Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19420 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19420 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8140/2023 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
ULIVI
NOMECOGNOME
ULIVI
NOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 2650/2022 depositata il 28/12/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/04/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Bologna, con sentenza resa pubblica il 27.9.2022, confermò la sentenza del Tribunale di Forlì che aveva dichiarato improcedibile la domanda di divisione ereditaria, avente ad oggetto un appartamento e un terreno, proposta da COGNOME NOME nei confronti di COGNOME NOME ed COGNOME NOME. Secondo la Corte di merito l’attrice non aveva prodotto in giudizio la documentazione attestante la proprietà dei beni oggetto di divisione in capo al de cuius e alle parti in causa, né al momento dell’introduzione del giudizio né nei termini previsti dall’art.183, comma VI c.p.c., non avendo valenza probatoria, ai fini della prova della proprietà, le visure catastali e le dichiarazioni di successione; inoltre, non era stata prodotta la documentazione ipocatastale circa la presenza di iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello ha proposto ricorso NOME COGNOME sulla base di un unico motivo.
COGNOME NOME ed COGNOME NOME non hanno svolto attività difensiva.
Il Sostituto Procuratore Generale nella persona del dott. NOME COGNOME ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
In prossimità dell’udienza, la ricorrente ha depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso, si deduce la violazione degli artt. 567 c.c., 713 c.c., 784 c.c., degli artt.1113 c.c. e 102 c.p.c., dell’art.2650 c.c., degli artt.115 c.p.c. e 116 c.p.c., in relazione all’art.360, comma 1, n n.3 e 4 c.p.c., per avere la Corte d’appello dichiarato l’improcedibilità della domanda di divisione per la mancata produzione del titolo di provenienza in capo al de cuius e del certificato delle iscrizioni e trascrizioni nell’ultimo ventennio. La ricorrente rileva che
la situazione di comune appartenenza dei beni non era stata contestata e che la produzione dei certificati delle iscrizioni e trascrizioni non costituiva requisito di ammissibilità o procedibilità della domanda, perché la prova della proprietà nel giudizio di divisione non sarebbe rigorosa come, invece, nell’azione di rivendicazione.
Il motivo è fondato.
Nella divisione giudiziale, i condividenti debbono fornire la prova della comproprietà ma tale prova non è così rigorosa come nell’azione di rivendicazione o in quella di mero accertamento della proprietà, poiché non si tratta di accertare positivamente la proprietà dell’attore negando quella dei convenuti, ma di fare accertare un diritto comune a tutte le parti in causa (Cass. n. 1309/1966).
Con la divisione, infatti, si opera la trasformazione dell’oggetto del diritto di ciascuno, da diritto sulla quota ideale a diritto su un bene determinato, senza che intervenga fra i condividenti alcun atto di cessione o di alienazione (Cass. 10067/2020; Cass. n. 20645/2005).
Il giudice investito della domanda di scioglimento della comunione è certamente tenuto a verificare l’effettiva titolarità del diritto di comproprietà in capo ai condividenti, preferibilmente mediante l’acquisizione dei titoli di provenienza, corredati anche dalla documentazione ipo-catastale, che consente di verificare se nelle more siano intervenute delle modifiche del regime proprietario rispetto alla data cui risale il titolo di provenienza; tuttavia, ove le parti convenute in giudizio non contestino l’effettiva appartenenza dei beni ai soggetti evocati in giudizio, il giudice può ritenere provata la situazione di comproprietà (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 6228 del 02/03/2023).
Di conseguenza, l’omessa produzione della documentazione prescritta dall’art. 567 c.p.c. per la vendita in espropriazione forzata, quali i titoli di provenienza e la documentazione ipo-catastale, non costituisce una condizione di ammissibilità della domanda di divisione e, pertanto, non comporta automaticamente l’inammissibilità della stessa.
In assenza della produzione dei titoli e della certificazione ipocatastale, il rischio che la divisione intervenga tra parti non legittimate trova, invero, adeguata tutela sul piano processuale tramite il rimedio dell’opposizione di terzo, alla quale possono ricorrere il terzo pregiudicato ovvero il litisconsorte pretermesso (v. Cass. n. 21716/2020).
A maggior ragione, laddove la comproprietà sia incontroversa, è possibile anche ricorrere a prove indiziarie e alle risultanze del consulente tecnico, in quanto non si fornisce la prova di un fatto costitutivo di una domanda tra parti in contrapposizione fra loro (Cassazione civile sez. VI, 02/03/2023, n. 6228; Cass. n. 21716/2020).
Con le citate pronunce, la giurisprudenza di questa Corte non ha ritenuto corretto l’orientamento diffuso tra i giudici di merito, che riteneva elemento costitutivo del diritto soggettivo di scioglimento della comunione la produzione relativa al titolo di proprietà e la documentazione ipocatastale.
A tali principi di diritto non si è uniformata la Corte d’appello, che ha erroneamente rigettato la domanda di divisione per carenza di prova del titolo di acquisto dei beni da parte del de cuius e della certificazione ipo-catastale, volta a dimostrare che essi risultassero ancora nella titolarità dei condividenti alla data di proposizione della domanda.
Il ricorso deve, pertanto, essere accolto; la sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione.
Il giudice di rinvio regolerà le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, innanzi alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione