Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1686 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 1686 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/01/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 18173/2019 R.G. proposto da:
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende.
-RICORRENTE- contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE,che lo rappresenta e difende.
-CONTRORICORRENTE- nonché
NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende.
CONTRORICORRENTE
nonché
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende.
CONTRORICORRENTE-RICORRENTE INCIDENTALE
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 2433/2019 depositata il 09/04/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso, chiedendo di accoglie sia il ricorso principale che quello incidentale.
Uditi gli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha convenuto avanti al Tribunale di Roma i fratelli NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME chiedendo di accertare la consistenza dell’asse ereditario della madre NOME COGNOME deceduta in data 21.2.2001, di dichiarare che NOME COGNOME COGNOME era tenuto alla collazione della donazione indiretta di €. 273.722,16 utilizzati per l’acquisto di un’abitazion e e di porre a carico delle coeredi un’indennità per l’uso esclusivo dei beni comuni, nonché di dar conto dell’avvenuto pagamento di debiti ereditari da parte dei coeredi e di disporre i reciproci rimborsi negli importi indicati in citazione, infine di procedere alla divisione dell’asse.
In contraddittorio con i convenuti, il Tribunale di Roma ha respinto le domande di collazione della donazione effettuata in favore NOME COGNOME NOMECOGNOME ha proceduto alla formazione di quattro lotti da assegnare per estrazione a sorte, fissando l’ammontare dei conguagli, ha condannato NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME al versamento dell’indennità di occupazione degli immobili caduti in successione, con decorrenza dalla proposizione del giudizio, nonché NOME NOME e NOME NOME al rimborso in fa vore di NOME COGNOME di €. 17.424,42, oltre accessori, compensando le spese di causa.
La Corte distrettuale di Roma ha riformato parzialmente la decisione, assegnando il lotto 2 a NOME sul rilievo che quest’ultima aveva abitato da lungo tempo presso l’immobile di INDIRIZZO di Roma, incluso nel lotto, sollevandola dall’ obbligo di versare l’indennit à per l’ occupazione del bene, e ha ordinato a NOME NOME il pagamento in favore della sorella NOME del minor importo di euro 11.281,59 nonché, in favore del fratello NOME , di €. 9.401,28.
Secondo la sentenza impugnata, le somme che la de cuius aveva elargito a NOME COGNOME erano il ricavato della vendita di un immobile appartenente al padre e non integravano una donazione della madre suscettibile di collazione. Ha respinto la richiesta di un’indennità per l’occupazion e del bene e degli accessori avanzata da NOME COGNOME anche per il periodo anteriore alla instaurazione della causa, osservando che l’appellante non aveva mai chiesto di utilizzare il bene, confermando la correttezza del progetto divisionale elaborato dal c.t.u. nonostante l’entità dei conguagli.
Ha ridotto l’entità delle somme dovute da NOME COGNOME a titolo di occupazione poiché il bene era stato utilizzato anche dalla sorella NOME ha dichiarato la tardività della domanda di collazione della donazione di € 110.000 ,00 ricevuta da NOME COGNOME poiché proposta solo con le note dell’art. 183 c.p.c..
Per la cassazione della sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso affidato a otto motivi, cui ha resistito con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME. NOME COGNOME ha notificato controricorso con ricorso incidentale in quattro motivi, cui ha replicato NOME COGNOME COGNOME con successivo controricorso ex art. 371, comma quarto, c.p.c..
In prossimità dell’udienza le parti hanno depositato memorie.
Il Pubblico Ministero ha fatto pervenire conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia vizio di motivazione e la violazione degli artt. 115, 116 132, comma secondo, n. 4, 167 c.p.c. e 2697 c.c., per aver la sentenza violato il criterio dell’onere probatorio, trascurando che era incontestata, e comunque oggetto di confessione, la consegna, da parte della de cuius di € 273.722,16 a NOME COGNOME, come pure pacifica era la consistenza dell’asse e l’uso esclusivo dei beni da parte dei singoli coeredi, questioni su cui le parti non avevano mai sollevato alcuna contestazione e che non necessitavano di prova.
Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 737, 1102 c.c., 115, 116 e 132 n. 4 c.p.c. per vizio di motivazione, sostenendo che era stata acquisita ampia prova della donazione di denaro ricevuta da Titolo NOME COGNOME poiché il capitolo dell’interrogatorio deferito al convenuto era volto a dimostrare che le sole somme spettanti alla de cuius sul ricavato d ell’ immobile di appartenenza del marito erano state donate al figlio. In mancanza di prova delle causali dell’erogazione di denaro, era onere di NOME COGNOME provare che l’atto non integrava una donazione, mentre quest’ultimo aveva fornito versioni contrastanti, con condotta processuale che il giudice di merito avrebbe dovuto valutare quale indizio della donazione.
I due motivi sono infondati.
La Corte di merito ha escluso il perfezionamento della donazione sulla base dell’accertata appartenenza delle in capo al padre dei coeredi e delle ammissioni delle altre convenute, confermando integralmente la sentenza di primo grado, che aveva affermato che la COGNOME aveva agito in nome del marito o con abuso della procura.
Non era decisiva la formula del giuramento, poiché -come risulta dallo stesso ricorso –NOME COGNOME COGNOME aveva ammesso di aver percepito le somme quale contributo o prestito del padre, non a titolo di donazione dalla madre; il perfezionamento di un atto di liberalità non è stato oggetto di prova legale.
Generica e priva di un’adeguata illustrazione delle dif ese delle parti è l’affermata non contestazione della sus sistenza di una donazione delle somme in violazione dell’onere di specificità dei motivi di ricorso (Cass. 18018/2024; Cass. 15058/2024) e comunque la non contestazione non pone un vincolo assoluto a ll’ accertamento dei fatti rilevanti in causa, ove dagli elementi acquisiti il giudice ritenga di poter trarre una prova contraria al fatto asseritamente pacifico (Cass. 16028/2023; Cass. 42035/2021).
Quanto alle causali delle dazioni di liquidità, la provenienza del denaro al patrimonio paterno ha trovato riscontro negli elementi valorizzati in sentenza , senza far ricorso al criterio formale dell’art. 2697 c.c. (norma che, quindi, non può ritenersi violata), e tale circostanza era idonea ad escludere l’obbligo di collazione, poiché gli importi percepiti non erano co mpresi nell’asse , non essendo oggetto di una disposizione a titolo liberale effettuata dalla de cuius, quale anticipo della futura successione.
Tali argomentazioni, sinteticamente illustrate dal giudice distrettuale, soddisfano l’obbligo di motivazione, rendendo evidente il percorso logico della pronuncia, non occorrendo ulteriori puntualizzazioni. Si configura la motivazione apparente se le argomentazioni adottate non siano verificabile nel loro inter logico, siano disancorate dal quadro probatorio e suscettibili di essere applicate, la loro genericità e l’assenza di riferimenti al caso concreto, ad un numero indefinibile di fattispecie. In sostanza, la motivazione, benché graficamente esistente, deve esser tale da non rendere percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. s.u. 2767/2023; Cass. 22232/2016; Cass. S.u. 16599/2016).
Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 737, 1102 c.c., 115, 116 e 132 n. 4 c.p.c. per vizio di motivazione. Si censura la pronuncia per aver respinto la domanda di indennizzo per l’uso esclus ivo dell’imm obile di INDIRIZZO Roma da parte di NOME COGNOME da sola o con altri coeredi, dal 2001 alla divisione , e dell’autorimessa con accesso da INDIRIZZO Roma, da NOME COGNOME dal 2005 in poi, travisando il contenuto della decisione di primo grado, che aveva riconosciuto l’indennità maturata per il periodo succe ssivo all’introduzione del giudizio, e per aver ritenuto indispensabile una richiesta di godimento del bene comune ed insufficiente la sola istanza di pagamento di un’indennità per l’occupazione.
Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 1102 c.c. e 132 n. 4 c.p.c., lamentando che la pronunc ia sarebbe incorsa nell’errore di ritenere necessaria, ai fini del riconoscimento d ell’ indennità per l’occupazione dei beni caduti in successione, una richiesta di utilizzo diretto da parte del coerede pretermesso, mentre l’obbligo di corrispondere detta indennità deriva dalla obiettiva impossibilità -di fatto, e non necessariamente giuridica -di utilizzare il bene da parte del coerede pretermesso. La sentenza avrebbe immotivatamente respinto la richiesta di adeguamento delle indennità ed affermato che le somme liquidate erano comprensive di interessi.
I due motivi sono infondati.
La Corte di appello non ha eliminato in toto la condanna al pagamento dell’indennità degli altri condividenti che avevano utilizzato in via esclusiva bene comuni (salvo che per NOMECOGNOME, ma, fermo quanto già statuito dal Tribunale -secondo cui il diritto all’indennità decorreva dalla data della notifica della citazione, non dalle precedenti richieste stragiudiziali di un’indennità per l’occ upazione – ha negato che per il periodo precedente l’attrice avesse titolo ad essere indennizzata,
respingendo -per le medesime ragioni – la domanda indirizzata nei confronti di NOME riguardo all’immobile di INDIRIZZO di Roma.
Sotto tale profilo, la sentenza va esente da censure.
L’ art. 1102 c.c. consente al comproprietario l’utilizzazione ed il godimento dell’intera cosa comune anche in modo particolare e più intenso, con il divieto di alterare la destinazione della cosa e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
Qualora l’uso individuale del bene in comunione non ecceda i limiti dell’art. 1102 c.c. non è dovuto alcun risarcimento ai comproprietari che siano rimasti inerti o vi abbiano acconsentito, né è possibile riconoscere una ‘indennità’ per la semplice occupazione dell’intero bene, poiché tale utilizzo costituisce pur sempre manifestazione del diritto di comproprietà che compete al singolo e che investe l’intera cosa comune; la ripartizione dei frutti naturali e civili tratti dal bene goduto individualmente si compie, in tal caso, in sede di divisione e di resa del conto (insieme alle spese necessarie od utili per la conservazione o il miglioramento del bene comune anticipate dal comunista: cfr. Cass. 18458/2022; Cass. 7019/2019; Cass. 14213/2012).
L’occupante è invece tenuto al pagamento della corrispondente quota di frutti civili ricavabili dal godimento indiretto solo se gli altri abbiano manifestato l’intenzione di utilizzare il bene in maniera diretta senza nulla ottenere, e sempre che il comproprietario, il quale abbia avuto l’uso esclusivo del bene, ne abbia tratto un vantaggio patrimoniale (Cass. 2423/2015; Cass. 24647/2010; Cass. 13036/1991). Occorre la prova di una sottrazione o di un impedimento assoluto delle facoltà dominicali di godimento e disposizione del bene comune spettanti agli altri contitolari o una violazione dei criteri stabiliti dall’art. 1102 c.c.; il danno va allora
quantificato in base ai frutti civili che l’autore della violazione abbia tratto dall’utilizzo solitario del bene (Cass. 18458/2022; Cass. 10264/2023).
Sotto altro profilo, non risulta che la ricorrente avesse inoltrato richieste di pagamento di indennità per l’uso esclusivo dei beni ereditari prima dell’instaurazione del giudizio, non potendosi scrutinare la correttezza della sentenza nella parte in cui ha escluso che, ai fini della spettanza dell’indennizzo , fosse sufficiente una richiesta non rivolta specificamente ad ottenere l’immissione nel possesso materiale degli immobili.
Avendo il credito per l’indennità la natura di frutto civile, non competeva automaticamente la rivalutazione, che incensurabilmente la sentenza ha negato, salvo il maggior danno ex art. 1224, comma secondo, c.c., che richiede una specifica domanda (diversa da quella di rivalutazione del credito: Cass. 16565/2018; Cass. su 5743/2015), di cui non dà conto il ricorso, e la prova del pregiudizio (Cass. 21906/2021). Quanto agli interessi, la sentenza, con autonoma ratio decidendi non specificamente impugnata e perciò divenuta definitiva, ha ritenuto che l’importo liquidato, superiore al dovuto, fosse già comprensivo degli accessori, dando conto delle ragioni della decisione.
Il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 754, 754, 724 c.c., e 132, n. 4 c.p.c., per aver la Corte negato il rimborso delle somme anticipate dalla ricorrente per il pagamento dei debiti con una motivazione meramente apparente, implicitamente ritenendo non proposta una domanda da parte della ricorrente, senza procedere ad un’interpretazione compl essiva del contenuto della citazione introduttiva, non dovendo fermarsi alle sole espressioni utilizzate dalla attrice.
Il motivo è inammissibile per difetto di pertinenza, non considerando che la sentenza, come già la pronuncia di primo grado, ha respinto nel merito la richiesta di rimborso, rilevando –
con motivazione del tutto adeguata – che le somme versate dalla ricorrente erano inferiori all’ammontare del debito ripartito pro quota, senza ravvisare alcun impedimento ricollegabile al difetto di una specifica domanda.
4. Il sesto motivo denuncia la violazione 720, 728 c.c. e 132 n. 4 c.p.c., sostenendo che con l’atto di appello era stata cont estata la scelta di procedere alla divisione per lotti anziché alla vendita per la notevole entità dei conguagli, mentre la sentenza ha ritenuto applicabile, con motivazione incomprensibile, l’art. 728 c.c. , senza dare risposta alla censura. Assume la ricorrente che proprio l ‘importo dei conguagli avrebbe dovuto sconsigliare la divisione per lotti, poiché, a fronte di una quota di ciascun coerede pari ad € 358.710,25, era stato previsto il pagamento, a tale titolo, dei seguenti importi: € 157.132,25 a favore dell’assegnatario del lotto 4; € 169.289,25 a favore dell’assegnatario del lotto 3; € 48.710,75 a carico dell’assegnatario del lotto 2; € 277.710,75 a carico dell’assegnatario del lotto 1.
Il motivo è fondato.
L’asse ereditario era composto da una pluralità di immobili che il giudice di merito ha ritenuto di accorpare nei singoli lotti in modo da rispettare una divisione in natura, anziché per equivalente.
A norma dell’art. 718 c.c. a ciascun condividente spetta, difatti, una parte in natura dei beni da dividere, siano essi mobili o immobili; in presenza di una pluralità di immobili, è rimesso al giudice di merito valutare, secondo il suo prudente apprezzamento, se il diritto dei singoli condividenti sia meglio soddisfatto attraverso il frazionamento di ciascuna entità immobiliare, oppure attraverso l’assegnazione di interi immobili ai singoli aventi diritto (Cass. 1816/1979) e, qualora i singoli beni consentano, da soli o insieme con altri beni, di comporre la quota di alcuno dei condividenti in modo che le altre possano formarsi con i restanti immobili, non può più farsi questione di indivisibilità o di non comoda divisibilità,
essendo comunque ottenuta la ripartizione quantitativa e qualitativa dei vari cespiti compresi nella comunione, rispettando il valore di ciascuna quota (Cass. 2177/1966; Cass. 1816/1979; Cass. 7700/1994; Cass. 590/1961; Cass. 372/1957).
Tuttavia, per accertare la corretta formazione del progetto divisionale e della soluzione individuata dal c.t.u. non poteva prescindersi dal confer ire il giusto rilievo all’entità dei conguag li.
La ridotta entità del conguaglio è criterio che deve sempre ispirare la scelta della soluzione più appropriata in materia di divisione in modo da evitare che sia alterata l’equilibrata distribuzione dei beni, che deve avvenire in natura, mentre il conguaglio ha la funzione di ristabilire l’equilibrio tra le quote e di superare eventuali differenze di valore (Cass. 7961/2003; Cass. 726/2018; Cass. 12965/2020).
Per tali ragioni il motivo deve essere accolto, spettando al giudice di rinvio verificare se, alla luce della composizione dei beni in comune, sia possibile pervenire alla formazione di un diverso progetto di divisione, che si conformi ai principi enunciati.
Il settimo motivo denuncia la violazione dell’art. 91 e 92 c.p.c., sostenendo che erroneamente la sentenza abbia compensato le spese processuali, lasciando a carico della ricorrente anche le spese della visura ipotecaria benché la domanda di divisione immobiliare fosse stata abbandonata.
L’ottavo motivo denuncia la violazione degli art. 729 e 720 c.c. , contestando l’assegnazion e del lotto 2 a NOME in quanto occupan te dell’immobile compreso da lunghissimo tempo, per aver la sentenza ritenuto derogabile l’estrazione a sorte, ma trascurando che, in caso di immobile indivisibile, il bene va posto in vendita.
I due motivi sono assorbiti dovendo il giudice di rinvio adottare un nuovo progetto divisionale, regolando le spese processuali.
Passan do all’esame del ricorso incidentale cond izionato, il primo motivo denuncia che NOME COGNOME aveva chiesto di ridurre
l’ammont ar e dell’indennità posta a suo carico per l’occupazion e di un immobile ereditario condizionatamente al riconoscimento dell’obbligo gravant e sugli altri contitolari, e che la Corte di merito, accogliendo il gravame, abbia invece esonerato solo NOME dal pagamento degli importi posti a suo carico con la sentenza di primo grado, dovendo adottare una regolazione globale delle rispettive pretese.
Il secondo motivo denuncia che la sentenza, omettendo di sollevare la ricorrente dal dovere di corrispondere agli altri partecipi l’indennità di occupazione, abbia violato l’art. 723 c.c., che nel disciplinare la resa dei conti tra i coeredi e i reciproci rimborsi, presuppone una regolazione unitaria e non frazionata delle rispettive pretese e delle passività.
6.1 Il ricorso incidentale è anzitutto ammissibile in base al principio dell’interesse all’impugnazione e a tutela della reale utilità della parte che la propone, tutte le volte in cui, come nel caso in esame, l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto di interessi derivante dalla sentenza alla quale la parte aveva inizialmente prestato acquiescenza e ciò sia quando rivesta la forma della contro-impugnazione rivolta contro il ricorrente principale, sia quando assuma le forme dell’impugnazione adesiva rivolta contro la parte investita dell’impugnazione principale (Cass. SU 8487/2024; Cass. 10477/2024).
6.2. Deve escludersi una necessaria interdipendenza tra il debito posto a carico di un coerede per l’occupazione di un dato immobile comune e quello gravante su altro coerede per la medesima causale, essendo ciascuna posizione debitoria autonoma e subordinata a presupposti distinti, riferibili alle singole situazioni considerate , con la conseguenza la spettanza di un’indennità per l’uso esclusivo di un bene comune a favore di un condividente in costanza di comunione non comporta il riconoscimento d’ufficio di analoga indennità a favore di altro condividente a prescindere
dalla verifica dei rispettivi presupposti giustificativi, né tale effetto può discendere automaticamente dall’art. 723 c.c. in tema di rendiconto.
7. Il terzo motivo deduce che erroneamente la sentenza abbia ritenuto tardiva la domanda di collazione della donazione di £. 100.00.000 effettuata dalla de cuius con liquidità non provenienti dal patrimonio paterno, domanda che era contenuta in quella diretta a far dichiarare la collazione della donazione pari ad £. 500.000.000 originariamente e tempestivamente introdotta.
La censura è fondata.
Dall’esame della comparsa di costituzione di NOME COGNOME si evince che la richiesta di collazione riguardava tutte le somme versate al figlio nel periodo compreso nel 1991-1992 senza un più esplicito riferimento all’impiego da parte del cuius di liquidità ottenute dalla vendita di un immobile, circostanza dedotta in via di eccezione da NOME COGNOME per sot trarre le somme all’obbligo di collazione.
La successiva deduzione che l’importo di € 100.000.000 non derivava dalla vendita, poiché giaceva sul conto della madre da data anteriore al contratto, integrando un’erogazione del la de cuius con denaro proprio, costituiva una replica alle argomentazioni di controparte e, comunque, una mera precisazione della domanda senza mutarne il petitum o la causa petendi, non essendo modificati i termini della controversia – formulata tempestivamente nella prima memoria ex art. 183 c.p.c. (Cass. 12621/2012; Cass. 1585/2015; Cass. 20716/2018; Cass. 32146/2018).
8. Il quarto motivo denuncia che erroneamente la sentenza abbia ritenuto necessaria una domanda di parte per ottenere la collazione della donazione, che invece opera di diritto senza necessità di una specifica azione.
Il motivo è infondato poiché la richiesta di collazione implicava il previo accertamento della natura di donazione indiretta della
consegna, mediante assegno , della somma impiegata per l’acquisto di un immobile.
La collazione, che, in presenza di donazioni fatte in vita dal “de cuius” e salva apposita dispensa di quest’ultimo, impone il conferimento del bene che ne è oggetto in natura o per imputazione, ha la finalità di assicurare l’equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti nella formazione della massa ereditaria, così da non alterare il rapporto di valore tra le varie quote determinate attraverso la sommatoria del “relictum” e del “donatum” al momento dell’apertura della successione, sicché il relativo obbligo sorge automaticamente senza necessità di un’ espressa domanda da parte del condividente, essendo a tal fine sufficiente che sia chiesta la divisione del patrimonio relitto e che sia menzionata, in esso, l’esistenza di determinati beni quali oggetto di pregressa donazione.
Tuttavia, in caso di donazione indiretta, è pregiudiziale all’obbligo di collazione la proposizione della domanda di accertamento dell’esistenza dell’atto di liberalità , nel rispetto delle preclusioni processuali (Cass. 23403/2022; Cass. 19833/2019).
In conclusioni è accolto il sesto motivo del ricorso principale, sono respinti il primo, il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo e sono assorbiti il settimo e l’ottavo; è inoltre accolto il terzo motivo del ricorso incidentale, con rigetto delle restanti censure.
La sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese processuali.
P.Q.M.
accoglie il sesto motivo del ricorso principale, respinge il primo, il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo e dichiara assorbiti il settimo e l’ottavo; accoglie il terzo motivo del ricorso incidentale, con rigetto delle restanti censure, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolt i e rinvia la causa alla Corte d’appello di
Roma, in diversa composizione, che provvederà anche alla