Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12660 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12660 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17489/2019 R.G. proposto da : COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende -ricorrente-
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-controricorrente-
nonchè
VISCIDO
COGNOME
VISCIDO
COGNOME
-intimati-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SALERNO n. 504/2019 depositata il 10/04/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/02/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il ricorso trae origine dalla domanda di scioglimento della comunione ereditaria avente ad oggetto i beni relitti di NOME NOME, deceduta il 3 agosto 1985, proposta innanzi al Tribunale di Salerno, Sezione di Montecorvino Rovella, dagli eredi NOME NOME e NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME.
Il convenuto si costituì in giudizio ed eccepì l’esistenza di un comune accordo sullo scioglimento della comunione, in forza del quale gli era stato attribuito l’appartamento al primo piano con annesso il locale autorimessa al piano terra, e ne chiese l’accertamento con domanda riconvenzionale.
Nel corso del giudizio, venne disposta CTU finalizzata ad individuare i beni caduti in successione, a stimare il relativo valore e a predisporre il progetto di divisione; ulteriore CTU venne disposta a seguito del decesso di NOMECOGNOME
Il Tribunale di Salerno rigettò sia la domanda principale che quella riconvenzionale.
Il Tribunale sottolineò che, nel giudizio di scioglimento della comunione, le parti dovevano produrre, per assolvere l’onere probatorio, il titolo di acquisto dei beni del dante causa e la certificazione ipo-catastale; in assenza di tali documentazioni, il Tribunale ritenne che gli attori non avessero provato in alcun modo la titolarità dei suddetti beni, escludendo la possibilità di accertare la contitolarità dei beni comuni.
Avverso tale sentenza, NOME COGNOME propose appello innanzi alla Corte di Appello di Salerno, chiedendo preliminarmente la rimessione in termini al fine di produrre la documentazione ipocatastale; in via subordinata, richiese la sostituzione della
pronuncia di rigetto con una declaratoria di improcedibilità o inammissibilità della domanda di scioglimento della comunione ereditaria, in modo che non gli fosse preclusa la possibilità di una successiva riproposizione.
2.1. La Corte d’Appello di Salerno rigettò l’appello.
La Corte territoriale sostenne che il giudizio di divisione avesse natura petitoria ed implicasse come necessario antecedente logico, l’accertamento del diritto e di quelli degli altri partecipanti alla comunione. Di conseguenza, la prova della comproprietà o contitolarità del diritto reale non costituiva un mero requisito di legittimazione attiva, bensì rappresentava un fatto costitutivo della domanda, da provare con atto scritto ad substantiam .
Poiché la parte non aveva adempiuto tempestivamente all’onere probatorio ex art. 2697 c.c., la Corte di merito non accolse la richiesta di rimessione in termini, ritenendo la richiesta preclusa dall’art. 345 c.p.c., che vieta l’ammissione di nuovi mezzi di prova e la produzione di nuovi documenti in sede di appello, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile.
Inoltre, la Corte territoriale affermò che la documentazione comprovante la proprietà dei beni non costituiva condizione dell’azione di cognizione, bensì fatto costitutivo del diritto soggettivo di promuovere lo scioglimento della comunione e pertanto, la sentenza non poteva avere natura processuale.
Avverso la sentenza della Corte d’appello, NOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
3.1. NOME NOME ha resistito con controricorso.
3.2. NOME e NOME sono rimaste intimate.
3.3. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
3.4. In prossimità della camera di consiglio, la parte controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il primo motivo di ricorso è così rubricato: ‘ violazione degli artt. 345, 153 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., dell’art. 184 c.c., ratione temporis applicabile, d ell’art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c.; la violazione del principio di non contestazione, dei principi generali sulle preclusioni istruttorie, sulla prova civile, sull’onere della prova e sulla rimessione in termini; la violazione degli artt. 99 e 100 c.p.c., dell’art. 713 c.c.; la violazione del diritto dei comunisti alla divisione; la violazione degli artt. 24 e 42 Cost.; la violazione del principio dispositivo; la violazione dei principi generali sull’interesse delle parti alla decisione di merito e ad una tutela giudiziale effettiva; la violazione dei principi generali sul giusto processo e sulla funzione del processo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.’.
Il ricorrente sostiene che la mancata produzione del titolo di acquisto dei beni del dante causa e della certificazione ipo-catastale non impedisse lo scioglimento della comunione ereditaria ex art. 713 c.c., domanda concordemente avanzata da tutte le parti sicché la Corte d’appello avrebbe dovuto superare le rigidità formali in favore di esigenze di giustizia sostanziale, consentendo la rimessione in termini per la produzione di tali documenti, ancorché in sede di appello.
Secondo il ricorrente, nel giudizio di divisione non operano le preclusioni processuali per la produzione documentale, essendo interesse di tutte le parti giungere allo scioglimento della comunione ereditaria, che, ai sensi dell’art. 713 c.p.c., si configurerebbe come un diritto potestativo.
In ogni caso, in assenza di tale documentazione, la Corte d’appello avrebbe dovuto dichiarare improcedibile la domanda ma non
rigettarla, evitando la formazione del giudicato che costringerebbe le parti ad una condizione di comunione permanente.
2.Con il secondo motivo di ricorso, si denuncia ‘ la violazione dell’art. 713 c.c.; la violazione degli artt. 99 e 100 c.p.c.; la violazione del diritto dei comunisti allo scioglimento della comunione ereditaria; la violazione dell’art. 345 c.p.c.; la violazione dell’art. 2697 c.c. e dei principi generali sull’onere della prova; la violazione del principio dispositivo e del principio di non contestazione; la violazione dei principi generali sulla inammissibilità della domanda e sulla rimessione in termini; la violazione dell’art. 153, comma 2, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.’
La tesi del ricorrente è che il giudizio di divisione sia assimilabile, per struttura e funzione, ai procedimenti di volontaria giurisdizione, trattandosi dell’attuazione di diritti di tutte le parti in presenza di una sostanziale convergenza di interessi. L’orientamento giurisprudenziale che ritiene applicabili le preclusioni istruttorie al giudizio di divisione si sarebbe formato dopo che erano maturate le preclusioni istruttorie, sicchè sarebbe applicabile l’istituto dell’ overruling . In ogni caso, la giurisprudenza di merito sarebbe consolidata nell’affermare che la mancata produzione documentale nei giudizi di divisione ereditaria non comporti una pronuncia di merito, bensì una decisione di rito, di inammissibilità o di improcedibilità, dato che la comproprietà tra eredi rappresenta condizione dell’azione.
3.Il primo motivo è fondato con assorbimento del secondo.
3.1. Nella divisione giudiziale, i condividenti debbono fornire la prova della comproprietà ma tale prova non è così rigorosa come nell’azione di rivendicazione o di quella di mero accertamento della proprietà, poiché non si tratta di accertare positivamente la proprietà dell’attore negando quella dei convenuti, ma di fare
accertare un diritto comune a tutte le parti in causa (Cass. n. 1309/1966).
Con la divisione, infatti, si opera la trasformazione dell’oggetto del diritto di ciascuno, da diritto sulla quota ideale a diritto su un bene determinato, senza che intervenga fra i condividenti alcun atto di cessione o di alienazione (Cass. 10067/2020; Cass. n. 20645/2005).
Il giudice investito della domanda di scioglimento della comunione è certamente tenuto a verificare l’effettiva titolarità del diritto di comproprietà in capo ai condividenti, preferibilmente mediante l’acquisizione dei titoli di provenienza, corredati anche dalla documentazione ipo-catastale, che consente di verificare se nelle more siano intervenute delle modifiche del regime proprietario rispetto alla data cui risale il titolo di provenienza; tuttavia, ove però le parti convenute in giudizio non contestino l’effettiva appartenenza dei beni ai soggetti evocati in giudizio, e soprattutto quando, come nel caso di specie, dalle indagini svolte dal consulente tecnico d’ufficio non emergano dubbi o incertezze circa la titolarità dei beni comuni in capo alle stesse parti, il giudice può ritenere provata la situazione di comproprietà (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 6228 del 02/03/2023).
In assenza della produzione dei titoli e della certificazione ipocatastale, il rischio che la divisione intervenga tra parti non legittimate trova, invero, adeguata tutela sul piano processuale tramite il rimedio dell’opposizione di terzo, alla quale possono ricorrere il terzo pregiudicato ovvero il litisconsorte pretermesso(Cass. n. 21716/2020).
A maggior ragione, laddove la comproprietà sia incontroversa, è possibile anche ricorrere a prove indiziarie e alle risultanze del consulente tecnico, in quanto non si fornisce la prova di un fatto costitutivo di una domanda tra parti in contrapposizione fra loro
(Cassazione civile sez. VI, 02/03/2023, n. 6228; Cass. n. 21716/2020).
Con le citate pronunce, la giurisprudenza di questa Corte non ha ritenuto corretto l’orientamento diffuso tra i giudici di merito, che riteneva elemento costitutivo del diritto soggettivo di scioglimento della comunione la produzione relativa al titolo di proprietà e la documentazione ipocatastale.
3.2.A tali principi di diritti non si è uniformata la Corte d’appello, che ha erroneamente rigettato la domanda di divisione per carenza di prova del titolo di acquisto dei beni da parte del de cuius e della certificazione ipo-catastale, volta a dimostrare che essi risultassero ancora nella titolarità dei condividenti alla data di proposizione della domanda.
Nel caso di specie, non solo non vi era contestazione della proprietà ma, nel corso del giudizio di primo grado erano state effettuate due CTU, per accertare il titolo di provenienza dei beni in capo al de cuius.
4.Il ricorso deve, pertanto, essere accolto; la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Salerno in diversa composizione.
4.1.Il giudice di rinvio regolerà le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in ordine al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, innanzi alla Corte d’appello di Salerno in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte di cassazione, in data 28 febbraio 2025.
Il Presidente NOME COGNOME