Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9869 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 9869 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/04/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3659/2019 R.G. proposto da: COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME e COGNOME NOME
-controricorrente-
nonchè
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME
-controricorrente-
nonchè contro
COGNOME DOMENICA
-intimati- avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 4725/2018 depositata il 31/10/2018.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile e/o infondato il ricorso; letta la memoria del ricorrente ai sensi dell’art. 378 c.p.c.; uditi gli avvocati;
FATTI DI CAUSA
A seguito della morte di NOME COGNOME, in data 14/1/2012, i figli NOME e NOME convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Milano i fratelli NOME, NOME e NOME per chiedere ai primi due il rendiconto della gestione delle somme di danaro nella disponibilità del padre, in parte oggetto dell’eredità della moglie a lui premorta, ed il conferimento alla massa ereditaria della somma di € 200.000,00 indebitamente prelevata dai conti del de cuius.
Gli attori esposero che NOME e NOME, che avevano assistito il padre negli ultimi anni di vita, si erano impossessati illegittimamente di somme prelevate dai conti paterni e ne chiesero, previo conferimento di dette somme alla massa ereditaria, la divisione in parti uguali tra tutti i fratelli, in qualità di legittimari nella successione ab intestato del padre.
NOME COGNOME rimase contumace, mentre NOME e NOME si costituirono per chiedere il rigetto della domanda, asserendo che il padre, pienamente capace di intendere e volere sino al decesso, aveva disposto liberamente dei suoi beni donando a NOME e NOME la somma di € 50.000 ciascuno; in via riconvenzionale, nel caso di accoglimento della domanda degli attori, chiesero l’accertamento dei loro crediti nei confronti della massa ereditaria, da opporre in compensazione.
1.1. Il Tribunale di Milano dichiarò inammissibile la domanda di rendiconto, avendo il padre, prima della morte, disposto dei propri beni; quanto alla domanda di conferimento alla massa del denaro, il Tribunale osservò che, dopo la morte del padre e prima della proposizione del giudizio, i fratelli avevano proceduto allo scioglimento della comunione ereditaria dei beni immobili di entrambi i genitori sicché non sussisteva più alcun relictum facente parte della massa, per essere stati i conti correnti paterni già estinti con le donazioni effettuate in favore dei figli. Il Tribunale rigettò, pertanto, la domanda di divisione ereditaria per non aver proposto la domanda di riduzione per lesione della quota di legittima.
1.2. La sentenza di primo grado venne impugnata da NOME e NOME COGNOME; NOME e NOME COGNOME si costituirono e proposero appello incidentale condizionato, mentre NOME COGNOME NOME rimase contumace.
Per quel che rileva in questa sede, gli appellanti contestarono la decisione del primo giudice, rilevando che le donazioni delle somme di danaro erano state scoperte dopo il decesso del padre e avrebbero dovuto essere oggetto di collazione perché facenti parte del relictum al momento dell’apertura della successione, né era necessario
proporre domanda di riduzione perché esisteva un relictum costituito da beni immobili, oggetto di divisone.
Gli appellanti contestarono, altresì, che con la divisione dei beni immobili, i coeredi avessero rinunciato alla quota di eredità sul denaro giacente nei conti bancari.
1.3. La Corte d’appello di Milano respinse il gravame e confermò la sentenza di primo grado con diversa motivazione.
Per quel che ancora rileva in questa sede, la Corte d’appello sostenne che la domanda degli attori integrava una seconda fase di divisione ereditaria, avente ad oggetto le somme di denaro appartenenti al de cuius e, trattandosi di domanda successiva alla divisione dei beni immobili, era inammissibile perché tutte le questioni sorte nel giudizio di divisione dovevano essere esaminate nell’ambito dei rapporti tra condividenti.
La Corte di merito ritenne che la deduzione che un condividente fosse tenuto alla collazione di un bene donato costituisse un’eccezione in senso proprio, soggetta alle preclusioni operanti nel giudizio di divisione e, nel caso di specie, l’eccezione non era stata proposta.
Detti principi, dettati in materia di divisione giudiziale, sarebbero applicabili anche in caso di divisione stragiudiziale sicché, una volta concluso l’accordo di divisione, si pone fine alla comunione con riferimento all’intero patrimonio mediante la trasformazione dei diritti dei singoli partecipanti su quote ideali in diritti di proprietà individuale su beni particolari.
Secondo la Corte d’appello, nel caso di scoperta di ulteriori beni, è possibile procedere ad un supplemento di divisione, ai sensi dell’art. 762 c.c., ma, nel caso di specie, l’esistenza dei conti correnti era nota al momento dell’apertura della successione e la collazione delle
somme oggetto di donazione riguardava beni non più esistenti nel patrimonio del de cuius.
La collazione delle donazioni andava effettuata nel giudizio di divisione e non al di fuori della divisione stragiudiziale già avvenuta, da ritenersi totalitaria e conclusiva, ben potendo le parti rinunciare anche implicitamente alla collazione delle donazioni.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Milano ha proposto ricorso NOME COGNOME sulla base di sei motivi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
NOME NOME e NOME sono rimasti intimati.
Il Sostituto Procuratore Generale, nella persona della Dott.ssa NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso.
In prossimità dell’udienza, il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’Appello omesso di porre a fondamento della propria decisione sia le prove proposte dalle parti, sia i fatti non specificamente contestati, omettendo di valutare gli uni e gli altri con prudente apprezzamento.
La Corte d’appello avrebbe errato nel rigettare la domanda di collazione perché proposta al di fuori ed a seguito di una precedente divisione già conclusa ed accettata da tutti i comunisti, con l’accordo stipulato in data 12/4/2012, senza considerare che nell’atto di divisione non si farebbe riferimento ai beni mobili. Secondo i ricorrenti, la divisione consensuale dei beni immobili non comporterebbe una rinuncia implicita alla divisione dei beni mobili da
conferire in collazione, tanto più che prima della morte del padre, i ricorrenti avrebbero sollevato la questione dei prelevamenti dai conti di deposito della madre premorta e del padre, comportamento incompatibile con la rinuncia implicita alla divisione, che dovrebbe avvenire in forma scritta ai sensi dell’art. 519 c.c. Neanche la vendita della quota ereditaria al coerede NOME implicherebbe rinuncia implicita alla divisione dei beni mobili, tenendo conto che il medesimo e la sorella NOME avevano proposto domanda riconvenzionale per la ricostruzione della massa ereditaria dei beni mobili residuati dopo la divisione dei beni immobili. Conseguentemente, con la divisione dei beni immobili non si sarebbe affatto conclusa la procedura di divisione, tanto più che la scoperta delle donazioni in favore dei convenuti sarebbe avvenuta sette mesi dopo la vendita delle quote ereditarie.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame: a) dell’atto del 12/4/2012, con il quale NOME e NOME COGNOME avevano venduto le proprie quote delle proprietà immobiliari ereditate al fratello NOME, senza fare menzione di eventuali ulteriori beni ereditari; b) della documentazione prodotta in giudizio volta a provare che la scoperta delle donazioni era avvenuta dopo l’acquisto delle quote della proprietà indivisa degli immobili.
Con il terzo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 762 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che la divisione degli immobili avesse precluso alle parti la possibilità di un supplemento di divisione con riguardo alle somme oggetto delle donazioni.
Con il quarto motivo, si lamenta la violazione degli articoli 713, 724, 737 e 751 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.,
perché la collazione dei beni donati sarebbe obbligatoria, salvo che non vi sia stata dispensa dalla collazione, che, nella specie, non sussisterebbe.
Con il quinto motivo, si deduce la falsa applicazione degli articoli 553, 554, 555, 557 e 763 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto che la divisione ereditaria fosse totalitaria mentre l’accordo divisorio riguarderebbe
soltanto i cespiti immobiliari.
Il sesto motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 92, comma 2, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., perché la Corte d’Appello avrebbe errato nel non compensare, parzialmente o integralmente, le spese di lite.
Il primo motivo è fondato, con assorbimento dei restanti.
7.1. L’art. 762 c.c. stabilisce che l’omissione di uno o più beni dell’eredità non è causa di nullità della divisione, ma determina esclusivamente la necessità di procedere ad un supplemento della divisione stessa (Cassazione civile sez. II, 03/09/1997, n. 8448).
La divisione contrattuale può, infatti, avere per oggetto l’intera eredità o una parte soltanto di essa, permanendo in questa seconda ipotesi la comunione ereditaria per i beni non divisi. Infatti, quando i coeredi procedono alla divisione amichevole soltanto di alcuni beni della massa ereditaria, il loro consenso unanime di limitare a tali beni lo scioglimento e di mantenere lo stato di comunione per gli altri è in re ipsa , con conseguente applicabilità dell’art. 762 cod. civ., secondo cui l’omissione di uno o più beni dell’eredità non dà luogo a nullità della divisione, ma soltanto a un supplemento della divisione stessa (Sez. 2, Sentenza n. 1337 del 09/02/1987).
L’eventuale pretermissione di cespiti facenti parte del compendio comune e l’errore, non determinato da dolo, sull’essenza e sul valore
dei beni da dividere trovano il loro specifico rimedio, rispettivamente, nell’art. 762 c.c., che ammette la possibilità di procedere ad un supplemento della divisione e nel successivo art. 763 che, prevedendo l’azione di rescissione per lesione oltre il quarto, mostra di considerare rilevante l’errore valutativo solo se ed in quanto abbia dato luogo ad una lesione di detta entità (Cassazione civile sez. II, 11/02/1995, n.1529).
La non impugnabilità della divisione per errore, ricavabile dagli artt. 761, 762, 763 cod. civ., ha ragione di sussistere solo quando l’errore sia caduto sulle operazioni divisionali, ma non quando esso sia caduto sui presupposti della divisione. A tal proposito, la risalente giurisprudenza di questa Corte richiama l’istituto della transazione, che non è impugnabile per errore di fatto, come si ricava dagli artt. 1969 e 1972 cod. civ., salvo che l’errore concerna i fatti già controversi e regolati dal negozio transattivo, e non già i fatti non controversi, da considerare quali presupposti del negozio (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 967 del 22/04/1964).
7.2. Da tali principi si è discostata l’impugnata sentenza.
Gli attori avevano chiesto che i fratelli NOME e NOME conferissero alla massa ereditaria la somma di € 200.000,00, indebitamente prelevata dai conti del de cuius e che si procedesse alla divisione di dette somme tra tutti gli eredi.
Poiché gli eredi avevano già proceduto allo scioglimento della comunione ereditaria dei beni immobili di entrambi i genitori, la Corte d’appello ritenne che la domanda degli attori integrasse una seconda fase di divisione ereditaria, avente ad oggetto le somme di denaro appartenenti al de cuius , e che tale domanda, essendo successiva alla divisione dei beni immobili, fosse inammissibile; ad avviso della Corte di merito, tutte le questioni sorte nel giudizio di divisione
dovevano essere esaminate nell’ambito dei rapporti tra condividenti, in cui operavano le preclusioni processuali sicché una volta concluso l’accordo di divisione tra i fratelli, si era sciolta la comunione con riferimento all’intero patrimonio mediante la trasformazione dei diritti dei singoli partecipanti su quote ideali in diritti di proprietà individuale su beni particolari.
La Corte d’appello ha limitato l’ambito di applicabilità dell’art. 762 c.c., e quindi la possibilità di procedere ad un supplemento di divisione, alle sole ipotesi in cui l’esistenza di beni ulteriori non fosse nota agli eredi al momento della dell’apertura della successione.
È stata quindi esclusa la possibilità di un supplemento di divisione perché non si trattava di pretermissione di beni facenti parte della massa ereditaria, ma di mancata imputazione alla massa del valore di donazioni fatte in vita dal de cuius.
Il principio espresso dalla Corte d’appello costituisce falsa applicazione dell’art. 762 c.c., che ammette il supplemento di divisione nelle ipotesi in cui siano stati omessi nella divisione uno o più beni ereditari, senza la necessità di indagare se fosse nota alle parti l’esistenza di tali beni (nel caso di specie dei conti correnti) al momento della dell’apertura della successione.
Sebbene il principio cardine in materia di comunione ereditaria sia quello della “universalità” della divisione ereditaria – in forza del quale la divisione dell’eredità deve comprendere, di norma, tutti i beni facenti parte dell’asse ereditario – tale principio non è assoluto ma trova eccezione per via legislativa (articoli 713, comma 3; 720; 722, 1112 del c.c.) o per accordo dei condividenti.
7.3. In definitiva, la divisione parziale dei beni ereditari è ammessa sia per via contrattuale che per via giudiziale, in quanto il principio dell’universalità della divisione ereditaria non è inderogabile.
Gli eredi, dopo la divisione in via stragiudiziale dei beni immobili, ben potevano procedere alla divisione dei beni mobili, che erano stati omessi dall’accordo di divisione dei beni immobili, sulla base dell’art. 762 c.c., dato che la norma implicitamente ammette la validità ed efficacia della divisione parziale.
La possibilità di una divisione parziale non è incompatibile con il regime delle preclusioni in quanto la divisione rimane valida ed efficace, fatta salva la possibilità di un supplemento in caso di omissione di beni ereditari.
Del resto, la recente giurisprudenza di questa Corte, in tema di divisione ereditaria, proprio per realizzare la finalità di giungere al completo scioglimento della comunione, pur facendo salva l’operatività delle preclusioni dell’ordinario giudizio di cognizione, ammette che l’indicazione dei beni possa essere compiuta successivamente alla domanda anche dal condividente che non l’abbia proposta, costituendo essa una precisazione dell’unitaria istanza, comune a tutte le parti, rivolta allo scioglimento della comunione (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 1065 del 14/01/2022, Rv. 663570; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6931 del 08/04/2016, Rv. 639451).
Le parti, pertanto, possono indicare i beni oggetto della divisione anche dopo aver introdotto la domanda, ma sempre nei limiti delle preclusioni processuali, e dunque entro i termini in cui è consentita la precisazione o l’integrazione delle rispettive domande (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28272 del 06/11/2018, Rv. 651381), salva la sola eccezione rappresentata, nel giudizio di riduzione, dall’allegazione della necessità di imputare alla legittima le donazioni ricevute in vita dall’attore, che costituisce eccezione in senso lato e dunque non è subordinata alla specifica e tempestiva allegazione di parte, ma è
ammissibile anche d’ufficio ed in grado di appello, purché i fatti risultino documentati ex actis (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20138 del 13/07/2023, Rv. 668548).
Alla luce di tali principi, è erronea l’affermazione della Corte d’appello, secondo cui la collazione delle donazioni doveva essere effettuata (o in un giudizio di divisione o) nell’ambito come nella specie -della divisione stragiudiziale posta in essere; e di riflesso, è erronea la conclusione che nel caso in esame vi sia stata una rinuncia implicita alla collazione delle donazioni.
Osserva il collegio che, pur dandosi continuità al principio secondo cui la collazione presuppone l’esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere, mentre se l’asse viene esaurito con donazioni o con legati, o con le une e con gli altri insieme, viene a mancare un ” relictum ” da dividere (Cass. civ. N. 41132/22; Cass. civ. N. 15026/13, Cass. N. 509/21), nel caso in esame il ‘ relictum ‘ da dividere era costituito dai beni immobili.
L’erroneità del ragionamento della Corte d’appello si coglie laddove ha ritenuto che dopo la vendita delle quote dei beni immobili non potesse addivenirsi ad un supplemento di divisione ai sensi dell’art. 762 c.c. per assenza di ulteriori beni da dividere nell’asse ereditario, mentre, nel caso in esame, residuavano beni immobili da dividere.
7.4. Il ricorso deve, pertanto, essere accolto; la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, che farà applicazione dei seguenti principi di diritto:
‘Il principio di universalità della divisione ereditaria, in forza del quale la divisione dell’eredità deve comprendere, di norma, tutti i beni facenti parte dell’asse ereditario, non è assoluto ed inderogabile, ma trova eccezione per via legislativa (articoli 713, comma 3; 720; 722, 1112 del c.c.) o per accordo dei condividenti’;
‘L’art. 762 c.c. ammette il supplemento di divisione nelle ipotesi in cui siano stati omessi uno o più beni ereditari, senza che sia necessario indagare se alle parti ne fosse nota l’esistenza al momento dell’apertura della successione’.
Il giudice di rinvio regolerà le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in ordine al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, innanzi alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione