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Domanda di risoluzione e fallimento: la sorte del rito

Una società venditrice di un immobile cita in giudizio la società acquirente per inadempimento, chiedendo la risoluzione del contratto. Prima della conclusione del giudizio, la società acquirente fallisce. La società venditrice prosegue la sua azione in sede fallimentare. La Curatela del fallimento si oppone, sostenendo l’inammissibilità della domanda in quella sede. La Corte di Cassazione, rilevando un profondo contrasto giurisprudenziale sulla questione, ha rimesso la decisione alle Sezioni Unite per stabilire se la domanda di risoluzione debba proseguire nel giudizio ordinario o essere interamente assorbita dalla procedura fallimentare.

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Domanda di risoluzione contrattuale e fallimento: il giudizio prosegue in sede ordinaria o fallimentare?

Una delle questioni più complesse che possono emergere nell’intersezione tra diritto civile e fallimentare riguarda la sorte di una domanda di risoluzione di un contratto quando una delle parti fallisce. Se un’azienda avvia una causa per inadempimento contrattuale e, durante il processo, la controparte viene dichiarata fallita, cosa succede? Il giudizio deve continuare davanti al giudice civile originariamente adito, oppure deve essere ‘trasferito’ interamente davanti al giudice fallimentare? A questa domanda, la giurisprudenza ha fornito risposte contrastanti. Con una recente ordinanza interlocutoria, la Corte di Cassazione ha deciso di rimettere la questione alle Sezioni Unite per fare definitiva chiarezza.

La Vicenda Processuale

Il caso specifico riguarda un contratto di compravendita immobiliare. Una società costruttrice, dopo aver venduto un immobile, non riceve il pagamento del prezzo pattuito. Di conseguenza, avvia un’azione legale davanti al tribunale civile per ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento della società acquirente. Prima che il processo giunga a una conclusione, la società acquirente viene dichiarata fallita.

A questo punto, la società venditrice presenta una domanda di ‘rivendica’ dell’immobile in sede fallimentare, chiedendo che il bene le venga restituito. Il Tribunale fallimentare accoglie la sua richiesta. La Curatela del fallimento, tuttavia, non concorda e propone ricorso per Cassazione, sostenendo che la domanda di risoluzione, essendo stata introdotta in sede fallimentare ‘ex novo’ dopo l’estinzione del precedente giudizio civile, fosse inammissibile.

Il Cuore del Problema: una Domanda di Risoluzione tra due fuochi

La questione centrale è procedurale ma con enormi implicazioni sostanziali. La Corte di Cassazione si trova di fronte a due orientamenti interpretativi divergenti riguardo all’art. 72 della Legge Fallimentare.

Tesi della ‘Divaricazione Processuale’

Un primo orientamento, più risalente, sostiene che la domanda di risoluzione del contratto, se trascritta prima della dichiarazione di fallimento, debba proseguire nel suo percorso originario, ovvero davanti al giudice civile. In questa visione, solo le domande consequenziali, come quelle per la restituzione del bene e il risarcimento del danno, devono essere proposte davanti al giudice fallimentare. La causa principale (l’accertamento della risoluzione) e le sue conseguenze economiche seguirebbero, quindi, due percorsi processuali separati (divaricati).

Tesi della ‘Trasmigrazione Integrale’

Un secondo orientamento, più recente, afferma invece che l’intera causa, compresa la domanda di risoluzione stessa, debba ‘trasmigrare’ in sede fallimentare. Questa soluzione si fonda sul principio della vis attractiva del foro fallimentare, secondo cui tutte le azioni che possono incidere sul patrimonio del fallito devono essere concentrate in un unico procedimento. L’obiettivo è garantire il principio della par condicio creditorum (parità di trattamento dei creditori) e la speditezza della procedura concorsuale.

Le Motivazioni

La Corte, nell’ordinanza di rimessione, analizza approfonditamente le ragioni alla base di entrambi gli orientamenti. Da un lato, la tesi della separazione valorizza l’effetto prenotativo della trascrizione della domanda giudiziale (art. 2652 c.c.), che serve a proteggere l’attore dagli atti di disposizione del bene compiuti da terzi dopo l’inizio della causa. Separare i giudizi tutelerebbe questa posizione di vantaggio.

Dall’altro lato, la tesi della trasmigrazione integrale è considerata più coerente con i principi cardine del diritto fallimentare. Concentrare tutto davanti al giudice fallimentare consente un ‘contraddittorio incrociato’ tra tutti i creditori, i quali possono partecipare e contestare non solo le pretese economiche, ma anche la stessa causa che le genera (la risoluzione del contratto). Ciò eviterebbe il rischio di giudicati contrastanti e garantirebbe una gestione unitaria e trasparente del passivo fallimentare.

La Corte sottolinea come la questione non sia meramente formale. La scelta tra i due percorsi incide sulla tutela dei diritti dei creditori concorsuali, sull’efficienza della procedura e sulla certezza della circolazione dei beni immobili. Per questo motivo, data la ‘portata nomofilattica’ della questione, ovvero la necessità di fornire un’interpretazione uniforme della legge, si è reso necessario l’intervento delle Sezioni Unite.

Le Conclusioni

L’ordinanza interlocutoria non decide il caso, ma lo ‘congela’ in attesa del pronunciamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. La futura sentenza avrà un impatto fondamentale, destinato a diventare il punto di riferimento per tutti i casi futuri in cui una domanda di risoluzione si intreccia con il sopraggiungere di un fallimento. La decisione chiarirà definitivamente il rapporto tra la tutela individuale del singolo contraente, che ha agito per primo, e la tutela collettiva della massa dei creditori, che è lo scopo primario della procedura fallimentare. Gli operatori del diritto attendono con grande interesse questa pronuncia, che scioglierà uno dei nodi più complessi del diritto concorsuale.

Cosa succede a una causa per risoluzione di un contratto se la parte convenuta fallisce?
Secondo l’ordinanza, la questione è controversa. Esistono due tesi: una secondo cui la causa di risoluzione prosegue in sede civile e solo le richieste economiche vanno in sede fallimentare; l’altra secondo cui l’intero giudizio deve essere trasferito davanti al giudice fallimentare. La Corte ha rimesso la decisione alle Sezioni Unite per risolvere questo contrasto.

Perché la trascrizione della domanda di risoluzione è così importante?
La trascrizione della domanda nei pubblici registri immobiliari prima del fallimento ha un ‘effetto prenotativo’. Serve a rendere la futura sentenza opponibile ai terzi (incluso il fallimento) che abbiano acquisito diritti sul bene dopo la trascrizione stessa. Questo è uno degli argomenti a favore della prosecuzione del giudizio in sede ordinaria.

Perché la Corte di Cassazione ha rimesso la questione alle Sezioni Unite?
La Corte ha riscontrato un profondo e persistente contrasto tra le sue stesse decisioni su come gestire questi casi. Poiché la questione ha un’importanza fondamentale per l’uniforme interpretazione della legge e per la certezza del diritto, ha ritenuto necessario l’intervento delle Sezioni Unite, l’organo supremo della Cassazione, per emanare un principio di diritto vincolante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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