Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5853 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5853 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2414/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che le rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE -indirizzo PEC: EMAIL–
-controricorrente, ricorrente incidentale-
e
COGNOME NOME,
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 2523/2019 depositata il 22/10/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nel 1974 era intervenuto tra NOME COGNOME e il figlio NOME un contratto di locazione avente ad oggetto un immobile di tre piani e soffitta adibito a mobilificio e showroom di mobili, sito in Quarrata (PT), in comproprietà tra il locatore e la moglie NOME COGNOME, con scadenza al 31.12.1983; nel 1979 era intervenuto il decesso di NOME COGNOME, che aveva lasciato eredi la moglie e i quattro figli NOME, NOME, NOME e NOME. Dopo il decesso dell’originario locatore erano sorti diversi contenziosi tra le parti, aventi ad oggetto sia il rapporto di locazione che la comunione ereditaria.
Quanto al rapporto di locazione, NOME COGNOME e NOME NOME e NOME COGNOME avevano inizialmente richiesto la convalida di sfratto per finita locazione, instaurando un giudizio che si era concluso con una declaratoria di difetto di legittimazione attiva delle attrici e nel cui ambito NOME COGNOME aveva instato per il riconoscimento dell’indennità di avviamento dovutagli, non coltivando però la relativa domanda; era quindi seguito un altro giudizio, radicato dalla sola COGNOME, che era esitato infine nella convalida di sfratto per finita locazione alla data contrattuale del 31.12.1983 e nel cui ambito NOME COGNOME non aveva riproposto domanda per il riconoscimento dell’indennità da perdita avviamento commerciale; prima del termine del 31.1.2008, indicato per il rilascio nel provvedimento che aveva definito il giudizio, NOME COGNOME aveva restituito l’immobile il 31.12.2007.
Quanto alla comunione ereditaria, NOME COGNOME e le figlie ne avevano chiesto lo scioglimento in sede giudiziale: il relativo giudizio si definì con sentenza passata in giudicato nel 2004 e l’immobile già condotto in locazione da NOME COGNOME fu definitivamente assegnato, per l’intero, alla COGNOME -già proprietaria del 50%-, con previsione di un conguaglio complessivo di £ 80.833.000 a favore dei quattro coeredi per la parte eccedente la quota di spettanza dell’assegnataria,
Nel 2009 NOME COGNOME quale unica proprietaria dell’immobile già condotto in locazione da NOME COGNOME e successivamente dallo stesso occupato
fino al 31.12.2007, aveva radicato il presente giudizio avanti al Tribunale di Pistoia chiedendo la condanna di NOME COGNOME a risarcire -per quanto qui ancora interessa- i danni per l’occupazione sine titulo del bene dal 1.1.1984 al 31.12.2007, previa detrazione da quanto effettivamente dovuto degli importi versati nello stesso periodo dal convenuto, corrispondenti al canone di locazione inizialmente pattuito (pari a € 248,57 mensili) considerato inidoneo a coprire il reale valore locatizio dell’immobile; NOME COGNOME si era costituito contestando l’esistenza dei lamentati danni, anche per la sua qualità di comproprietario e coerede del bene fino al passaggio in giudicato della sentenza di divisione e per l’assenza di qualsivoglia sua messa in mora, che avrebbe richiesto come necessario il pagamento -per il quale aveva instato in via riconvenzionale- dell’indennità per la perdita di avviamento commerciale, ex art.34 l. n.392/78, o la sua offerta reale, mai avvenuti.
Il Tribunale di Pistoia aveva respinto le domande risarcitorie dell’attrice e aveva accolto la domanda riconvenzionale del convenuto.
3. Proposta impugnazione avverso la sentenza di primo grado da parte di NOME, NOME e NOME COGNOME in qualità di eredi di NOME COGNOME nel frattempo deceduta, con articolazione di appello incidentale (sulla compensazione delle spese di lite e di CTU) da parte di NOME COGNOME la Corte d’Appello di Firenze aveva respinto sia l’appello principale che quello incidentale e confermato il deciso di primo grado sulle seguenti considerazioni: -secondo il più recente orientamento interpretativo di legittimità, che ha modificato la qualificazione tradizionale di sentenza dichiarativa per la pronuncia di scioglimento della comunione ereditaria, le statuizioni sull’assegnazione dei beni già in comproprietà in via esclusiva ai coeredi hanno natura costitutiva e, per la parte eccedente la quota di spettanza dell’assegnatario, operano ex nunc ; ne consegue che, nel caso di specie, essendovi stata la previsione di un conguaglio, l’assegnazione in proprietà esclusiva dell’immobile già locato da NOME COGNOME a favore della madre opera ex nunc , dal passaggio in giudicato in data 27.10.2004 della sentenza che la dispone; -quanto alla doglianza relativa al fatto che NOME COGNOME aveva fatto uso esclusivo dell’immobile contro la volontà espressa della maggioranza dei comproprietari, impedendone a questi l’uso per circa 24 anni, la condanna al rilascio dell’immobile non è intervenuta, come pure sarebbe stato possibile, a favore della comunione ma a favore della proprietaria esclusiva, la quale ha agito in tale veste ritenendo di fatto la pronuncia di divisione operativa ex tunc; ‘ di conseguenza l’allegazione secondo cui
il Martini, non rilasciando l’immobile a seguito della cessazione del rapporto di locazione, avrebbe leso il diritto dei comproprietari al pari uso del bene ex art.1102 c.c. è tardiva oltre che non dirimente ai fini del decidere atteso che l’azione risarcitoria de qua è fondata sulla proprietà esclusiva del bene da parte della COGNOME e non sulla lesione del diritto dei comproprietari al godimento della cosa comune ex art.1102 c.c. … Peraltro se l’appellante, nell’ambito della comunione pro indiviso, avesse agito in giudizio quale comproprietaria ‘, si dovrebbe valorizzare il principio giurisprudenziale per cui il bene avrebbe dovuto essere restituito alla comunione e, al fine di provare l’esistenza di danni per l’impossibilità di procedere alla locazione dell’immobile, sarebbe stato necessario prima ancora che dimostrare quantomeno allegare che le tre proposte di locazione intervenute negli anni tra il 1995 e il 1999 erano state sottoposte ai comproprietari, compreso NOME COGNOME ottenendone l’assenso secondo le maggioranze di cui all’art.1108 c.c.; ne consegue che, se anche si tenga conto dell’uso esclusivo del bene da parte di NOME COGNOME contro la volontà degli altri comproprietari, ciò non avrebbe comportato l’accoglimento della domanda risarcitoria per il periodo fino al 27.10.2004; -quanto al periodo di tempo dal 27.10.2004 alla data del rilascio, 31.12.2007, la prova del danno, che pure sarebbe astrattamente riconoscibile alla proprietaria esclusiva, non è stata fornita; infatti per detto periodo non sono state allegate proposte di locazione ad un canone superiore all’ultimo pattuito e si deve tenere comunque conto del tempo trascorso e delle mutate condizioni non solo del mercato immobiliare ma anche dell’immobile che, al momento del rilascio, era da tempo abbandonato; non si può ritenere esistente un danno in re ipsa perché, nel caso di specie, non si tratta dell’occupazione da parte di un terzo estraneo ma da parte dell’ex conduttore; il maggior danno sarebbe pertanto pari alla differenza tra l’importo corrispondente al canone già pagato e il maggior importo che sarebbe stato possibile per esso percepire non in base all’andamento del mercato ma in concreto per l’esistenza di effettive occasioni locatizie più remunerative, e sarebbe stato da dimostrare anche per presunzioni ma con rigore; -quanto alla pretesa rinuncia all’indennità di avviamento da parte di NOME COGNOME per non aver coltivato la domanda al riguardo svolta in un precedente giudizio e per non aver mai chiesto prima il suo pagamento, l’allegazione non è mai stata effettuata in primo grado e in grado di appello essa è tardiva; in ogni caso è pure infondata, perché il diritto all’indennità di avviamento diviene esigibile solo con il rilascio dell’immobile, ‘ non potendosi quindi desumere
da quanto dedotto dall’appellante un’implicita e concludente rinuncia a fruirne ‘; inoltre vi è interdipendenza tra la richiesta di risarcimento del maggior danno da parte del locatore e la richiesta di indennità di avviamento da parte del conduttore, con la conseguenza che la prima domanda comporta la necessità di attivazione anche officiosa da parte del Giudice per la verifica dell’intervenuto pagamento della seconda.
Hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze Meri e NOME COGNOME affidandolo a cinque motivi:
Violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 757 e 720 c.c. omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (art. 360 co. 1 nn. 3 e 5 c.p.c.)
Nella valutazione della portata giuridica e dell’efficacia della sentenza di divisione giudiziale, la sentenza d’appello impugnata sarebbe incorsa nella violazione di legge costituita dal non aver considerato come la regula iuris della retroattività degli effetti divisori posta dall’art. 757 c.c. si debba applicare in tutte le ipotesi di scioglimento di una comunione ereditaria, e comunque non solo in ipotesi di apporzionamento di beni immobili di valore identico a quello della quota di spettanza, e quindi senza conguaglio in denaro, ma anche in ipotesi di apporzionamento di beni immobili di valore pressoché coincidente con quello della quota di spettanza, e di corrispondente conguaglio di importo infimo (nella specie inferiore all’1% del 3 valore dell’intero asse oggetto di divisione).
II) Violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1591 c.c., 1102 c.c. e 2729 c.c. – omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (art. 360 co. 1 nn. 3 e 5 c.p.c.)
Nella valutazione della richiesta di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1591 c.c., la sentenza d’appello impugnata sarebbe incorsa nella violazione di legge costituita dal non aver considerato detto danno come sussistente in re ipsa come in tutte le ipotesi di bene di proprietà di un soggetto, occupato sine titulo da altro soggetto -tra cui, pure, quella della mancata restituzione della quota di bene comune utilizzato in via esclusiva da un comproprietario in danno degli altri comproprietari-, nonché dal non aver considerato le risultanze probatorie acquisite in atti come idonee a fornirne piena prova, o quanto meno presunzione grave, precisa e concordante.
III) Violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1175 c.c., 1375 c.c., 1460 c.c., 1591 c.c. e 34 L. n. 392/78 – omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (art. 360 co. 1 nn. 3 e 5 c.p.c.)
Nella valutazione della richiesta di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1591 c.c., la sentenza d’appello impugnata sarebbe incorsa nella violazione di legge costituita dall’aver considerato (sia pure implicitamente, confermando de facto la statuizione del Giudice di prime cure sul punto) quale presupposto necessario la previa corresponsione -o, quanto meno, la previa offerta reale- dell’importo dovuto al conduttore quale indennità da perdita di avviamento ex art. 34 L. n. 392/78, anche nelle ipotesi in cui la stessa sia di importo irrisorio rispetto al complessivo assetto degli interessi in gioco, e sia stata richiesta in maniera strumentale, in violazione dei generali canoni di correttezza e buona fede. In ogni caso, i Giudici di merito non avrebbero tenuto adeguato conto di due fatti decisivi discussi, la cui corretta valutazione avrebbe inciso sull’esito della pronuncia in esame, costituiti dal contegno in concreto serbato nel tempo da NOME COGNOME rispetto all’indennità di avviamento -valutabile altresì, secondo le ricorrenti, anche sotto il profilo dell’abuso del diritto- e dalla proporzione dei rispettivi inadempimenti, rilevante ex art.1460 c.c. IV) Violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 115 e 183 c.p.c. – violazione e falsa applicazione dell’art. 34 L. n. 392/78 – omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (art. 360 co. 1 nn. 3 e 5 c.p.c.)
Nella valutazione della domanda avversaria di liquidazione e riconoscimento dell’indennità da perdita di avviamento ex art. 34 L. n. 392/78, la sentenza d’appello impugnata sarebbe incorsa nella violazione di legge costituita dal non aver considerato l’implicita rinuncia, erroneamente qualificata altresì come intempestivamente sollevata dalle ricorrenti, alla medesima indennità; detta rinuncia sarebbe invece univocamente emersa per facta concludentia alla luce del complessivo contegno – sostanziale e processuale- serbato da NOME COGNOME nei ventisei anni intercorsi tra la cessazione del contratto di locazione ed il momento di esplicita formulazione in via giudiziale della relativa domanda.
V) Violazione e falsa applicazione dell’art. 91 co. 1 c.p.c. (art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.) Conseguentemente all’accoglimento del presente ricorso, la sentenza d’appello dovrebbe essere riformata anche in applicazione dell’art. 91 co. 1 c.p.c., con accollo
integrale ad NOME COGNOME, delle spese e dei compensi dei primi due gradi di giudizio, ivi comprese le spese di C.T.U. di prime cure.
Ha presentato controricorso con ricorso incidentale condizionato NOME COGNOME evidenziando l’inammissibilità del ricorso sia per mescolanza e sovrapposizione di mezzi di impugnazioni, sia ex art.348 ter u c c.p.c., e comunque la sua infondatezza; in via condizionata il resistente reitera l’eccezione di prescrizione formulata con la comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado e insta per l’ammissione delle istanze istruttorie già richieste.
NOME COGNOME è rimasta intimata.
Le parti costituite hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I primi quattro motivi di ricorso articolati da NOME e NOME COGNOME contengono profili di contestazione riferibili a più ipotesi disciplinate dall’art.360 c.p.c., poiché nella loro articolazione si fa riferimento sia alla violazione di legge, rilevante in base al comma 1 n.3 dell’art.360 c.p.c., sia all’omessa considerazione di fatti decisivi discussi, rilevante in base al comma 1 n.5 della stessa norma.
La giurisprudenza di questa Corte non è univoca per la valutazione di ammissibilità di motivi di ricorso per cassazione cosiddetti misti, perché contenenti più profili di doglianza, ma appaiono condivisibili al riguardo le considerazioni svolte nell’ordinanza della Corte di Cassazione n.39169/2021 che ammette detta possibilità, purchè la formulazione del motivo permetta ‘ di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati ‘. Nella motivazione del provvedimento si precisa che se ‘ E’ vero, infatti, che un ampio indirizzo della giurisprudenza di questa Corte non ritiene consentito proporre cumulativamente due mezzi di impugnazione eterogenei (violazione di legge e vizio motivazionale), in contrasto con la tassatività dei motivi di ricorso e riversando impropriamente con tale tecnica espositiva sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure (ex plurimis, Sez.3, 23.6.2017 n.15651; Sez.6, 4.12.2014 n.25722; Sez. 2, 31.1.2013 n.2299; Sez.3, 29.5.2012 n.8551; Sez.1, 23.9.2011 n.19443; Sez.5, 29.2.2008 n.5471). 6.4. Si è tuttavia anche ritenuto che l’inammissibilità in linea di principio della mescolanza e della sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 cod.proc.civ., comma 1, nn. 3 e 5, può
essere superata se la formulazione del motivo permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Sez.6, 09.08.2017 n. 19893; Sez.un. 6.5.2015, n.9100). In particolare, le Sezioni Unite con la sentenza n.17931 del 24.7.2013 hanno ritenuto che, ove tale scindibilità sia possibile, debba ritenersi ammissibile la formulazione di unico articolato motivo, nell’ambito del quale le censure siano tenute distinte, alla luce dei principi fondamentali dell’ordinamento processuale, segnatamente a quello, tradizionale e millenario, iura novit curia, ed a quello, di derivazione sovranazionale, della c.d. «effettività» della tutela giurisdizionale, da ritenersi insito nel diritto al «giusto processo» di cui all’art. 111 Cost., elaborato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ed inteso quale esigenza che alla domanda di giustizia dei consociati debba, per quanto possibile e segnatamente nell’attività di interpretazione delle norme processuali, corrispondere una effettiva ed esauriente risposta da parte degli organi statuali preposti all’esercizio della funzione giurisdizionale, senza eccessivi formalismi. La miscela di due diversi profili, riflettenti i vizi di violazione di legge ed omessa motivazione, non impedisce infatti di cogliere il senso e la portata delle questioni proposte dal ricorrente. Non risulta pertanto violato il canone di specificità dell’impugnazione, il quale, pur inducendo a ritenere preferibile la distinta proposizione di censure riguardanti l’interpretazione di norme giuridiche e la ricostruzione dei fatti di causa, non ne preclude la formulazione in unico contesto, a condizione che, …, l’illustrazione del motivo consenta d’individuare con chiarezza le questioni prospettate e di procedere, se necessario, ad un esame separato delle stesse (cfr. Sez. Un., 6.05.2015, n. 9100; Sez. 2, 23.10.2018, n. 26790; Sez.6, 17. 03.2017, n. 7009)’.
La valutazione di ammissibilità, per il profilo in esame, sarà quindi effettuata per ogni motivo alla luce delle indicazioni che precedono.
Anche la rilevanza, in concreto, del disposto dell’ar.348 ter uc.c. c.p.c. in ordine all’ammissibilità delle doglianze articolate ex art.360 n. 5 c.p.c. sarà verificata per ogni singolo motivo.
Si esaminano quindi i singoli motivi di ricorso proposti.
Il primo motivo di doglianza articolato da NOME e NOME COGNOME è infondato.
Quanto all’ammissibilità, è possibile enucleare facilmente nel motivo due profili di critica: il primo, rilevante ex art.360 co 1 n.3 c.p.c., è relativo alla corretta interpretazione della natura della pronuncia di divisione e della sua efficacia retroattiva, il secondo, che sembra essere inquadrato dalle ricorrenti nell’ambito del disposto dell’art.360 co 1 n.5 c.p.c., riguarda il rilievo comunque da attribuire all’incidenza del conguaglio, di natura ‘infima’ perché pari allo 0,2% circa del valore del bene.
9.1. Il primo profilo di critica, ammissibile anche all’esito del vaglio di verifica ex art.348 ter u. c. c.p.c., non interpreta correttamente l’orientamento interpretativo di legittimità recentemente affermatosi sulla natura della pronuncia di divisione.
9.1.1. Con la sentenza a Sezioni Unite n.25021/2019 questa Corte, nel contesto delle valutazioni volte a stabilire se nel novero degli atti per i quali l’art. 40, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 commina la sanzione della nullità, possa includersi anche l’atto di divisione della comunione ereditaria ha, in motivazione, affermato la natura traslativo-costitutiva dell’atto-pronuncia di scioglimento della comunione ereditaria. Questa Corte ha in particolare rilevato, nel contesto di un’ampia e articolata disamina di tutte le questioni a tal fine significative, che ‘ la tesi che vorrebbe far discendere la natura di atto meramente dichiarativo della divisione dalla sua efficacia retroattiva finisca, in realtà, per confondere l’efficacia “legale” dell’atto, derivante dall’art. 757 cod. civ., con la natura dell’atto stesso. È vero che la legge (art. 757 cod. civ.) fa retroagire l’efficacia della divisione al momento dell’apertura della successione; ma tale effetto giuridico non è dichiaratività: è semplice retroattività. Se non vi fosse l’art. 757 cod. civ., infatti, l’acquisto ex divisione sarebbe sottoposto alle medesime regole che valgono per ogni contratto traslativo ed avrebbe, perciò, effetti ex nunc, ossia dal momento del perfezionamento del contratto divisorio … . In conclusione, dalla disposizione di cui all’art. 757 cod. civ. e dall’efficacia retroattiva dell’atto divisionale, non può argomentarsi la natura meramente dichiarativa del contratto di divisione ereditaria e, tantomeno, la sua natura di atto mortis causa. La divisione non ha causa ricognitiva di effetti giuridici già verificatisi, ma – al contrario – ha causa attributiva e distributiva, in quanto ciascun condividente può divenire l’unico titolare di questo o di quel bene ricadente in comunione solo se vi sia stato un procedimento (contrattuale o giudiziale) che abbia determinato, con effetti costitutivi, lo scioglimento di quella comunione.’.
Appare chiaro quindi che consegue dalla pronuncia richiamata il superamento dell’indirizzo interpretativo tradizionale che attribuiva all’atto-pronuncia di scioglimento della comunione ereditaria natura dichiarativa perché l’efficacia retroattiva dello scioglimento della comunione ereditaria, comunque esistente, è conseguenza della previsione normativa di cui all’at.757 c.p.c. senza che a tal fine sia necessario ricorrere alla precedente ricostruzione giuridica in termini di mero accertamento.
9.1.2. Il passaggio successivo è stabilire se la retroattività disciplinata dalla norma richiamata operi limitatamente all’attribuzione patrimoniale esclusiva corrispondente alla quota dell’originaria comproprietà, oppure riguardi, come pretenderebbero le ricorrenti, l’attribuzione esclusiva tout court, anche se di consistenza superiore alla quota originaria riequilibrata attraverso la previsione di conguagli.
In sostanza, tenuto conto che secondo l’indirizzo interpretativo di legittimità consolidato, formatosi prima della pronuncia delle Sezioni Unite sopra esaminata, la retroattività non era considerata operante per le assegnazioni oltre la quota di spettanza, con efficacia ex nunc in relazione ad esse dell’atto-pronuncia di divisione (cfr., al riguardo, Cass. 6653/2003, e ancora Cass. n.406/2014, secondo cui ‘ In tema di comunione ereditaria, il principio della natura dichiarativa della sentenza di divisione opera esclusivamente in riferimento all’effetto distributivo, per cui ciascun condividente è considerato titolare, sin dal momento dell’apertura della successione, dei soli beni concretamente assegnatigli e a condizione che si abbia una distribuzione dei beni comuni tra i condividenti e le porzioni a ciascuno attribuite siano proporzionali alle rispettive quote; esso non opera, invece, e la sentenza produce effetti costitutivi, quando ad un condividente sono assegnati beni in eccedenza rispetto alla sua quota, in quanto rientranti nell’altrui quota. … ‘), occorre verificare se questo orientamento interpretativo mantenga ancora attualità anche dopo la sentenza delle SSUU n.25021/2019.
9.1.3. La risposta deve essere positiva.
Dall’affermata natura costitutiva dell’atto-pronuncia di scioglimento della comunione ereditaria non consegue infatti l’efficacia ex nunc della divisione ereditaria solo perché vi è l’esplicita previsione -derogatoria rispetto alla regola generale in materia di pronunce costitutive- dell’art.757 c.c.; ne deriva che la retroattività dell’atto-pronuncia di divisione in tanto può essere riconosciuta in quanto vi sia un rapporto diretto tra la quota di partecipazione alla comunione e
l’assegnazione in via esclusiva conseguente alla divisione, non anche quando vi sia l’attribuzione in via esclusiva di una porzione di bene originariamente in comunione, estranea alla quota di spettanza di chi ne diviene unico proprietario a seguito della divisione; in questa seconda ipotesi, in cui uno o più degli altri condividenti divengono proprietari esclusivi di beni di valore inferiore alla quota di spettanza, riequilibrata economicamente attraverso il conguaglio, non può operare la disposizione dell’art.757 c.c. perché non vi è, per la parte di acquisizione superiore alla quota originaria, quella relazione diretta tra la quota della comunione ereditaria e l’assegnazione in via esclusiva presupposta dalla norma.
Ne consegue che, con riferimento al caso di specie, rimane corretta la considerazione svolta dalla Corte di merito in ordine al fatto che, per la parte eccedente la quota originaria di comunione ereditaria facente capo a NOME COGNOME l’acquisizione della proprietà a fronte di versamento di conguaglio sull’immobile in Quarrata, già condotto in locazione da NOME COGNOME, ha efficacia ex nunc , dal passaggio in giudicato -nell’ottobre 2004- della sentenza pronunciata nel giudizio di divisione.
9.1.4. Non è elemento significativo, sotto un profilo di diritto, per una diversa valutazione al riguardo la ridotta entità della porzione immobiliare acquisita con il conguaglio, perché le dimensioni e/o il valore economico del bene acquisito dal condividente oltre alla quota di spettanza non incidono sul fatto che la proprietà esclusiva su di esso sia intervenuta solo all’esito della divisione, con efficacia ex nunc .
9.2. Si osserva ancora che l’entità minima del conguaglio non può essere qualificabile come ‘fatto’ decisivo discusso non considerato, rientrante nell’ambito di operatività dell’art.360 co 1 n.5 c.p.c., trattandosi di circostanza giuridicamente irrilevante per quanto sopra detto, mentre il permanere della comproprietà, anche piccola, coinvolgente anche il condividente occupante fino al passaggio in giudicato della sentenza di divisione riporta la fattispecie nell’ambito delle disposizioni regolanti la comunione ereditaria fino alla pronuncia traslativa-costitutiva, non retroattiva sul punto -e, per il profilo del rispetto della normativa regolante i rapporti tra comunisti la Corte d’Appello di Firenze ha escluso, senza proposizione di censure specifiche al riguardo, sia la tempestività che, comunque, la fondatezza della pretesa risarcitoria costruita nell’ambito dell’utilizzo dell’immobile in costanza di
comunione ereditaria-. Per gli aspetti evidenziati il ricorso è pertanto inammissibile a prescindere dalla sussistenza dei presupposti di applicazione dell’art.348 ter c.p.c.
10. Anche il secondo motivo di ricorso proposto da NOME e NOME COGNOME è infondato.
Quanto all’ammissibilità, è possibile enucleare facilmente nel motivo due profili di doglianza: il primo, rilevante ex art.360 co 1 n.3 c.p.c., è relativo alla corretta interpretazione e applicazione del disposto dell’art.1591 c.c. e alla natura in re ipsa del danno da occupazione abusiva da parte di terzi, anche ove questi siano da identificare nell’ex conduttore; il secondo, inquadrato dalle ricorrenti nell’ambito del disposto dell’art.360 co 1 n.5 c.p.c., riguarda la concreta valorizzazione di tutti gli elementi di fatti acquisiti agli atti, e la loro decisività anche nell’ambito di un ragionamento presuntivo, in tesi non adeguatamente valorizzata dalla Corte di merito.
Il motivo sub iudice deve altresì essere esaminato solo in relazione al possibile riconoscimento di danni (ulteriori rispetto al canone) nel periodo 28.10.2004/31.12.2007: dalle considerazioni svolte in relazione al primo motivo di ricorso non può essere rimessa in discussione, infatti, la sentenza d’appello in ordine all’inesistenza dei presupposti per il riconoscimento del danno nel periodo 1.1.1984/27.10.2004 a NOME COGNOMEe alle sue eredi- quale proprietaria esclusiva o quale comproprietaria.
10.1. Quanto alla prospettata violazione di legge, ex art.1591 c.c., per la natura in re ipsa del danno derivante dall’occupazione abusiva, è incontestato che NOME COGNOME ha continuato a pagare per tutto il periodo di occupazione dell’immobile l’importo corrispondente al canone mensile pattuito che, pur se molto basso, era quello voluto dalle parti quale ‘contropartita’ dell’utilizzo esclusivo dell’immobile da parte del conduttore.
E’ corretta, quindi, la considerazione della Corte d’Appello di Firenze secondo cui il maggior danno subito rispetto all’importo versato -corrispondente, si ripete, a quello dei canoni previsti nel contratto di locazione originario- non sia in re ipsa ma debba essere provato anche in relazione al periodo 28.10.2004/31.12.2007.
Si richiama in proposito l’orientamento interpretativo di legittimità, espresso, tra le altre: dalla sentenza della Corte di Cassazione n.27287/2021, nel senso che ‘ In tema di responsabilità del conduttore per ritardata restituzione dell’immobile locato , il maggior danno risarcibile ex art. 1591 c.c. (in aggiunta alla liquidazione
automatica in misura corrispondente al canone pagato prevista da detta norma) dev’essere provato dal locatore – anche per presunzioni – nella sua certa e concreta esistenza e non si identifica nel danno da perdita di chance, la cui configurabilità nel caso è esclusa per la intrinseca incertezza sulla possibilità di conseguire il vantaggio economico che connota questa figura ‘; dalla sentenza della Corte di Cassazione n.23704/2016, secondo la quale ‘ In tema di responsabilità del conduttore per ritardato rilascio dell’immobile locato, il maggior danno ex art. 1591 c.c. deve essere provato in concreto dal locatore, anche mediante il ricorso a presunzioni, purché, però, sia dimostrato che il suddetto ritardo abbia concretamente pregiudicato la possibilità di locare a terzi il bene per un canone superiore all’ultimo pattuito con il conduttore inadempiente, non essendo sufficiente la prova del diverso e maggior valore locativo di mercato ‘.
Non appare quindi riscontrabile nell’argomentare giuridico della sentenza della Corte d’Appello di Firenze alcuna violazione del disposto dell’art.1591 c.c.
10.2. Quanto alla critica riguardante la concreta valorizzazione, affermata inadeguata, operata dalla Corte di merito degli elementi di fatti acquisiti agli atti e della loro decisività anche nell’ambito di un ragionamento presuntivo, le ricorrenti richiamano l’esistenza di una serie di circostanze che non sarebbero state correttamente considerate: queste consisterebbero nelle testimonianze acquisite relative al periodo 1995/1999, attestanti l’esistenza di richieste di locazione dell’immobile e utilizzabili in via presuntiva per il periodo 2004/2007, nell’accertamento da parte del CTU di un danno per ogni specifico e singolo anno di occupazione, e quindi anche per il periodo 2004/2007, in considerazione del canone grandemente inadeguato per difetto rispetto ai valori di mercato, nel fatto che in un piccolo centro come Quarrata la conoscenza dei contenziosi esistenti intorno all’immobile di cui si discute piuttosto che l’assenza di reale interesse per lo stesso giustificava la mancanza di ulteriori proposte di locazione.
Questa parte del motivo di ricorso in esame è inammissibile per più ragioni: per la preclusione derivante dal disposto dell’art.348 ter c.p.c., data l’esistenza, su questo aspetto, della piena conferma della pronuncia di primo grado operata dalla Corte d’Appello; per il fatto che tutti gli elementi circostanziali evidenziati sono stati analiticamente considerati dalla Corte d’Appello (cfr. la sentenza ricorsa, alle pag.1011), che non li ha ritenuti idonei a fondare alcun ragionamento presuntivo, con la conseguenza che la doglianza svolta dalle ricorrenti non si rivolge comunque a
pretendere la considerazione di fatti decisivi non valutati ma a chiedere, nella sostanza, una rivalutazione del materiale probatorio acquisito, comprensivo di circostanze di valenza indiziaria che si assumono idonee a fondare un ragionamento presuntivo favorevole, opposta a quella operata dai Giudici del merito e favorevole alla tesi interpretativa delle ricorrenti, impossibile in sede di legittimità.
11. Il motivo di ricorso prospettato sub III è assorbito per il rigetto dei due motivi precedentemente esaminati.
Le ricorrenti si dolgono che la Corte di merito abbia indirettamente valorizzato, attraverso la conferma implicita della pronuncia di primo grado sul punto derivante dal ritenuto assorbimento della questione per il rigetto della domanda risarcitoria proposta a carico dell’ex conduttore, l’assenza di previa corresponsione -o, quanto meno, di previa offerta reale- dell’importo dovuto al conduttore quale indennità da perdita di avviamento ex art. 34 L. n. 392/78 come elemento dirimente per escludere la riconoscibilità di danni risarcibili all’ex locatore.
11.1. Appare assorbente il fatto che la Corte d’Appello ha esaminato nel merito l’esistenza di danni risarcibili, ulteriori rispetto all’importo corrispondente al canone inizialmente pattuito, per il periodo 2004/2007, escludendone la ricorrenza non per il mancato versamento o la mancata offerta dell’indennità per la perdita di avviamento ma perché non li ha ritenuti in alcun modo provati, con pronuncia che, alla luce del rigetto dei precedenti motivi di ricorso sopra esaminati, questa Corte ritiene non censurabile. Quanto esposto è altresì da solo sufficiente ad escludere pure la necessità di esaminare la questione della qualificabilità o meno del comportamento tenuto da NOME COGNOME in ordine all’indennità da perdita di avviamento in termini di abuso del diritto.
Il motivo di ricorso articolato sub IV è infondato.
La Corte di merito, dopo aver definito intempestivamente introdotta in giudizio, solo in grado di appello, la questione relativa all’intervenuta rinuncia all’indennità sostitutiva per la perdita dell’avviamento da parte di NOME COGNOME ha comunque esaminato nel merito le osservazioni sollevate al riguardo dalle appellanti ricorrenti, disattendendole.
12.1. Sul piano processuale, prospettando per la prima volta in appello la rinuncia all’indennità per la perdita di avviamento da parte dell’ex conduttore che ne aveva richiesto riconvenzionalmente, in modo rituale, il pagamento, le ricorrenti non hanno esercitato una mera difesa ma hanno svolto una eccezione in senso lato, rientrante
nell’ambito delle eccezioni estintive perché presupponente la remissione del debito, che si doveva fondare comunque su circostanze di fatto specifiche le quali avrebbero dovuto essere state tempestivamente introdotte fin dal primo grado di giudizio; le eccezioni in senso lato sono infatti rilevabili anche d’ufficio, non trattandosi di eccezioni riservate all’iniziativa della parte per legge o perché corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva, e sono pertanto, sottratte al divieto di cui all’art. 345, comma secondo, cod. proc. civ., ma pur sempre alla condizione che siano proposte con riferimento a fatti principali o secondari risultanti dagli atti, dai documenti o dalle altre prove ritualmente acquisite al processo (a prescindere che essi fossero stati anche oggetto di espressa e tempestiva attività assertiva); le ricorrenti non contestano di aver sollevato per la prima volta in modo esplicito la questione in appello e la prospettano, erroneamente, come una mera argomentazione in diritto ma indicano dove e quando avevano comunque allegato in modo tempestivo nel giudizio di primo grado tutti gli elementi in fatto utili a identificare e qualificare l’eccezione di cui si tratta in modo da renderla ritualmente rilevabile, anche per la prima volta in diritto, in appello; dalla motivazione della sentenza impugnata emerge infatti che i fatti di riferimento sui quali le appellanti ricorrenti avevano fondato l’esistenza della rinuncia erano da individuare nell’esito del procedimento per convalida di sfratto del 1986, nel cui ambito NOME COGNOME aveva richiesto l’indennità di cui si discute non coltivando poi la domanda avanti al Giudice indicato come funzionalmente competente, nella circostanza che né in seguito nel corso del lungo contenzioso in essere tra le parti, nè al momento del rilascio dell’immobile NOME COGNOME aveva preteso il pagamento dell’indennità né si era riservato di richiederla, senza esercitare il proprio diritto di ritenzione e lasciando anzi spontaneamente l’immobile; queste sono le circostanze richiamate anche nel ricorso, attraverso il riferimento alla narrativa riguardante l’inquadramento storico della vicenda contenuta nell’atto di citazione e nella memoria ex art.183 co 6 n.1 c.p.c. e alle specificazioni contenute alla pag.34.
12.2. Il rilievo di intempestività svolto erroneamente dalla Corte non ha però comportato la mancata valutazione della questione di sussistenza o meno di una effettiva rinuncia da parte di NOME COGNOME all’indennità di cui si discute.
La Corte ha infatti affermato che ‘ il credito per l’indennità di avviamento diviene esigibile solo nel momento in cui avviene il rilascio dell’immobile, non potendosi quindi desumere da quanto dedotto dall’appellante un’implicita e concludente
rinuncia a fruirne ‘ e, sottolineata quindi la relazione tra il diritto del locatore al maggior danno ex art.1591 c.c. e l’adempimento dell’obbligo su di questi gravante di pagamento al conduttore dell’indennità per la perdita di avviamento con la precisazione che ‘ esiste un rapporto di reciproca interdipendenza ‘, ha ritenuto che, ‘ chiesto dal locatore il risarcimento del suddetto maggior danno, il giudice deve verificare anche d’ufficio se l’attore abbia adempiuto o offerto di adempiere l’obbligo di pagamento della suddetta indennità, non occorrendo a tal fine una formale eccezione da parte del conduttore ‘ (così la sentenza, a pag.14).
Attraverso la doglianza in esame le ricorrenti vorrebbero pertanto ottenere la rivalutazione -impossibile in sede di legittimità- degli elementi acquisiti agli atti operata dalla Corte di merito che, pur dopo l’iniziale affermazione erronea di intempestiva proposizione del rilievo, ha comunque esaminato gli elementi sulla cui base era stata prospettata la rinuncia all’indennità da parte di NOME COGNOME per giungere alla conclusione dell’assenza di riscontri su cui fondarne l’univoca esistenza.
12.3. Rimane quindi il diritto del resistente all’indennità per la perdita di avviamento commerciale, sorto con la risoluzione del contratto ed esercitabile nel rispetto dei termini di prescrizione -il cui maturare è eccepibile solo ad istanza di parte-, in relazione al riconoscimento del quale la Corte di merito ha motivato nel merito.
13. Il quinto motivo di ricorso riguarda la pronuncia sulle spese processuali, che sono state integralmente compensate per le fasi di merito, con attribuzione in parti uguali anche delle spese di CTU: esso, pure se prospettato -in modo peraltro apoditticocome proposto in via autonoma, dipende dall’esito dei motivi di ricorso precedentemente esaminati non potendo sperare le signore Martini un esito migliore della compensazione integrale delle spese se non per l’ipotesi di riforma della sentenza d’appello, essendo state le loro domande ed eccezioni totalmente respinte nei gradi di merito.
Il rigetto dei precedenti motivi di ricorso esclude quindi che possa essere rivalutata ad ulteriore favore delle ricorrenti la sola pronuncia sulle spese processuali e di CTU dei precedenti gradi di giudizio.
14. Il ricorso per cassazione proposto da NOME e NOME COGNOME deve pertanto essere respinto quanto al primo e al secondo motivo, con assorbimento del terzo motivo, e rigettato quanto al quarto motivo; rimane assorbito anche il quinto motivo relativo alle spese processuali dei gradi di merito, privo di reale autonomia rispetto ai
precedenti quattro poiché le spese processuali per le fasi di merito erano state interamente compensate.
Non debbono essere conseguentemente esaminati i profili di ricorso condizionato relativi alla proposta eccezione di prescrizione e alla reiterazione delle istanze istruttorie già formulate, costituenti più propriamente la riproposizione di questioni rilevanti ai fini della pronuncia sul merito, che avrebbero potuto e dovuto essere riformulate in un eventuale giudizio di rinvio-.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, si pongono a carico delle ricorrenti.
14. Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento a carico di NOME e NOME COGNOME di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il primo, il secondo ed il quarto motivo del ricorso principale, assorbiti il terzo ed il quinto motivo di ricorso; dichiara assorbito il ricorso incidentale.
Condanna NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità a favore di NOME COGNOME e le liquida in complessivi € 12.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti principali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 10