Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7011 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 7011 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/03/2024
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante sig. NOME COGNOME, con sede in Napoli, rappresentata e difesa per procura alle liti a margine del ricorso dagli Avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso lo studio dell ‘ AVV_NOTAIO NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO.
Ricorrente
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso per procura alle liti a margine dell’atto di citazione di primo grado da ll’ AVV_NOTAIO, domiciliato presso la Cancelleria della Corte di Cassazione.
Controricorrente
e
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
Intimata
avverso la sentenza n. 1318/2018 della Corte di appello di Torino, pubblicata l’11. 7. 2018 .
Udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del 30. 1. 2024 consigliere NOME COGNOME.
Udite le conclusioni del P.M., in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Fatti di causa
Con sentenza n. 1318 dell’11. 7. 2018 la Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE rigettò gli appelli proposti da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE avverso la decisione di primo grado che, in accoglimento della domanda avanzata da COGNOME NOME, aveva annullato per dolo il contratto con cui l’attore aveva acquistato dalla RAGIONE_SOCIALE un quadro di NOME COGNOME intitolato ‘ NOME natura ‘ per il prezzo di euro 6.900,00 ed altresì il contratto di finanziamento stipulato dall’acquirente con la RAGIONE_SOCIALE sRAGIONE_SOCIALE per il pagamento del prezzo. A sostegno della conclusione accolta la Corte territoriale affermò, per quanto qui ancora rileva, che risultava provato dalle risultanze processuali che il COGNOME era stato indotto all’acquisto dell’opera a causa del comportamento doloso della venditrice, che con false e distorte rappresentazioni della realtà lo aveva indotto in errore sull’effettivo valore del quadro e quindi sulla bontà dell’investimento, garantendo espressamente che l’op era avesse un valore superiore, pari a euro 8.900,00, mentre in realtà essa aveva un prezzo di molto inferiore.
Per la cassazione di questa sentenza, notificata il 12. 7. 2018, con atto notificato l’11. 10. 2018 , ha proposto ricorso la RAGIONE_SOCIALE, affidato a sei motivi. COGNOME NOME ha notificato controricorso, mentre RAGIONE_SOCIALE in liquidazione non ha svolto attività difensiva.
Ragioni della decisione
Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità del controricorso per difetto della procura speciale al difensore, richiesta per il giudizio di legittimità dagli artt. 365 e 370 cod. proc. civ.. Il controricorso richiama la procura alle liti rilasciata a mar gine dell’atto di citazione di primo grado, atto che evidentemente difetta del requisito di specialità ai sensi dell’art. 83 cod. proc. civ., anche per essere stato il mandato conferito in epoca precedente alla sentenza impugnata.
Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. ed omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, lamentando che la Corte di appello abbia fondato la sua decisione sulla base di una ricostruzione dei fatti erronea, reputandoli provati in applicazione del principio di mancata contestazione, così ignorando le difese svolte dalla società convenuta e, quale fatto rilevante, il contenuto del contratto intercorso tra le parti.
Il mezzo è inammissibile.
La prima censura, che lamenta l ‘ erronea applicazione da parte del giudice di merito del principio di non contestazione, stabilito dall’art. 115, comma 2, cod. proc. civ., è invero generica, non indicando i fatti precisi di cui si lamenta l’avvenuto accertamento né i passi degli scritti d ifensivi della convenuta ove aveva contestato le circostanze esposte dalla controparte. Si osserva inoltre che la Corte territoriale ha richiamato, ai fini della prova dei fatti ritenuti rilevanti, non soltanto il suddetto principio, ma anche le prove testimoniali ed i documenti.
La censura di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio è invece inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter, comma 5, cod. proc. civ., che dichiara non proponibile con il ricorso per cassazione il motivo di cui all’art. 360 n. 5 nel caso in cui la sentenza di appello abbia deciso sulla base dei medesimi fatti accertati dal giudice di primo grado ( c.d. doppia conforme ), disposizione che, ratione temporis , si applica al presente processo, essendo il giudizio di appello iniziato nel 2016.
Il secondo motivo di ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 166, 167, comma2, 168 bis, comma 5, 269, comma 2, 342, 343 e 346 cod. proc. civ. ed omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, censura la sentenza impugnata per avere dichiarato la società convenuta RAGIONE_SOCIALE decaduta dalle eccezioni processuali o di merito per tardiva costituzione in giudizio, valutando erroneamente il termine per la sua costituzione con riferimento alla data di udienza indicata nell’atto di citazione e non a quella oggetto di differimento del giudice e senza considerare che l’eccezione di decadenza formulata dalla controparte era stata disattesa dal giudice di primo grado e la relativa statuizione non aveva formato oggetto di appello incidentale.
Il mezzo appare inammissibile dal momento che l’errore denunciato è privo di decisività, non precisando il ricorso quali siano le eccezioni processuali e di merito che, per la ragione sopra detta, la Corte di appello ha ritenuto tardive e non ha quindi esaminato. La censura ripete al riguardo la stessa indeterminatezza dell’affermazione della sentenza censurata, che , come osserva il ricorso, non si si indirizza nei confronti di eccezioni specifiche sollevate dalla parte convenuta rilevanti ai fini della decisione adottata, finendo in tal modo per configurarsi come affermazione sostanzialmente estranea alla ratio decidendi .
Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ., assumendo che la Corte d’appello ha fondato la sua decisione su dichiarazioni testimoniali non decisive e comunque non correttamente valutate, nonché su docu menti di cui l’appellante aveva contestato la rilevanza. Con riferimento al valore dell’opera acquistat a si sostiene che il giudicante ha errato nel tenere in considerazione la e-mail proveniente dalla manager del pittore, che ne indicava il prezzo in circa euro 1.200,00, in luogo di accertare l’effettivo valore del quadro in modo imparziale mediante consulenza tecnica d’ufficio.
Anche questo motivo va dichiarato inammissibile, sollevando critiche al giudizio di valutazione delle prove che, in quanto riservato alla esclusiva competenza del giudice di merito, non appare censurabile in sede di giudizio di legittimità. Circa la dedotta violazione dell’art . 116 cod proc. civ., merita inoltre precisare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la relativa censura è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, attribuendole un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente mezzo di prova ( Cass. S.U. n. 20867 del 2020 ). Il quarto motivo di ricorso, nel denunciare violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 cod. civ. e 343 e segg. cod. proc. civ., censura l’affermazione della sentenza secondo cui l’opera consegnata era diversa da quella indicata nel contratto, avendo i quadri un titolo diverso, assumendo che tale diversità non
potrebbe mai portate a ravvisare la fattispecie dell’ aliud pro alio , attesa la sicura attrib uzione dell’opera consegnata al pittore NOME COGNOME.
Il mezzo è inammissibile, in quanto investe una considerazione della Corte di appello non collegata direttamente alle ragioni di accoglimento della domanda di annullamento del contratto per dolo e che non forma, pertanto, una autonoma ratio decidendi .
Il quinto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1427 e segg. e 1321 e segg. cod. civ. ed omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, lamentando che la Corte di appello abbia ravvisato nel comportamento della venditrice gli estremi del dolo contrattuale. Si sostiene al contrario che, avendo l’acquirente lamentato l’eccessività del prezzo pagato, l’errore sul punto avrebbe potuto dare luogo all’azione di rescissione del contratto, non a quella di annullamento per vizio della volontà. La Corte non ha poi considerato che il contratto di acquisto conteneva condizioni generali ed avvertenze in ordine alla caratteristiche ed al prezzo dell’opera, pacificamente accettate dall’acquirente, il quale era stato perfettamente edotto delle caratteristiche del bene acquistato. Sotto altro profilo si deduce che ai fini del dolo, come causa di annullamento del contratto, non è sufficiente una qualunque influenza psicologica nella determinazione dell’acquisto, ma sono necessari artifici o raggiri ovvero menzogne che abbiano influito sulla formazione del consenso, mentre rimangono irrilevanti i motivi perseguiti dal singolo contraente. Non configura invece raggiro il solo fatto che la parte, nel corso delle trattative, cerchi di rappresentare con enfasi la realtà in modo a lei più favorevole. La Corte non ha poi considerato che il COGNOME era un esperto collezionista di arte contemporanea e che, pur potendo, non si era avvalso della facoltà di recedere dal contratto prevista dalla disciplina del codice di consumo.
Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile, laddove denuncia l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, trovando applicazione nel presente giudizio, come detto, la preclusione posta dall’art. 348 ter cod. p roc. civ.
Nel merito la Corte di appello ha ravvisato nel comportamento della venditrice gli estremi del dolo contrattuale affermando che le risultanze istruttorie e, in
particolare le prove testimoniali e documentali, aveva confermato la versione dei fatti fornita in atto di citazione, secondo cui l’attore era stato contattato da persone che si qualificavano art promoters rappresentanti della RAGIONE_SOCIALE, volta alla valorizzazione di alcuni artisti italiani e la cui attività era corredata da articoli di stampa, sollecitando l’acquisto di opere, tra l’altro quella del pittore COGNOME per cui è causa, come forma di sicuro investimento ed assicurando che essa aveva un valore effettivo superiore al prezzo di acquisto, tanto da rilasciare un documento, denominato ‘ Certificato di opera garantita ‘ , ove era indicato il prezzo di euro 8.900,00, superiore a quello di acquisto di euro 6.900,00. Il giudice di secondo grado ha quindi ritenuto, sulla base di tali circostanze, che la venditrice avesse posto in essere, con forme di propaganda insidiosa, una falsa e distorta rappresentazione della realtà, che aveva determinato il COGNOME all’acquisto del quadro presentandolo falsamente come forma di sicuro investimento mediante assicurazione di un valore di molto superiore a quello effettivo, essendo risultato dallo studio dello stesso pittore COGNOME che opere del tutto simili era offerte al prezzo di euro 1.200,00 e dalla valutazione di una società di aste che il prezzo di aggiudicazione di esse oscillava ‘ da euro 200 a euro 350 ‘.
Tanto precisato, la sentenza si sottrae all’errore di diritto denunciato, apparendo conforme all’orientamento di questa Corte ed alla dottrina che ravvisa il dolo come causa di invalidità del contratto nel compimento ad opera della parte contrattuale di artifici e raggiri idonei a travisare la realtà ed a fornirne una falsa rappresentazione, determinando proprio in forza di tale falsa configurazione del reale un errore dell’altra parte su aspetti essenziali del negozio, tale da provocare il suo consenso a concluderlo ( Cass. n. 20231 del 2022; Cass. n. 14628 del 2009 ). Si è inoltre precisato che il dolo decettivo conduce all’annullamento del contratto qualunque sia l’elemento sul quale il contraente sia stato ingannato e, dunque, in relazione a qualunque errore in cui sia stato indotto, ivi compreso quello sul valore o sulle qualità del bene oggetto del negozio ( Cass. n. 4065 del 2014; Cass. n. 16004 del 2014; Cass. n. 3030 del 1974 ).
La motivazione della sentenza impugnata , d’altra parte, esclude espressamente che la condotta ascritta alla venditrice possa configurarsi come ipotesi di c.d. dolus bonus , ravvisabile laddove la parte, in sede di trattative, non falsi la realtà, ma cerchi semplicemente di rappresentarla nel modo più conveniente ai propri interessi, adottando una condotta che secondo le circostanze possa far ragionevolmente escludere che l’altra parte vi abbia attribuito un peso determinante ( Cass. n. 19559 del 2009; Cass. n. 3001 del 1996 ). Nello specifico la Corte territoriale ha fornito alla soluzione accolta una motivazione congrua, laddove ha identificato il raggiro nel fatto che la venditrice, accreditandosi come rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, di cui vantava l’attività di promozione di artisti italiani, ha convinto la controparte all’acquisto assicurando, anche mediante apposita dichiarazione scritta , un valore dell’opera di molto superiore a quello effettivo. Con riguardo alla valutazion e delle condizioni soggettive dell’acquirente, necessaria al fine di stabilire l’idoneità della condotta ascritta a ingenerare l’errore , la Corte di appello ha inoltre disatteso, perché non provato, l’argomento della convenuta che il COGNOME fosse un esperto e collezionista di arte moderna.
Sul punto va anche rimarcato che l’accertamento in concreto dei presupposti del dolo contrattuale è rimessa dalla legge al giudice di merito, il cui apprezzamento, investendo valutazioni di fatto, non è censurabile in sede di giudizio di legittimità ( Cass. n. 16004 del 2014 ; Cass. n. 19559 del 2009 ).
Il sesto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 90 e segg. cod. proc. civ., per avere la Corte di appello ignorato, in sede di regolamentazione delle spese processuali, la proposta transattiva avanzata dalla odierna ricorrente.
Il motivo è infondato.
Dalla lettura della sentenza impugnata risulta che la Corte di appello ha dato atto della proposta avanzata dalla società RAGIONE_SOCIALE e che essa era stata rifiutata dall’appellato, ma ha ritenuta irrilevante tale rifiuto alla luce della propria decisione di merito. La soluzione è corretta, atteso che l’art. 90 citato attribuisce rilevanza, ai fini delle spese, al rifiuto ingiustificato della proposta
transattiva nel solo caso in cui la domanda non sia accolta in misura superiore alla stessa.
In conclusione il ricorso è respinto.
Nulla si dispone sulle spese del giudizio, attesa l’inammissibilità del controricorso.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30 gennaio 2024.