Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27602 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27602 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 32101-2020 proposto da:
NOME COGNOME, NOME COGNOME, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
PRINCIPATO COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME, giusta procura in calce al controricorso;
– ricorrenti incidentali –
nonché contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, TRAPASSO NOME, TRAPASSO CONCETTA;
– intimati – avverso la sentenza n. 420/2020 della CORTE D’APPELO di CATANZARO, depositata il 04/05/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/10/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
NOME NOME COGNOME, NOME NOME e NOME NOME evocavano in giudizio dinanzi al Tribunale di Catanzaro NOME, vedova del defunto NOME, deceduto in data 19/5/1977, assumendo che, in quanto fratelli del de cuius, avevano diritto di concorrere alla divisione dei beni relitti, quanto ai beni appartenenti al de cuius e per i quali la convenuta non era stata istituita come unica erede.
Il Tribunale, con sentenza non definitiva del 22 giugno 2000, rigettata anche la richiesta di annullamento del testamento per incapacità del testatore, e dato atto dell’intervento di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali promissari acquirenti di un terreno in virtù di preliminare concluso quando era ancora in vita il de cuius, dichiarava la convenuta erede testamentaria limitatamente ai beni indicati nel testamento, e disponeva procedere alla divisione secondo le quote ab intestato per gli altri beni.
Il Tribunale, con sentenza definitiva n. 1144/2011, disponeva la divisione per i beni in comune tra la NOME e NOME COGNOME, secondo le quote indicate in dispositivo, e tra la
convenuta e gli altri attori, relativamente agli altri beni, sempre secondo le quote meglio specificate in dispositivo.
Avverso tale sentenza proponevano appello NOME NOME, NOME NOME e NOME NOME, quali eredi di NOME NOME, cui resisteva la NOME.
Era poi disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME, e di COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME.
Gi appellanti NOME NOME e NOME NOME, nel corso del giudizio dichiaravano che coltivavano l’appello anche quali eredi della defunta germana NOME NOME.
La Corte d’Appello di Catanzaro, con la sentenza an. 420 del 4 maggio 2020, ha rigettato l’appello, confermando la divisione come disposta in primo grado, per entrambe le masse sulle quali insisteva la comunione.
Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso NOME NOME e NOME NOME sulla base di due motivi.
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, nella persona del procuratore generale COGNOME NOME, hanno resistito con controricorso, proponendo a loro volta ricorso incidentale affidate ad un motivo.
Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa fase.
Il AVV_NOTAIO Delegato ha depositato proposta di definizione del giudizio ex art. 380 bis c.p.c. e nel termine di legge i ricorrenti principali hanno presentato istanza di decisione.
Preliminarmente, rileva la Corte che nel procedimento ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., come disciplinato dal d.lgs. n. 149 del 2022, il presidente della sezione o il consigliere delegato, che
abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis.1, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4 e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (cfr. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 2024 depositata il 10.4.2024).
Sulla scorta di tale pronuncia, il AVV_NOTAIO, autore della proposta di definizione ex art. 380 bis c.p.c., non versa in situazione di incompatibilità.
Il primo motivo di ricorso principale denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 114 c.p.c., nonché dell’art. 718, 726, 727, 720 e 722 c.c., quanto alla divisione dei beni appartenenti in comunione tra NOME e la NOME.
Si lamenta che la divisione approvata avrebbe permesso l’assegnazione alla controparte di una maggiore superficie del fondo Restella, e precisamente di quella adibita a coltivazione, essendo stata invece assegnata al dante causa dei ricorrenti una porzione boscosa. Inoltre, vi sarebbero evidenti errori nell’attribuzione dei beni in Tiriolo, non palesandosi comprensibile la distinta assegnazione del locale adibito a frantoio e dei macchinari per la lavorazione delle olive.
Si sostiene che la sentenza ha omesso di prendere in esame la possibilità di addivenire ad un diverso frazionamento del terreno,
pur potendosi ipotizzare una sua distribuzione secondo quote concrete in grado di assicurare un contemperamento delle esigenze dei condividenti.
Ancora, l’avere separato i locali adibiti a frantoio dalle attrezzature costituisce a sua volta una modifica dell’originaria destinazione dei beni.
Il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 114 c.p.c., nonché degli artt. 718, 726, 727, 720 e 722 c.c., con omesso esame di fatto decisivo per la controversia, ex art. 360 co. 1, n. 5, c.p.c., nella parte in cui ha provveduto alla distribuzione dell’immobile in Catanzaro Lido, condividendo gli esiti della prima consulenza tecnica d’ufficio, senza quindi procedere, come invece suggerito dal secondo consulente d’ufficio, ad un frazionamento dei vari piani del fabbricato.
I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono manifestamente infondati.
Occorre evidenziare che nella fattispecie si è in presenza di due sub masse ereditarie (a seconda che si tratti dei beni assegnati individualmente dal testatore alla moglie -e dei quali NOME era a sua volta comproprietario con il de cuius -, ovvero dei beni sui quali si è aperta la successone legittima con i fratelli), le quali si compongono di una pluralità di beni immobili.
La Corte d’Appello ha ritenuto di condividere i due distinti progetti di divisione approvati dal Tribunale, addivenendo ad un’assegnazione dei beni che non prevede la divisione di ognuno degli immobili caduti in successione tra i due gruppi di condividenti, ma ha previsto che le quote in natura fossero formate in parte con beni interamente inclusi nelle stesse, ovvero, come nel caso del fondo Restella, con delle porzioni oggetto di
frazionamento non perfettamente corrispondenti al valore della quota ideale, compensando tale differenza con l’assegnazione a favore del condividente che aveva ricevuto una quota materiale del bene inferiore a quella ideale, con l’assegnazione di altri beni tali da compensare la detta differenza.
Trattasi di soluzione che appare in primo luogo supportata dalla giurisprudenza di questa Corte che ha in più occasioni affermato che il principio stabilito dall’art. 727 c.c., in virtù del quale, nello scioglimento della comunione, il giudice deve formare lotti comprensivi di eguali quantità di beni mobili, immobili e crediti, non ha natura assoluta e vincolante, ma costituisce un mero criterio di massima; ne consegue che resta in facoltà del giudice della divisione predisporre i detti lotti anche in maniera diversa, ove ritenga che l’interesse dei condividenti sia meglio soddisfatto attraverso l’attribuzione di un intero immobile, piuttosto che con il suo frazionamento, e che il relativo giudizio è incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato. (Cass. n. 29733 del 12/12/2017).
Inoltre nella divisione non si richiede necessariamente, in sede di formazione delle porzioni, una assoluta omogeneità delle stesse, ben potendo, nell’ambito di ciascuna categoria di beni immobili, mobili e crediti da dividere, taluni di essi essere assegnati per l’intero ad una quota ed altri, sempre per l’intero, ad altra quota, salvi i necessari conguagli, giacché il diritto dei condividenti ad una porzione in natura di ciascuna delle categorie di beni in comunione non consiste nella realizzazione di un frazionamento quotistico delle singole entità appartenenti alla stessa categoria, ma nella proporzionale divisione dei beni compresi nelle tre categorie degli immobili, mobili e crediti, dovendo evitarsi un
eccessivo frazionamento dei cespiti in comunione che comporti pregiudizi al diritto preminente dei coeredi e dei condividenti in genere di ottenere in sede di divisione una porzione di valore proporzionalmente corrispondente a quello della massa ereditaria, o comunque del complesso da dividere. Pertanto, nell’ipotesi in cui nel patrimonio comune vi siano più immobili da dividere, il giudice del merito deve accertare se l’anzidetto diritto del condividente sia meglio soddisfatto attraverso il frazionamento delle singole entità immobiliari oppure attraverso l’assegnazione di interi immobili ad ogni condividente, salvo conguaglio (cfr. ex multis Cass. n. 17862 del 27/08/2020).
La sentenza impugnata, quanto alla prima comunione, si è puntualmente attenuta a tali principi, ai quali ha dichiaratamente riferito essersi ispirata, nella parte in cui ha preso atto che le quote venutesi a determinare erano nella sostanza rispettose del valore delle quote ideali, attesa la misura contenuta del conguaglio, rilevando altresì che l’assegnazione di una maggiore superficie del fondo Restella alla NOME trovava una compensazione nella assegnazione di altri beni per l’intero a COGNOME NOME COGNOME, non potendosi, come detto, pretendere che si dovesse addivenire ad un frazionamento del bene de quo in quote esattamente corrispondenti a quelle ideali.
La sentenza ha altresì sottolineato come il fondo risultasse già frazionato in plurime particelle e che l’assegnazione di una maggiore estensione agricola alla NOME trovasse giustificazione anche nel fatto che la stessa era proprietaria di altro terreno limitrofo, avente medesima destinazione agricola, il che avrebbe favorito il migliore sfruttamento di entrambi i terreni, con un incremento di valore anche della componente assegnata
alla convenuta, incremento del quale ne veniva a beneficiare anche la controparte, in ragione dell’incremento della stima della massa.
Trattasi, peraltro, di valutazione, quella relativa all’accorpamento di una quota con altro bene già di proprietà del condividente, che rientra nella discrezionalità del giudice di merito e che non è censurabile in sede di legittimità come chiarito da Cass. n. 21319/2010, che ha affermato che il giudice di merito gode di un’ampia discrezionalità nell’esercizio del potere di attribuzione delle porzioni ai condividenti, salvo l’obbligo di darne conto in motivazione, e che nell’esercizio di tale potere discrezionale, egli può considerare anche gli interessi individuali delle parti aventi ad oggetto beni estranei alla comunione – confrontandoli con gli altri interessi rilevanti nella specie – allo scopo di compiere la scelta più appropriata, pervenendo quindi ad assegnare ad uno dei condividenti un lotto corrispondente al valore della quota, ai sensi dell’art. 727 cod. civ.
La critica dei ricorrenti avverso tale capo della sentenza di appello è evidentemente destituita di fondamento, in quanto si concreta in un richiamo alle deduzioni difensive già spese in sede di merito, senza minimamente confrontarsi con le ragioni sia in fatto che in diritto espresse dal giudice di appello. Il richiamo alla regola della non divisibilità non tiene conto della natura composita della massa e delle regole che questa Corte ha offerto in materia di formazione delle quote, ribadendosi come la divisione non debba necessariamente riguardare ogni singolo componente della comunione.
Sono censure che investono apprezzamenti di fatto, e che hanno già ricevuto ampia ed argomentata risposta in sede di merito,
risolvendosi quindi il ricorso in una sollecitazione, non consentita, alla Corte di ripetere la valutazione di fatto già operata nella sentenza impugnata, adducendosi nella sostanza unicamente il fatto che si tratti di soluzione che la parte non reputa appagante.
A tal fine valga il riferimento alla diversa distribuzione tra il frantoio e le attrezzature per la lavorazione delle olive, che non si confronta con quanto osservato dal giudice di appello che, proprio al fine di assicurare una contrazione della misura dei conguagli, non ha mancato di sottolineare che agli eredi COGNOME risultavano attribuiti dei fondi adibiti ad uliveto, così che le attrezzature de quibus sarebbero in ogni caso risultate funzionali alle esigenze dei titolari della quota al cui interno erano state inserite.
Analoghe considerazioni devono essere svolte quanto alle critiche che investono la suddivisione dei beni immobili in Catanzaro Lido alla INDIRIZZO.
La sentenza gravata ha analiticamente messo a confronto le soluzioni suggerite nella prima e nella seconda consulenza d’ufficio, individuando le ragioni per le quali tecnicamente ed economicamente si lasciava preferire il progetto redatto dal primo perito. E’ stata in questo caso reputata preferibile l’assegnazione distinta del piano terreno e del piano scantinato, rispetto a quella che prevedeva un frazionamento di ognuno di tali piani, sottolineando come la diversa opzione avrebbe imposto dei costi (come quelli necessari per creare un bagno autonomo), con un aggravio di spese che avrebbe influito sul valore della massa e di riflesso su quello delle quote.
La Corte distrettuale, dopo avere fatto riferimento alle pagg. 17 e ss. ai principi espressi da questo giudice in ordine alla fattibilità della divisione in natura, alle pagg. 19 e ss. ha chiaramente
espresso le ragioni per le quali si lasciava preferire la distinta attribuzione dei piani, sottolineando come il frazionamento del singolo piano avrebbe reso disagevole l’accesso alle due autonome porzioni, con la necessità di conservare un’area comune, a detrimento del valore delle quote individuali.
La sentenza ha, quindi, reputato, in conformità della regola sopra esposta che consente la divisione anche mediante assegnazioni di immobili per intero in ogni quota, che la separata attribuzione dei due livelli ad ognuna delle due quote assicurasse al meglio il rispetto dei criteri in materia di formazione delle quote, senza andare a discapito del principio della omogeneità qualitativa delle stesse, tenendo conto in particolare del fatto che si trattava di quote ideali di valore diverso, essendo ben maggiore quella spettante ab intestato alla NOME rispetto a quella invece di competenza dei germani del de cuius.
Anche in parte qua la critica dei ricorrenti si risolve in un dissenso in punto di fatto rispetto alla valutazione del giudice di merito, dissenso che non appare suscettibile di denuncia in sede di legittimità, a fronte delle logiche ed argomentate considerazioni della Corte distrettuale.
Il ricorso principale è pertanto rigettato.
Il rigetto del ricorso principale implica poi che il motivo di ricorso incidentale, che denuncia la violazione degli artt. 81, 110, 116, 323 c.p.c., nonché degli artt. 457, 459, 565 e 2697 c.c., ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., dell’art. 122 c.p.c., ex art. 360, co. 1, n. 4 , e 342 c.p.c., per non avere la Corte d’Appello accolto l’eccezione preliminare di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi nonché quella di difetto di legittimazione
degli appellanti, per non avere dimostrato la loro qualità di eredi dell’originaria parte attrice, debba reputarsi assorbito.
Infatti, avendo la Corte d’Appello rigettato il gravame degli odierni ricorrenti, con la conferma integrale della sentenza di primo grado, ed essendosi pervenuti al rigetto del ricorso principale, il motivo di ricorso incidentale deve ritenersi naturalmente condizionato.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese processuali, liquidate come in dispositivo, nulla dovendosi disporre quanto alle parti rimaste intimate.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis c.p.c. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma -nei limiti di legge- in favore della cassa delle ammende.
Con riferimento all ‘applicazione dell’art. 96 c.p.c. va data continuità al principio secondo cui ‘In tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380-bis, comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c. -codifica
un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché non attenersi ad una valutazione del proponente poi confermata nella decisione definitiva lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente’ (Cass. Sez. U, Ordinanza n. 27433 del 27/09/2023).
Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale;
Condanna i ricorrenti principali, in solido tra loro al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 6.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, ed accessori come per legge.
Condanna altresì i ricorrenti, in solido tra loro, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma pari a € 2.500,00, nonché al pagamento della somma di € 2.500,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater , del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principali
dell’ulteriore somma pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda