Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14391 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14391 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9479/2019 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
-ricorrente-
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOMECOGNOME
-controricorrente-
COGNOME NOME COGNOME
-intimata- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PALERMO n. 2537/2018 depositata il 18/12/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Palermo, nella causa di divisione ereditaria relativa alla successione di NOME COGNOME e di NOME COGNOME
rispettivamente padre e zia ex patre delle parti, sciolta la comunione ereditaria, ha condannato il coerede NOME COGNOME, dapprima amministratore quale mandatario della de cuius e poi amministratore di fatto, a restituire pro quota alle coeredi COGNOME NOME e COGNOME NOME concetta le somme ricavate o ricevute nell’esercizio dell’attività di amministrazione. Queste ultime, nell’intraprendere la causa, avevano lamentato che quanto già versato dal COGNOME non eguagliava quanto dovuto.
La Corte d’appello, adita da COGNOME Gaetano, ha riformato la sentenza, riducendo in misura minima il quantum oggetto di condanna. Essa ha rilevato che, appurata la misura del quantum di pertinenza dell’eredità, il convenuto non avesse dato prova di esborsi idonei a comportare l’erosione delli importi originari nei limiti della somma già ripartita dall’appellante.
La stessa Corte di merito ha poi riconosciuto l’appartenenza all’asse ereditario della somma di lire 345.000.000, in origine depositata su un conto intestato in nome della de cuius e di una congregazione religiosa di cui faceva parte la stessa d e cuius e infine pervenuta nella disponibilità del COGNOME, che l’aveva trattenuta per intero.
La corte palermitana, infine, disattendeva la istanza del COGNOME, volta a ottenere una revisione della stima utilizzata ai fini della divisione dei beni comuni.
Per la cassazione della sentenza COGNOME NOME ha proposto ricorso affidato a tre motivi. COGNOME NOME ha resistiti con controricorso. COGNOME NOME è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1722 n. 4 e dell’art. 1713 c.c. , oltre ad omesso esame di un fatto decisivo.
La sentenza è oggetto di censura nella parte relativa alla statuizione di condanna in favore delle coeredi, che sarebbe stata assunta senza considerare: a) che il conto era stato reso mediante trasmissione al notaio incaricato di redigere l’inventario dell’eredità, disposto a seguito dell’accettazione beneficiata da parte di COGNOME NOME; b) che il saldo era stato ripartito fra i tre coeredi, avendo le sorelle ricevuto quanto di loro spettanza senza riserve; c) che la gestione si era protratta per moltissimo tempo, dovendosi tenere conto che molti degli atti di gestione erano stati assunti di concerto con la de cuius ; d) che da un certo momento in poi i canoni furono pagati direttamente agli eredi; e) che il conto era stato reso quando la mandante era ancora in vita.
Il motivo è inammissibile. Non sussiste la denunziata violazione di legge, del resto dedotta con il motivo in esame in termini apodittici, senza alcuna correlazione con l’una o l’altra statuizione della sentenza impugnata, la cui ratio si esaurisce invero nell’avere la corte di merito accertato che l’attuale ricorrente aveva riscosso somme di pertinenza della comune eredita, avendo tuttavia ripartito pro quota una somma inferiore rispetto a quella riscossa: da qui la condanna al pagamento della differenza, avendo la corte d’appello riconosciuto che il COGNOME non aveva provato la presenza di esborsi che avessero eroso l ‘ importo riscosso nei limiti della minore somma già ripartita fra i coeredi.
Nessun omesso esame inficia inoltre la decisione, palesandosi, sotto l’egida dell’omesso esame, l’intento del ricorrente di ottenere una ripetizione del giudizio di fatto, inammissibile in cassazione. Si deve ancora aggiungere che il vizio di omesso esame, qualora la censura corrispondesse realmente al contenuto del motivo, sarebbe inammissibile in presenza di doppia conforme ex art. 348-ter,
comma 5, c.p.c., in quanto la sentenza d’appello ha risolto la questione di fatto allo stesso modo della sentenza di primo grado.
Il secondo motivo censura violazione delle norme in tema di divisione ereditaria, avendo la corte d’appello ingiustamente disatteso la richiesta di rinnovare la stima dei beni ai fini della divisione.
Il motivo è infondato. Nella divisione giudiziale il momento della divisione è quello della decisione. La stima è di solito rimessa a un consulente tecnico, divenendo quindi evenienza fisiologica che essa sia fatta in un momento precedente rispetto a quello in cui la causa viene decisa. Per evitare che possibili mutamenti dei prezzi compromettano l’eguaglianza fra i comproprietari, è principio acquisito che la stima, effettuata in epoca precedente, deve essere aggiornata d’ufficio, anche in appello, al momento della decisione (Cass. n. 9207/2005). Tale principio non esclude che la parte sia comunque tenuta ad allegare i fatti che giustificano l’aggiornamento, posto che questo non può avvenire tramite criteri automatici (Cass. n. 10624/2010; Cass. n. 15288/2014).
La Corte d’appello, nel richiamare tali principi, ha riconosciuto che il ricorrente non avesse assolto a tale onere di allegazione. Le relative considerazioni, in linea di principio corrette in diritto e immuni da vizi logici, sono incensurabili in questa sede.
Il terzo motivo denunzia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Secondo il ricorrente la somma di lire 345.000.000 non faceva parte dell’eredità, ma gli era stata consegnata dal terzo in esecuzione di un mandato conferito dalla de cuius e inteso a beneficiare l’odierno ricorrente per il corrispondente importo.
Il terzo motivo è inammissibile. La sentenza ha riconosciuto che la somma di lire 345.000.000, proveniente da un conto cointestato in nome della de cuius e della Congregazione religiosa di cui essa
faceva parte, era di pertinenza della stessa de cuius e quindi dell’eredità. A tale ricostruzione il ricorrente oppone considerazioni logiche volte a negare l’appartenenza delle somme all’eredità, accampando l’esistenza di un titolo tale da consentirgli il loro trattenimento. La censura si traduce in una petizione di principio, che incorre nella medesima ragione di inammissibilità già ventilata nell’esame del precedente motivo: la questione di fatto è stata infatti risolta negli esatti termini della decisione di primo grado, che aveva riconosciuto che la somma di lire 345.000.000, già depositata sul conto cointestato, era stata appresa dal COGNOME. Costui chiamato in giudizio dinanzi al Tribunale di Palermo da COGNOME NOME, che ne pretendeva la restituzione, si era difeso assumendo di avere percepito le somme in quanto già di pertinenza della de cuius e da questa affidate all’COGNOME perché le facesse pervenire al nipote (attuale ricorrente). il Tribunale di Palermo, adito dalle coeredi per la restituzione pro quota anche di tale importo, dopo avere richiamato la vicenda giudiziaria pregressa, ha ritenuto che il convenuto non avesse fornito prova di un titolo idoneo a legittimare il trattenimento delle somme. Tale statuizione è stata interamente condivisa dalla Corte d’appello: da qui l’inammissibilità del motivo per la ragione sopra indicata, in presenza di ‘doppia conforme’.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con addebito di spese in favore della controricorrente.
Non si provvede sulle spese nei confronti di COGNOME NOME, non avendo l’intimat a svolto difese.
Sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente, NOME COGNOME liquidate in € 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda