Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12824 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12824 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2249/2020 R.G. proposto da :
COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 2417/2019 depositata il 11/10/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1. il Tribunale di Prato, in accoglimento delle domande proposte da NOME COGNOME condannò COGNOME NOME alla demolizione del primo piano di una costruzione, realizzato in sopraelevazione nel 1995, senza il rispetto delle prescrizioni in materia di distanze minime tra edifici e tra pareti finestrate di cui all’art 873 cod. civ. e all’art 9 del DM 1444/68, alla demolizione del tetto dell’immobile per la parte prospicente la proprietà della attrice, alla rimozione delle tubature e degli scarichi collocati senza il rispetto della distanza prevista dall’art. 889 cod. civ. La sentenza venne appellata da COGNOME con cinque motivi. Il primo, poi superato, riguardante aspetto processuale; il secondo, sulla dedotta erroneità della sentenza di primo grado per avere il Tribunale ritenuto applicabile, in riferimento alla sopraelevazione, il dm 1444/68, in realtà inapplicabile, in quanto recepito dal regolamento edilizio del Comune di Prato solo nel 2004, successivamente alla costruzione del primo piano, con conseguente erronea disapplicazione dell’art. 55 del regolamento vigente al tempo della costruzione, la cui previsione (‘per le zone in cui le NTA del PRG non stabiliscono una distanza minima degli edifici dai confini, le pareti finestrate di nuovi edifici o ampliamenti devono distare almeno tre metri dal confine stesso’) era stata rispettata; il terzo , sull’ omessa motivazione della condanna alla demolizione del tetto; il quarto, sulla erroneità della decisione di primo grado in punto di ritenuta violazione delle normativa sulle vedute con riferimento alle aperture realizzate al primo piano dell’edificio; il quinto , sulla erroneità della sentenza di primo grado in punto di ritenuta applicabilità dell’art. 889 cod. civ., con riferimento alle tubature di scarico delle acque piovane,
essendo la norma applicabile solo a tubature portanti un flusso di sostanze liquide o gassose costante. La Corte di Appello di Firenze, con la sentenza n. 2417 del 2019, ha, in primo luogo, ribadito l’accertamento del Tribunale , secondo il quale l’ appellante, nell’esecuzione di lavori di ristrutturazione e di sopraelevazione del proprio fabbricato, giusta concessione edilizia rilasciata nel 1995, aveva realizzato un primo piano, qualificabile come ‘nuova costruzione’, senza rispettare la distanza minima prevista dall’art. 9 d.m. 1444/68, di 10 metri tra pareti finestrate e pareti degli edifici antistanti; ha, in secondo luogo, osservato che, essendo il suddetto d.m. prevalente sui contrastanti regolamenti locali successivi, non aveva rilevanza quanto dedotto dall’appellante con il secondo motivo di impugnazione. La Corte territoriale ha infine dichiarato ‘superate o, comunque, assorbite’ le questioni sollevate con il terzo, quarto e quinto motivo di gravame, volte a contestare la ritenuta illegittimità degli ‘altri manufatti’, in quanto relative ad opere relative al primo piano di cui era stato disposto l’arretramento;
NOME COGNOME ricorre, con due motivi, per la cassazione della sentenza in epigrafe;
NOME COGNOME ha depositato controricorso;
le parti hanno depositato memorie; considerato che:
il primo motivo di ricorso reca la seguente rubrica: ‘Violazione e/o falsa applicazione di legge (art. 11 delle Preleggi, art. 9 del D.M. 02.04.1968, n. 1444 ed art. 41 quinquies della legge 17.08.1942, n. 1150, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, n. 4 e n. 5 c.p.c.)’. Il ricorrente sostiene che la Corte territoriale ha errato nel ritenere applicabile al caso di specie il disposto dell’art 9 del DM n 1444/68, in quanto non immediatamente precettivo nei rapporti tra privati e, comunque, in assenza di una previsione regolamentare da parte del Comune di Prato, fino all’aprile 2004, di
recepimento delle disposizioni previste dal DM 1444/68 in senso ad esso contrario. Considerato che la sopraelevazione in contestazione è stata eseguita sulla base del permesso di costruire del 1995 e del permesso in sanatoria del 2006, la presunta violazione delle distanze legali sarebbe intervenuta in una fase antecedente rispetto all’adozione del regolamento edilizio comunale, con conseguente inoperatività del meccanismo della sostituzione automatica di clausole difformi.
Il motivo è infondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n.14953 del 2011, affermarono il principio, poi più volte ribadito (v., a titolo di esempio, Cass. n. 624 del 15/01/2021; Cass. n. 8987 del 2023; n. 27558 del 2014; Cass. 236/2024) che ‘In tema di distanze tra costruzioni, l’art. 9, secondo comma, del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, essendo stato emanato su delega dell’art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (c.d. legge urbanistica), aggiunto dall’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, ha efficacia di legge dello Stato, sicché le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica’. Ne trassero che ‘l’art. 52 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. del Comune di Viareggio – che impone il rispetto della distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate soltanto per i tratti dotati di finestre, con esonero di quelli ciechi – è in contrasto con le previsioni del citato art. 9 e deve, pertanto, essere disapplicato’.
È stato poi precisato che l’art. 9 del dm 1444 si inserisce automaticamente, con immediata operatività nei rapporti tra privati, in virtù della natura integrativa del regolamento rispetto all’art. 873 c.c. (v. Cass. 1616/2018). Il ricorrente richiama in modo non corretto la sentenza di questa Corte n.13346/2018, la quale non ha affermato che, in assoluto, la norma regolamentare
non si applica nei rapporti fra privati se non è recepita in uno strumento urbanistico, ma ha precisato che la norma impone determinati limiti edilizi ai Comuni nella formazione o nella revisione degli strumenti urbanistici, con la conseguenza che l’eventuale previsione, negli strumenti urbanistici locali, adottati o modificati successivamente all’entrata in vigore del d.m., di distanze inferiori a quelle prescritte dall’art 9 D.M., sono da considerarsi illegittime e vanno, quindi, disapplicate e sostituite “ex lege” con quelle di detta normativa statuale.
La Corte di Appello si è attenuta alla giurisprudenza di legittimità avendo, per un verso, disapplicato il regolamento locale vigente nel 1995, successivo al dm 1444/68, che prevedeva soltanto una distanza di tre metri dal confine per le pareti finestrate, per altro verso, applicato tra le parti il disposto dell’art. 9 del dm che prevede il rispetto della distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate;
con il secondo motivo viene dedotta, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, 4 e 5 cod. proc. civ. , la violazione dell’art 112 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale ritenuto erroneamente superate e/o assorbite dall’accoglimento dei primi due motivi di appello le questioni sollevate con il terzo, quarto e quinto motivo, con conseguente nullità della sentenza e del procedimento per omessa pronuncia.
Il motivo è infondato. La Corte di Appello non ha omesso di pronunciarsi sulle questioni sollevate con il terzo, quarto e quinto motivo di gravame. Ha rilevato che le questioni sollevate con quei motivi attenevano ad opere -il tetto; le vedute aperte nel piano sopraelevato, la tubazione di scarico delle acque piovane- destinate alla demolizione, essendo da arretrare il piano sopraelevato dell’edificio.
il ricorso deve essere rigettato;
le spese seguono la soccombenza;
PQM
la Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 6 .000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma 19 marzo 2025.