Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19896 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19896 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14284/2020 R.G. proposto da : NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BRESCIA n. 1439/2019 depositata il 07/10/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia è sorta da un contratto preliminare di compravendita immobiliare stipulato il 29/04/1992 tra NOME COGNOME (compratore) e NOME COGNOME con NOME COGNOME (venditrici). Il compratore versò una caparra confirmatoria di lire 300.000.000 ( € 154.937,07). Si allegarono inadempimenti reciproci nell’addivenire al contratto definitivo. NOME COGNOME agì in giudizio chiedendo l ‘accertamento del proprio recesso ai sensi dell’art. 1385 c.c. e la condanna delle venditrici alla restituzione del doppio della caparra. Le convenute si opposero, chiedendo a loro volta la risoluzione del contratto per inadempimento del compratore, la ritenzione della caparra e la condanna ai danni ulteriori da accertarsi in corso di causa. Nel 2004 il Tribunale di Cremona rigettò le domande del compratore e accolse parzialmente la domanda riconvenzionale delle venditrici, dichiarando la risoluzione del contratto per inadempimento di COGNOME, ma ordinando la restituzione della caparra. Con appello principale, COGNOME chiese l’accoglimento delle proprie istanze originarie, mentre NOME COGNOME (anche quale erede di COGNOME) propose appello incidentale per far dichiarare il recesso e il diritto a trattenere la caparra. Nel 2008 la Corte di appello di Brescia rigettò l’appello principale e accolse l’incidentale, accertando il recesso e il diritto di trattenere la caparra delle venditrici. Su ricorso del compratore, Cass. 17316/2015 cassò tale pronuncia, ritenendo inammissibile la domanda di recesso proposta per la prima volta in appello in sostituzione di quella di risoluzione avanzata in primo grado, in violazione degli artt. 1385 c.c. e 345 c.p.c. Nel giudizio di rinvio, la Corte di appello di Brescia ha rigettato definitivamente le domande della convenuta venditrice, confermando l’obbligo di restituire la caparra con interessi dal 29/04/1992 e le somme pagate dal compratore in esecuzione della sentenza di appello precedente, poi annullata da questa Corte. La Corte distrettuale ha applicato il
principio enunciato da Cass. SU 533/2009 secondo cui la domanda di recesso con ritenzione della caparra costituisce un novum inammissibile in appello se sostitutiva di una precedente domanda di risoluzione con risarcimento danni, per incompatibilità strutturale tra le due domande (art. 1385 c.c.).
Ricorre in cassazione la promittente venditrice convenuta con tre motivi, illustrati da memoria. Resiste il promissario acquirente attore con controricorso e memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c. in quanto la Corte d’appello avrebbe deciso su una domanda diversa (risoluzione con risarcimento danni) rispetto a quella effettivamente proposta (recesso con ritenzione della caparra). Si contesta l’omesso riconoscimento della rinuncia al risarcimento operata dalla ricorrente sin dal 2000, documentata da verbali d’udienza e atti processuali.
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 1385 e 1453 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., poiché la Corte d’appello ha qualificato erroneamente la domanda riconvenzionale della parte ricorrente come domanda di risoluzione contrattuale anziché come domanda di recesso con ritenzione della caparra.
Il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, consistente nelle conclusioni effettivamente rassegnate dalla parte ricorrente in primo grado, sia nell’udienza di precisazione delle conclusioni del 06/10/2000 dinanzi al Tribunale di Lucca, sia nei successivi atti processuali dinanzi al Tribunale di Cremona. Si sostiene che, se la Corte d’appello avesse considerato tali elementi, avrebbe dovuto rilevare che la domanda di risarcimento danni era stata abbandonata nel primo grado, con conseguente erroneità della qualificazione della domanda come di risoluzione contrattuale.
1.2. – I tre motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto sono diretti a conseguire, sotto diversi profili, lo stesso scopo pratico: dischiudere la prospettiva di una pronuncia di ritenzione della caparra da parte della venditrice, sul presupposto che già in primo grado l’originaria domanda di ri sarcimento dei danni ulteriori era stata da lei rinunciata.
Essi sono infondati.
Nella sua precedente sentenza su questa causa, questa Corte (n. 17316/2015) aveva affermato in narrativa: « le convenute chiedevano rigettarsi la domanda e, in riconvenzionale , dichiararsi risolto il contratto preliminare per fatto e colpa dell’attore con diritto a trattenere la caparra, salvo danni da richiedersi in separato giudizio ». Il promissario acquirente attore aveva chiesto alla Corte di statuire che «non è ammissibile in appello la sostituzione della domanda di risoluzione e della connessa domanda di risarcimento con la domanda volta a far dichiarare la legittimità del recesso e la sussistenza del diritto a trattenere la caparra». Questa Corte, richiamando Cass. SU 533/2009, aveva accolto il ricorso concludendo che « La domanda proposta dalla sig.ra NOME in appello era quindi inammissibile perché nuova ». Pertanto, questa Corte ha qualificato la domanda riconvenzionale originaria della parte ricorrente come di risoluzione con richiesta di risarcimento danni (sebbene da liquidarsi in separato giudizio), ritenendo quindi inammissibile in appello la sostituzione di tale domanda con quella recesso con ritenzione della caparra.
Tali statuizioni precludono la riqualificazione della domanda cui aspira la ricorrente, da diversi punti di vista, con i tre motivi di ricorso. Infatti, questa Corte ha più volte avuto occasione di ribadire che « i limiti e l’oggetto del giudizio di rinvio sono fissati esclusivamente dalla sentenza di cassazione, la quale non può essere sindacata o elusa dal giudice di rinvio, neppure in caso di violazione di norme di diritto sostanziale o processuale o per errore
del principio di diritto affermato, la cui giuridica correttezza non è sindacabile dal giudice del rinvio neanche alla stregua di successivi arresti giurisprudenziali della Corte di legittimità » ( così, tra le altre, 27343/2018).
Il primo, il secondo e il terzo motivo di ricorso sono rigettati.
– Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 7.000,00 oltre a € 200 ,00 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Se-