Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10757 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10757 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 24/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 4503-2019 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentata e difesa giusta procura in calce al controricorso dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 2071/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 2/11/2018;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale dottor NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto del ricorso incidentale udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Lette le memorie della ricorrente incidentale;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. NOME COGNOME conveniva dinanzi al Tribunale di L’Aquila il fratello NOME COGNOME chiedendo la divisione della massa ereditaria derivante da due successive devoluzioni ereditarie: la prima, quella della madre, NOME COGNOME avvenuta a seguito della sua morte in data 25 gennaio 1981, e la seconda, a seguito della morte del padre, NOME COGNOME avvenuta in data 9 gennaio 1993.
Nel costituirsi in giudizio, NOME COGNOME deduceva di non opporsi alla divisione, che però avrebbe dovuto riguardare solo alcuni beni, in quanto acquistati dal comune genitore in comunione dei beni con la defunta coniuge; ed al contempo avanzava domanda di usucapione dell’appartamento posto al secondo piano del fabbricato sito in L’Aquila INDIRIZZO (partita 5929 fg. 95 particella n. 56 sub 1), acquistato dal padre in comunione con la coniuge ed in relazione al quale aveva disposto della prop ria quota in favore dell’attrice NOME COGNOME Il convenuto chiedeva altresì il rendiconto dei frutti degli immobili concessi in locazione e asseritamente percepiti
dall’attrice, conferendo in giudizio, anche mediante conguaglio, le somme percepite.
Il Tribunale adito, con sentenza parziale n. 709 del 5 ottobre 2004, affermava l’inammissibilità della domanda di dichiarazione dell’apertura delle successioni di NOME COGNOME ed NOME COGNOME per difetto di interesse e rigettava la domanda di usucapione. La sentenza rilevava altresì che una volta attribuiti con disposizioni testamentarie i beni in piena proprietà, ed accresciute le quote trasferite da NOME COGNOME a ciascuno dei figli a quelle dagli stesse ereditate dalla madre, non residuavano beni da dividere.
Provvedendo con separata ordinanza in merito al prosieguo della causa, il Tribunale dichiarava la parziale nullità della domanda riconvenzionale di rendiconto, concedendo al convenuto il termine per la sua integrazione.
NOME COGNOME interponeva appello avverso la sentenza non definitiva, impugnandola solo per il mancato accoglimento della domanda di usucapione e la condanna a suo carico delle spese e competenze legali.
Nel frattempo, il giudice di primo grado, con ordinanza del 7 febbraio 2005, dava atto di aver erroneamente ritenuto l’efficacia traslativa dell’attribuzione divisionale delle quote di comproprietà effettuate da NOME COGNOME in favore dei figli -in quanto in violazione del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale le quote dell’asse ereditario non sono attribuibili e ne dichiarava l’inefficacia, ordinando lo scioglimento della comunione e considerando entrambi i condividenti titolari di quota indivisa
pari a 2/3 dei beni in origine facenti parte della comunione legale tra i genitori.
La causa veniva sospesa con ordinanza fino al passaggio in giudicato della sentenza definitiva.
Medio tempore , la Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza n. 590 del 16 agosto 2010, nel rigettare l’impugnazione proposta, confermava la sentenza di primo grado. In particolare, il giudice di seconde cure rilevava il formarsi del giudicato formale sulle residuali statuizioni, non avendo l’appellante impugnato altri capi della sentenza oltre quelli concernenti il rigetto della domanda di usucapione e le spese.
La causa veniva riassunta ad istanza del convenuto per il rendiconto ed il conferimento in giudizio, anche mediante conguaglio, dei frutti degli immobili a suo tempo concessi in locazione e asseritamente percepiti da NOME COGNOME nonché per ottenere lo scioglimento della comunione relativamente ai tre beni dei quali il testatore aveva attribuito la quota pari ai 4/6 ai due eredi, comprensiva dei 3/6 di sua proprietà in forza della comunione legale e di 1/3 della metà ereditata in comunione con gli altri figli.
Il Tribunale, con sentenza definitiva n. 183 del 28 febbraio 2014, oltre a disporre il rendiconto delle somme dovute reciprocamente tra i coeredi, individuando ciò che doveva essere computato a carico di ciascuno degli stessi, riteneva doversi procedere alla formazione di un progetto di divisione avente ad oggetto i beni del patrimonio relitto sia di NOME COGNOME sia di NOME COGNOME relativamente a quelle quote di beni pervenute in eredità a quest’ultimo (unitamente ai figli) in seguito alla morte della
coniuge -tre terreni originariamente di proprietà della sola NOME COGNOME nonché la metà dei tre beni facenti parte della comunione legale tra i coniugi -affermando la nullità parziale delle disposizioni incidenti sulle quote indivise.
In particolare, il giudice di prime cure evidenziava che, non avendo il testatore la proprietà di quelle quote sui beni, ma essendo genericamente comproprietario quale coerede di una frazione dell’intera eredità lasciata dalla moglie in comunione ereditaria indivisa con i figli, tali disposizioni testamentarie dovevano ritenersi in parte qua improduttive di effetti.
Il Tribunale, effettuato il rendiconto delle somme dovute reciprocamente tra i coeredi, nel rilevare che la divisione della massa dovesse essere effettuata in parti uguali e disponendo la stima dei beni ove necessario, forniva in motivazione i criteri per la suddetta divisione.
NOME COGNOME proponeva appello avverso tale sentenza al fine di ottenere la sua integrale riforma, chiedendo, tra i vizi lamentati, l’attribuzione ad essa dell’intero fabbricato sito in L’Aquila INDIRIZZOfg. INDIRIZZO, particella n. 56/1) al contrario di quanto disposto dal Tribunale che aveva, non solo certificato il possesso del primo piano anziché la detenzione da parte del fratello, NOME COGNOME ma anche fornito un’errata definizione di bene residuo afferente parte di immobile per avervi ricompreso anche il suo piano terra.
La Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza n. 2071 del 2 novembre 2018, in parziale accoglimento dell’impugnazione proposta, rilevava preliminarmente che la statuizione del Tribunale con cui accertava l’efficacia dell’attribuzione divisionale
delle quote di comproprietà effettuate da NOME COGNOME in favore dei due figli non poteva più essere modificata essendosi formato il giudicato in assenza di impugnazione sul punto.
La Corte territoriale, nell’accogliere la richiesta dell’appellante di attribuzione dell’intero immobile, affermava il principio per cui in tema di divisione ereditaria o di cose in comunione qualora nel patrimonio comune vi siano più immobili da dividere, spetta al giudice del merito accertare se il diritto della parte sia meglio soddisfatto attraverso il frazionamento delle singole unità immobiliari oppure per mezzo dell’assegnazione di interi immobili ad ogni condividente, salvo conguaglio.
In particolare, il giudice di secondo grado, oltre a disporre in relazione al rendiconto, dichiarava che la divisione immobiliare fosse regolata dal testamento di NOME COGNOME e per l’effetto assegnava a NOME COGNOME l’intero fabbricato con annessi accessori situato in L’Aquila INDIRIZZO (fg. INDIRIZZO, particella n. 56/1) ed i terreni siti in L’Aquila in località INDIRIZZO (fg. 86 p.lle nn. 118 e 336) e ad NOME COGNOME l’immobile sito in L’Aquila INDIRIZZOfg. 97 part. 5259 n. 37/10) ed i terreni ubicati in Roio Piano (partite 418, 417 e 3197), compensando per un terzo le spese di lite.
Per la cassazione di tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso sulla base di quattro motivi.
NOME COGNOME resiste con controricorso con annesso ricorso incidentale condizionato sulla base di unico motivo.
La ricorrente incidentale ha depositato memoria.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. per violazione del giudicato (sentenza di
primo grado) e dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., per aver il giudice di secondo grado erroneamente assegnato a NOME COGNOME oltre che il fabbricato sito in mq., località INDIRIZZO, anche il terreno di 6.000 diversamente da quanto disposto dalla decisione di prime cure.
In particolare, la pronuncia sarebbe in violazione dei principi afferenti al giudicato per aver il giudice di seconde cure effettuato un’assegnazione differente da quanto deciso sul punto dal Tribunale, punto che, secondo il ricorrente, non sarebbe stato oggetto di impugnazione. In conseguenza di ciò la sentenza sarebbe altresì in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, avendo l’appellante espressamente chiesto che l’attribuzione dei beni avvenisse nel rispetto della statuizione del giudice di prime cure sulla parziale invalidità delle disposizioni testamentarie.
Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata ha puntualmente ricostruito le varie vicende processuali che hanno interessato la controversia de qua agitur , prendendo le mosse dalla prima sentenza non definitiva del Tribunale di L’Aquila n. 709 del 2004 che, chiamata a pronunciarsi sulla successione testamentaria del comune genitore NOME NOME aveva chiaramente espresso il convincimento che le attribuzioni di quote vantate dal de cuius sui beni che ricadevano anche nella successione del coniuge premorto, avevano un’immediata efficacia reale, andando quindi ad incrementare dal punto di vista quantitativo le quote che i due figli già vantavano sugli stessi beni in quanto chiamati alla successione materna.
Nella stessa sentenza si ricorda, poi, che avverso la prima sentenza del Tribunale era stato sì proposto appello, ma che lo stesso investiva essenzialmente solo il capo reiettivo della domanda di usucapione di uno dei beni avanzata dal ricorrente, come esplicitamente affermato dalla successiva sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila n. 590/2010 che, chiamata a decidere su tale primo appello, aveva chiaramente riferito che tutte le altre statuizioni contenute nella sentenza appellata, non essendo state attinte da motivi di gravame, erano passate in cosa giudicata.
L’anomalia della vicenda è però rappresentata dalla circostanza che il Tribunale di L’Aquila, dopo la pronuncia della prima sentenza, chiamata a dare impulso al procedimento, con un’ordinanza del 7 febbraio 2005 sua sponte riteneva che la motivazione della sentenza già emessa non potesse essere condivisa, e ciò sul presupposto che l’assegnazione delle quote indivise operata con il testamento di NOME COGNOME in favore dei figli non potesse avere carattere immediatamente traslativo. A tale indicazione risultava, poi, essersi conformato il Tribunale nella successiva istruttoria della causa, nonché anche nella decisione di cui alla successiva sentenza n. 183/2014, oggetto dell’appello definito con la sentenza in questa sede impugnata, che, sia per quanto concerne l’ammontare dei canoni dovuti reciprocamente tra i condividenti per il godimento esclusivo dei beni caduti in successione, sia in ordine ai criteri ai quali avrebbe dovuto attenersi il professionista cui erano delegate le operazioni divisionali, ha nella sostanza reputato priva di immediata efficacia l’assegnazione delle quote dei 4/6 sui diversi beni operata con l’atto di ultime volontà.
Così rapidamente riassunto l’antefatto processuale, si palesa con immediatezza l’infondatezza del primo motivo di ricorso.
La Corte d’Appello nella decisione gravata ha correttamente richiamato il principio per cui, una volta intervenuta una sentenza non definitiva, il giudice dinanzi al quale la causa prosegue non ha più la possibilità di intervenire sul contenuto della decisione emessa, essendo stato più volte precisato che le statuizioni contenute nella sentenza non definitiva non possono essere modificate o revocate con la sentenza definitiva, in quanto i singoli punti della prima possono essere sottoposti a riesame solo con le impugnazioni, e ciò in quanto la non definitività concerne soltanto la non integralità della decisione della controversia, e non anche la modificabilità, da parte dello stesso giudice, di ciò che è già stato deciso (cfr. ex multis Cass. n. 13621/2014; Cass. n. 10067/2020; Cass. n. 29321/2021).
Se quindi resta precluso al giudice di intervenire sulle statuizioni di cui alla sentenza non definitiva anche con la pronuncia della sentenza definitiva, a maggior ragione sussiste una preclusione ad intervenire con una semplice ordinanza, come appunto avvenuto nel caso di specie.
Corretta appare, quindi, l’affermazione della Corte d’Appello di cui alla sentenza n. 590/2010, che ha rilevato, in pacifica attuazione delle suesposte regole che, in assenza di specifica impugnazione, le diverse statuizioni non attinte dai motivi proposti nei confronti della sentenza non definitiva erano coperte da un giudicato interno.
A fronte di tale condivisibile ricostruzione operata dalla sentenza gravata, il ricorrente sostiene che però vi sarebbe la violazione di
un diverso giudicato, costituito dalla sentenza del Tribunale di L’Aquila n. 183/2014, che è oggetto dell’appello qui deciso, avendo la stessa sostanzialmente recepito quanto opinato (in maniera non consentita), con l’ordinanza del Tribunale del 7/2/2005, circa la diversa portata effettuale delle disposizioni testamentarie concernenti le quote indivise vantate dal de cuius sui beni in origine in comunione con la moglie.
L’assunto è però evidentemente destituito di fondamento, in quanto anche tale affermazione appare direttamente attinta dal primo motivo di appello che poneva in discussione i criteri indicati dallo stesso Tribunale per addivenire alla divisione degli immobili ancora in comune tra i coeredi, criteri che appunto intendevano prescindere dagli effetti delle disposizioni testamentarie paterne.
Il richiamo di parte appellante alla necessità di rispettare le disposizioni testamentarie imponeva al giudice di appello di dare attuazione alla divisione in conformità di quanto disposto nel testamento, e secondo quanto accertato con la prima sentenza del Tribunale, come detto, coperta da giudicato in parte qua , in assenza di una specifica impugnazione avverso la relativa statuizione, e senza che il diverso successivo opinamento del Tribunale con la citata ordinanza, potesse modificarne la portata precettiva.
L’effetto devolutivo della proposta impugnazione esclude quindi che possa ravvisarsi l’esistenza di un giudicato interno, costituito peraltro proprio dalla sentenza appellata, dovendo il giudice del gravame, proprio per effetto della proposta impugnazione, provvedere a rivalutare la possibilità della divisione dei beni
relitti, ma in conformità della portata vincolante che era stata attribuita al testamento paterno.
Il rigetto del primo motivo di ricorso principale determina poi evidentemente l’assorbimento del motivo di ricorso incidentale con il quale si deduce che la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. per violazione sostanziale e formale di cosa giudicata in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. in riferimento al giudicato formatosi con la sentenza n. 590/2010 della Corte d’Appello di L’Aquila sull’originaria domanda di usucapione avanzata dall’odierno ricorrente (a parere della controricorrente, si sarebbe formato un giudicato speculare e contrario alle richieste del ricorrente, richiamando a tal proposito la sentenza n. 2071/2018 con cui la Corte territoriale ha escluso la possibilità di modifica da parte del Tribunale della sua precedente statuizione sullo scioglimento della comunione sull’eredità di NOME COGNOME non essendo stato oggetto di impugnazione), e che parte controricorrente ha espressamente condizionato all’ipotesi di accoglimento del primo motivo di ricorso principale.
Il secondo motivo di ricorso principale denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1418 e 1346 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per aver la Corte territoriale dichiarato che la divisione immobiliare è regolata dal testamento di NOME COGNOME nonostante la statuizione del giudice di prime cure sulla parziale invalidità di alcune disposizioni testamentarie per aver il testatore disposto dei beni -ed in particolare dei terreni siti in L’Aquila località Borgo INDIRIZZO in comunione con la moglie premorta, e dunque parzialmente altrui. Tale punto della
sentenza di primo grado, secondo il ricorrente, non sarebbe stato oggetto di impugnazione e pertanto si sarebbe formato il giudicato.
Le suesposte motivazioni danno contezza anche dell’infondatezza di tale motivo che del pari si fonda, in contrasto con le evidenze processuali, sulla pretesa inidoneità del testamento di NOME COGNOME a determinare un immediato incremento delle quote vantate iure proprio dai figli con le quote oggetto di assegnazione, essendo invece questo un punto sul quale risulta essere intervenuto un giudicato interno di segno contrario a quanto invece sostenuto dal ricorrente.
6. Il terzo motivo di ricorso principale denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 726, 727 e 728 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., nonché la nullità della sentenza e del procedimento, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 132, co. 1, n. 4, c.p.c. per aver la Corte territoriale disposto l’assegnazione dei beni in difetto di qualunque accertamento volto a determinare il loro valore e la loro effettiva titolarità, sull’errato assunto che spetti al giudice di merito verificare se il diritto della parte sia meglio soddisfatto attraverso il frazionamento o per mezzo dell’assegnazione.
Secondo il ricorrente, il giudice di secondo grado, nonostante la richiesta di disporre una CTU, avrebbe scelto di procedere all’assegnazione dei beni per intero tra i due condividenti in maniera del tutto arbitraria -senza offrire alcuna motivazione -in difetto di una loro stima e di conseguenza senza effettuare i conguagli per compensare l’eventuale ineguaglianza in natura
delle quote, in violazione del principio di proporzionalità della quota dell’odierno ricorrente.
Il motivo è fondato.
Le norme richiamate nella rubrica del motivo, ed in particolare quella dettata in tema di conguagli, depongono evidentemente per la necessità che la formazione delle quote debba avvenire assicurando sì un’omogeneità qualitativa, ma altresì il rispetto delle regole per cui la formazione delle quote deve assicurare l’attribuzione di un valore economico che risulti corrispondente al valore delle quote ideali, mirando proprio l’attribuzione del conguaglio a perequare eventuali differenze tra valore della quota ideale e valore della quota in concreto assegnata.
La sentenza impugnata, pur richiamando alla pag. 9 la funzione che il conguaglio è chiamato a svolgere, al fine di garantire il detto obiettivo, prendendo le mosse dalla portata vincolante e precettiva dell’assegnazione delle quote operata in testamento, ha sciolto la comunione esistente sui beni ancora in comproprietà tra i fratelli COGNOME assegnando la piena proprietà al germano che già era titolare (e proprio in virtù del testamento) della maggior quota di 5/6, ed assegnando separatamente i terreni (sui quali ognuno dei coeredi vantava singulatim la quota di un terzo -per quelli attribuiti al ricorrente principale -e la quota di un sesto -per quelli assegnati alla controparte).
Tuttavia, tale assegnazione è stata operata senza alcuna previa individuazione del valore venale dei singoli beni tuttora in comunione, valore che avrebbe invece permesso di poter stabilire se la ripartizione effettuata a mo’ di divisione in natura, era effettivamente in grado di assicurare ad ogni condividente che la
quota in natura attribuita avesse un valore corrispondente a quello della quota ideale.
Ad esempio, e volendo limitare la disamina ai soli beni interessati dalla attribuzione testamentaria, la sentenza ha sostanzialmente ritenuto di equiparare il valore della quota di 1/6 vantata dal ricorrente sul fabbricato in INDIRIZZO (attribuito a NOME COGNOME), al valore della quota di un sesto vantata dalla sorella sul bene alla INDIRIZZO (assegnato invece al ricorrente), laddove una differente stima dei due beni si sarebbe potuta riflettere anche sul differente valore della quota interessata dall’assegnazione in favore dell’altro comunista. Analoga considerazione vale poi per l’attribuzione in proprietà esclusiva dei terreni, occorrendo procedere ad una separata stima degli stessi onde verificare l’entità della quota così formata e la necessità di dover perequare le eventuali differenze di valore con la previsione di un conguaglio.
Non è casuale che la sentenza del Tribunale n. 183/2014, seppur partendo dall’erronea premessa della inefficacia delle previsioni testamentarie paterne, aveva delegato un notaio alle operazioni di divisione, contemplando però la possibilità di nominare uno stimatore per l’individuazione del valore dei beni, e ciò al fine di assicurare una corrispondenza tra il valore della quota ideale e quello della quota in concreto assegnata.
La sentenza impugnata, nell’operare la divisione in natura tra i condividenti ha perciò violato le norme in tema di formazione e stima delle porzioni divisionali e deve perciò essere cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di L’Aquila, che, pur tenendo conto della immediata portata precettiva delle previsioni del testamento
paterno, procederà alla divisione dei beni ancora in comunione, previa loro stima, onde assicurare la formazione di porzioni quantitativamente e qualitativamente omogenee.
Il quarto motivo di ricorso principale denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92, 112 c.p.c. per aver la Corte territoriale erroneamente condannato il ricorrente al parziale pagamento delle spese legali nonostante l’appellante non avesse proposto la relativa domanda di condanna con la conseguente violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato per aver pronunciato ultra petita .
Il motivo denuncia altresì la nullità della sentenza e del procedimento ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., e e dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 132, co. 1, n. 4, c.p.c. per aver la Corte omesso di motivare la decisione in ordine alla disposta parziale condanna alle spese dell’appellato anziché porre le spese a carico della massa, nei limiti della domanda proposta dall’appellante.
Il motivo resta evidentemente assorbito per effetto della cassazione della sentenza in conseguenza dell’accoglimento del terzo motivo di ricorso principale.
Il giudice di rinvio che si designa nella Corte d’Appello di L’Aquila, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
PQM
Accoglie il terzo motivo del ricorso principale, nei limiti di cui in motivazione, rigetta i primi due motivi del ricorso principale dichiara assorbito il quarto motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale condizionato, e per l’effetto cassa la sentenza
impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d’Appello di L’Aquila, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso nella camera di consiglio del 17 aprile 2025