Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15605 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 15605 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/06/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al numero 362 del ruolo generale dell’anno 2023, proposto da
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA, in persona del legale
rappresentante pro tempore , NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME (C.F.:
(C.F.: VNT FMS 67C25 H501K) e DTT PMR 73H19 A123C)
-ricorrente-
nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA, in persona del rappresentante per procura NOME COGNOME rappresentata e difese dall’avvocat o NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Roma n. 6369/2022, pubblicata in data 13 ottobre 2022;
udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 7 maggio 2025 dal consigliere NOME COGNOME uditi:
il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso come da requisitoria scritta già in atti, per la dichiarazione di inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso;
l’avvocato NOME COGNOME per delega dell’avvocato NOME COGNOME per la società ricorrente;
l’avvocato NOME COGNOME per la società controricorrente.
Fatti di causa
A seguito dello svolgimento di un procedimento di accertamento tecnico preventivo, RAGIONE_SOCIALE ha agito in giudizio nei confronti della propria assicurata RAGIONE_SOCIALE per ottenere la dichiarazione di avvenuta decadenza della stessa dal diritto di ottenere l’indennizzo per un sinistro coperto da polizza contro i danni (in relazione ad un incendio sviluppatosi, in data 2 novembre 2009, in un edificio industriale dove si trovavano merc i dell’assicurata), sulla base della previsione di una specifica clausola contrattuale, per avere dolosamente esagerato l’ammontare del danno subito . La società convenuta, in via riconvenzionale, ha chiesto la condanna dell’attrice al pagamento dell’indennizzo assicurativo, per un importo superiore ad € 3.000.000,00.
La domanda principale è stata accolta dal Tribunale di Roma, con rigetto della domanda riconvenzionale.
La Corte d’a ppello di Roma ha confermato la decisione di primo grado.
Ricorre RAGIONE_SOCIALE sulla base di sei motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
È stata disposta la trattazione in pubblica udienza.
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Ragioni della decisione
Va preliminarmente disattesa l’istanza , avanzata dalla società ricorrente, di riunione del presente ricorso con quello
iscritto al n. 20640 del l’anno 2024 del R.G. di questa stessa Corte, non trattandosi di ricorsi avverso la medesima sentenza e non sussistendo, quindi, le condizioni previste dall’art. 335 c.p.c. e, al tempo stesso, non potendosi ritenere neanche adeguatamente evidenziati benefici suscettibili di bilanciare gli inevitabili ritardi conseguenti all ‘ accoglimento della richiesta: bilanciamento che deve essere effettuato con particolare rigore nel giudizio di cassazione in considerazione dell ‘ impulso d ‘ ufficio che lo caratterizza (cfr., per tutte: Cass., Sez. U, Ordinanza n. 8774 del 30/03/2021; Sez. 3, Sentenza n. 14365 del 27/05/2019; Sez. L, Sentenza n. 3189 del 01/03/2012), il quale rende pure del tutto irrilevante l’apertura di una procedura concorsuale a carico della ricorrente.
Con il primo motivo del ricorso si denunzia « Errores in giudicando ed in procedendo per violazione e falsa applicazione degli articoli 1892, 1898 e 1932 del c.c. in relazione all’ articolo 360 comma 1 n. 3 del c.p.c.: nullità dell’articolo 17 delle condizioni generali del contratto di Assicurazione per violazione di norme imperative ».
2.1 Secondo la società ricorrente, la clausola dell’art. 17 del contratto di assicurazione, invocato dalla compagnia a sostegno della sua pretesa, sarebbe nulla in quanto essa stabilisce « una limitazione della responsabilità dell’Assicuratore, contrastante con le norme su richiamate e prescindente, sia dall’eventuale esercizio del diritto di recesso, e sia dalla stessa possibilità per l’Assicurazione di invocare l’annullamento del contratto, e con ciò derogando la disciplina legale di riferimento con un evident e ‘vantaggio’ in favore dell’Assicuratore ».
Il motivo è infondato.
2.2 L’a rt. 17 del contratto di assicurazione stipulato dalle parti prevede testualmente quanto segue: « Il Contraente o l’Assicurato che esagera dolosamente l’ammontare del danno, dichiara
distrutte cose che non esistevano al momento del sinistro, occulta, sottrae o manomette cose salvate, adopera a giustificazione mezzi o documenti menzogneri o fraudolenti, altera dolosamente le tracce ed i residui del sinistro o facilita il progresso di qu esto, perde il diritto all’indennizzo »
2.3 È infondato l’assunto della ricorrente per cui non sarebbe possibile stabilire, nel contratto di assicurazione, una decadenza dell’assicurato dal diritto all’indennizzo in caso di dolosa esagerazione del danno, perché una siffatta previsione derogherebbe alle norme relative alla necessaria correttezza e completezza delle dichiarazioni dell’assicurato in ordine alle circostanze che incidono sul rischio oggetto di assicurazione.
La correttezza e completezza delle dichiarazioni dell’assicurato sulle circostanze che incidono sul rischio e sul relativo aggravamento riguardano, in realtà, il momento anteriore alla stipulazione del contratto (artt. 1892 e 1893 c.c., che prevedono l’annullabilità del contratto in caso di dichiarazioni inesatte e reticenti incidenti sulla determinazione dell’assicuratore di stipularlo a determinate condizioni ovvero il suo diritto di recesso) o, comunque, un momento anteriore alla verificazione del sinistro (art. 1898 c.c., in base al quale l’assicurato ha obbligo di avvisare l’assicuratore delle circostanze che aggravano il rischio, con incidenza sul diritto di recesso del secondo o sullo stesso diritto del primo a percepire, in tutto o in parte, l’ indennizzo).
Per la fase successiva alla verificazione del sinistro e, comunque, al di fuori dell’ipotesi in cui intervengono circostanze che possano aggravare il rischio di tale verificazione, non sono dettate specifiche norme e, tanto meno, norme inderogabili a favore dell’assicuratore.
Ne consegue che la clausola di cui si controverte nella presente sede non può ritenersi di per sé illegittima: essa, prevedendo certamente una limitazione di responsabilità per l’assicuratore,
con decadenza dell’assicurato dal diritto all’indennizzo, ha semplicemente carattere vessatorio e va, quindi, specificamente approvata per iscritto, ai sensi dell’art. 1341 c.c. , ma non è nulla in ragione del suo contenuto, come sostiene la ricorrente.
Con il secondo motivo si denunzia « Errores in giudicando ed in procedendo per violazione e falsa applicazione degli artt. 1892, 1898, 2709, 2710, 1729 e 2043 c.c. in relazione all’ art. 360 comma 1, n. 3 del c.p.c.: la Corte di Appello ha errato nel ritenere sussistente il presupposto soggettivo del dolo sebbene la quantità ed il valore stimato delle merci presenti in magazzino al momento del sinistro risultassero dimostrati nella loro effettiva consistenza nelle scritture contabili assunte agli atti del Giudizio ».
Il motivo è inammissibile.
Le censure formulate con il motivo di ricorso in esame si risolvono nella contestazione di un accertamento di fatto operato dalla corte d’appello in ordine alla sussistenza del dolo nella infondata richiesta di indennizzo della società assicurata per un qu antitativo di merci perite nell’incendio notevolmente superiore a quello effettivo.
Tale accertamento è, peraltro, fondato su motivazione adeguata, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede.
La corte d’appello ha ritenuto attendibili e convincenti le conclusioni del consulente tecnico di ufficio, nominato in sede di accertamento tecnico preventivo, in ordine alla quantità di merci effettivamente esistenti nel magazzino, desunte da una valutazione di carattere scientifico in ordine alle ceneri combuste rinvenute sul luogo dell’incendio, valutazione ritenuta dalla corte più attendibile delle risultanze delle scritture contabili e degli altri elementi indiziari addotti dall’assicurata a sostegno d ei propri assunti sull’effettiva consistenza di tali merci .
Ha, pertanto, affermato che, poiché, le merci dichiarate esistenti e distrutte nel sinistro dalla società assicurata, ai fini della richiesta di indennizzo, erano di quantità considerevolmente superiore rispetto a quelle effettivamente esistenti, vi era stata senz’altro una dolosa esagerazione del danno.
I giudici di appello, in altri termini, hanno ritenuto attendibili gli accertamenti svolti dal consulente tecnico di ufficio, li hanno considerati tali da costituire idonea prova della quantità delle merci realmente esistenti nel magazzino incendiato, valutandoli come più convincenti rispetto ai contrari elementi emergenti dalle prove addotte dall’assicurata e, sulla base di ciò, hanno operato le ulteriori deduzioni sul carattere doloso della richiesta di indennizzo, essendo questa avvenuta per un importo notevolmente superiore al danno effettivo subito.
Le valutazioni in ordine alle prove di certo non possono ritenersi prive di motivazione o contraddittorie sul piano logico, in relazione all’accertamento sull’ effettiva quantità delle merci distrutte nel sinistro, mentre neanche si ravvisano nel ricorso censure sufficientemente specifiche in relazione alla correttezza della conseguente ulteriore deduzione logica della sussistenza del dolo, in ragione della notevole sproporzione tra la quantità di merci effettivamente perdute e quella oggetto della richiesta di indennizzo.
Dunque, il motivo di ricorso in esame non può ritenersi ammissibile sotto alcun profilo.
Con il terzo motivo si denunzia « Errores in giudicando ed in procedendo per violazione e falsa applicazione degli articoli 115, 116 e 132 del c.p.c. unitamente alla disciplina stabilita dagli artt. 2709, 2710 e 2729 c.c. in relazione all’ articolo 360 comma 1, n. 4 del c.p.c.: la Corte di Appello ha fondato la propria decisione su prove assunte come legali ma invero soggette al prudente apprezzamento del Giudice al pari della documentazione contabile allegata agli atti di merito dalla ricorrente ».
Secondo la società ricorrente , la corte d’appello avrebbe, erroneamente, considerato la consulenza tecnica di ufficio percipiente come una prova legale e non l’avrebbe correttamente valutata, quindi, secondo il suo prudente apprezzamento, unitamente alle altre risultanze istruttorie.
Il motivo è infondato.
La corte d’appello non ha in alcun modo affermato che le risultanze della consulenza di ufficio ‘percipiente’ svolta in sede di accertamento tecnico preventivo costituivano una prova legale e, per quanto emerge dal complessivo tenore della decisione impugnata, al contrario, le ha valutate e ritenute convincenti proprio secondo il suo prudente apprezzamento, in conformità a quanto già ritenuto dal giudice di primo grado, sulla base di una motivazione adeguata, conforme al cd. minimo costituzionale, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede.
5. Con il quarto motivo si denunzia « Errores in giudicando ed in procedendo per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex articolo 360 comma 1 n. 5 del c.p.c. unitamente alla violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 del c.p.c. in relazione all’ articolo 360 comma 1 n. 4 del c.p.c.: la Corte di Appello non ha motivato le ragioni per le quali ha aderito acriticamente alla CTU nonostante la ricorrente avesse contestato le conclusioni cui era giunto il tecnico nominato in sede di ATP -Errore in procedendo per violazione e falsa applicazione dell’ art. 132 c.p.c. in relazione all’ art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. ».
La società ricorrente sostiene che le conclusioni del consulente tecnico di ufficio esposte nella relazione depositata in sede di accertamento tecnico preventivo erano state specificamente, puntualmente e dettagliatamente contestate nelle sue difese, svolte sia nel giudizio di primo grado che in sede di appello e,
in particolare, nella propria consulenza tecnica di parte (rispetto alla quale non vi erano state specifiche e puntuali risposte del tecnico di ufficio), onde la corte d’appello avrebbe avuto l’obbligo di motivare specificamente in ordine alle ragioni per le quali le riteneva, ciò nonostante, condivisibili. Al contrario, la corte territoriale si sarebbe limitata a sostenere, nella sentenza impugnata, che le doglianze avverso le risultanze della consulenza tecnica di ufficio non erano sufficientemente specifiche. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
5.1 In primo luogo, va dichiarata l’inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., in quanto siffatta censura non è ammissibile in caso di cd. doppia decisione conforme nel giudizio di merito, certamente sussistente nella specie in relazione alle questioni controverse, ai sensi dell’art. 3 48 ter , ultimo comma, c.p.c., disposizione abrogata, ma sostanzialmente oggi trasfusa nel comma 4 dell’art. 360 c.p.c..
5.2 Tanto premesso, si osserva che le contestazioni mosse avverso le risultanze della consulenza tecnica di ufficio effettuata in sede di accertamento tecnico preventivo, puntualmente trascritte nel ricorso, vengono sostanzialmente superate, nella complessiva economia della motivazione della sentenza impugnata, con l’espresso richiamo sia delle puntuali e precise argomentazioni svolte dallo stesso consulente tecnico di ufficio al fine di determinare, con metodo di indagine scientifico, la quantità di merci presenti nel deposito incendiato e l’importo complessivo del conseguente danno, sia quelle, alle medesime adesive, espresse nella sentenza di primo grado, che ha evidentemente tenuto conto anche delle successive contestazioni della società assicurata, svolte nel corso del giudizio di merito di primo grado.
La ricorrente sostiene che non vi sarebbe stata una adeguata replica del consulente tecnico di ufficio alle contestazioni da essa mosse alla sua relazione e, in particolare, alle osservazioni contenute nella propria consulenza tecnica di parte (consulenza redatta da RAGIONE_SOCIALE e che risulta depositata, in realtà, nel giudizio di merito).
Nella sentenza impugnata si afferma, però, che nella relazione di consulenza tecnica di ufficio vi era una ‘esauriente’ e condivisibile risposta alle critiche delle parti, critiche che, evidentemente, almeno in parte, erano state già formulate in sede di procedimento cautelare, precisandosi che doveva, comunque, ritenersi condivisibile la decisione di primo grado, che aveva integralmente e motivatamente recepito le conclusioni del consulente tecnico di ufficio, nonostante le successive contestazioni dell’as sicurata svolte nel giudizio di primo grado, onde non erano necessarie ulteriori ‘ spiegazioni aggiuntive ‘ in proposito . Di conseguenza, la corte d’appello ha concluso nel senso per cui le ulteriori contestazioni alle risultanze degli accertamenti del tecnico di ufficio, svolte o reiterate, anche in sede di gravame, non potevano ritenersi sufficienti a giustificare conclusioni diverse, trattandosi, in sostanza, di contestazioni da intendersi ‘ implicitamente disattese ‘ , proprio in quanto incompatibili con le predette conclusioni.
Complessivamente, tale motivazione deve ritenersi adeguata, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico e, come tale, non ulteriormente sindacabile nella presente sede.
5.3 In proposito, d’altra parte , va ulteriormente rilevato che il motivo di ricorso in esame non può ritenersi sufficientemente specifico nel richiamo del contenuto degli atti rilevanti, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. .
Non viene, infatti, chiarito in modo sufficientemente puntuale e specifico quali fossero le precise critiche alle risultanze della
consulenza tecnica di ufficio già svolte dalle parti in sede di accertamento tecnico preventivo e quali le ‘ esaurienti ‘ risposte a tali critiche fornite dallo stesso consulente tecnico di ufficio nella sua relazione, redatta in quella sede, risposte che la corte d’appello ha evidentemente ritenuto non superate dalle ulteriori contestazioni svolte nel giudizio di merito e in sede di gravame.
Con il quinto motivo si denunzia « Errore in giudicando ed in procedendo per violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 132 c.p.c. e 2719 e 1341 c.c. in relazione all’ art. 360, comma 1 n. 4 del c.p.c. : la Corte di Appello non si è pronunciata sull’avvenuto disconoscimento della copia del contratto di assicurazione depositato dalla controparte nel mese di marzo 2018, a distanza di n. 8 mesi dalla sua costituzione in Giudizio ».
Secondo la società ricorrente, la corte d’appello non avrebbe pronunciato sulla sua eccezione di disconoscimento della conformità all’originale della copia del contratto di assicurazione, contenente la specifica sottoscrizione per iscritto della clausola su cui era fondata la domanda de ll’attrice necessaria ai fini della validità della stessa, ai sensi dell’art. 1341 c.c. .
Il motivo è inammissibile.
6.1 In primo luogo, non viene adeguatamente chiarito, nel ricorso, se ed in quali termini il documento di cui si discute era stato già prodotto in primo grado (come del resto afferma espressamente la corte d’appello a pag. 17 , righi 5 e 6, della sentenza impugnata, senza che sul punto vi sia una specifica censura) e se, ed in quali termini, vi erano state tempestive contestazioni, in quella sede, sulla sua conformità all’originale. Ciò comporta, di per sé, l’inammissibilità della censura ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c..
6.2 In ogni caso, l’eccezione deve ritenersi implicitamente rigettata dalla corte d’appello, che, nel valutare il documento, lo ha evidentemente ritenuto conforme all’originale, non apparendo del resto la stessa contestazione di non conformità tra
copia ed originale essere stata formulata in modo adeguatamente specifico.
Con il sesto motivo si denunzia « Errore in procedendo per violazione dell’ art. 112 c.p.c. in relazione all’ art. 360 comma 1, n. 4 del c.p.c.: la Corte di Appello non si è pronunciata sulla domanda proposta in via subordinata dalla Società appellante nel ‘progetto di riforma’ della Sentenza gravata formulato nel primo motivo di impugnazione ».
Il motivo è infondato.
La domanda riconvenzionale di pagamento dell’indennizzo proposta dalla società assicurata è stata rigettata espressamente dal tribunale, come logica conseguenza dell’accoglimento della domanda principale della compagnia assicuratrice, di accertamento della sua decadenza dal diritto a percepire tale indennizzo.
La decisione di primo grado è stata appellata dalla società assicurata, che ha chiesto, in tale sede, oltre al rigetto della domanda della compagnia, l’accoglimento della sua domanda riconvenzionale.
La corte d’appello ha rigettato l’appello e confermato la decisione di primo grado.
Dalla motivazione della sentenza impugnata si evince chiaramente che l’appello in ordine al rigetto della domanda della compagnia è stato rigettato: ed è evidente (e inequivocabile, anche nell’ottica complessiva della motivazione della decisione stessa) ch e al rigetto dell’impugnazione sotto tale profilo, non potendo che conseguire la perdita del diritto all’indennizzo da parte dell’assicurata, conseguiva altresì l’inevitabile conferma anche della statuizione di rigetto della domanda riconvenzionale di paga mento di quell’indennizzo.
Pertanto, non può ritenersi omessa la decisione, in secondo grado, in ordine al motivo di appello relativo alla domanda riconvenzionale di pagamento dell’indennizzo, in quanto tale
decisione, quanto meno in via implicita, è chiaramente desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata e dal suo stesso dispositivo (di rigetto integrale dell’appello).
Il ricorso è rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, co. 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228.
per questi motivi
La Corte:
-rigetta il ricorso;
-condanna la società ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, liquidandole in complessivi € 9.800,00, oltre € 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge;
-dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228, per il versamento al competente ufficio di merito, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Ci-