Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18548 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18548 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 20925-2018 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA al INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO DI VASTOGIRARDI, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;
-ricorrente incidentale –
nonché contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME;
-intimati – avverso la sentenza n. 2619/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 13/06/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
19/06/2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME;
Lette le memorie delle parti;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. COGNOME NOME conveniva dinanzi al Tribunale di Napoli NOME, nonché COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, e deduceva che in data 3 febbraio 1981 era deceduto ab intestato il fratello COGNOME NOME; che al medesimo erano succeduti la moglie COGNOME NOME, l’attore, le altre due sorelle COGNOME NOME e COGNOME NOME e le discendenti del fratello premorto COGNOME NOME, la moglie COGNOME NOME e le figlie COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME. Nelle more erano decedute COGNOME NOME, nubile e senza figli, la cui quota si era accresciuta a favore degli altri fratelli, e COGNOME NOME, alla quale erano succeduti il marito COGNOME NOME e le figlie, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Chiedeva pertanto disporsi la divisione dei beni comuni rappresentati da due fondi in Recale, una quota indivisa di 1/25 di altri fondi in Cai vano ed in Orta d’Atella, un appartamento in Napoli alla INDIRIZZO, un appartamento in Frattamaggiore alla INDIRIZZO con quattro terranei sottostanti, nonché il saldo di un conto corrente.
Nel corso del giudizio decedeva COGNOME NOME, cui subentravano la moglie NOME e le figlie COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME; decedeva anche COGNOME NOME.
Disposta la rinnovazione della espletata CTU, COGNOME NOME dichiarava di essersi resa acquirente della nuda proprietà dei beni caduti in successione e spettanti a COGNOME NOME con atto del 23/06/2004.
Con sentenza non definitiva n. 3151/2007 il Tribunale dichiarava aperta la successione legittima di COGNOME NOME, dichiarava la non comoda divisibilità dei beni relitti, ed attribuiva a COGNOME NOME, titolare della quota di 297/432, l’intera pro prietà dei fondi in Recale e dell’appartamento in Napoli, previo pagamento dell’eccedenza in favore degli altri coeredi secondo le quote ivi indicate; disponeva la distribuzione delle somme ancora giacenti sul conto corrente intestato al de cuius; condannava COGNOME NOME al pagamento in favore degli altri coeredi delle somme corrispondenti all’importo di alcuni titoli di Stato appartenenti al de cuius e dalla stessa incassati.
Rimetteva la causa in istruttoria, al fine di accertare l’eventuale usucapione, da parte di COGNOME NOME e dei suoi eredi, dei terranei asseritamente caduti in successione.
Il Tribunale, espletata la prova, ed intervenuti COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali unici eredi della defunta COGNOME NOME (che insistevano per l’invalidità dell’atto con la quale la loro dante causa aveva ceduto i suoi diritti a COGNOME NOME), con la sentenza definitiva n. 7615/2012 attribuiva a COGNOME NOME l’appartamento in Frattamaggiore alla INDIRIZZO, con la condanna al pagamento dell’eccedenza in favore degli altri coeredi, reputando maturata l’usucapione dei locali terranei in favore di COGNOME NOME e dei suoi eredi.
Avverso la sentenza definitiva proponeva appello COGNOME NOME, cui resistevano con appello incidentale i germani COGNOME. Anche COGNOME NOME proponeva appello incidentale condizionato all’accoglimento dell’appello principale, ove si fosse reputata erronea la dichiarazione di non comoda divisibilità della massa; lamentava altresì la mancata rivalutazione dei conguagli, l’affermazione in merito al fatto che NOME aveva acquistato la quota ereditaria della NOME ed il mancato accoglimento della domanda di rendiconto.
Si costituivano altresì COGNOME NOME, COGNOME NOME e le sorelle COGNOME.
La Corte d’Appello di Napoli con la sentenza n. 2619 del 13 giugno 2017 ha rigettato l’appello principale, ed in parziale accoglimento di quello incidentale di COGNOME NOME ha condannato COGNOME NOME al pagamento degli interessi e della rivalutazione sulle somme dovute a titolo di conguaglio.
In relazione all’appello principale , che lamentava l ‘ esclusione dal novero dei beni da dividere di quattro terranei ubicati nel fabbricato ove è collocato anche l ‘appartamento in Frattamaggiore, la sentenza evidenziava in primo luogo un profilo
di inammissibilità dell’impugnazione ex art. 342 c.p.c., in quanto l’appello non chiariva gli errori commessi dal Tribunale nella ricostruzione del fatto, e non essendo stata forni ta l’indicazione delle circostanze da cui deriverebbe l ‘ asserita violazione di legge, precisandone la rilevanza ai fini della decisione.
Ulteriore profilo di inammissibilità deriverebbe dal fatto che quella avanzata dall’appellante si palesa va come una domanda nuova, alla luce del tenore della sentenza non definitiva.
Infatti, già nel corso del giudizio di primo grado era emerso che nell ‘asse al più andava inclusa una quota di detti terranei e non anche alcuni di essi in piena proprietà.
Restava da stabilire la misura della quota, se essa riguardava tutti i terranei ovvero solo alcuni e se fossero stati in tutto o in parte usucapiti da NOME NOME.
Non era perciò previsto che i terranei dovessero rientrare nella comunione per intero, così che la richiesta di farli ricadere per l’intero costituiva una domanda nuova.
Inoltre, anche la sentenza non definitiva aveva stabilito che nell’asse rientrasse una quota indivisa dei terranei, restando solo dubbia la misura della quota di comproprietà ovvero se alcuni di essi fossero stati usucapiti.
Ciò comportava che l ‘appello andava proposto anche contro la sentenza non definitiva.
In ogni caso le motivazioni del giudice di primo grado, quanto alla maturazione dell’usucapione anche dei terranei dei quali l’appellante rivendicava l’appartenenza alla comunione, risultavano fondate e convincenti, in quanto basate sul principio di non contestazione e supportate da un quadro probatorio
completo, avendo il Tribunale valorizzato le prove testimoniali nonché tutti gli altri elementi di causa, essendo esclusa un’erronea ricostruzione in fatto ovvero un preteso travisamento dei fatti, dai quali ricavare che l’eccezione di usucapione si riferisse a terranei diversi da quelli per cui è causa.
Né, infine, poteva reputarsi che sull’inclusione dei terran ei nell’as se si fosse formato un giudicato a seguito della pronuncia della sentenza non definitiva, la quale aveva espressamente rimesso la causa in istruttoria al fine di verificare se fosse effettivamente fondata l’eccezione di usucapione.
Quanto agli appelli incidentali, per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte d’Appello escludeva che l’atto di cessione del 23/6/2004 avesse efficacia meramente obbligatoria, in quanto riguardante i diritti su singoli beni e non la quota ereditaria della COGNOME, emergendo in tale atto una precisa indicazione dei beni le cui quote erano cedute, ed essendo chiara la volontà dell’alienante di cedere tutto quanto a lei spettante come coerede del defunto marito.
Correttamente la quota spettante a COGNOME NOME era stata cumulata a quella acquistata dalla COGNOME, al fine di attribuire alla prima la qualità di maggiore quotista, ai fini dell’attribuzione della massa ex art. 720 c.c.
Era rigettato anche l’appello incidentale dei germani COGNOME, in punto di mancata inclusione nella massa di alcuni beni che riferivano appartenere per quota al de cuius, mentre era accolto l’appello incidentale di COGNOME NOME solo nella parte in cui reclamava il diritto alla rivalutazione ed agli interessi sulle somme riconosciute a titolo di conguaglio, e dovute da COGNOME NOME.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso, affidato a tre motivi, COGNOME NOME.
NOME NOME resiste con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale affidato ad un motivo.
La ricorrente principale ha resistito con controricorso al ricorso incidentale.
Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.
Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
Il primo motivo di ricorso principale denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., nella parte in cui la Corte d’Appello ha reputato che l’appello della ricorre nte avverso la sentenza definitiva del Tribunale fosse inammissibile.
In realtà la lettura dell’atto di appello consente di individuare sia la parte della sentenza specificamente impugnata, sia le modifiche suggerite alla ricostruzione in fatto nella stessa compiuta, sia l’individuazione delle circostanze fatt uali dimostrative dell ‘ errata ricostruzione in fatto, palesandosi quindi erronea la conclusione cui è pervenuto il giudice di secondo grado.
Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., nella parte in cui la Corte d’Appello sostiene che la sentenza non definitiva del Tribunale avrebbe cristallizzato in quote ideali i beni da dividere, quanto ai terranei, concludendo quindi per l’inammissibilità, per pretesa novità, della domanda avanzata con l’a p pello di includere nell’asse la piena pro prietà di quattro terranei.
La sentenza non definitiva si è limitata solo a ricostruire l’asse relitto, ed ha rimesso la causa in istruttoria proprio al fine di accertare quale fosse l’effettiva entità dei diritti vantati sui
terranei, ovvero al fine di accertare se gli stessi fossero stati usucapiti, in tutto o in parte da COGNOME NOME.
I motivi devono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione.
Ad avviso della Corte, le censure si palesano nel complesso fondate.
Come si ricava dalla lettura dei passaggi dell’atto di appello, riportati in ricorso, la soluzione cui è pervenuta la Corte distrettuale consistente nell’affermare l’inammissibilità del gravame ex art. 342 c.p.c., si pone in evidente contrasto con la lettura essenzialmente anti-formalista che della norma è stata offerta da questa Corte nella sentenza delle Sezioni Unite n. 27199/2017, che ha escluso che l ‘appello debba, per superare il vaglio di ammissibilità, proporre una redazione di un progetto alternativo di sentenza.
Orbene, a fronte di una decisione del Tribunale che aveva reputato che fosse stata offerta la prova dell’intervenuta usucapione da parte di COGNOME NOME anche dei terranei per cui è causa, nell’atto di appello, al fine di corroborare la denuncia di erroneità della soluzione raggiunta, si evidenziava come in realtà l’eccezione di usucapione fosse da riferire a terranei diversi da quelli cui si riferiva la domanda di divisione, aggiungendosi che anche la prova testimoniale aveva offerto degli elementi riferibili a locali diversi.
Ad avviso della Corte che in questa ipotesi, essendo stato denunciato un error in procedendo , si pone anche come giudice del fatto processuale, la formulazione del motivo di appello soddisfa il requisito di forma -sostanza prescritto dall’art. 342
c.p.c., palesandosi in tal senso erronea la declaratoria di inammi ssibilità cui è pervenuta la Corte d’Appello.
Del pari erronea si rivela la ulteriore valutazione di inammissibilità correlata ad una preclusione derivante dalla pronuncia della sentenza non definitiva.
In primo luogo, deve evidenziarsi che, come si ricava dalla stessa lettura della sentenza d’appello, la domanda originaria di divisione concerneva anche i locali terranei, e la sentenza non definitiva ha accertato la non comoda divisibilità dei beni comuni, prescindendo dal fatto che i terranei fossero da considerare in piena proprietà o per quote ideali, avendo piuttosto rimesso la causa in istruttoria onde appurare se la richiesta di usucapione avanzata da COGNOME NOME fosse riferibile anche ai terranei oggetto di causa, il che esclude quindi che possa ravvisarsi una preclusione alla richiesta di includere i terranei nella massa, a seguito della pronuncia della sentenza non definitiva.
Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 132 co. 2, n. 4, c.p.c. per motivazione, apparente, illogica o contraddittoria, in merito all’affermazione secondo cui sarebbe stata offerta la prova dell’usucapione da parte di COGNOME NOME anche dei terranei per cui è causa, senza avvedersi che la richiesta di usucapione era chiaramente riferita a terranei diversi da quelli in esame, che sono quelli esattamente posti al di sotto dell’appartamento assegnato alla ricorrente.
Il motivo è inammissibile.
Infatti, va richiamato l’insegnamento di questa Corte secondo cui, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è
spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata (Cass. S.U. n. 3840 del 20/02/2007; Cass. n. 15234/2007; Cass. S.U. n. 15122/2013; Cass. n. 17004/2015; Cass. n. 30393/2017; Cass. n. 11675/2020; Cass. n. 27388/2022).
Ne consegue che, avendo la Corte d’Appello rilevato l’inammissibilità dei motivi che investivano la decisione sulla domanda di usucapione, le affermazioni rese quanto al merito appaiono rese da giudice che si era oramai spogliato del potere decisionale, così che le critiche di cui al terzo motivo di ricorso principale sono, per quanto detto, inammissibili.
Il motivo di ricorso incidentale denuncia la violazione e comunque falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363, 720, 732 e 757 c.c., quanto alla qualificazione dell’atto di cessione per notar COGNOME del 23 giugno 2004, intervenuto tra COGNOME NOME e la ricorrente principale, come atto di cessione di quota ereditaria, invece che come atto di cessione sulla quota spettante alla alienante su singoli beni facenti parte della sua quota, e come tale avente efficacia meramente obbligatoria.
La ricorrente incidentale, dopo avere richiamato il valore pregnante che assume il criterio di interpretazione letterale, e dopo aver riportato il contenuto dell’atto di cui si contesta
l’interpretazione, evidenzia come lo stesso contempli la vendita della quota su singoli beni, il che impone di ritenere che lo stesso abbia efficacia meramente obbligatoria, mancando in particolare ogni riferimento al subentro nella titolarità dei debiti ereditari.
Ciò ha quindi determinato l’erronea conseguenza di reputare che NOME fosse divenuta titolare della maggior quota sull’intero asse.
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha, anche di recente, affermato che in tema di divisione ereditaria, la cessione a terzi estranei di diritti su singoli beni immobili ereditari non comporta lo scioglimento – neppure parziale – della comunione, in quanto i diritti continuano a fare parte della stessa comunione, restando l’acquisto del terzo subordinato all’avveramento della condizione che essi siano in sede di divisione assegnati all’erede che li abbia ceduti. Ne consegue che, se un coerede può alienare a terzi in tutto o in parte la propria quota, tanto produce effetti reali se e in quanto l’acquirente venga immesso nella comunione ereditaria, mentre, in caso diverso, la vendita avrà soltanto effetti obbligatori, salvo che la vendita non abbia avuto a presupposto un atto di scioglimento della comunione ereditaria, anche implicito, in ordine a tali beni (Cass. n. 25462/2023; Cass. n. 3385/2007).
Viceversa, nel caso di vendita da parte di uno dei coeredi di bene ereditario che costituisce l’intera massa, l’effetto traslativo dell’alienazione non resta subordinato all’assegnazione in sede di divisione della quota all’erede alienante, dal momento che costui è proprietario esclusivo della frazione ideale di cui può liberamente disporre, sicché il compratore subentra, ” pro quota “, nella comproprietà del bene comune (Cass. n. 25462/2023), con
affermazione di principio che è destinata a trovare applicazione anche nel caso in cui, pur riferendosi la vendita a singoli beni, la stessa esaurisca l’intero complesso dei beni ricaduti nella quota dell’alienante.
A tal fine diviene rilevante la concreta verifica compiuta dal giudice di merito, essendosi quindi specificato che l’indagine da quest’ultimo compiuta e diretta ad accertare, di norma ai fini dell’ammissibilità del retratto successorio, se la vendita compiuta da un coerede abbia avuto per oggetto la quota ereditaria (o una sua frazione) ovvero beni determinati, costituisce un apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione immune da vizi logici e giuridici (Cass. n. 25462/2023; Cass. n. 97/2011; Cass. n. 369/1986, secondo cui l’indicazione di beni determinati nel contratto di alienazione non costituisce elemento decisivo per escludere la ipotesi di trasferimento della quota ereditaria o di parte di essa, occorrendo accertare se l’acquirente sia stato o non introdotto nella comunione, con un’indagine che si avvalga tanto del dato oggettivo della rappresentatività quantitativa del bene, quanto del dato soggettivo della volontà dei contraenti, desumibile anche dal comportamento successivo al negozio; Cass. n. 3959/83; Cass. n. 5620/82; Cass. n. 246/1985; Cass. n. 5458/1979; Cass. n. 1537/1973).
Ad avviso della Corte tale indagine risulta essere stata operata in maniera incensurabile dal giudice di merito, così che le critiche mosse con il motivo in esame appaiono prive di fondamento.
In primo luogo si rileva che l’atto contestato contiene una indicazione delle componenti alienate che risulta esaustiva, in rapporto alla quota ereditaria vantata dalla alienante, avendo la
cedente fatto riferimento sia alle componenti di natura immobiliare sia al diritto di credito al momento ancora esistente alla data dell’alienazione, e cioè al saldo attivo del rapporto di conto corrente intrattenuto dal de cuius.
Non incide in senso contrario il mancato riferimento ad alcuni titoli di Stato di cui la sentenza impugnata fa menzione.
In tal senso rileva che, come riferito a pag. 11 della decisione di appello, trattasi di due titoli di stato che erano stati incassati dalla COGNOME nell’imminenza dell’apertura della successione, e che quindi non rientravano più, per essere stati estinti, tra le componenti attive dell’asse relitto.
Inoltre, l’avvenuta riscossione, peraltro in maniera illegittima, da parte della COGNOME, ha determinato la sua condanna a reintegrare gli altri coeredi di quanto indebitamente prelevato, dando vita quindi ad un’obbligazione personale della stessa COGNOME, che esula dal novero dei debiti ereditari, trattandosi di un’obbligazione assunta personalmente, per effetto della sua condotta illegittima.
Ne deriva che alcuna conseguenza sul piano dell’esegesi dell’atto può attribuirsi alla mancata menzione di tali titoli, in quanto ormai sottratti al novero dei beni ancora comuni, così come non può attribuirsi rilievo alla mancata menzione di debiti ereditari, in assenza della dimostrazione che ve ne fossero.
Né risulta rilevante la precisazione nell’atto di vendita che la alienante conservava il possesso dei beni alienati, e quindi ove si acceda all’esegesi fatta propria dai giudici di merito, della quota ereditaria di sua pertinenza, occorrendo a tal fine tenere conto della circostanza che la vendita riguardava la nuda proprietà, essendo il possesso di cui si fa menzione nell’atto riferibile al diritto di usufrutto che la venditrice si era riservata.
In assenza dell’indicazione di diversi beni facenti parte della quota ereditaria, ma esclusi dall’atto di cessione, ed apparendo quindi che quest’ultim o abbia effettivamente carattere esaustivo del compendio relitto, ancorché non si faccia espresso riferimento all’alienazione della quota, ma alla titolarità di singoli beni immobili e di diritti di credito, deve però ritenersi che l’atto in esame sia stato apprezzato come cessione di quota ereditaria, con una valutazione che non appare censurabile in questa sede, non potendosi attribuire al dato letterale portata risolutiva, ben potendosi quindi assegnare una valenza interpretativa privilegiata proprio al riferimento di cui all’art. 3 dell’atto al fatto che l’alienazione delle componenti indicate aveva ad oggetto tutto quanto spettante all’alienante ‘ quale coerede del marito COGNOME NOME ‘.
Il motivo deve quindi essere rigettato.
La sentenza deve quindi essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Poiché il ricorso incidentale è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente incidentale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso principale, dichiara inammissibile il terzo motivo del ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso incidentale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 19 giugno 2024