Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20663 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20663 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
composta dai signori magistrati:
Oggetto:
dott. NOME COGNOME
Presidente
ASSICURAZIONE DANNI
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere relatore
Ad. 10/07/2025 C.C.
dott. NOME COGNOME
Consigliere
R.G. n. 15523/2023
ha pronunciato la seguente
Rep.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 15523 del ruolo generale dell’anno 2023, proposto da
–RAGIONE_SOCIALEC.F.: P_IVA, in persona del procuratore speciale NOME COGNOME
–RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA, in persona del procuratore speciale NOME COGNOME
–RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA), in persona del procuratore NOME COGNOME
–RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) (P.I.: P_IVA), in persona del procuratore NOME COGNOME
–RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA, in persona dei legali rappresentanti pro tempore NOME COGNOME e NOME COGNOME
tutte rappresentate e difes e dall’ avvocato NOME COGNOME (C.F.: TARGA_VEICOLO)
-ricorrenti-
nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA, in persona del Curatore Fallimentare NOME COGNOME o NOME COGNOME (C.F.:
rappresentato e difeso dall’avvocat CSR SFN CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché
NOME NOME (C.F.: SRC GNN 46T02 H931I) COGNOME NOME (C.F. : DVN LGU 53D49 H860T) NOME (C.F.: SRC GNR 45C15 H931L) COGNOME NOME (C.F.: CRC GPP 46S56 I820Y) NOME NOME (C.F.: SRC PQL 41M02 H931A) COGNOME NOME (C.F.: CSL FMN 46D59 G190X) NOME NOME (C.F.: SRC MHL CODICE_FISCALE) NOME (C.F.: FRT MRC CODICE_FISCALE) -intimatiper la cassazione della sentenza della Corte d’a ppello di Napoli n. 1866/2023, pubblicata in data 28 aprile 2023; udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del
10 luglio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
Il curatore del fallimento della RAGIONE_SOCIALE ha ottenuto ingiunzioni di pagamento del complessivo importo di € 709.260,35, a titolo di indennizzo per l’evento incendiario verificatosi il 6 gennaio 1996 e rientrante nella copertura assicurativa prestata in regime di coassicurazione dalle società RAGIONE_SOCIALE Italo-Svizzera di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE Riassicurazioni e Capitalizzazioni, Zurigo Compagnia RAGIONE_SOCIALE. Le opposizioni avanzate dalle società ingiunte sono state riunite e nel giudizio sono intervenuti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME proprietari dell’immobile danneggiato dall’incendio. All’esito, esse sono state solo parzialmente accolte dal Tribunale di Torre Annunziata, che ha revocato l’ingiunzione, ha dichiarato inammissibile l’intervento dei proprietari dell’immobile e ha condannato le compagnie assicuratrici al pagamento, in favore della curatela, dell’importo di € 14.259,00, rigettando ogni altra domanda .
La Corte d’a ppello di Napoli, in parziale accoglimento dell’appello principale avanzato dalla curatela attrice, ed in parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato Generali Italia S.p.A.RAGIONE_SOCIALE Groupama Assicurazioni S.p.a.RAGIONE_SOCIALE Zurich RAGIONE_SOCIALE Aviva RAGIONE_SOCIALE.p.A.RAGIONE_SOCIALE Allianz S.p.A. e RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, al pagamento, in favore della curatela, secondo le rispettive quote percentuali di coassicurazione, della somma complessiva di € 593.925,43 , oltre accessori, disattendendo gli appelli incidentali.
Ricorrono RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso la curatela del fallimento della RAGIONE_SOCIALE
Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli altri intimati.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
Le società ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
Ragioni della decisione
Si premette che non risulta evocata nella presente fase del giudizio la RAGIONE_SOCIALEgià Zurigo Compagnia di RAGIONE_SOCIALE, coassicuratrice parte del giudizio di merito. Non ha, comunque, rilievo la verifica della corretta instaurazione del contraddittorio nella presente fase del giudizio, in quanto il ricorso (per le ragioni che saranno di seguito illustrate) risulta prima facie infondato e va, quindi, applicato il principio costantemente affermato da questa Corte, per cui « nel giudizio di cassazione, il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un’evidente ragione
Ric. n. 15523/2023 – Sez. 3 – Ad. 10 luglio 2025 – Ordinanza – Pagina 3 di 13
d’inammissibilità del ricorso o qualora questo sia ‘prima facie’ infondato, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio e non essendovi, in concreto, esigenze di tutela del contraddittorio, delle garanzie di difesa e del diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità » (cfr. Cass., Sez. U, Ordinanza n. 6826 del 22/03/2010, e successive conformi; ex multis : Cass., Sez. 3, Sentenza n. 690 del 18/01/2012; Sez. 3, Sentenza n. 15106 del 17/06/2013; Sez. 2, Ordinanza n. 12515 del 21/05/2018; Sez. 2, Sentenza n. 11287 del 10/05/2018; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16141 del 17/06/2019; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8980 del 15/05/2020).
Con il primo motivo del ricorso si denunzia « In relazione all’ art. 360, comma I, n. 3, c.p.c. -Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. ».
2.1 Si premette che la corte d’appello ha rigettato l’eccezione avanzata dalle compagni e assicuratrici, di decadenza dell’assicurata dal diritto ad ottenere l’indennizzo per la dolosa esagerazione del danno, fondata su specifica clausola della polizza che prevede tale decadenza, sulla base della seguente motivazione: « Affinché si produca l’effetto decadenziale la clausola in oggetto richiede non solo che il contraente abbia compiuto uno dei comportamenti espressamente indicati (esagerazione del danno, false dichiarazioni sulle cose esistenti al momento del danno, predisposizione di documentazione falsa) ma che gli stessi siano stati commessi volontariamente, con il dolo di voler ricevere un indennizzo superiore a quello di spettanza. In quanto fatto estintivo/impeditivo del diritto all’indennizzo, le Compagnie assicurative avrebbero dovuto fornire una prova specifica del dolo dell’Assicurato che, nel caso di specie, non può dirsi integrata. Infatti, dalla sola rilevata differenza tra la
quantità di capi danneggiati dichiarati al momento dell’incendio e quelli poi accertati in sede di perizia non può dirsi dimostrata la dolosa preordinazione volta ad un indennizzo più alto di quello effettivamente dovuto. Questo dato isolato non può essere considerato sufficiente a ritenere provato il dolo dell’assicurato e ad escludere il suo diritto all’indennizzo. Le ulteriori deduzioni sul punto, avanzate alquanto genericamente dalle società di assicurazioni, non sono supportate da idonea dimostrazione ».
Le società ricorrenti deducono che la corte d’appello avrebbe fatto propria « una interpretazione della clausola in esame che è insuperabilmente contraria al tenore letterale della stessa, così incorrendo nella violazione delle norme codicistiche in tema di interpretazione dei contratti ».
In particolare, sostengono che, nella suddetta clausola, « alcun elemento, indizio e/o circostanza da cui trarre la conclusione che fosse richiesto il cd. dolo specifico della truffa, ovvero la consapevole e deliberata intenzione di ottenere un indennizzo maggiore di quello dovuto »
2.2 Il motivo è infondato.
Le censure con esso formulate si fondano, in realtà, su un presupposto erroneo in fatto e, cioè, che la corte d’appello avrebbe interpretato la clausola controversa della polizza assicurativa come se essa richiedesse il ‘ dolo specifico della truffa ‘.
La corte territoriale ha, in realtà, semplicemente affermato che « le Compagnie assicurative avrebbero dovuto fornire una prova specifica del dolo dell’Assicurato », che più chiaramente indica con l’espressione « dolo di voler ricevere un indennizzo superiore a quello di spettanza »; non ha, invece, affatto affermato che avrebbe dovuto essere fornita la prova del ‘ dolo specifico della truffa ‘, come sostengono le ricorrenti.
L’interpretazione della clausola fatta propria dalla corte d’appello è, dunque, quella per cui la ‘ esagerazione dolosa del
danno ‘ va ravvisata, nella sostanza, in una ‘ richiesta diretta consapevolmente ad ottenere un indennizzo superiore a quello di spettanza ‘, non quella prospettata dalle ricorrenti.
Né la corte d’appello ha, in qualche modo, richiesto alle assicuratrici la prova che l’assicurato abbia posto in essere artifici o altri mezzi fraudolenti ovvero abbia agito con lo specifico e fraudolento intento di arrecare danno all ‘ assicuratore nell’effettuare la propria richiesta di indennizzo.
2.3 Secondo quanto desumibile dai precedenti di questa stessa Corte, in consonanza con quanto del resto osservato dalla migliore dottrina, p er ‘ esagerazione dolosa del danno ‘, fattispecie prevista dalla clausola della polizza in esame (clausola del resto consueta nelle polizze di questo tipo) deve intendersi una condotta consistita nell’esagerare scientemente la quantificazione del danno, allo scopo di ottenere una indennità superiore a quella spettante a termini di contratto e tenuta con la consapevolezza di eccedere (e, per di più, notevolmente, tanto implicando l’etimologia del lemma ‘ esagerare ‘) i limiti di una corretta valutazione del danno stesso, secondo criteri economicocommerciali normalmente praticati, a prescindere dalla idoneità o meno dei comportamenti alla induzione in errore della società assicuratrice .
Va precisato, in proposito, che è senz’altro onere dell’assicuratore provare la dolosa esagerazione del danno da parte dell’assicurato e che tale onere non può ritenersi assolto per il semplice fatto che l’assicurato, dopo avere convenuto in giudizio l’assicuratore per ottenere il pagamento dell’indennità in una certa misura, sia riuscito a provare soltanto una piccola parte del danno richiesto con l’atto introduttivo del giudizio.
In proposito, d’altra parte , questa Corte (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 9782 del 08/10/1997, in motivazione), nel considerare una clausola di polizza assicurativa sostanzialmente coincidente anche nel tenore letterale con quella in esame nella
presente sede, ha chiaramente affermato sia che l’esagerazione dolosa del danno, quando, secondo il contratto, costituisce causa di decadenza dal diritto all’indennità, deve essere dimostrata dall’assicuratore che la fa valere , sia che non equivale a dolosa esagerazione del danno il non essere l’assicurato riuscito a provarne l’entità da lui allegata , sia, infine, che è, comunque, riservata al giudice del merito la valutazione della idoneità probatoria degli elementi presuntivi allegati a sostegno del dolo dall’assicuratore ( e ciò benché si tratti di decisione adottata nella vigenza della precedente formulazione dell’art. 360 , comma 1, n. 5 c.p.c., la quale consentiva alla Corte di Cassazione un ben più penetrante controllo sulla motivazione, anche in tema di valutazione degli indizi e delle presunzioni).
2.4 Nella specie, l ‘interpretazione della clausola controversa fatta propria dalla corte d’appello, nella sostanza , è certamente conforme ai principi di diritto sin qui esposti.
Non è, pertanto, affatto vero che « la Corte di merito con una interpretazione del contratto travalicante il dato testuale e, in quanto tale, arbitraria, ha erroneamente ritenuto necessario il dolo specifico anziché quello generico richiesto dalla norma ».
Nei termini più sopra indicati, si tratta, al contrario, di una interpretazione assolutamente non arbitraria e, anzi, ragionevolmente compatibile non solo con il testo letterale della clausola, ma anche con la comune intenzione dei contraenti desumibile dal complesso del contratto (e dallo stesso tenore della clausola in questione, che richiama espressamente una serie di condotte volte tutte consapevolmente al fine di ottenere un risarcimento superiore a quello dovuto), il che esclude la dedotta violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c..
Né può attribuirsi rilievo, in quest’ottica, alle disposizioni di legge invocate dalle ricorrenti come termine di paragone per l’interpretazione della clausola negoziale in questione,
trattandosi di previsioni riferite a situazioni differenti e, comunque, non tali da indurre a diverse conclusioni.
2.5 È sufficiente allora, in definitiva, ribadire che, trattandosi di un accertamento di fatto volto a ricostruire l’effettiva volontà negoziale delle parti, l’interpretazione in questione della clausola di polizza in contestazione, come effettivamente più sopra ricostruita, in quanto non del tutto arbitraria ed irragionevole (ma anzi addirittura condivisibile), non può ritenersi sindacabile nella presente sede.
Con il secondo motivo si denunzia « In relazione all’ art. 360, comma I, n. 3, c.p.c. -Violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. ».
Con il terzo motivo si denunzia « In relazione all’ art. 360, comma I, n. 5, c.p.c. -Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ».
Il secondo ed il terzo motivo sono connessi logicamente e giuridicamente e, in quanto tali, possono essere esaminati congiuntamente.
Essi sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
3.1 Le società ricorrenti deducono, in primo luogo, che , nell’accertare la sussistenza della dolosa esagerazione del danno la corte d’appello avrebbe « giudicato insufficienti le prove addotte dalle Compagnie per il sol fatto di essere prove indirette, con ciò mancando di considerare che indiretto, e presuntivo, è per sua natura l ‘ accertamento del dolo in consimili casi ».
Tale censura è infondata.
Non è affatto vero che la corte d’appello abbia negato di poter giungere alla dimostrazione del dolo dell’assicurato tramite presunzioni, avendo, invece, rilevato che non poteva essere sufficiente, a tal fine, la « sola rilevata differenza tra la quantità di capi danneggiati dichiarati al momento dell’incendio e quelli poi accertati in sede di perizia » e che « le ulteriori deduzioni sul punto, avanzate alquanto genericamente dalle società di
assicurazioni, non sono supportate da idonea dimostrazione », rilievo pienamente conforme, in diritto, ai principi di diritto applicabili in materia, già esposti nei precedenti paragrafi.
3.2 Si tratta, dunque, di un accertamento di fatto fondato sulla valutazione delle prove, sostenuto da una motivazione non meramente apparente (benché certamente sintetica), né insanabilmente contraddittoria sul piano logico e, come tale non sindacabile nella presente sede.
La corte d’appello ha, del tutto ragionevolmente, escluso che, per ritenere dimostrata la dolosa esagerazione del danno da parte dell’assicurato, potesse essere sufficiente la sola divergenza tra le dichiarazioni sulla quantità delle merci danneggiate da questo effettuate in sede di iniziale richiesta di indennizzo e le risultanze finali della perizia contrattuale: è, del resto, evidente (oltre che ben frequente nella pratica) , che l’esito degli accertamenti (postumi) svolti dai periti delle parti, sia pure in sede di perizia contrattuale, difficilmente possa coincidere con le iniziali indicazioni delle parti stesse in ordine alla determinazione del danno, venendo in rilievo, in tale ottica, anche le difficoltà dell’accertamento e della prova dell’effettiva situazione di fatto su cui ha inciso il sinistro.
La valutazione dell’idoneità a dimostrare il dedotto dolo degli ulteriori elementi presuntivi invocati dalle ricorrenti rientra certamente nella discrezionalità del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità.
3.3 Lo stesso richiamo dei suddetti elementi presuntivi -che si assumono mal valutati o non valutati affatto -non è, del resto, effettuato nel ricorso con la specificità richiesta dall’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., cioè con il richiamo puntuale del contenuto degli atti di causa in cui erano state formulate le relative allegazioni: nel ricorso è presente solo un generico richiamo ai « doc. 9 e doc. 24 dei fascicoli di primo grado », senza alcun preciso e puntuale richiamo della natura e/o del contenuto
specifico di tali atti (che parrebbero addirittura essere costituiti da produzioni documentali e non da atti difensivi) e, più precisamente, senza il richiamo ai punti in cui in tali atti sarebbero indicati specifici fatti idonei a fondare il ragionamento presuntivo a dire delle ricorrenti effettuato in modo non conforme a diritto dalla corte d’appello.
Nella sostanza, le ricorrenti invocano fatti che assumono essere stati allegati e provati nel corso del giudizio di merito, assumendo che essi costituivano indizi sufficienti a ritenere provata la dolosa esagerazione del danno, in via presuntiva, ma non chiariscono adeguatamente, nel ricorso, in che modo ed in che termini tali allegazioni avevano formato oggetto di specifiche difese nel corso del giudizio di merito e per quali ragioni i fatti alla base delle stesse dovevano ritenersi provati o non contestati.
3.4 In ogni caso, la corte d’appello non solo ha ritenuto generiche le indicate allegazioni ma ha anche affermato che non erano adeguatamente documentati gli stessi fatti posti a fondamento del ragionamento presuntivo articolato dalle compagnie assicuratrici e ha concluso, quindi, nel senso della insufficienza della prova del dolo: si tratta di una valutazione di merito non censurabile in sede di legittimità e, di per sé, già decisiva ed assorbente.
Non può dirsi sussistere, pertanto, alcuna violazione delle disposizioni di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c., risultando operata, invece, una corretta applicazione dei principi a base delle medesime, che ha semplicemente condotto ad un risultato valutativo di merito diverso da quello preteso dalle ricorrenti.
È, d’altra parte, appena il caso di ribadire i principi di diritto affermati costantemente da questa Corte, che il ricorso non offre ragioni idonee ad indurre a rimeditare, secondo i quali, « in tema di prova per presunzioni, la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti
dall’art. 2729 c.c. e dell’idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell'”id quod plerumque accidit’, i fatti ignoti da provare, costituisce attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezi onale del giudice di merito » (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 27266 del 25/09/2023, Rv. 669130 -01; Sez. L, Ordinanza n. 22366 del 05/08/2021, Rv. 662103 – 01), mentre « la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma » (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 9054 del 21/03/2022, Rv. 664316 -01), ciò in quanto « la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo » (Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 5279 del 26/02/2020, Rv. 657231 -01; in senso analogo: Sez. L, Sentenza n. 18611 del 30/06/2021, Rv. 661649 -01, secondo cui « la critica deve concentrarsi sull’insussistenza dei requisiti della presunzione nel ragionamento condotto nella sentenza impugnata, mentre non può svolgere argomentazioni dirette ad infirmarne la
plausibilità, criticando la ricostruzione del fatto ed evocando magari altri fatti che non risultino dalla motivazione »).
3.5 Neanche può ritenersi fondata la censura di omesso esame di fatti decisivi: come sostanzialmente riconosciuto dalle stesse ricorrenti, la corte d’appello ha valutato le circostanze da esse dedotte a sostegno dell’assunto della dolosa esagerazione del danno, ma non le ha ritenute sufficienti, in quanto generiche e non adeguatamente documentate, a dimostrare quell’assunto. D’altra parte, è appena il caso di ribadire che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, « l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, prin cipale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il ‘fatto storico’, il cui esame sia stato omesso, il ‘dato’, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il ‘come’ e il ‘quando’ tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua ‘decisività’, fermo restando c he l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie » (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; Sez. U, Sentenza n. 8054 del 07/04/2014; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 25216 del 27/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 9253 del 11/04/2017; Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018; Sez. 2, Ordinanza n. 17005 del 20/06/2024).
Nella specie, non vi è dubbio che i fatti storici rilevanti siano stati presi in considerazione e valutati dalla corte territoriale, sulla base di una motivazione adeguata (anche se sintetica ma, comunque, quanto meno rispettosa del cd. minimo costituzionale), onde non può attribuirsi alcun rilievo alla circostanza che nella sentenza non si sia dato specificamente conto di tutte le ulteriori risultanze probatorie, evidentemente non ritenute decisive, in senso contrario alle conclusioni raggiunte.
Il ricorso è rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (nella specie, rigetto) di cui all’art. 13, co. 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Per questi motivi
La Corte:
-rigetta il ricorso;
-condanna le società ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, liquidandole in complessivi € 10.800,00, oltre € 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge;
-dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P .R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento al competente ufficio di merito, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Ci-