Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26354 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26354 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21627/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato presso l’avvocato COGNOME NOME (EMAIL) che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso. -ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del curatore, elettivamente domiciliato presso l’avvocato COGNOME NOME (EMAIL), che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso.
-controricorrente-
NOME COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE IN CONCORDATO PREVENTIVO.
–
intimati – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Ancona n. 738/2022 depositata il 10/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/05/2024 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
SVOLGIMNTO DEL PROCESSO
Il RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Macerata RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) e RAGIONE_SOCIALE, in liquidazione in concordato preventivo, per sentire dichiarare la nullità, per asserita violazione del divieto di patto commissorio, di un contratto di leasing collegato ad un contratto di compravendita di un fabbricato industriale.
A sostegno della pretesa, la curatela fallimentare deduceva in particolare che:
la RAGIONE_SOCIALE, facente capo alla medesima compagine proprietaria della RAGIONE_SOCIALE e ad essa collegata, aveva venduto alla RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta RAGIONE_SOCIALE e poi RAGIONE_SOCIALE) un capannone industriale, indicato espressamente dalla utilizzatrice RAGIONE_SOCIALE, che già ivi svolgeva la sua attività, e che si trovava in una situazione di gravissima crisi finanziaria e produttiva;
-in tal modo le parti avevano posto in essere un’operazione di lease back, al solo scopo di far ottenere consistente liquidità alla RAGIONE_SOCIALE, in quanto, come dimostrato dalle movimentazioni di denaro risultanti dagli estratti di conto
corrente, dopo che la RAGIONE_SOCIALE aveva versato alla RAGIONE_SOCIALE il corrispettivo dell’immobile, quest’ultima aveva a sua volta riversato l’intera somma ricevuta in favore della RAGIONE_SOCIALE, deliberando inoltre di rinunciare al rimborso del finanziamento infruttifero di un milione di euro a suo tempo concesso alla stessa RAGIONE_SOCIALE;
la complessiva operazione negoziale era dunque stata posta in essere in violazione del divieto del patto commissorio di cui all’art. 2744 cod. civ. ricorrendo nella specie tutti i presupposti per ravvisare un’ipotesi di lease back anomalo; entrambi i contratti, di compravendita e di leasing, dovevano essere dichiarati nulli a causa del complessivo indebito vantaggio che la concedente (RAGIONE_SOCIALE, poi RAGIONE_SOCIALE e poi RAGIONE_SOCIALE) avrebbe tratto dalla situazione di debolezza economica in cui versava la società RAGIONE_SOCIALE, vantaggio concretizzatosi nella pattuizione di condizioni contrattuali particolarmente favorevoli per l’istituto di leasing in danno della RAGIONE_SOCIALE stessa;
-anche a prescindere dall’inquadramento della vicenda negoziale nella fattispecie del lease back, sussisterebbe nondimeno la violazione degli artt. 1344 e 1418 cod. civ.
1.1. Si costituiva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione in concordato preventivo, rimettendosi in ordine alle domande svolte da parte attrice e, in caso di loro accoglimento, proponendo domanda di condanna della convenuta RAGIONE_SOCIALE alla restituzione dei canoni versati in veste di utilizzatrice.
Si costituiva resistendo RAGIONE_SOCIALE
1.2. Con sentenza n. 843/2017 del 21 agosto 2017 il Tribunale di Macerata accoglieva la domanda della curatela ed accertava e dichiarava sia la nullità del contratto di compravendita, sia del contratto di leasing, aventi ad oggetto il medesimo opificio industriale.
Avverso tale sentenza la RAGIONE_SOCIALE proponeva appello, assumendo l’assoluta normalità dell’operazione trilaterale oggetto di causa.
Si costituiva resistendo il solo RAGIONE_SOCIALE, chiedendo la conferma dell’impugnata sentenza.
2.1. Con sentenza n. 738/2022 del 10 giugno 2022 la Corte d’Appello di Ancona rigettava l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE, mentre accoglieva l’appello incidentale, proposto dal RAGIONE_SOCIALE, di condanna della RAGIONE_SOCIALE alla restituzione dell’immobile ovvero, in caso di impossibilità, di condanna in via alternativa al pagamento del suo controvalore.
Avverso tale sentenza la società RAGIONE_SOCIALE, che agisce per nome e per conto di RAGIONE_SOCIALE, propone ora ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso il RAGIONE_SOCIALE Le altre intimate non hanno svolto attività difensiva.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
L’atto denominato ‘Brevissima memoria’ depositato dal RAGIONE_SOCIALE controricorrente non può considerarsi tale, difettandone i requisiti di legge, atteso che esso si sostanzia nella mera richiesta di liquidazione delle spese sostenute nella fase di inibitoria in appello.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denunzia ‘Omessa pronuncia su un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. da parte della Corte d’Appello di Ancona, che ha mancato di accertare l’accordo «simulatorio» che sarebbe intercorso tra tutte le diverse parti coinvolte negli atti contestati e il collegamento negoziale tra i comportamenti e gli atti eccepiti alla RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE) e quelli
adottati la società RAGIONE_SOCIALE (nella veste di fornitore) e la società RAGIONE_SOCIALE (nella veste di utilizzatore), quali presupposti necessari per la giurisprudenza di legittimità al fine di giustificare la nullità del complessivo procedimento negoziale che ha portato alla stipula del contratto e alla violazione del divieto di stipulare patti commissori di cui all’art. 2744 c.c.’.
Lamenta che l’impugnata sentenza è viziata, in quanto ha ritenuto di dichiarare la nullità dell’intera operazione commerciale oggetto di causa, senza che ricorresse un collegamento negoziale ed in palese assenza di qualsivoglia sintomatico elemento di anomalia.
Con il secondo motivo denunzia ‘Violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. degli artt. 1322, comma 2, 1344 e 2744 c.c. per aver la Corte d’Appello di Ancona confermato la nullità del negozio di leasing senza accertare gli elementi elaborati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, oltre che per la non corretta sussunzione della fattispecie fattuale ricostruita nell’ambito applicativo della norma di legge applicata’.
Lamenta che la corte d’appello ha pronunciato la nullità dei due collegati contratti, solo valorizzando alcuni sporadici elementi di fatto, senza accertare gli elementi elaborati in materia dalla giurisprudenza di legittimità e senza correttamente sussumere la fattispecie nell’ambito applicativo degli artt. 1344 e 2744 cod. civ.
Con il terzo motivo denunz ia ‘Nullità della sentenza d’appello ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. per violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., in quanto recante motivazione solo apparente, non espressione di un autonomo processo deliberativo, ma di una generica condivisione delle argomentazioni del giudice di primo grado e senza esame critico dei motivi di gravame formulati dalle appellanti’.
Lamenta la nullità, per motivazione apparente, dell’impugnata sentenza, di cui critica la stringatezza a fronte della complessità della controversia, per non avere la corte anconetana proceduto ad un esame critico dei motivi di appello formulati da essa appellante e per essere pervenuta ad una sostanziale affermazione di condivisione della ricostruzione fattuale e delle argomentazioni svolte dal tribunale in prime cure.
4. Il primo motivo è inammissibile.
Non risulta con esso dalla ricorrente correttamente denunziato il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, secondo gli insegnamenti delle Sezioni Unite di questa Corte (sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014), che hanno avuto modo sia di affermare che ‘La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali’, sia di precisare che ‘L’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia’ (v. anche Cass., 29/10/2018, n.
27415).
Orbene, là dove lamenta che la corte d’appello ‘ha mancato di accertare l’accordo simulatorio’ tra tutte le parti coinvolte nell’operazione trilatera, e dunque i presupposti della violazione del divieto di patto commissorio, la ricorrente inammissibilmente sollecita in realtà il riesame del fatto e della prova, precluso in sede di legittimità (v. tra le tante Cass., 09/06/2014, n. 12928; Cass., 9644/2016; Cass., 07/1272017, n. 29404: ‘Con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità’).
5. Il secondo motivo è infondato.
Assumere che manchi l’accertamento de ‘…gli elementi elaborati in materia dalla giurisprudenza di legittimità …’ significa contestare le valutazioni, motivate, svolte dal giudice del merito nella ricostruzione del fatto sulla base delle risultanze probatorie acquisite.
Parimenti, sotto la formale invocazione della violazione di legge per la ‘…non corretta sussunzione della fattispecie fattuale ricostruita nell’ambito applicativo della norma di legge applicata’, il ricorrente perviene a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti di causa ed una nuova valutazione degli ‘elementi sintomatici’ in presenza dei quali soltanto può essere affermata la violazione del divieto del patto commissorio.
5.1. La corte territoriale ha d’altro canto fatto piena e corretta applicazione dei principi in argomento enunziati da questa Corte.
Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, per ravvisare l’esistenza di un negozio in frode alla legge devono essere compresenti gli elementi sintomatici che
consentono di sussumere una fattispecie di fatto all’interno dello schema di legge di cui agli artt. 1344 e 2744 cod. civ.
Occorre quindi che sia stato provato ed accertato (v., ex multis , Cass., 22/02/2021, n. 4664; Cass., 23/04/2020, n. 8100; Cass., 06.07.2017, n. 16646; Cass., 10.05.2017, n. 11449; Cass., 09.03.2011, n. 5583; Cass., 28.06.2006, n. 14903): a) che tra la fornitrice e/o l’utilizzatrice del bene e la società di leasing sussisteva, all’atto della stipula dei contratti, una pregressa situazione di debito/credito, non potendosi sostenere, in assenza di tale circostanza, che l’intera operazione economica sia stata posta in essere allo scopo di garantire un’obbligazione del debitore; b) che la fornitrice e/o l’utilizzatrice del bene si trovavano, al momento della stipula dei contratti, in una situazione di evidente difficoltà finanziaria e che di tale situazione abbia profittato la società di leasing conseguendo un notevole ed ingiusto vantaggio economico; c) che, infine, l’alienazione del bene da parte della venditrice non è avvenuta a valori di mercato, ma a vantaggio esclusivo della sola concedente, la quale avrebbe ottenuto un bene di valore superiore a quanto corrisposto per l’acquisto.
Orbene, dalla pur stringata motivazione dell’impugnata sentenza si evince che la corte territoriale: a) ha evidenziato che il leasing è stato stipulato a condizioni anomale, consistenti nella previsione non solo di un maxi canone iniziale ma anche della prestazione di un pegno per 500mila euro, nonostante la società di leasing fosse proprietaria dell’immobile; b) ha rilevato l’assenza della previsione del patto marciano, il che accentua lo squilibrio tra le parti; c) ha considerato il collegamento tra la società venditrice dell’immobile, poi oggetto di leasing, e la società utilizzatrice, entrambe controllate dalla stessa compagine familiare ed imprenditoriale, ed ha accertato che RAGIONE_SOCIALE si era trovata indebitata ed era stata sostenuta economicamente da
RAGIONE_SOCIALE, la quale, nel caso di specie, dopo aver venduto il fabbricato industriale, aveva ceduto a RAGIONE_SOCIALE l’intero prezzo di vendita.
6. Il terzo motivo è infondato.
Per costante giurisprudenza, invero, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro irriducibilmente inconciliabili ovvero perplesse od obiettivamente incomprensibili (tra le tante: Cass., Sez. Un., n. 22232/2016; Cass., 30/04/2020, n. 8427; Cass., 15/04/2021, n. 9975; Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053).
Peraltro, ricorre il vizio di ‘motivazione apparente’ allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento, per cui la motivazione finisce per non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (tra le tante: Cass., 18/11/2022, n. 34004; Cass., 30/06/2020, n. 13248; Cass., 25/03/2021, n. 8400).
In particolare, poi, la sentenza d’appello può essere motivata per relationem , purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame
(v. Cass., 05/08/2019, n. 20883; Cass., 03/02/2021, n. 2397; Cass., 20/12/2021, n. 40697; Cass., 11/01/2022, n. 478).
Orbene, pur nella sua stringatezza, l’impugnata sentenza resiste al sindacato di legittimità, dato che è pervenuta alla condivisione della decisione di prime cure attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive anche di parte appellata, nonché degli elementi di prova e dei motivi di appello, chiaramente esplicitando l’iter logico, argomentativo e decisionale, da cui ha tratto il suo convincimento.
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo in Favore del RAGIONE_SOCIALE controricorrente, seguono la soccombenza di parte ricorrente, la quale va pure dichiarata tenuta e condannata, ricorrendone i presupposti (v. Cass., n. 21198 del 20/10/2015), a rifondere a parte resistente le spese relative alla fase di inibitoria in appello, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del RAGIONE_SOCIALE controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 11.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del RAGIONE_SOCIALE controricorrente, delle spese della fase di inibitoria in appello, che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ed accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del
2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza