Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24593 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24593 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29693/2020 R.G. proposto da :
ESPOSITO COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (RGNPQL60M17F839J);
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
ESPOSITO NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 2950/2020, depositata il 27/08/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9/04/2025 dal
Consigliere NOME COGNOME
PREMESSO CHE
1. Come si legge nella ricostruzione in fatto presente nella sentenza impugnata, nel 2003 NOME COGNOME ha chiamato in giudizio i germani NOME e NOME COGNOME; l’attore ha dedotto che il 22 giugno 1964 era deceduto ab intestato il padre NOME COGNOME lasciando a sè superstiti i cinque figli e la moglie NOME COGNOME che l’asse ereditario era costituito da un fondo rustico e da due terranei, che al coniuge spettava l’usufrutto su un terzo dell’eredità e a ciascuno dei figli un quinto della stessa, che due germane (NOME e NOME) avevano ceduto all’attore la propria quota di eredità, che la madre nel 1984 aveva trasformato un terraneo realizzando un fabbricato di tre piani con una superficie per piano di 25 metri quadri e nel 1990 aveva realizzato un garage, che nel 1999 era deceduta la madre e che a partire dal suo decesso i convenuti avevano goduto in via esclusiva degli immobili e si erano rifiutati di dividere l’asse ereditario. L’attore chiedeva quindi di disporre lo scioglimento della comunione e di condannare i convenuti alla restituzione dei frutti. Si costituivano i convenuti, che negavano che il fabbricato e il garage fossero stati costruiti dalla madre, sostenendo che la ricostruzione dei terranei era stata effettuata da NOME COGNOME. Quest’ultima proponeva domanda riconvenzionale, chiedendo che fosse dichiarata la sua esclusiva proprietà del fabbricato e del garage, edificati a proprie spese e detenuti animo domino, e che fosse accertato il suo diritto ai miglioramenti apportati ai beni danneggiati dal sisma del 1980, con condanna di NOME COGNOME al pagamento della propria quota di euro 5.112,92; domandava poi che fosse disposto lo scioglimento della comunione e rigettata la
domanda di condanna alla restituzione dei frutti. Il Tribunale di Nola, con sentenza parziale n. 1527/2011, ha respinto le domande riconvenzionali della convenuta. Con sentenza definitiva n. 912/2015 il Tribunale ha dichiarato aperta la successione mortis causa di NOME COGNOME; ha dichiarato lo scioglimento della comunione e, tenuto conto delle cessioni di quote, ha assegnato un lotto all’attore e un lotto a ciascuno dei due convenuti; ha quindi condannato NOME COGNOME a versare a titolo di conguagli ad NOME COGNOME euro 36.458,43 e a NOME COGNOME euro 11.870,62, nonché a versare ad NOME COGNOME a titolo di frutti i tre quinti di euro 350 mensili a partire dal 26 febbraio 1999, data del decesso della madre, sino al passaggio in giudicato della sentenza in favore del fratello.
Le sentenze sono state impugnate da NOME COGNOME contestando in relazione alla sentenza parziale il rigetto della domanda di usucapione e, in subordine, il mancato riconoscimento delle migliorie apportate e in relazione alla sentenza definitiva l’errata determinazione delle quote ereditarie, dei frutti e dei conguagli in denaro. La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza n. 2950/2020, ha rigettato il gravame.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ricorre per cassazione.
Resiste con controricorso NOME COGNOME che eccepisce l’improcedibilità del ricorso per mancato deposito nei termini e l’inammissibilità del ricorso perché notificato tardivamente.
Resiste con controricorso NOME COGNOME che eccepisce anch’egli l’improcedibilità del ricorso per mancato deposito nei termini.
La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
In via preliminare vanno esaminate le eccezioni di improcedibilità e inammissibilità del ricorso sollevate dai controricorrenti. Le eccezioni non sono fondate. Quanto all’improcedibilità, gli stessi
contro
ricorrenti indicano quale termine per il deposito del ricorso il 24 novembre 2020. In tale data risulta essere stato spedito il plico postale e, come ha specificato questa Corte, ‘ai fini della verifica del tempestivo deposito del ricorso per cassazione, quando il ricorrente si sia avvalso del servizio postale, assume rilievo la data di consegna all’ufficio postale del plico da recapitare alla cancelleria della Corte di cassazione, dovendo in tal caso ritenersi che l’iscrizione a ruolo sia avvenuta in tale data, non assumendo rilievo che il plico pervenga a destinazione dopo il decorso del termine di venti giorni di cui all’art. 369 c.p.c.’ (così Cass. n. 684/2016). Quanto alla inammissibilità, il ricorso -a seguito della notificazione della sentenza d’appello doveva essere notificato entro il 30 ottobre 2020, anche in tal caso è il controricorrente NOME COGNOME a dirlo, e in tale data la ricorrente ha dato avvio al procedimento notificatorio; è vero che la notificazione non è andata a buon fine in quanto -come si legge nella relazione di notificazione -il difensore di NOME COGNOME è risultato traferito, ma la notificazione è stata subito rinnovata, perfezionandosi il 4 novembre 2020, così che il ricorso deve ritenersi tempestivamente notificato (v. al riguardo la pronuncia delle sezioni unite di questa Corte n. 14594/2016).
Il ricorso è articolato in quattro motivi.
Il primo motivo contesta, in relazione alla conferma del rigetto della domanda riconvenzionale della ricorrente volta a ottenere il riconoscimento delle migliorie e la condanna di NOME COGNOME a pagare euro 5.112,92, ‘travisamento della prova da parte del giudice di prime cure e condiviso dal giudice d’appello, violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.’.
Il motivo non può essere accolto. Il motivo, a quanto è dato di capire dalla formulazione tutt’altro che agevole del medesimo, contesta alla Corte d’appello di non avere considerato il documento ‘duplice quietanza Ditta COGNOME del 16.09.1994′, trascritto alla
pag. 10 del ricorso, documento riconducibile alla somma anticipata dalla ricorrente per conto del fratello NOME, che avrebbe ‘la forza di ribaltare la decisione con l’effetto di accogliere la domanda riconvenzionale’ della ricorrente. A quanto si ricava dalla lettura del motivo, ci troviamo quindi di fronte non a una ipotesi di travisamento della prova (sulla nozione cfr. la pronuncia delle sezioni unite n. 5792/2024), ma di mancata considerazione di un elemento di prova, elemento di prova che, al contrario di quanto sostiene la ricorrente, non ha carattere decisivo. La Corte d’appello (v. le pagg. 13 e 14 della sentenza impugnata) ha confermato il rigetto della domanda riconvenzionale di riconoscimento delle migliorie apportate al bene comune sulla base della considerazione che ‘anche i pagamenti formalmente effettuati dalla COGNOME avevano in effetti attinto alla risorse materne’, affermazione fondata sulle dichiarazioni rese dalla ricorrente in sede di interrogatorio formale, sulla documentazioni in atti e sulle dichiarazioni rese dai testimoni, così che la ‘circostanza che vi fossero stati pagamenti a mezzo assegni a firma della COGNOME nulla provava’. Tale ratio decidendi non è scalfita dal documento che non sarebbe stato considerato dal giudico d’appello: in tale documento si legge infatti che la ditta COGNOME dichiara di ricevere la somma di lire 7.500.000 dalla signora COGNOME NOME a mezzo di assegni tratti su un conto corrente intestato alla medesima ‘per conto della mamma NOMECOGNOME e si precisa che la suddetta somma è stata ‘sborsata dalla signora NOME COGNOME per conto della madre NOME.
2. Il secondo motivo lamenta violazione dell’art. 132, n. 4 c.p.c. ai sensi del n. 4 o del n. 5 dell’art. 360 c.p.c.: la motivazione della sentenza impugnata è apparente, avendo il giudice confuso due fattispecie, quella dell’usucapione del bene ereditario ad uso esclusivo e quella della richiesta di rimborso per i beni ereditari
comuni danneggiati dal sisma del 1980, risolvendosi così la motivazione ‘in un vero miscuglio giuridico’.
Il motivo non può essere accolto. Come hanno precisato le sezioni unite di questa Corte, risulta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (così Cass., sez. un., n. 8038/2018). Tali vizi non sono ravvisabili nella motivazione della sentenza impugnata, che nella sua ampia articolazione non può certo dirsi meramente apparente, senza contare che la confusione tra le due fattispecie denunciata dalla ricorrente è a sua volta confusamente e non specificamente delineata nel motivo, così che si tratta di censura neppure apprezzabile nella sua effettività da parte di questo Collegio.
Il terzo motivo fa valere ‘errore di percezione, violazione dell’art. 115 c.p.c.’ in relazione al n. 4 dell’art. 360 c.p.c.’.
Il motivo, anch’esso di non facile lettura a causa della poca chiara esposizione, è inammissibile. Con esso, a quanto è dato di capire, si contesta l’affermazione della Corte d’appello ricordata sub 1 -secondo cui ‘anche i pagamenti formalmente effettuati dalla COGNOME avevano in effetti attinto alla risorse materne’, chiedendo a questa Corte di legittimità una inammissibile rivalutazione di dichiarazioni testimoniali e di documenti (cfr. le pagg. 25-29 del ricorso).
4. Il quarto motivo contesta ‘violazione dell’art. 116 c.p.c. come un omesso esame di un fatto decisivo e quindi ex art. 360, n. 5 c.p.c.’: il consulente tecnico d’ufficio non ha risposto alle osservazioni del consulente di parte e non ha replicato alle stesse, con obbligo per il giudice di dare al riguardo adeguata motivazione. Il motivo è inammissibile. Ai sensi dell’art. 348 -ter , penultimo e ultimo comma c.p.c. (nella versione applicabile ratione temporis alla fattispecie), il ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado, basandosi sulle stesse ragioni inerenti la questione di fatto, non può essere proposto per il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma c.p.c. Questa Corte ha poi specificato che nell’ipotesi di ‘doppia conforme’, il ricorrente in cassazione -per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 26774/2016 e Cass. n. 5947/2023), indicazione che manca nel motivo fatto valere dalla ricorrente, che anzi ripropone le censure fatte valere con l’atto d’appello (pagg. 34 -39 del ricorso).
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore del controricorrente NOME COGNOME che liquida in euro 5.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge, da
distrarsi in favore dell’avvocato NOME COGNOME che si è dichiarata antistataria, e in favore del controricorrente NOME COGNOME che liquida in euro 5.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione