimensione non patrimoniale confermata dalla protezione accordata agli stessi dalle norme costituzionali», e della necessità di garantire un rapido scrutinio secondo il rito del lavoro, affermano la competenza funzionale del giudice del lavoro, in luogo del giudice fallimentare, quando «la domanda proposta non è configurabile solo come mero strumento di diritti patrimoniali da far valere sul patrimonio del fallito, ma si fonda anche sull’interesse del lavoratore a tutelare la sua posizione all’interno della impresa fallita, sia per l’eventualità della ripresa dell’attività lavorativa (conseguente all’esercizio provvisorio ovvero alla cessione dell’azienda, o a un concordato fallimentare), sia per tutelare i connessi diritti non patrimoniali, ed i diritti previdenziali, estranei all’esigenza della “par condicio creditorum”» (Cass. 23418/2017 su domanda di accertamento della qualifica lavorativa; v. Cass. 18557/2009, 3129/2003, 3740/1986 su esistenza, corretta qualificazione e validità della cessazione del rapporto di lavoro).
8.4. – Di recente si è tornato a dire che, «nel riparto di competenza tra il giudice del lavoro e quello del fallimento, qualora difetti un interesse del lavoratore alla tutela della propria posizione all’interno dell’impresa e sia domandato un accertamento del diritto di credito risarcitorio, in via strumentale alla partecipazione al concorso nella procedura, la cognizione spetta al giudice fallimentare» (Cass. 30512/2021, che ha dichiarato improseguibile davanti al giudice del lavoro la domanda di un dirigente che, a seguito del licenziamento, aveva agito rivendicando la sola tutela risarcitoria nei confronti dell’impresa, fallita in corso di causa).
9 . – La tipicità del giudizio di verifica del passivo
Non vi è dubbio che la funzione del rito disciplinato dagli artt. 52 e 92 ss. l.fall. sia far emergere il più rapidamente possibile un quadro stabile ed esaustivo del passivo fallimentare, tendenzialmente in un unico contesto giudiziale informato ai criteri di concentrazione, speditezza ed economia processuale, la cui principale peculiarità è la partecipazione dialettica degli interessati (cd. ‘contraddittorio incrociato’), ciascuno dei quali può interloquire sulle domande altrui ed impugnare le relative decisioni (artt. 98 e 99 l.fall.).
Sennonché, in quel procedimento possono essere fatti valere solo crediti (con domande di ammissione al passivo di somme di denaro) e diritti personali o reali sui beni mobili o immobili acquisiti all’attivo (con domande rispettivamente di restituzione o rivendicazione). E dunque, ove que lle pretese ‘tipiche’ dipendano dalla validità o efficacia del rapporto su cui si fondano (es. nullità) è predicabile la cognizione del giudice fallimentare incidenter tantum (art. 34 c.p.c.); ove invece presuppongano un accertamento costitutivo, ex art. 2908 c.c. (es. risoluzione ex art. 1453 c.c.), la soluzione dipende dalla esistenza o meno di una norma specifica che renda ammissibile la cognizione costitutiva incidentale.
Norma che, quanto all’azione di risoluzione per inadempimento, è stata come visto individuata -in tesi -nell’art. 72, comma 5 l.fall.
Maggiori problemi si pongono ovviamente per le pretese ‘atipiche’.
9.1. – Di recente le Sezioni unite (Cass. Sez. U, 8557/2023) hanno disatteso l’orientamento che canalizzava nel procedimento di accertamento del passivo anche le domande di partecipazione al riparto proposte dai titolari di diritti di ipoteca o pegno sui beni compresi nel fallimento, costituiti in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi dal fallito (Cass. 2657/2019) -orientamento invece recepito nell’art. 201 CCII, che ha così allargato il perimetro di quel giudizio -affermando in particolare, per quel che rileva:
che il reclamo ex art. 110, comma 3, l.fall. proponibile dal titolare del diritto e dagli altri interessati in sede di riparto «può avere ad oggetto l’esistenza, la validità e l’opponibilità al fallimento della garanzia reale, avendo anche riguardo alla sua revocabilità, oltre che l’ an e il quantum del debito garantito», sebbene esso non sia un debito del fallito, ma di un terzo estraneo alla procedura;
ii) che «l’accertamento delle somme effettivamente spettanti al creditore garantito in sede distributiva non richiede la partecipazione al giudizio del debitore, la cui obbligazione è garantita da ipoteca o da pegno ricompresi nell’attivo del fallimento, in quanto tale accertamento ha un valore endoconcorsuale e, come tale, non è opponibile al detto debitore, rimasto estraneo al procedimento fallimentare».
E dunque -prescindendo dalla specifica sede procedimentale -hanno sancito che la cognizione del giudice fallimentare può essere estesa oltre l’ambito tipico dei diritti di credito verso il fallito e dei diritti reali o personali sui beni acquisiti all’at tivo fallimentare, investendo addirittura posizioni soggettive di terzi estranei alla procedura, la cui partecipazione al giudizio, peraltro, non è ritenuta necessaria, in ragione della natura meramente endoconcorsuale dell’accertamento (cd. giudicato endo fallimentare), che pertanto si ammette possa entrare in contrasto con un diverso giudicato formatosi in sede di cognizione ordinaria. Hanno invece mantenuta ferma la tutela del diritto al contraddittorio degli altri creditori e terzi titolari di diritti verso la massa (cd. contraddittorio incrociato).
Questa soluzione può essere indicativa ai fini che ne occupano.
Solo per completezza si aggiunge che il perimetro del giudizio di accertamento del passivo è stato ulteriormente dilatato nel Codice della crisi e dell’insolvenza.
Invero, l’art. 173, comma 3, CCII, con riguardo ai contratti preliminari relativi a particolari categorie di immobili esentati da scioglimento (gli effetti della cui trascrizione non siano cessati), legittima il promissario acquirente a chiederne «l’esecuzione nei termini e secondo le modalità stabilite per la presentazione delle domande di accertamento dei diritti dei terzi sui beni compresi nella procedura», così dischiudendo apparentemente quel procedimento all’esercizio di una domanda di carattere costi tutivo, quale è quella ex art. 2932 c.c.
Peraltro, il recente correttivo ha precisato che, «con l’accoglimento della domanda, il curatore subentra nel contratto» ed ha aggiunto (comma 3-bis) la facoltà per il creditore ipotecario di «contestare, con l’impugnazione di cui all’articolo 206, comma 3 , la congruit à del prezzo pattuito dimostrando che, al momento della stipula del contratto, il valore di mercato del bene era superiore a quello pattuito di almeno un quarto. Se la non congruit à del prezzo è accertata, il contratto si scioglie e si procede alla liquidazione del bene salvo che il promissario acquirente non esegua il pagamento della differenza prima che il collegio provveda sull’impugnazione ai sensi dell’articolo 207, comma 13».
Va anche detto che l’art. 173, comma 1, CCII dettato per l’ipotesi in cui la domanda ex art. 2932 c.c. sia stata proposta e trascritta in sede ordinaria prima dell’apertura della liquidazione giudiziale, sembra confermare che essa resti in quella sede (come affermato nel vigore della legge fallimentare da Cass. Sez. U, 18131/2015).
9.2. – E’ indubbio che la tipicità del giudizio di accertamento del passivo lo renda poco permeabile ad ospitare pretese diverse.
E’ stato portato all’attenzione di questa Corte il caso in cui le parti di un contratto ne abbiano chiesto reciprocamente la risoluzione per inadempimento, e, dopo il fallimento di una di esse, anche il curatore fallimentare intenda proseguirla.
Di regola, in simili evenienze viene propugnato il simultanues processus , ai fini della valutazione del comportamento complessivo delle parti (Cass. 28325/2023: « Nei contratti con prestazioni corrispettive, in caso di denuncia di inadempienze reciproche, è necessario comparare il comportamento di entrambe le parti … qualora una delle parti adduca, a giustificazione della propria inadempienza, l’inadempimento o la mancata offerta di adempimento dell’altra, il giudice dev e procedere alla valutazione comparativa dei comportamenti, tenendo conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche e soprattutto dei rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della incidenza di queste sulla funzione economico-sociale del contratto »; cfr. Cass. 3273/2020, 13827/2019, 13840/2010).
Sul punto giova ricordare che, in effetti, la Consulta ha chiarito che l’esigenza del simultaneus processus «non è elevata a regola costituzionale», mostrando una natura di «mero espediente processuale finalizzato (ove possibile) all’economia dei giudizi ed alla prevenzione del pericolo di giudicati contraddittori» (Corte Cost., ord. n. 124 del 25 marzo 2005).
Ora, se è vero che l’idea di realizzare quel simultanues processus in sede concorsuale (consentendo al giudice fallimentare di decidere anche la domanda di risoluzione proposta dal curatore fallimentare) si scontra con la ridetta tipicità del procedimento di accertamento del passivo, è altrettanto vero che, viceversa, l’ esportazione della
domanda di risoluzione del soggetto in bonis in sede ordinaria vulnera (più gravemente) il diritto al contraddittorio degli altri creditori concorsuali, proprio perché su di essa si fondano le pretese restitutorie e risarcitorie da azionare in sede fallimentare.
La questione è di mero rito, poiché tanto il giudice civile quanto il giudice fallimentare appartengono allo stesso ordine e sono parimenti competenti, sicché in astratto -sul piano della tutela dei diritti nel processo -l’interesse del curatore fallimen tare a disporre in sede ordinaria anche del grado di appello (privo di copertura costituzionale) appare certamente recessivo rispetto al diritto dei creditori concorsuali al dispiegarsi del cd. contraddittorio incrociato (come visto espressione del principio del giusto processo).
Nella dottrina processualistica, vi è chi suggerisce il ricorso all’istituto della continenza di cause ex art. 39, comma 2, c.p.c., in base al quale il giudice ordinario preventivamente adito, non essendo competente sulla domanda di ammissione al passivo, deve fissare un termine per la sua riassunzione dinanzi al giudice fallimentare; e chi propugna l’applicabilità delle norme in tema di connessione nella pendenza di due giudizi, evidentemente connessi (art. 40 c.p.c.). Sul punto va considerato che il d.lgs. n. 169/2007 ha abrogato il secondo comma aggiunto nell’art. 24 l.fall. dal d.lgs. n. 5/2006, nel quale si affermava l’inapplicabilità dell’art. 40, comma 3, c.p.c. ai giudizi attratti nella competenza del tribunale fallimentare, quasi a voler sottolinear e l’autonomia e la specialità del sistema concorsuale anche a livello processuale.
In ogni caso, è evidente che nelle ipotesi indagate una delle cause connesse è soggetta ad un rito speciale, ancorato ad una competenza esclusiva (Cass. 27487/2011; cfr. Cass. 9787/2022, per cui « l’art.52, comma 2, l.fall. stabilisce, in effetti, il principio per cui, in caso di fallimento del debitore, il giudizio di verificazione, fatti salvi i casi previsti dalla legge, è l’unico strumento processuale utilizzabile per ottenere l’accertamento, con effetti opponibili alla procedura fallimentare, del diritto di credito asseritamente maturato nei confronti di quest’ultimo »).
Peraltro, la tipicità in parola preclude la decisione del giudice fallimentare sulla domanda di risoluzione del curatore, ma non
esclude che, in sede di esame della domanda della parte in bonis , ne consideri i presupposti, proprio ai fini di quella valutazione complessiva del comportamento delle parti di cui si è detto.
In altri termini, se la domanda riconvenzionale del curatore non è ammissibile, lo è invece l’eccezione riconvenzionale.
E dunque, solo quando il curatore intenda far valere pretese autonome, esorbitanti dall’intento di paralizzare le pretese risarcitorie o restitutorie azionate in sede fallimentare -sulla base di contrapposta domanda di risoluzione per inadempimento -la domanda va proposta (o deve rimanere) avanti il giudice ordinario.
9.3. – In tal caso, non essendo possibile il simultaneus processus , il rischio del conflitto tra giudicati può essere neutralizzato con la sospensione ex art. 295 c.p.c. che però, come visto, non può investire il giudizio fallimentare, ma il giudizio ordinario in cui il curatore fallimentare è attore.
Del resto, che si tratti di problematica legata solo alla specialità del nuovo rito di accertamento del passivo, riformato dal 2006, si evince dal fatto che per lungo tempo la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che, in caso di domanda riconvenzionale del soggetto convenuto dal curatore dinanzi al giudice ordinario, l’intera cognizione sul rapporto va devoluta al tribunale fallimentare (cfr. Cass. 11021/1992, 3068/1997, 13944/1999, 9801/2000; diff. Cass. 6475/2003).
Nel 2004, le Sezioni unite hanno predicato la separazione della domanda del curatore (da coltivare in sede ordinaria) dalla domanda riconvenzionale del creditore (da proporre in sede fallimentare) auspicando però, dopo la fase sommaria della verifica e l’i nstaurazione del giudizio ordinario (in sede di opposizione o di domanda tardiva), la trattazione unitaria dei due giudizi, se possibile in sede fallimentare, o, diversamente, con la sospensione ex art. 295 cpc del giudizio ordinario (Cass. Sez. U, 21499/2004; cfr. Cass. 21500/2004, 453/2005, 17749/2009, 73/2010).
Successivamente, nelle pronunce rese dal 2005 al 2011 si afferma: i) l’autonomia in astratto dei due giudizi; ii) la possibilità di un accertamento incidentale nel giudizio di opposizione allo stato
passivo, anche nei confronti del terzo; iii) la possibilità di un simultaneus processus in sede fallimentare; iv) in caso di competenza inderogabile, per evitare il contrasto di giudicati, la sospensione ex art. 295 c.p.c. del giudizio ordinario (cfr. Cass., 9170/2005, 11850/2007, 7967/2008, 28442/2011).
Negli arresti tra il 2011 e 2017 si afferma invece che i due giudizi devono seguire strade distinte, poiché il principio del simultaneus processus non è assoluto, ma incontra il limite del rito speciale (cfr. Cass. 24847/2011, 28833/2017).
Anche di recente si è ribadita la tesi della prosecuzione parallela dei giudizi, escludendosi la sospensione ex art. 295 c.p.c. del giudizio di opposizione al passivo «in quanto in sede di verifica del passivo il curatore può eccepire i fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto fatto valere dal creditore» (Cass. 3804/2022 cit.).
9.4. -In via alternativa alla sospensione ex art. 295 c.p.c. può anche escludersi la stessa configurabilità di un conflitto tra giudicati, stante la natura endoconcorsuale della decisione assunta in sede fallimentare, ferma restando la possibilità di una compen sazione, ex art. 56 l.fall., fino a concorrenza tra l’eventuale credito del curatore accertato dal giudice ordinario e quello del contraente in bonis accertato dal giudice fallimentare (Cass. 11155/2024; cfr. ex multis , Cass. 882/1975, 12537/1992).
In effetti, la produzione giurisprudenziale di questa sezione è monolitica nell’escludere la possibilità di un contrasto di giudicati tra l’ammissione di crediti al passivo fallimentare, stabilizzata dal giudicato endofallimentare, e le azioni spiegate dalla curatela in sede ordinaria, anche per l’accertamento della invalidità del medesimo titolo contrattuale (cfr. Cass. 11155/2024, 4632/2023, 11808/2022, 27709/2020, 25640/2017, 19940/2006).
In particolare, in Cass. 8010/2022 si legge: « costituisce approdo sostanzialmente indiscusso della giurisprudenza formatasi sul tema (v. ex aliis Cass. n. 25640-17), nel senso che l’efficacia preclusiva attribuibile al decreto e alle decisioni assunte nell’ambito anzidetto osta al riesame delle sottostanti questioni inerenti all’esistenza alla natura e all’entità dei crediti nella sola sede fallimentare, e non ha
un’efficacia di vincolo positivo in ordine alle questioni comuni ad altra eventuale controversia tra le stesse parti, pur vertente sul medesimo rapporto giuridico. In altre parole, come anche ribadito da ultimo, l’ammissione di un credito allo stato passivo non fa stato fra le parti fuori dal fallimento, poiché il cd. giudicato endofallimentare, ai sensi dell’art. 96, sesto comma, legge fall., copre solo la statuizione di rigetto o di accoglimento della domanda di ammissione, precludendone il riesame (v. Cass. n. 27709-20, che ha giustappunto cassato, in base a tale principio, la sentenza d’appello che aveva valorizzato alla stregua di giudicato gli esiti del giudizio di verifica dei crediti dinanzi al giudice delegato al fallimento nell’ambito di un distinto giudizio ordinario di risoluzione di un contratto di leasing, intrapreso dalla curatela) ».
Ed anche più di recente, in Cass. 11155/2024 v’è stata occasione di richiamare « i precedenti di questa Corte, evocati dalla Procura generale, nei quali è stato escluso il possibile contrasto di giudicati tra l’ammissione di crediti al passivo fallimentare, stabilizzata dal giudicato endofallimentare, e le azioni spiegate dalla curatela in sede ordinaria per l’accertamento della invalidità del medesimo titolo contrattuale (cfr. Cass. 11808/2022, 8010/2022, 27709/2020, in quest’ultimo caso con la chiosa che il giudicato endofallimentare «non si estende alle eventuali pretese vantate dal curatore nei confronti del creditore, che non formano oggetto della pronuncia del g.d.»). Essi testimoniano infatti che, a maggior ragione, l’ammissione al passivo fallimentar e del credito da finanziamento non può precludere un’azione risarcitoria della curatela volta a far valere, come nel caso in esame, la responsabilità della banca creditrice per l’illecito sostegno finanziario fornito all’impresa, restando semmai impregiudicata la possibilità per la banca di contrapporre quel credito, in via di compensazione e fino a concorrenza, ex art. 56 l.fall., alla pretesa risarcitoria esercitata dal curatore in sede ordinaria (ex multis, Cass. 882/1975, 12537/1992); possibilità del re sto riconosciuta anche nel caso in cui l’ammissione al passivo non sia definitiva, o non sia stata nemmeno richiesta, poiché il principio del concorso formale ex art. 52 l.fall. non impedisce al creditore di proporre eccezione riconvenzionale di compensazione con un proprio controcredito nel giudizio proposto
dal curatore fallimentare (Cass. 18223/2002, 30298/2017; cfr. Cass. Sez. U, 21499/2004; Cass. 28833/2017) ».
9.5. -Su questa linea si collocano anche le argomentazioni svolte dalla Procura generale nella requisitoria scritta.
Vi si legge infatti che la pronuncia resa in sede fallimentare ha efficacia endoconcorsuale, poiché -proprio per le peculiarità del giudizio di accertamento del passivo -il giudice fallimentare può conoscere principaliter anche dei petita che si pongono in rapporto di pregiudizialità con l’insinuazione al passivo (Cass. 15982/2018, 20350/2005), ed anche procedendo ad un accertamento di natura costitutiva, sia pure destinato a restare confinato in ambito endofallimentare (semmai dovendosi accedere alla sospensione ex art. 295 c.p.c. del giudizio ordinario).
9.6. – Per completezza si da atto che le problematicità in rassegna sono comuni alla ulteriore questione -in questa sede posta solo in astratto -della compatibilità del rito speciale dell’accertamento del passivo con i giudizi soggettivamente complessi, nei quali un contraddittore necessario sia estraneo alla vicenda concorsuale (si pensi al caso di una domanda di risoluzione cui sopravvenga il fallimento di uno dei coobbligati).
Al riguardo potrebbe in tesi soccorrere lo strumento dell’intervento disciplinato dall’art. 99, comma 8 l.fall., che in effetti lo consente a ‘qualsiasi interessato’, a differenza della versione precedente del 2006 (modificata dal d.lgs. 169/2007) che invece, nel comma 6, contemplava solo l’intervento dei ‘creditori’. Ma occorre comunque considerare che, se si vuole far salva la tipicità del procedimento, la partecipazione del litisconsorte necessario non dovrebbe comportare un’estensione dei limiti oggetti vi del giudizio.
Sul punto non pare decisivo il raffronto con l’art. 201, comma 1, CCII (omologo dell’art. 93 l.fall.) che, attraendo nell’orbita del giudizio di accertamento del passivo anche le «domande di partecipazione al riparto delle somme ricavate dalla liquidazione di beni compresi nella procedura ipotecati o dati in pegno a garanzia di debiti altrui», vi ha dato ingresso ad accertamenti su diritti di terzi, senza però avvertire la necessità di attivare il contraddittorio nei loro confronti, in ragione
della efficacia solo endoconcorsuale della decisione su quei diritti, come l’art. 204, comma 5, CCII ha cura di precisare.
In questo caso, invece, si tratta di conciliare esigenze parimenti meritevoli di tutela sul piano privatistico, dal momento che anche il ‘contraddittorio incrociato’, che l’ordinamento concorsuale garantisce a tutti i creditori, integra una forma di litisconsorzio necessario allargato, con l’aggiunta che il coinvolgimento di tutte le parti interessate risponde altresì alle finalità pubblicistiche proprie della procedura concorsuale, oggetto di frequenti richiami nomofilattici (da ultimo, v. Cass. Sez. U, 5694/2023 cit.).
9.7. – Più in generale, su tutti i temi in rilievo soccorre il suggerimento, proveniente da autorevole dottrina processualistica, di considerare tali evenienze come eccezionali e perciò da risolvere con soluzioni ‘dedicate’ altrettanto eccezionali, tali da non inficiare né la generale operatività di regole specificamente dettate dal legislatore -come quella fissata dall’art. 72, comma 5, l.fall. né, soprattutto, i principi fondamentali dell’ordinamento concorsuale ad esse sottesi, come quelli, cui si è più volte accennato, della esclusività dell’accertamento del passivo e del contraddittorio incrociato tra i creditori (ed altri aventi diritto) concorsuali.
10 . – Giudicato fallimentare e circolazione dei beni
Venendo alfine a considerare la specifica questione posta dal ricorso in scrutinio -cui le argomentazioni sin qui svolte erano funzionali -la criticità deriva dalla natura endofallimentare del giudicato tipico del giudizio di accertamento del passivo (art. 96, ult. comma, l.fall.), che entra in collisione con l’esigenza di stabilità nel regime di circolazione dei beni (specie se immobili e mobili registrati) e genera dubbi operativi sotto il profilo della trascrizione.
Va subito detto che, in realtà, il problema è ben più generale, riguardando non solo le pretese restitutorie da risoluzione, ma tutte le ipotesi in cui viene proposta in sede fallimentare una domanda di rivendicazione o restituzione di bene immobile; la quale da quasi un ventennio è contemplata dall’ordinamento concorsuale, senza che la questione sia approdata in sede di legittimità.
10.1. -Le questioni sono due. La prima è se, in sede di accertamento del passivo fallimentare, l’accoglimento della domanda di restituzione (come anche di rivendicazione) di un bene immobile abbia l’autorità di cosa giudicata (‘giudicato esoconcorsule’). La seconda è come la decisione possa essere annotata nei pubblici registri immobiliari.
10.2. – Alcune nuove disposizioni del Codice della crisi possono fornire un valido supporto interpretativo.
Si è già detto che, nella pedissequa continuità testuale tra l’art. 72, comma 5, l.fall. e l’art. 172, comma 5, CCII, l’orientamento del 2020 ha ricevuto un suggello nella Relazione illustrativa, laddove si è esplicitamente affermato che la controparte in bonis può «coltivare l’azione di risoluzione introdotta prima dell’apertura della liquidazione giudiziale solo in presenza di un interesse giuridico, attuale e concreto, diverso da quello all’accoglimento della domanda restitutoria o di ammissione al passivo del credito», dovendo altrimenti proporla dinanzi al giudice fallimentare, poiché questi, in sede di accertamento del passivo «deve poter conoscere con pienezza dei suoi poteri della domanda di ammissione, verificandone la fondatezza sia in rapporto al petitum che alla causa petendi , ne consegue che».
In proposito valga il consolidato insegnamento nomofilattico in base al quale «il cd. Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al d.lgs. n. 14 del 2019, è in generale non applicabile alle procedure aperte anteriormente alla sua entrata in vigore, potendosi, peraltro, rinvenire nello stesso delle norme idonee a rappresentare un utile criterio interpretativo degli istituti della legge fallimentare solo ove ricorra, nello specifico segmento considerato, un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro» (Cass. Sez. U, 8504/2021).
Assumono allora rilievo le norme del Codice dalle quali si desume:
– che non tutte le decisioni assunte dal giudice delegato con il decreto che rende esecutivo lo stato passivo, e dal tribunale con il decreto conclusivo dei giudizi di impugnazione ex art. 206 CCII, «producono effetti soltanto ai fini del concorso», essend o l’efficacia endoconcorsuale limitata «ai crediti accertati ed al diritto di
partecipare al riparto quando il debitore ha concesso ipoteca a garanzia dei debiti altrui» (art. 204, comma 5, CCII), sicché, al contrario, le analoghe decisioni su domande di rivendicazione o restituzione di beni mobili o immobili acquisiti alla procedura assumono autorità di cosa giudicata, che non è perciò incompatibile con il procedimento di accertamento del passivo;
che, così come «il decreto di accoglimento della domanda di rivendica di beni o diritti il cui trasferimento è soggetto a pubblicità legale deve essere reso opponibile ai terzi con le medesime forme» (art. 210, comma 3, CCII) altrettanto deve disporsi quando siano accolte domande analoghe, come quelle di cui all’art. 2652 c.c.
Si tratta esattamente delle due questioni in disamina.
10.3. – A ben vedere, con le suddette disposizioni il Codice non ha introdotto nuovi principi e nuove regole, ma si è limitato a rendere (finalmente) funzionali ed in concreto operative principi e regole come detto esistenti sin dal 2006, così colmando una imperdonabile trascuratezza del legislatore cui, nella prassi, devono aver giocoforza sopperito gli operatori del settore.
E’ infatti evidente che le norme citate abbiano rimediato a ‘smagliature’ e incoerenze della legge fallimentare, ove il legislatore non si era sinora curato di esplicitare né l’eccezione alla regola della endoconcorsualità per le pronunce di accoglimento delle domande di rivendicazione o restituzione di beni, né le forme di pubblicità di quelle decisioni qualora relative a beni la cui circolazione è soggetta a pubblicità legale.
Le disposizioni introdotte ben potevano apparire per un verso ovvie (non potendosi immaginare un decreto di restituzione di un bene, tanto più se immobile, destinato ad avere effetto solo nell’ambito della procedura concorsuale) e per altro imprescindibili (e infatti il mandato della legge-delega del 2015 era nel senso di rendere effettiva la modifica dell’art. 24 l.fall. che, vari lustri prima, aveva esteso la giurisdizione fallimentare alle azioni immobiliari, al dichiarato fine di assicurare la necessari a ‘stabilità delle decisioni sui diritti reali immobiliari’, non solo a salvaguardia della certezza dei
traffici giuridici, ma anche e proprio per evitare possibili contrasti tra giudicati, nell’ottica di concentrazione dei giudizi).
In entrambi i casi, si può allora dire, non poteva che essere così, a dispetto della lettera della legge fallimentare.
E forse non è un caso che, con il varo del Codice non si sia avvertita l’esigenza di modificare l’art. 2652, comma 1, n. 1 c.c., per inserirvi il riferimento al ‘ decreto ‘ oltre che alla ‘ sentenza ‘, quasi a conferma della portata generica di questo lemma; senza poi considerare il disposto dell’art. 2645 c.c. (‘ Altri atti soggetti a trascrizione ‘) per cui «Deve del pari rendersi pubblico, agli effetti previsti dall’articolo precedente, ogni altro atto o provvedimento che produce in relazione a beni immobili o a diritti immobiliari taluno degli effetti dei contratti menzionati nell’articolo 2643, salvo che dalla legge risulti che la trascrizione non è richiesta o è richiesta a effetti diversi».
10.4. – Paiono allora sussistere tutti i presupposti per fare applicazione del recente insegnamento nomofilattico in base al quale, in alcuni casi, l’interpretazione in funzione ‘evolutiva’ è non solo opportuna, ma finanche necessaria, «onde superare altrimenti inaccettabili lacune dell’ordinamento» (Cass. Sez. U, 7337/2024).
Come ricordato dalle Sezioni unite citate, infatti, « L’attività di interpretazione delle norme non può superare i limiti che si impongono nel contesto del suo svolgimento, perché sono codesti limiti a dare il senso della distinzione dei piani. Il legislatore, fatto salvo il rispetto dei canoni costituzionali di ragionevolezza, è libero di modulare le tutele introducendo precetti nuovi; viceversa, il giudice non può che applicare al caso concreto ‘la legge intesa secondo le comuni regole dell’ermeneutica’ ( cfr. C. cost. n. 155 del 1990), per modo da disvelarne s ì il corretto significato, ma purché codesto possa considerarsi insito in essa. Questa cosa influisce sulla funzione dichiarativa della giurisprudenza -anche di legittimità -da contenere all’intern o del confine proprio (v. già Cass. Sez. U n. 21095-04, Cass. Sez. U n. 4135- 19, Cass. Sez. U n. 2061-21). L’attività di interpretazione, per quanto la si voglia dilatare in funzione ‘evolutiva’ (e in molti casi è opportuno dilatarla in tale chiave onde superare altrimenti inaccettabili lacune dell’ordinamento), non può mai spingersi fino a superare il limite di
tolleranza e di elasticità di un enunciato, ossia -come efficacemente è stato detto- del significante testuale della disposizione che il legislatore ha posto, giacch é da quel significante, previamente individuato, non può che muovere la dinamica di inveramento della norma nella concretezza del suo operare ».
10.5. – E dunque, in questa prospettiva, stante la specifica regola posta dall’art. 72, comma 5, l.fall., il decreto del giudice delegato ex art. 96, o del tribunale ex art. 99, l.fall. in tanto può assumere una portata più ampia e un carattere eccezionalmente esoconcorsuale in quanto vengano in rilievo la natura costitutiva del rimedio esperito (domanda di risoluzione per inadempimento) e l’esigenza di certezza e stabilità nella circolazione dei beni alla cui restituzione quella domanda è finalizzata.
Certo è che, nel ventennio di vigenza del riformato art. 24 l.fall., decreti di restituzione di immobili saranno stati verosimilmente adottati e, necessariamente, anche trascritti o annotati.
Ne è un esempio il recente decreto del Tribunale di Verona del 3 febbraio 2023, ove, a fronte di una domanda di risoluzione di un contratto di vendita immobiliare trascritta prima della dichiarazione di fallimento, e dei connessi crediti risarcitori e restitutori, si è data continuità all’indirizzo della trasmigrazione in sede fallimentare sia della questione pregiudiziale che di quella pregiudicata, ritenendosi improcedibile, a seguito del fallimento, la domanda proposta in sede ordinaria, da riassumere me diante l’insinuazione al passivo, con effetti ritenuti opponibili ai creditori concorsuali grazie alla trascrizione anteriore ex art. 2652 n. 1) c.c., e reputandosi a tal fine sufficiente che, dopo l’interruzione del giudizio ex art. 43 l.fall., la domanda sia stata tempestivamente riassunta mediante l’istanza di insinuazione al passivo.
Sul punto, in particolare, i giudici di merito hanno richiamato il precedente di Cass. 148/1993, in base al quale « La trascrizione della domanda giudiziale nelle ipotesi contemplate dagli artt. 2652 e 2653 cod. civ., che configura una mera prenotazione degli effetti dell’accoglimento della domanda stessa, opera nel senso di far retroagire tali effetti dal momento della sentenza a quello in cui l’adempimento della formalità della trascrizione iniziale è stato
effettuato, con la correlativa opponibilità ai terzi che in pendenza del giudizio si siano resi acquirenti a titolo particolare del diritto controverso. Tale efficacia essendo condizionata all’accoglimento della domanda, mentre viene meno a seguito della cancellazione “iussu iudici”, quando la domanda sia rigettata ovvero il processo si estingua per rinunzia o per inattività delle parti (art. 2668 cod. civ.), permane nel caso di sentenze comportanti la possibilità di un “traslatio judicii”, come nell’ipotesi di dichiarazione di incompetenza, ove la causa sia stata riassunta nel termine di sei mesi davanti al giudice dichiarato competente (art. 50, comma secondo, cod. proc. civ.) ed identicamente nel caso analogo in cui una pretesa creditoria nei confronti del debitore fallito » (lì una domanda diretta a far dichiarare l’autenticità delle sottoscrizioni apposte in calce a una scrittura privata di compravendita trascritta ex art. 2652 n. 3 c.c.) « sia stata fatta valere irritualmente con citazione nelle forme contenziose ordinarie, anziché con ricorso al giudice fallimentare per l’ammissione al passivo (art. 93, 101 l.fall.), sempre che il creditore, dopo la sentenza che ha dichiarato inammissibile quella domanda, abbia proseguito il processo davanti al giudice fallimentare nel termine di sei mesi ».
Sul tema si veda anche Cass. 1155/2002, per cui « La trascrizione della domanda giudiziale nei casi in cui è prevista dalla legge (artt. 2652 e 2690 c.c., rispettivamente, per beni immobili e beni mobili registrati), si ricollega al principio fissato dall’art 111 cod. proc. civ. che disciplina la successione a titolo particolare nel diritto controverso e, mirando a risolvere un conflitto di diritto sostanziale tra più acquirenti dallo stesso dante causa, consente all’attore, che esercita una pretesa avente ad oggetto un diritto immobiliare, di rendere opponibile la sentenza anche a coloro che siano divenuti successori a titolo particolare del convenuto nelle more del giudizio. Pertanto gli effetti della sentenza retroagiscono al momento della domanda giudiziale ed è irrilevante il fatto che gli stessi abbiano o meno partecipato al giudizio de quo ».
10.6. – In un’ottica diversa potrebbe addirittura ritenersi che la riassunzione della domanda in sede fallimentare non sia strettamente funzionale ad assicurare l’opponibilità della sua
trascrizione -poiché si tratterebbe di un effetto discendente direttamente dall’art. 72, comma 5, l. fall. e che, ai fini del mantenimento degli effetti della trascrizione, sia irrilevante la natura del rito applicato per la decisione dopo la declaratoria di fallimento. Certo è che l’art. 2668 c.c. prevede che la cancellazione della trascrizione deve essere giudizialmente ordinata solo in caso di rigetto della domanda o di estinzione del processo per rinunzia o inattività, sicché, ove la domanda sia dichiarata inammissibile o improcedibile -o comunque il suo esame prosegua, per legge, in altra sede processuale -gli effetti della trascrizione possono essere conservati nel giudizio fallimentare (cfr. Cass. 148/1993 cit.).
10.7. – Alla luce di tutto quanto precede resta in predicato la possibilità di leggere l’art. 72, comma 5, l.fall. come norma eccezionale, che trasferisce in sede fallimentare la decisione sulla domanda di risoluzione quesita prima del fallimento dinanzi al giudice ordinario, se strumentale a pretese restitutorie e risarcitorie da far valere verso la massa fallimentare, legittimando così una pronuncia costitutiva che, laddove riguardi la restituzione dei beni, assume efficacia anche ‘esoconcorsuale’ e, in c aso di beni immobili o mobili registrati, legittimi le relative forme di pubblicità legale.
11 . – Le questioni devolute.
Il Collegio, dato atto del contrasto emerso in seno alla Corte, di cui sopra si è dato ampiamente conto, reputa opportuno rimettere la causa alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite in relazione alle seguenti questioni:
‘i) se l’art. 72, comma 5, l.fall. debba intendersi nel senso che:
la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento, quesita prima del fallimento, che costituisca l’antecedente logicogiuridico delle domande di restituzione o risarcimento del danno, diventa improcedibile in sede di cognizione ordinaria e va proposta secondo il rito speciale disciplinato dal titolo II, capo V della legge fallimentare -a condizione che, ove previsto, sia stata trascritta, con conservazione del relativo effetto prenotativo -mentre resta procedibile in sede di cognizione ordinaria solo se diretta a conseguire utilità estranee alla partecipazione al concorso;
oppure la suddetta domanda, se quesita prima del fallimento, deve comunque proseguire in sede ordinaria (previa riassunzione nei confronti della curatela fallimentare, dopo l’interruzione del processo ex art. 43 l.fall.), a differenza delle domande restitutorie e risarcitorie, da proporre in sede fallimentare;
oppure la suddetta domanda è procedibile in sede ordinaria solo se trascritta prima del fallimento, in forza dell’effetto prenotativo della trascrizione e della sua opponibilità al fallimento ex art. 45 l.fall., mentre nei restanti casi deve essere trasferita in sede fallimentare insieme alle domande restitutorie e risarcitorie;
ii) in tutti i casi, quali siano le modalità di prosecuzione del giudizio in sede fallimentare;
iii) nei casi in cui la domanda di risoluzione sia trasferita in sede fallimentare, se la decisione abbia effetti solo ai fini del concorso;
iv) nei casi in cui la domanda di risoluzione resti procedibile in sede ordinaria, quale sia lo strumento processuale di raccordo tra quel giudizio e il diverso giudizio da instaurare in sede fallimentare sulle domande dipendenti o accessorie e, in particolare, quali siano le modalità da seguire per l’ammissione al passivo di queste ultime ;
in tutti i casi, se l’ accoglimento della domanda consequenziale di restituzione di beni abbia o meno effetti solo ai fini del concorso e, ove riguardi beni o diritti il cui trasferimento è soggetto a pubblicità legale, il relativo decreto ex artt. 96 o 99 l.fall. debba essere reso opponibile ai terzi con le forme prescritte.
P.Q.M.
rinvia la causa alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 17/05/2024 e poi,