Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10499 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10499 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24363-2023 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
COGNOME elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
COGNOME
-intimata – avverso la sentenza n. 5543/2023 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 25/08/2023;
lette le memorie del ricorrente;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con atto di citazione NOME COGNOME conveniva dinanzi al Tribunale di Roma i germani NOME ed NOME COGNOME chiedendo lo scioglimento della comunione sui beni relitti dal comune genitore, NOME COGNOME deceduto in data 17 luglio 2002, il quale aveva disposto del proprio patrimonio con testamento olografo del 7 marzo 2002 -con assegnazione dei 5/9 dell’asse allo stesso attore e dei 2/9 a ciascuno degli altri due figli – e chiedendo altresì la condanna del fratello NOME alla corresponsione di una somma pari ai 5/9 del saldo del conto corrente bancario del de cuius, oltre ai 5/9 dei proventi dell’attività di rimessaggio da questi esercitata sui mq. 1.100 della proprietà indivisa dal 27 luglio 2002.
Nella contumacia dei convenuti, veniva espletata una CTU all’esito della quale si costituivano NOME e NOME COGNOME che non si opponevano allo scioglimento della comunione ereditaria ed alla divisione dei beni, rimettendosi alle determinazioni del Tribunale.
nonché contro
Il giudizio veniva sospeso in attesa dell’esito dell’azione di rescissione per pretesa lesione nel frattempo promossa da NOME COGNOME relativamente ad un atto di compravendita intercorso tra NOME e NOME COGNOME, definito il quale l’attore provvedeva alla riassunzione della causa, istruita con una nuova CTU.
Il Tribunale, con sentenza n. 8174 del 21 aprile 2018, dichiarava la divisibilità del compendio immobiliare individuato nella relazione tecnica e per l’effetto provvedeva alle relative attribuzioni.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME proponeva appello e, nel chiedere la riforma dell’impugnazione proposta, censurava la decisione, fra l’altro, nella parte in cui il Tribunale aveva fatto proprio il progetto divisionale elaborato dal CTU, in quanto non sarebbe stato il più idoneo a soddisfare le esigenze dei condividenti.
Si costituivano in giudizio NOME COGNOME eccependo l’inammissibilità ovvero chiedendo il rigetto nel merito dell’impugnazione e NOME COGNOME che chiedeva, in caso di revisione anche parziale della decisione, che si tenesse conto delle proprie esigenze abitative, in considerazione dell’attuale unità immobiliare fruita.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 5543 del 25 agosto 2023, nel rigettare l’impugnazione proposta e confermare la sentenza di prime cure, condannava l’appellante alle spese di lite.
Per la cassazione di tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso sulla base di due motivi, illustrati da memorie.
NOME COGNOME resiste con controricorso.
3. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa degli artt. 46 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, 40, co. 2, L. n. 47/1985, 112 e 342 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., nonché la nullità della sentenza o del procedimento in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. per aver la Corte territoriale omesso di considerare la doglianza dell’appellante sull’avvenuta inclusione in un’unica quota di parti edificate condonate rispetto ad altre non condonate. In particolare, già la sentenza del Tribunale sarebbe affetta da invalidità per aver disposto la divisione di beni tra i condividenti nonostante la violazione delle regole urbanistiche che rendeva impossibile la predisposizione di un progetto di divisione.
In particolare, secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe errato nel non rilevare d’ufficio la nullità della sentenza di primo grado con conseguente estensione ex art. 159, co. 1, c.p.c. dell’invalidità della sentenza di appello, distorcendo in tal modo la valenza del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
La Corte territoriale avrebbe altresì violato il principio in base al quale il giudice è tenuto a giudicare iuxta alligata partium, in quanto non avrebbe considerato la domanda di divisione dei soli beni diversi da quello abusivo.
Il motivo è fondato.
Correttamente parte ricorrente richiama i principi affermati da questa Corte nella sua più autorevole composizione, a mente dei quali gli atti di scioglimento della comunione ereditaria sono soggetti alla comminatoria della sanzione della nullità prevista dall’art. 46, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001 (già art. 17 della legge n. 47 del 1985) e dall’art. 40, comma 2, della l. n. 47
del 1985, per gli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali relativi ad edifici o a loro parti, ove da essi non risultino gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria (Cass. S.U. n. 25021/2019).
Nella medesima sentenza è stato altresì evidenziato che, quando sia proposta domanda di scioglimento di una comunione (ordinaria o ereditaria che sia), il giudice non può disporre la divisione che abbia ad oggetto un fabbricato abusivo o parti di esso, in assenza della dichiarazione circa gli estremi della concessione edilizia e degli atti ad essa equipollenti, come richiesti dall’art. 46 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e dall’art. 40, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, costituendo la regolarità edilizia del fabbricato condizione dell’azione ex art. 713 c.c., sotto il profilo della “possibilità giuridica”, e non potendo la pronuncia del giudice realizzare un effetto maggiore e diverso rispetto a quello che è consentito alle parti nell’ambito della loro autonomia negoziale. La mancanza della documentazione attestante la regolarità edilizia dell’edificio e il mancato esame di essa da parte del giudice sono rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.
Trattasi di affermazioni che si pongono in sostanziale linea di continuità con i principi affermati in materia di nullità negoziale, nel senso che, ove sia ancora in contestazione, in quel caso uno degli effetti del contratto, ed in questo, la possibilità di addivenire validamente alla divisione per provvedimento del giudice, al giudice è riservato il potere officioso di rilevare, anche in appello, il carattere abusivo degli immobili, in presenza di interventi realizzati senza il formale rilascio dei provvedimenti abilitativi che
rendano i beni privi di quella riferibilità rispetto agli eventuali titolo emessi per la loro costruzione.
In questa direzione si palesa erronea la decisione impugnata che, a pag. 9, pur dando atto del fatto che tutti i tecnici nominati, sia d’ufficio che di parte, avevano rilevato che il compendio immobiliare oggetto di causa non era in regola urbanisticamente (tanto da soggiungere alla fine della stessa pagina, che la presenza degli abusi sarebbe risultata ostativa al rilascio di titoli abitativi), alla pag. 15 ha apoditticamente affermato che esulavano dal giudizio le ulteriori questioni genericamente prospettate, riguardanti l’irregolarità urbanistica e/o edilizia di alcuni degli immobili comuni, in quanto il ricorrente avrebbe dovuto far valere le relative doglianze con specifici motivi di gravame.
In disparte la contraddittorietà tra le asserita genericità dei rilievi in punto di commerciabilità dei beni con quanto sopra specificato in merito al pacifico riscontro di abusi edilizi tali da inficiare la regolarità urbanistica dei beni, è erronea, in quanto in contrasto con la segnalata doverosità da parte del giudice del rilievo del carattere abusivo dei beni comuni, l’affermazione secondo cui sarebbe stato necessario proporre uno specifico motivo di impugnazione per far rilevare tale circostanza in appello.
La regolarità urbanistica degli immobili secondo le precisazioni dettate da questa Corte, oltre che nella citata Cass. S.U. n. 25021/2019, nella quasi coeva Cass. S.U. n. 8230/2019, costituisce un fatto costituivo della pretesa allo scioglimento della comunione, la cui verifica è doverosa e, come detto, va compiuta anche ex officio e finanche in grado di appello, sempre che sulla
questione non si sia espressamente pronunciato il giudice di primo grado, posto che in tale limitata ipotesi si impone effettivamente la proposizione, da parte di chi intenda contestare la correttezza della conclusione raggiunta, di uno specifico motivo di appello.
Nel caso in esame, invece il giudice di primo grado non si era specificamente pronunciato sulla irrilevanza degli abusi commessi, così che per l’appellante non si imponeva la necessità di proporre uno specifico motivo di impugnazione, ben potendo anche solo limitarsi, come appunto avvenuto, a sollecitare nel corso del giudizio di appello, l’esercizio del potere officioso del giudice di rilievo dell’esistenza della causa ostativa alla divisione in natura dei beni. Deve perciò ritenersi erroneo l’assunto di parte controricorrente secondo cui per la sola emissione della sentenza di primo grado, in assenza di una specifica critica in punto di abusività di alcuni dei beni, si sarebbe formato un giudicato interno sulla loro commerciabilità, né risulta comprovato che la divisione approvata dal giudice di primo grado e poi recepita in appello, avesse tenuto al di fuori dei lotti assegnati quelle posizioni immobiliari prive dei requisiti di commerciabilità.
Il motivo deve, perciò, essere accolto, ed il giudice di rinvio, che si designa nella Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, provvederà nuovamente sulla domanda di divisone, previa verifica della effettiva commerciabilità dei beni in comunione, secondo quanto prescritto dai precedenti sopra richiamati.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 91 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., nonché la nullità della sentenza o del procedimento in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. per aver la Corte territoriale ritenuto di non dover analizzare e confutare il contenuto della relazione peritale e motivare il proprio dissenso in ordine alle osservazioni in essa contenute, sull’errato assunto che la relazione del CTP non contenesse osservazioni critiche all’elaborato del CTU, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente secondo il quale il proprio consulente avrebbe, invece, mosso rilievi alla soluzione tecnica su cui si fondava la decisione del giudice di prime cure.
Il giudice di secondo grado poi, nel rigettare il motivo riguardante le incongruenze nei valori tra le varie ipotesi divisionali presenti nell’elaborato peritale, avrebbe fornito una motivazione perplessa e incomprensibile, o comunque inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione.
Con tale motivo il ricorrente lamenta altresì il vizio di motivazione in riferimento alla condanna alle spese per aver la Corte territoriale omesso qualunque riferimento alla mancata opposizione del ricorrente alla domanda di divisione dell’attore, con conseguente insussistenza della soccombenza necessaria a giustificare la suddetta condanna alle spese.
Il motivo è evidentemente assorbito per effetto dell’accoglimento del primo motivo.
Il giudice di rinvio, come sopra indicato, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
PQM
Accoglie il primo motivo, nei limiti di cui in motivazione, e assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa