Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1268 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1268 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10400/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende per procura in calce al ricorso,
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE per procura in calce al controricorso,
avverso la SENTENZA ellai CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 132/2018 depositata il 23.1.2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18.12.2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 23.10.2008 i fratelli germani COGNOME NOME e COGNOME NOME convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Padova la sorella COGNOME NOME chiedendo la divisione del compendio immobiliare in comproprietà ereditaria sito in Agra (PD), INDIRIZZO e la condanna della stessa al pagamento della somma di € 66.500,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria, per il godimento esclusivo di alcuni beni del compendio, o comunque dell’indennità di occupazione dovuta dal 1997 fino allo scioglimento della comunione ereditaria.
Si costituiva COGNOME NOMECOGNOME che chiedeva il rigetto delle domande dei fratelli, ed in via riconvenzionale di accertare che aveva eseguito opere di manutenzione e migliorie sui beni comuni, con conseguente diritto al rimborso delle spese relative.
Espletata CTU dal geom. COGNOME il Tribunale di Padova, con la sentenza non definitiva n. 1722/2012, condannava COGNOME NOME al pagamento in favore degli attori della somma di €22.087,51 a titolo d’indennità di occupazione dal 17.10.2003 al maggio 2010, oltre interessi legali dalle scadenze annuali al saldo, e rigettava la riconvenzionale di COGNOME NOME di rimborso delle spese di manutenzione e miglioria.
Sostituito il primo CTU, deceduto nelle more, col CTU arch. COGNOME il Tribunale di Padova, con la sentenza definitiva n.1043/2016 del 30.3.2016, ordinava lo scioglimento della
comunione secondo le quote indicate, condannava COGNOME NOME a pagare agli attori il conguaglio di €28.554,72, l’ulteriore somma di € 18.632,73 a titolo d’indennità di occupazione, 1/3 delle spese processuali liquidate e 2/3 delle spese della CTU del geom. COGNOME e compensava tra le parti le spese della CTU dell’arch. COGNOME.
Avverso tale ultima sentenza proponeva appello COGNOME NOME lamentando che il primo giudice, nonostante la nota crisi del mercato immobiliare abitativo, aveva ritenuto non necessario un aggiornamento della stima degli immobili del compendio, risalente alla CTU del geom. COGNOME del 9.6.2010 e quindi a ben sei anni prima della sentenza, con quotazioni che si erano medio tempore notevolmente ridotte per la crisi del mercato immobiliare, come peraltro emerso in altro giudizio, tra le stesse parti, relativo a beni immobili equivalenti sempre in Comune di Agna (PD).
Si costituivano in secondo grado gli originari attori, eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza dell’appello.
La Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza n. 132/2018 del 21.11.2017/23.1.2018, superata l’eccezione d’inammissibilità dell’appello, riteneva inammissibile ex art. 345 comma 3° c.p.c. la produzione documentale nuova compiuta da COGNOME NOME con l’atto di appello per non avere dimostrato di non averla potuta produrre nel giudizio di primo grado per causa a lei non imputabile, riteneva fondata la mancata rinnovazione della CTU da parte del Tribunale di Padova, che era stata chiesta sulla base dell’unico argomento del trascorrere del tempo dalla stima dei beni compiuta dal CTU geom. COGNOME e condannava COGNOME NOME al pagamento delle spese processuali di secondo grado.
Avverso tale sentenza, notificata il 24.1.2018, ha proposto ricorso alla Suprema Corte, notificato a COGNOME NOME e COGNOME NOME il 26.3.2018, COGNOME NOME affidandosi a cinque motivi, e
resistono con controricorso notificato il 30.4/2.5.2018 COGNOME NOME e COGNOME NOME
I controricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c. La causa è stata trattenuta in decisione nell’adunanza camerale del 18.12.2023.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo di ricorso COGNOME NOME lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 e 4 c.p.c., la violazione dell’art. 345 comma 3 c.p.c.
Si duole la ricorrente che la Corte d’Appello di Venezia non abbia ammesso come documento nuovo la pubblicazione Istat del 4.4.2016 depositata con l’atto di appello, ritenendo che COGNOME NOME non avesse dimostrato di non averla potuta produrre per causa non imputabile, evidenziando che si trattava in realtà di un documento formato da un terzo in data successiva alla sentenza di primo grado, e lamenta che sia stata conseguentemente respinta la sua istanza di rinnovazione della CTU che aveva riproposto in appello, in quanto la valutazione degli immobili del compendio ereditario era avvenuta nella sentenza definitiva del 30.3.2016 sulla base di una CTU espletata sei anni prima ed in quel lasso temporale, soprattutto a partire dal 2010, si era verificata una crisi del mercato immobiliare, che aveva colpito in modo particolare gli immobili urbani di vecchia costruzione dei piccoli centri, come quello assegnato a COGNOME NOME, incidendo, invece, in minor misura sui terreni e sugli edifici di nuova costruzione, così da alterare l’equilibrio del progetto di divisione predisposto.
Pur non avendo correttamente richiamato in rubrica, insieme alla violazione degli articoli 345 comma 3° e 360 comma primo n. 4) c.p.c., quella dell’art. 132 n. 4) c.p.c., in punto di fatto la ricorrente si duole fondatamente di un vizio di motivazione dell’impugnata
sentenza relativo alla mancata ammissione della pubblicazione Istat del 4.4.2016, che sarebbe stata decisiva, in quanto idonea a dimostrare che il lungo tempo trascorso dalla stima del 2010 alla decisione del 2016 aveva profondamente inciso al ribasso, come notorio, sul valore degli immobili a partire dalla crisi del mercato immobiliare del 2008, ma operando altresì diversamente a seconda della categoria di beni interessata (immobili ad uso abitativo, o terreni agricoli) ed anche all’interno della stessa categoria di beni (a seconda che si trattasse di immobili di nuova, o di vecchia costruzione e che fossero ubicati in piccoli, o grandi centri abitati), e che l’ammissione di tale prova avrebbe avuto dovuto determinare, la rinnovazione della CTU che era stata richiesta nuovamente nell’atto di appello, dopo essere stata disattesa con motivazione meramente apparente dal Tribunale di Padova.
Anzitutto va censurata la sentenza impugnata nella parte in cui non ha ammesso la produzione con l’atto di appello da parte di COGNOME NOME della pubblicazione Istat del 4.4.2016, per non avere dimostrato di non averla potuta produrre nel giudizio di primo grado, a norma dell’art. 345 comma 3° c.p.c., nel testo vigente a decorrere dal 4.7.2009, in quanto trattandosi di un documento proveniente da un soggetto terzo formatosi il 4.4.2016, soltanto dopo la conclusione del giudizio di primo grado (la sentenza definitiva del Tribunale di Padova n. 1043/2016 che ha ordinato lo scioglimento della comunione ereditaria è infatti del 30.3.2016), è di tutta evidenza che COGNOME NOME non avrebbe potuto produrre la pubblicazione Istat del 4.4.2016 nel corso del giudizio di primo grado. A ciò va aggiunto che solo da quella pubblicazione, e non da eventuali analoghe precedenti pubblicazioni sempre dell’Istat, sarebbe potuto emergere il diverso effetto di ribasso prodotto dalla crisi del mercato immobiliare, notoriamente iniziata nel 2008, sulle singole categorie di beni immobili ed anche in base
alla loro ubicazione in piccoli, o grandi centri, all’epoca della decisione di primo grado.
Quanto alla motivazione addotta dal Tribunale di Padova e fatta propria dalla Corte d’Appello di Venezia, che per giustificare la mancata rinnovazione della CTU effettuata nel 2010 di stima degli immobili, ha sostenuto che non si sarebbero verificate significative fluttuazioni dei prezzi, non è dato comprendere da quale fonte questo dato sarebbe scaturito, visto che esso non può certo considerarsi notorio e che contrasta palesemente coi dati riportati nella suddetta pubblicazione Istat del 4.4.2016.
L’impugnata sentenza ha opportunamente richiamato il precedente della Suprema Corte del 6.2.2009 n. 3029, secondo il quale nei giudizi di divisione di beni immobili occorre che la stima dei beni sia effettuata in epoca non troppo lontana dalla decisione per evitare che la stasi del mercato ed il conseguente deprezzamento dei beni alterino le valutazioni del compendio, ma la parte che sollecita una rivalutazione degli immobili per effetto del tempo trascorso dall’epoca della stima deve allegare ragioni di significativo mutamento del valore dei beni intervenute medio tempore e non limitarsi al riferimento al lasso temporale intercorso.
Tuttavia, detta Corte, non avendo ammesso ex art. 345 comma 3° c.p.c., come dovuto, la pubblicazione Istat del 4.4.2016 prodotta da COGNOME NOME, ha finito per discostarsi dal suddetto insegnamento di questa Suprema Corte, in quanto non ha tenuto conto né del lunghissimo tempo trascorso dalla data di effettuazione della stima (oltre sette anni), né della documentazione proveniente da un ente pubblico deputato alla rilevazione statistica, che la parte appellante aveva depositato in secondo grado proprio per dimostrare la diversa incidenza che la crisi del mercato immobiliare aveva avuto anche sui beni immobili ubicati nei piccoli centri.
L’impugnata sentenza, inoltre, per cercare di giustificare la mancata rinnovazione della CTU, ha inoltre aggiunto che fabbricati di risalente costruzione siti in piccoli centri urbani, come quello di Agna (PD), erano stati ricompresi nelle porzioni assegnate a tutti i coeredi, per cui eventuali fluttuazioni verificatesi avrebbero comunque inciso su tutte le parti in causa. Motivazione, questa, totalmente illogica, atteso che, pur ipotizzata pari per tutti gli immobili oggetto di divisione, la contrazione percentuale dei rispettivi valori determina una riduzione della misura monetaria dei conguagli, che non possono matematicamente rimanere gli stessi. Col secondo motivo COGNOME NOME lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n.3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., ed in relazione all’art. 360 comma primo n. 4 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c.
Si duole la ricorrente del fatto che nell’atto di appello per contestare la spettanza e la misura del conguaglio riconosciuto in primo grado ai coeredi e dimostrare che il diniego della rinnovazione della CTU era ingiustificato, aveva invocato il fatto notorio che la crisi immobiliare nel periodo intercorso tra la stima dei beni compiuta dal CTU e la decisione di primo grado aveva interessato maggiormente la provincia e soprattutto i comuni con meno di 5000 abitanti, come quello di Agna (PD) in cui erano ubicati gli immobili del compendio, allegando a conferma di tale fatto notorio oltre alla pubblicazione Istat del 4.4.2016 anche la pubblicazione OMI del 2015 a cura dell’Agenzia delle Entrate e dell’ABI (documento considerato gratuitamente e liberamente consultabile ed utilizzabile come nozione di fatto rientrante nella comune esperienza secondo l’ordinanza n. 25707 del 21.12.2015 della Corte di Cassazione), ma la Corte d’Appello erroneamente non considerando tale fatto notorio e basandosi solo sull’inattuale CTU
espletata, aveva ritenuto assolto l’onere probatorio gravante sui comproprietari in ordine al diritto al conguaglio.
Col terzo motivo COGNOME NOME lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n.3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 728 cod. civ.
Si duole la ricorrente che l’impugnata sentenza nel respingere il suo secondo motivo di appello, volto ad ottenere la rinnovazione della CTU, in quanto la sentenza di primo grado era stata pronunciata sulla base di una stima dei beni del patrimonio ereditario compiuta circa sei anni prima, non in linea con le fluttuazioni medio tempore notoriamente intervenute nel mercato immobiliare, abbia violato l’art. 728 cod. civ., che avrebbe imposto di rivalutare d’ufficio il conguaglio.
Col quarto motivo COGNOME NOME lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n.3 e 4 c.p.c., la violazione degli articoli 111 comma 1° Costituzione e 132 comma 2° n. 4) c.p.c.
Si duole la ricorrente che l’impugnata sentenza nel respingere il suo appello, inteso ad ottenere la rinnovazione della CTU, che era già stata negata dalla sentenza di primo grado, abbia fornito una motivazione apodittica e meramente apparente, tale da non consentire di comprendere le ragioni effettive della decisione.
Col quinto motivo COGNOME NOME lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 e 4 c.p.c., la violazione degli articoli 196 e 356 c.p.c. e 728 cod. civ.
Con l’ultimo motivo la ricorrente, richiamando cumulativamente i primi quattro motivi, lamenta l’illegittimità dell’impugnata sentenza per non avere disposto la rinnovazione della CTU, benché l’art. 728 cod. civ. gli imponesse di procedere anche d’ufficio alla rivalutazione del conguaglio.
I motivi dal secondo al quinto del ricorso devono ritenersi assorbiti per effetto dell’accoglimento del primo motivo, al quale segue la cassazione con rinvio dell’impugnata sentenza alla Corte d’Appello
di Venezia in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, sezione seconda civile accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione, che provvederà anche per le spese di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio del 18.12.2023