Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 29035 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 29035 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/11/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 15786/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avv.ti COGNOME e COGNOME NOME.
-RICORRENTE-
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME.
-CONTRORICORRENTE-RICORRENTE INCIDENTALE – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO LECCE n. 1152/2020 depositata il 03/12/2020.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME , che ha chiesto di accogliere il ricorso principale e di respingere quello incidentale.
Uditi gli avv.ti COGNOME NOME E NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME COGNOME COGNOME in giudizio il NOME NOME NOME NOME lo sciogl imento della comunione dell’immobile sito in LecceINDIRIZZO INDIRIZZO, acquistato in pari quota nel 2006, oltre al pagamento dei frutti del bene, utilizzato in via esclusiva dal COGNOME e il risarcimento dei danni ulteriori per non aver potuto accedere all’immobile.
NOME COGNOME si è opposto alla domanda, chiedendo il rimborso dei costi di conservazione e miglioramento dell’immobile.
Il Tribunale ha disposto la divisione, assegnando l’intero cespite al COGNOME condizionatamente al pagamento del conguaglio di €. 147091,43, alla regolarizzazione urbanistica di taluni abusi edilizi e all’ estinzione del 50% del mutuo ipotecario, e condannando quest’ultimo a versare €. 42.500 quali frutti del bene goduto in via esclusiva.
La pronuncia è stata impugnata da entrambe le parti e all’esito la Corte distrettuale, dato atto che l’attribuzione del bene in via esclusiva a NOME COGNOME non era passata in giudicato e che l’immobile era stato nel frattempo venduto all’asta , ha ritenuto che l’ass egnazione e l’obbligo di conguaglio fossero venuti meno; ha suddiviso il prezzo di aggiudica in parti uguali tra i condividenti e ha liquidato a titolo di migliorie il maggior importo di €. 46.000,00 in favore di NOME COGNOME, che ha condannato a versare € 61.200,00 a titolo di frutti civili per il godimento esclusivo del bene, confermando ogni altra pronuncia.
Per la cassazione della sentenza NOME e NOME COGNOME hanno proposto autonomi ricorsi rispettivamente sulla base di sette e di
quattro motivi di impugnazione. NOME COGNOME ha depositato controricorso con ricorso incidentale; NOME COGNOME ha notificato un duplice controricorso, il secondo dei quali in replica al ricorso incidentale di contro parte, ai sensi dell’art. 371 , comma secondo, c.p.c..
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte.
Le parti hanno illustrato le rispettive difese con memorie ex art. 378 c.p.c..
RAGIONI COGNOMEA DECISIONE
Il ricorso autonomo di NOME COGNOME è stato notificato per primo e ha natura impugnazione principale; l’impugnazione di NOME COGNOME ha natura incidentale.
NOME COGNOME ha notificato anche un controricorso con ricorso incidentale, senza sollevare motivi di doglianza avverso la sentenza di appello, il che esclude le ragioni di inammissibilità, per consumazione del potere di impugnazione, eccepita dal Pubblico Ministero.
Il primo motivo del ricorso principale denuncia la violazione degli artt. 112, 115, 116, 183 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo, per aver la sentenza affermato che NOME COGNOME aveva utilizzato l’immobile dal 2010 sebbene il bene fosse rimast o inagibile fino al 2017, come era confermato da plurime risultanze processuali, oltre che dalla certificazione emessa dall’RAGIONE_SOCIALE Lecce e dal fatto che presso l’immobile era stato effettuati lavori straordinari che lo rendevano inabitabile.
Secondo il ricorrente, l’inagibilità era stata riconosciuta dallo stesso COGNOME negli atti di causa e non vi era prova che il bene fosse precedentemente abitato dagli originari titolari prima della vendita esecutiva ; l’immobile era privo di impianto idrico e dell’impianto
fognario e necessitava di profondi interventi per renderlo abitabile, non potendo ritenersi fruttifero.
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c., per aver la sentenza ritenuto pacifico che il ricorrente avesse occupato l’immobile, circostanza che era stata contestata, sostenendo che il bene era stato utilizzato solo dal 2017.
Il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 1102 c.c..
Afferma il ricorrente che entrambi i fratelli COGNOME avevano utilizzato l’immobile e che, per riconoscere l’indennità di occupazione, era necessario accertare se la porzione utilizzata dal NOME NOME consentisse un uso paritetico del bene.
I motivi sono infondati.
Contrariamente a quanto sostenuto dal Pubblico Ministero, non è oggetto di censura il fatto che NOME COGNOME avesse vanamente chiesto di rientrare nel possesso del bene utilizzato in via esclusiva dal NOME, avendo titolo a pretendere il pagamento di un’indennità. Ciò premesso, le censure sollevano, sul punto, questioni in fatto riguardo alle condizioni di agibilità ed utilizzabilità dell’immobile , alla decorrenza dell’occupazione e al carattere fruttifero del bene, che la sentenza ha analiticamente esaminato, pervenendo a conclusioni logicamente motivate.
2.1 La Corte di appello ha stabilito che il bene era occupato già dai precedenti titolari e che, dopo che era stato acquistato all’asta dalle parti in causa, era rimasto nell’esclusiva disponibilità del ricorrente. NOME COGNOME aveva chiesto più volte di essere immesso nel possesso e aveva dovuto far ricorso al tribunale per la nomina di un amministratore giudiziario.
La pronuncia, senza negare che il bene fosse in precarie condizioni di manutenzione o che necessitasse di interventi, ne ha ritenuto possibile, sulla scorta delle risultanze di causa e delle indagini del
consulente, un uso seppur ridotto, affermando che NOME COGNOME, pur senza abitarvi, aveva mantenuto il controllo esclusivo.
La data di occupazione dell’immobile è stata desunta dei verbali di accesso del c.t.u. da cui è emerso che NOME COGNOME occupava l’immobile nel periodo indicato in sentenza .
In ogni caso, la censura con cui si deduce che il giudice non abbia tenuto conto dei fatti non contestati esige che sia riportato nell’atto di impugnazione il contenuto delle difese di controparte, dovendo l’impugnazione soddisfare i requisiti di specificità imposti dall’art. 366 c.p.c., esposizione che, nel caso in esame, appare del tutto insufficiente, essendo trascritti singoli stralci delle difese, avulsi dal contesto (Cass. 18018/2024; Cass. 20694/2018).
La non contestazione implica, inoltre, che la parte dalla quale è invocato abbia per prima ottemperato all’onere processuale di provvedere ad una puntuale allegazione dei fatti di causa, rispetto ai quali l’altra parte è tenuta a prendere posizione, il che esige che nel ricorso siano indicate quali circostanze siano state dedotte negli atti introduttivi, non essendo sufficiente -come nel caso in esame – la semplice elencazione di quelle emerse in corso di causa (Cass. 20525/2020; Cass. 3023/2016).
Sotto altro profilo, la non contestazione si configura solo rispetto ai fatti costitutivi delle domande, con esclusione delle mere valutazioni o delle circostanze che emergono dalle risultanze istruttorie (Cass. 17261/2025; Cass. 3022/2018); è poi principio più volte ribadito alla giurisprudenza di questa Corte che compete al giudice di merito accertare la sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte (Cass. 27490/2019; Cass. Cass. 3680/2019) e comunque, se la non contestazione solleva la parte dall’onere di provare il fatto non specificamente contestato
dal COGNOME costituito, non esclude che il giudice possa pervenire ad un diverso accertamento, dopo aver valutato l’insieme delle prove e delle difese delle parti (Cass. nn. 5363/2012, 16201/2009, 29404/2018, 5166/2023, 16028/2023, n. 16028).
2.2. Anche le restanti censure sono infondate.
Non è denunciabile l’omesso esame di fatti decisivi, essendosi in presenza di una doppia pronuncia conforme sulle questioni in fatto (art. 348 ter, commi IV e V c.p.c.), e, peraltro, la condizione di utilizzabilità e l’uso esclusivo del bene appaiono circo stanze ampiamente analizzate, non dovendo il giudice dar conto di tutte le risultanze istruttorie.
La violazione dell’art. 2697 c.c., lamentata in ricorso, si configura, inoltre, se il giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, e non è invocabile per contestare, come nella specie, la valutazione delle prove effettuate dal giudice.
La violazione dell’art. 115 c.p.c. postula che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, o abbia utilizzato elementi acquisiti di sua iniziativa quando non gli sia riconosciuto un potere officioso di indagine, non per censurare il modo con cui abbia valutato le prove, attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. n. 11892 del 2016; Cass. S.U. n. 16598/2016).
Il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 91 c.p.c. sostenendo che il giudice, dovendo accogliere le domande del ricorrente e respingere quelle di controparte, non poteva disporre l’integrale compensazione delle spese, avendo trascurato che NOME COGNOME
aveva immotivatamente respinto la proposta conciliativa del giudice.
Il motivo è infondato, essendo la compensazione giustificata dalla reciproca soccombenza delle parti, l’una tenuta a versare l’indennità di occupazione dell’immobile e l’altra al rimborso delle spese di conservazione e miglioramento.
La mancata accettazione delle proposta conciliativa non conduce automaticamente alla condanna della parte al pagamento delle spese, occorrendo l’assenza di valide giustificazioni alla luce di tutte le vicende del caso concreto, la cui valutazione è rimessa al giudice di merito.
Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione degli artt. 282, 324 c.p.c. e 2909 c.c., assumendo che erroneamente la Corte di appello abbia disposto la divisione delle somme ottenute dalla vendita forzata dell’unico cespite in comunione, senza considerare che l’attribuzione in favore di NOME COGNOME era passata in giudicato poiché la sentenza di primo grado era stata impugnata nella sola parte in cui aveva condizionato l’assegnazione del bene al pagamento del conguaglio.
Il secondo motivo denuncia vizio di motivazione e violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c.. Si imputa alla Corte d’appello di aver sostenuto che la pronuncia di assegnazione dell’immobile , poiché ad effetti costitutivi, poteva divenire definitiva solo con passaggio in giudicato, senza considerare che l ‘ assegnazione non era stata oggetto di gravame.
Il terzo motivo censura la motivazione con cui il giudice d’appello ha ritenuto assorbita ogni altra questione dipendente dall ‘ assenza di giudicato sull’assegnazione, lamentando che la pronuncia di primo grado non era divenuta definitiva e che il motivo di appello vertente
sul l’impossibilità di condizionare la sentenza al pagamento del conguaglio doveva essere esaminata.
Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 720 e 728 c.c., assumendo che, in caso di assegnazione dell’intero immobile comune ad uno dei condividenti, il pagamento del conguaglio ha la sola funzione di rendere omogeneo il valore delle quote e non può costituire condizione di efficacia dell’assegnazione, per cui il trasferimento del bene in capo a NOME COGNOME doveva ritenersi definitivo perché oggetto di giudicato e la successiva vendita esecutiva del bene non poteva influire o incidere sulla regolazione della divisione, restando l’assegnatario tenuto a versare il conguaglio nella misura determinata dal tribunale.
I quattro motivi sono infondati per le ragioni che seguono.
La pronuncia di assegnazione dell’immobile NOME COGNOME non era passata in giudicato.
Anzitutto, detta assegnazione non era stata condizionata solo al pagamento del conguaglio, ma anche al versamento del 50% della rate del mutuo fondiario, rimaste insolute, e alla regolarizzazione urbanistica dell’immobile, che presentava abusi sanabili.
Gli appelli – principale ed incidentale – non avevano posto in discussione la sola illegittimità dell’apposizione della clausola che condizionava il trasferimento al pagamento del conguaglio, ma l’intero assetto della divisione, inclusa la stessa legittimità dell’assegnazione come complessivamente regolata in primo grado, essendo contestate, oltre alla misura dei rispettivi crediti, la quantificazione dei conguagli, la detrazione delle rate di mutuo e dei costi di regolarizzazione urbanistica dell’immobile, la compensazione con i bonus fiscali di cui il ricorrente non aveva potuto usufruire, l’individuazione di quale dei due comproprietari dovesse versare le rate di mutuo.
Contrariamente a quanto mostra di ritenere il ricorrente, il giudicato può formarsi solo su di un capo autonomo della sentenza che risolva una questione avente una propria individualità ed autonomia, così da integrare una decisione del tutto indipendente (Cass. 20951/2022; Cass. 40276/2021; Cass. 8645/2020; Cass. 21556/2017).
La nozione di “parte della sentenza”, alla quale fa riferimento l’art. 329, comma secondo, c.p.c., dettato in tema di acquiescenza implicita e cui si ricollega la formazione del giudicato interno, identifica soltanto le “statuizioni minime”, costituite dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibili di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia.
Sebbene ciascun elemento di detta sequenza possa essere oggetto di singolo motivo di appello, l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo di essi consente -e impone – di riesaminare l’intera statuizione (Cass. 12202/2017; Cass. 24738/2018) ed espande nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene coessenziali alla statuizione impugnata, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (Cass. 9202/2018; Cass. 8604/2017; Cass. 1377/2016).
I primi due motivi sono, pertanto, infondati; i motivi terzo e quarto sono privi di decisività: non occorre stabilire se fosse legittimo condizionare l’assegnazione al pagamento del conguaglio , poiché detta assegnazione è stata revocata in appello.
Il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 1102, 1105, 1108, 110, 1150 c.c..
Sostiene il ricorrente che il pagamento delle migliorie apportate all’immobile da NOME COGNOME non era regolato dalle norme in tema in tema di possesso, ma dall’art. 1110 c.c. e che pertanto, al
condividente competevano solo le somme per la conservazione della cosa in caso di trascuranza, lamentando di non esser stato mai interpellato dal NOME e di esser stato totalmente estromesso dal possesso dell’immobile .
Il sesto motivo denuncia la violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. , per aver la sentenza erroneamente ritenuto che la domanda di rimborso delle spese per miglioramenti ricadesse nella previsione del l’art. 1150 c.c. per analogia con il regime della comunione, peraltro dopo aver affermato che la fattispecie era regolata dall’art. 1110 c.c..
Si censura la decisione per aver disposto il rimborso di tutte le spese, senza distinzione tra quelle di conservazione e quelle di miglioramento, inclusi esborsi che il c.t.u. aveva escluso fossero state effettuati nell’interesse della comunione (attrezzi e materiali vari).
I due motivi sono infondati.
La Corte di merito, pur ritenendo erroneamente applicabile l’art. 1150 c.c., ha riconosciuto al condividente non l’incremento di valore dell’immobile , ma il costo degli interventi ripartiti pro quota, il cui rimborso competeva al contitolare che li aveva sostenuti.
Il coerede o il comproprietario che abbia apportato miglioramenti al bene ereditario da lui posseduto, se non può invocare la disciplina dell’art 1150 c.c., che attribuisce al terzo possessore di buona fede una indennità pari all’aumento di valore della cosa per effetto dei miglioramenti, ha il diritto di essere rimborsato delle spese fatte per la cosa comune quale mandatario o utile gestore degli altri compartecipi alla comunione ereditaria, dal momento che lo stato di indivisione riconduce all’intera massa i miglioramenti apportati dal coerede.
Al momento dell’attribuzione delle quote l’apporto si ripartisce, insieme con le spese, tra i vari condividenti, secondo il principio
nominalistico (Cass. n. 925/1979; n. 2974/1981, 12345/1991, 3247/2009; 9269/2008, n. 16206/2013; n. 5135/2019).
Dette migliorie e le spese di conservazione vengono a far parte, per il principio dell’accessione, al bene comune, con la conseguenza che di esse deve tenersi conto ai fini della stima e della determinazione delle quote oltre che nella liquidazione dei conguagli.
Questa Corte ha già avuto modo di escludere l’applicabilità dell’art. 1110 c.c., che consente il concorso nella spesa da parte del condividente solo in caso di trascuranza, allorquando il bene sia stato posseduto in via esclusiva da uno solo dei contitolari (in motivazione Cass. 19246/2021; Cass. 9269/2008; n. 5135/2019).
Ne consegue il rigetto della censura, poiché il risultato della liquidazione appare conforme a diritto, dovendo emendarsi -nei descritti termini -la sola motivazione della sentenza.
Quanto al fatto che taluni importi non fossero riferibili a spese per l’immobile, il motivo solleva questioni in fatto e sollecita un riesame delle risultanze processuali riservato al giudice di merito, cui compete il vaglio critico delle risultanze della c.t.u. e la selezione degli elementi di prova utili per la decisione.
L’ultimo motivo denuncia il difett o di motivazione riguardo al mancato riconoscimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, obiettando che vi era prova del pregiudizio causato dalla condotta di NOME COGNOME COGNOME era cointestatario del mutuo ed era tenuto a pagare le rate, avendo provocato la segnalazione del nominativo del ricorrente nella centrale rischi – CRIF.
Il motivo è infondato.
La Corte ha ritenuto carente la prova di un pregiudizio non economico connesso al rifiuto del resistente di coabitare con il NOME e per l’acc esso alle fonti di finanziamento, anche riguardo al danno per la segnalazione al CRIF, evidenziando che entrambi i
condividenti erano tenuti al versamento delle rate e, pertanto, anche il solo inadempimento di NOME COGNOME era sufficiente a provocare la segnalazione. Quanto infine alla detrazione dai costi di miglioramento e alla perdita delle detrazioni fiscali, l’assunto che NOME COGNOME ne avesse effettivamente beneficiato è circostanza esclusa dal giudice, che ha reputato inutilizzabile la documentazione dell’A genzia delle entrate, evidenziando come la possibilità che NOME COGNOME potesse beneficiarne era solo astratta, non concreta.
Le argomentazioni della pronuncia superano lo scrutinio di legittimità, attualmente circoscritto alla verifica sull’assenza dal punto di vista grafico delle ragioni della decisione e sull’esistenza di contraddizioni insuperabili o sull’apparenza della motivazione, con esclusione della sua sufficienza (Cass. Su 8053/2014).
I ricorsi principale ed incidentale sono respinti, con compensazione delle spese di giudizio.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principale ed incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e quello incidentale e dispone la compensazione delle spese di legittimità.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principale ed incidentale, di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, in data 10/07/2025.
IL CONSIGLIERE ESTENSORE IL PRESIDENTE NOME COGNOME NOME COGNOME