Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5920 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5920 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 3864-2018 proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentate e difese dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, giusta procura in calce al ricorso , con indicazione dell’indirizzo pec: EMAIL;
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che li rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
nonché contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME;
– intimati – avverso la sentenza n. 3223/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata l’11/07/2017;
lette le memorie delle parti;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/02/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
Con atto di citazione del 22 ottobre 2009, COGNOME NOME e COGNOME NOME convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, i germani COGNOME NOME, NOME, NOME e NOME, affinché, previa declaratoria di apertura della successione del padre COGNOME NOME, si disponesse la divisione dei beni relitti, con il rendiconto delle rendite, anche in relazione al godimento esclusivo di alcuni beni da parte dei condividenti, disponendo la collazione a carico di COGNOME NOME della somma di € 174.300,00.
Si costituiva il solo NOME COGNOME che non si opponeva alla divisione, ma chiedeva che anche la sorella NOME fosse tenuta a restituire alla comunione il corrispettivo per il godimento esclusivo di uno dei beni relitti.
Il Tribunale adito con la sentenza n. 8983 del 23 luglio 2015 approvava il progetto di divisione dei beni caduti in successione, accertava la misura dei conguagli dovuti reciprocamente, in ragione del diverso valore delle quote reali rispetto a quello delle
quote ideali, e condannava i comunisti che erano stati nel godimento esclusivo dei beni al pagamento in favore degli altri di un’indennità correlata a tale godimento.
Veniva, infine, rigettata la domanda di collazione della detta somma proposta nei confronti di NOME.
Avverso tale sentenza proponevano appello COGNOME NOME ed NOME, cui aderiva l’attrice COGNOME NOME.
Resistevano, invece, COGNOME NOME e NOME.
Con separato atto di appello la sentenza del Tribunale era impugnata anche da COGNOME NOME che, nel fare proprie le deduzioni delle altre appellanti, contestava l’erronea declaratoria della sua contumacia e la condanna al pagamento di un indennizzo per l’ asserita occupazione di un bene comune.
Riunite le due impugnazioni, la Corte d’Appello di Milano con la sentenza n. 3223/2017, pubblicata l’11 luglio 2017, ha rigettato entrambe le impugnazioni.
Disattese le censure che investivano la corretta notificazione dell’atto di citazione ai germani NOME, NOME e NOME, la Corte distrettuale escludeva che la mancata produzione dei certificati ipocatastali potesse determinare l’improcedibilità della domanda di divisione.
Quanto alla deduzione secondo cui i beni oggetto di causa erano stati interessati da un diverso giudizio, nel quale le appellanti COGNOME NOME ed NOME, avendo chiesto, inizialmente nei confronti del padre, e poi nei riguardi degli altri fratelli, l’esecuzione in forma specifica di un preliminare di compravendita
con il quale il de cuius si era obbligato a trasferire la proprietà dei beni caduti in successione, anche per la quota appartenente alla moglie premorta, giudizio definito in primo grado con la sentenza di accoglimento del Tribunale di Siracusa dell’8 maggio 2014, la sentenza di appello riteneva che l’esito del diverso giudizio fosse inopponibile ai coeredi, in quanto la domanda giudiziale proposta dalle appellanti era stata trascritta in data 4 marzo 2009, successivamente all’apertura della successione.
Quanto al motivo di appello proposto da COGNOME NOME, circa la condanna per l’occupazione di un box auto, la Corte d’appello lo reputava privo di fondamento, risultando dimostrato che il bene fosse stato effettivamente goduto.
Per la cassazione della sentenza di appello hanno proposto ricorso COGNOME NOME ed COGNOME NOME sulla base di cinque motivi.
COGNOME NOME ed COGNOME NOME hanno resistito con controricorso.
Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.
Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dai controricorrenti che denunciano la violazione del principio di autosufficienza, in quanto, ad avviso della Corte, il ricorso soddisfa pienamente i requisiti di formasostanza imposti dall’art. 366 c.p.c., in ragione dell ‘ adeguata individuazione dei fatti di causa rilevanti ai fini della decisione e della idoneità del suo contenuto a porre la Corte nella
piena consapevolezza delle questioni sia in fatto che in diritto necessarie ai fini della decisione della controversia.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 113, 114, 115 c.p.c., nonché degli artt. 784 c.p.c. e 1111 c.c., nonché dell’art. 2697 c.c.
Si deduce che erroneamente la Corte d’Appello ha reputato irrilevante che gli attori non avessero prodotto anche i certificati ipocatastali dei beni di cui si chiedeva la divisione. Si sottolinea che la giurisprudenza di merito ha in più occasioni sostenuto che tale omissione rende la domanda di scioglimento della comunione improcedibile, in quanto non consente di avere una esaustiva contezza della consistenza della massa da dividere, e pertanto la sentenza appellata era da riformare.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione delle medesime norme di cui al primo motivo, in relazione però alla circostanza che la Corte d’Appello avrebbe dovuto esaminare la documentazione versata in atti dalla quale si ricavava che in realtà i beni di cui si chiedeva la divisione non erano di proprietà esclusiva del genitore COGNOME NOME, ma appartenevano per la metà alla moglie premorta COGNOME NOME.
Inoltre, avrebbe potuto avvedersi che in relazione ai medesimi beni era stata avanzata domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo scaturente dal contratto preliminare con il quale COGNOME NOME aveva promesso di vendere gli stessi alle ricorrenti, domanda che era stata accolta con sentenza del Tribunale di Siracusa, confermata dalla Corte d’Appello di Catania,
e per la quale, alla data del ricorso, pendeva distinto procedimento dinanzi a questa Corte.
Si sostiene, quindi, che l ‘omessa produzione delle certificazioni ipocatastali ha impedito di avvedersi della pendenza del diverso giudizio dinanzi al Tribunale di Siracusa, che aveva coinvolto poi tutti i germani NOME, a seguito del decesso del genitore.
Il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 115 c.p.c., e 728 e 2697 c.c.
Si deduce che la sentenza del Tribunale, confermata in appello, ha assegnato ad COGNOME NOME uno dei beni asseritamente caduti in successione, disponendo anche i conguagli, ma tutto sull’erroneo presupposto che i beni appartenessero ancora al defunto genitore.
Si allega che, come si evince dalla documentazione prodotta in appello, i beni erano in comproprietà tra il de cuius e la moglie COGNOME NOME ed in ogni caso erano stati trasferiti alle ricorrenti con la sentenza del Tribunale di Siracusa all’esito del giudizio proposto ex art. 2932 c.c. nei confronti del padre, poi proseguito nei riguardi degli altri fratelli, sentenza che era passata in cosa giudicata nei riguardi di COGNOME NOME, essendo stato l’appello dichiarato inammissibile dalla Corte d’Appello di Catania.
Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 113, 115 e 784 c.p.c., nonché dell’art. 2697 c.c., in quanto la sentenza di appello avrebbe dovuto rigettare la domanda di divisione, una volta dimostrato che i beni non appartenevano alla massa, in conseguenza delle decisioni emesse, in secondo grado dalla Corte
d’Appello di Catania, che aveva trasferito la proprietà degli immobili oggetto di causa alle ricorrenti.
Inoltre, la sentenza ha erroneamente affermato che le vicende del diverso giudizio erano inopponibili in questa sede, perché la domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligazione derivante dal preliminare di vendita era stata trascritta dopo l’apertura della successione, trascurando che però non vi era trascrizione della domanda di divisione.
Il quinto motivo di ricorso denuncia – ex art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c. -l’omesso esame, l’errata, insufficiente, scorretta e contraddittoria valutazione del fatto storico principale e decisivo rappresentato dalla circostanza che il de cuius , allorché era in vita, aveva promesso in vendita alle ricorrenti i beni immobili appartenenti in pari quote al promittente venditore ed alla defunta moglie.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono fondati.
Occorre, in via del tutto prodromica, evidenziare che questa Corte, con l’ordinanza n. 26833 del 19 settembre 2023, nel definire il ricorso n. RG 28022/2017, della cui pendenza davano atto le ricorrenti in ricorso, ha rigettato il ricorso proposto da COGNOME NOME avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catania n. 728/2017, che aveva confermato la sentenza del Tribunale di Siracusa con cui era stata accolta la domanda di COGNOME NOME NOME, avanzata nel 2008, allorché il padre era ancora in vita, il cui giudizio era stato poi proseguito nei
confronti degli altri coeredi, al fine di ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre derivante dal contratto preliminare di compravendita del 1998 con il quale il padre aveva promesso di vendere alle figlie i beni oggetto di causa, anche per la quota appartenente alla defunta moglie, comproprietaria al 50 %.
Ne consegue che nel corso del presente giudizio è intervenuta una sentenza passata in cosa giudicata che ha trasferito i beni oggetto del giudizio di scioglimento della comunione ereditaria paterna, in favore delle odierne ricorrenti, sentenza destinata a spiegare efficacia nel presente giudizio, avendo infatti escluso dal novero dei beni ancora appartenenti per successione ai condividenti quelli oggetto del cennato preliminare, trattandosi peraltro di sentenza resa all’esito di un giudizio che ha visto partecipi tutte le parti del presente procedimento.
Sebbene non appaia conforme alla giurisprudenza di questa Corte l’affermazione delle ricorrenti circa l’impossibilità di poter procedere alla divisione dei beni immobili ove le parti non producano la relativa certificazione ipocatastale, essendo stato affermato, anche di recente, il principio per cui nei giudizi di scioglimento della comunione, la produzione dei certificati relativi alle trascrizioni e iscrizioni sull’immobile da dividere, imposta dall’art. 567 c.p.c. per la vendita del bene pignorato, non costituisce un adempimento previsto a pena di inammissibilità o improcedibilità della domanda, neppure quando debba procedersi alla vendita dell’immobile comune, atteso che questa, a differenza
di quanto accade nel processo di espropriazione, non avviene ai danni di qualcuno, ma nell’interesse di tutti, sicché il richiamo alle norme del processo di espropriazione è limitato alle sole modalità esecutive della vendita e ai relativi rimedi (Cass. n. 6228/2023; Cass. n. 10067/2020), le censure delle ricorrenti colgono nel segno quanto al diverso profilo dell’assenza di attuale titolarità dei beni in capo ai condividenti, sulla base del titolo posto a fondamento della domanda di divisione, e cioè l’appartenenza dei beni al comune genitore, non solo alla data di introduzione del giudizio, ma anche all’attualità.
Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui, nei giudizi di scioglimento della comunione, la prova della comproprietà dei beni dividendi non è quella rigorosa richiesta in caso di azione di rivendicazione o di accertamento positivo della proprietà, atteso che la divisione, oltre a non operare alcun trasferimento di diritti dall’uno all’altro condividente, è volta a far accertare un diritto comune a tutte le parti in causa e non la proprietà dell’attore con negazione di quella dei convenuti, sicché, in caso di non contestazione sull’appartenenza dei beni, non può disconoscersi la possibilità di una prova indiziaria, né la rilevanza delle verifiche compiute dal consulente tecnico, siccome ridondanti a vantaggio della collettività dei condividenti (così Cass. n. 6228/2023, cit.).
Infatti, come ribadito nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. in motivazione, Cass. n. 40041/2021), nel giudizio di divisione ereditaria, occorre fornire la dimostrazione dell’appartenenza dei
beni al de cuius (cfr. Cass. n. 10067/2020, cit., essendo necessario far accertare un diritto comune a tutte le parti in causa, quali coeredi’ ; v. anche Cass. n. 1309/1966). La domanda di divisione, infatti, anche quando sia proposta da uno solo, è sempre comune a tutti i condividenti (Cass. n. 6105/1987; Cass. n. 15504/2018), i quali sono tutti sul medesimo piano ed hanno tutti eguale diritto alla divisione (Cass. n. 4353/1980). La divisione, accertando i diritti delle parti sul presupposto di una comunione dei beni divisi, presuppone l’appartenenza dei beni alla comunione (Cass. n. 4828/1994; Cass. n. 4730/2015), ma è stato altresì precisato che tale accertamento non ha per sé solo, nei confronti dei terzi, forza probante del diritto di proprietà attribuito al condividente. Infatti, se l’atto è fatto valere fuori dalla cerchia dei condividenti o loro aventi causa, occorre necessariamente dimostrare il titolo di acquisto della comunione, in base al quale il bene è stato attribuito in sede di divisione (Cass. n. 1282/1972; n. 3724/1987; n. 1295/1977; n. 1511/1979; n. 3669/1987; n. 4828/1994; 9041/2006; n. 27034/2006; n. 1392/2012; n. 4730/2015).
Peraltro, l’appartenenza dei beni alla comunione deve sussistere non solo alla data di introduzione del giudizio, ovvero allorché sia sorta la comunione (nella specie ereditaria), ma deve permanere sino alla definizione della divisione, non potendosi addivenire all’apporzionamento di beni che, per effetto di vicende anche intervenute in corso di causa, abbiano perso il carattere della proprietà comune, ovvero risultino trasformati (in tal senso si
veda da ultimo Cass. n. 5993/2020, che, nel ribadire che la stima per la formazione delle quote di beni in comunione va effettuata al tempo della divisione, avendo riguardo ad ogni elemento incidente sul valore di mercato, ha affermato che, qualora “lite pendente” sia disposta un’espropriazione per pubblica utilità su immobili della massa comune, occorre tener conto, tra le componenti da dividere, del diritto di credito all’indennità di espropriazione in luogo del bene non più in proprietà dei condividenti).
L’intervento del giudicato sulla domanda ex art. 2932 c.c. avanzata da parte delle ricorrenti è destinato, quindi, ad incidere anche sull’esito del presente giudizio, anche avuto riguardo alla circostanza che la sentenza della Corte d’Appello di Catania ha confermato il trasferimento dei beni oggetto del preliminare, non solo per la quota appartenente in proprio al promittente venditore, COGNOME NOME, ma anche per la quota invece appartenente alla moglie premorta, nella cui titolarità erano subentrati tutti i germani NOME, succeduti però anche nella qualità di promittenti venditori, quali eredi del padre (cfr. pag. 3 dell’ordinanza di questa Corte n. 26833/2023).
Del tutto erronea risulta, poi, l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui gli esiti del diverso giudizio ex art. 2932 c.c. sarebbero inopponibili nel presente giudizio di divisione, perché la domanda di esecuzione in forma specifica sarebbe stata trascritta in data successiva all’apertura della successione.
In primo luogo, deve evidenziarsi che vi è assoluta identità fra le parti del presente giudizio e quelle del giudizio intentato dalle ricorrenti per dare esecuzione al preliminare, così che viene del tutto meno anche la possibilità di invocare l’efficacia della trascrizione quale strumento di risoluzione dei conflitti ex art. 2644 c.c., spiegando invece piena efficacia nei confronti degli eredi la sentenza emessa al fine di dare esecuzione ad un impegno contratto in vita dal de cuius , ed al quale ha dato attuazione una sentenza emessa nel contraddittorio di tutti gli eredi del promittente venditore.
Ma ove anche la domanda di esecuzione in forma specifica fosse stata avanzata da un terzo, si palesa erronea l’affermazione secondo cui la sua trascrizione in data successiva all’apertura della successione renderebbe il suo esito inopponibile agli eredi.
La trascrizione della domanda giudiziale ex art. 2652, co. 1, n. 2, c.c., con il conseguente effetto prenotativo, avrebbe potuto assumere rilievo solo ove si fosse dovuto risolvere l’eventuale conflitto con un terzo avente causa dal medesimo promittente venditore che avesse trascritto il suo titolo di acquisto (ovvero una analoga domanda fondata su un diverso obbligo di trasferimento) in data anteriore alla trascrizione della domanda delle ricorrenti, ma non certo al diverso fine di opporre agli eredi del soggetto obbligato gli effetti della sentenza che agli obblighi assunti abbia dato esecuzione, succedendo gli stessi eredi nella posizione del loro dante causa.
Peraltro, l’affermazione di cui alla sentenza impugnata, riferita alla irrilevanza per la divisione del fatto che la domanda ex art. 2932 c.c. sia stata trascritta dopo l’apertura della successione comporta, ove per mera ipotesi reputata corretta, che in ogni caso in cui sia stato concluso un preliminare di compravendita, la morte del promittente venditore prima della trascrizione della domanda giudiziale precluderebbe la possibilità per il promissario acquirente di poter conseguire una sentenza suscettibile di essere opposta ai coeredi che nelle more abbiano proceduto alla divisione negoziale ovvero abbiano intrapreso un giudizio di divisione, conclusione questa evidentemente priva di qualsiasi giustificazione logica e normativa
6.1 Né avrebbe potuto in alcun modo assumere rilievo l’anteriorità cronologica della eventuale trascrizione della domanda di divisione ex art. 2646 co. 2 c.c. (che tuttavia non risulta essere stata eseguita).
Come infatti precisato da Cass. n. 26692/2020 la domanda di divisione giudiziale non può essere valutata alla stregua delle domande per la cui efficacia rispetto ai terzi la legge richiede la trascrizione. L’art. 2646 c.c. prevede la trascrizione della divisione che ha per oggetto beni immobili, ma l’opinione unanime – anche in dottrina – è nel senso che la trascrizione non sia in questo caso richiesta agli effetti, di cui all’art. 2646 c.c., di opponibilità ai terzi (Cass. n. 2800/1985). Questo perché non si può concepire né un conflitto fra colui che acquista dai comunisti il bene comune e non trascrive e gli stessi comunisti che abbiano trascritto la divisione
prima della trascrizione dell’acquisto, né fra un terzo avente causa o creditore, il quale abbia conseguito un diritto su un bene della comunione per atto concluso con uno dei condividenti, ed altro condividente che si veda assegnare in sede di divisione quello stesso bene, con conseguente interesse a disconoscere quei diritti. I condividenti non sono successori della collettività, né aventi causa uno rispetto all’altro.
La divisione, in considerazione della sua efficacia retroattiva sancita dagli artt. 757 e 1116 c.c., non opera alcun trasferimento di diritti dall’uno all’altro dei condividenti (Cass. n. 17061/2011), ma lascia ciascuno di essi aventi causa dal de cuius (o più in generale, con riferimento a qualsiasi comunione, dal dante causa dei partecipanti alla comunione medesima). A sua volta la trascrizione della domanda di divisione va eseguita non per gli effetti previsti dagli artt. 2652 e 2653 c.c., ma per gli effetti enunciati nell’art. 1113 c.c., norma che in verità disciplina non solo gli effetti della trascrizione della domanda di divisione, ma anche quelli della trascrizione della stessa divisione.
Deve, quindi, ribadirsi che la trascrizione della divisione, oltre che per gli effetti previsti dall’art. 1113 c.c., sia poi richiesta ai fini della continuità di cui all’art. 2650 c.c. (Cass. n. 2800/1985 cit.; Cass. n. 821/2000, che richiama il medesimo principio per la trascrizione della domanda giudiziale di divisione).
Né su tale conclusione può incidere la dibattuta natura dichiarativa ovvero costitutiva della divisione, occorrendo dare seguito a quanto precisato dalle Sezioni unite (con la sentenza n.
25021/2019), per le quali la divisione va annoverata fra gli atti ad efficacia tipicamente costitutiva e traslativa. In tal senso si deve, però, precisare che l’assimilabilità della divisione agli atti traslativi, nella logica della pronuncia, è operata per giustificare l’applicazione ad essa dei divieti stabiliti dalla disciplina urbanistica in materia di immobili abusivi, non già nel senso del riconoscimento che la divisione sia il risultato di un trasferimento delle quote indivise degli altri condomini, tale da rendere applicabili le regole del contratto traslativo. Il riconoscimento della natura costitutiva-traslativa ( rectius modificativa) della divisione si svolge pur sempre nella logica dell ‘ efficacia retroattiva che la legge riconosce a quella modificazione, in quanto non è dato evincere dalla richiamata pronuncia delle Sezioni Unite alcuna affermazione che possa autorizzare la tesi che la divisione sia da assimilare agli atti traslativi anche per quanto riguarda il regime della trascrizione, ciò che nessuno in verità ha mai sostenuto.
L’impossibilità di annettere alla divisione un’efficacia traslativa nel senso richiesto dalla logica che è alla base della disciplina di cui all’art. 2644 c.c., trova poi conferma nel principio di recente affermato secondo cui, ai fini della prova della proprietà nei confronti del terzo rivendicante, non è sufficiente un atto di divisione, il quale, atteso il carattere retroattivo dell’atto divisionale, non ha di per sé forza probante, nei confronti dei terzi, del diritto di proprietà attribuito ai condividenti, essendo necessario dimostrare il titolo di acquisto in base al quale il bene
è stato attribuito in sede di divisione (cfr. Cass. n. 22661/2022; già in questo senso v., in precedenza, Cass. n. 1392/2012).
Trattasi di affermazione che conforta ulteriormente la conclusione che, ove il titolo di acquisto dell’originario comune dante causa sia recessivo, quanto al riconoscimento del diritto di proprietà, in conseguenza di un atto proveniente dallo stesso dante causa, rivelatosi idoneo a determinare la perdita della proprietà, ancorché per effetto di una sentenza attuativa dell’obbligo assunto, non possa addivenirsi alla divisione di beni che ormai non rientrano più nella titolarità dei condividenti.
Il ricorso va, pertanto, accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata ed il derivante rinvio della causa alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione per nuovo esame (sulla base dei principi di diritto innanzi esposti, avuto, in particolare, riguardo a quello secondo cui l’appartenenza dei beni alla comunione deve sussistere non solo alla data di introduzione del giudizio, ovvero allorché sia sorta la comunione – nella specie ereditaria -, ma deve permanere sino alla definizione della divisione, non potendosi addivenire all’apporzionamento di beni che, per effetto di vicende anche intervenute in corso di causa, abbiano perso il carattere della proprietà comune, ovvero risultino trasformati).
Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
PQM
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione e cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di Milano, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda