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Distanze tra costruzioni: DM 1444/68 prevale sempre

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un proprietario che aveva realizzato una sopraelevazione senza rispettare le normative nazionali sulle distanze tra costruzioni. L’ordinanza chiarisce che il D.M. 1444/68, che impone una distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate, ha efficacia di legge dello Stato e si applica direttamente nei rapporti tra privati, sostituendo automaticamente eventuali regolamenti comunali meno restrittivi, anche se successivi. Di conseguenza, è stata confermata la demolizione dell’opera.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Distanze tra costruzioni: il Decreto Ministeriale prevale sempre sui regolamenti locali

Le norme sulle distanze tra costruzioni rappresentano un pilastro del diritto immobiliare, volte a garantire salubrità, sicurezza e decoro abitativo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: le disposizioni del Decreto Ministeriale 1444/68 prevalgono sempre sui regolamenti edilizi comunali contrastanti e meno restrittivi. Questa decisione ha implicazioni dirette per chi costruisce, sopraeleva o ristruttura, confermando l’ordine di demolizione per un’opera non conforme.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine dalla sopraelevazione di un edificio, realizzata nel 1995. Un vicino citava in giudizio il proprietario, contestando la violazione delle normative sulle distanze minime tra edifici e tra pareti finestrate, nonché la collocazione di tubature di scarico a distanza non regolamentare.
Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda, ordinando la demolizione del primo piano aggiunto, del tetto e la rimozione delle tubature. La decisione veniva confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello, la quale sottolineava che la nuova costruzione non rispettava la distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate, imposta dall’art. 9 del D.M. 1444/68.

La questione sulle distanze tra costruzioni e il ricorso in Cassazione

Il proprietario dell’immobile ricorreva in Cassazione, basando la sua difesa su due motivi principali.
1. Errata applicazione del D.M. 1444/68: Sosteneva che tale decreto non fosse direttamente precettivo nei rapporti tra privati, ma necessitasse di un recepimento da parte dei regolamenti edilizi comunali. Poiché il Comune di riferimento aveva adottato tali norme solo nel 2004, successivamente alla costruzione (1995), a suo dire la norma nazionale non poteva essere applicata retroattivamente.
2. Omessa pronuncia: Lamentava che la Corte d’Appello non si fosse espressa specificamente sulle questioni relative al tetto e alle tubature, ritenendole genericamente ‘assorbite’ dalla decisione principale sulla demolizione del piano.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la piena legittimità delle sentenze di merito e, di conseguenza, l’ordine di demolizione.

Le Motivazioni: la prevalenza del DM 1444/68 sulle distanze tra costruzioni

La Corte ha smontato le argomentazioni del ricorrente con motivazioni chiare e basate su un orientamento giurisprudenziale consolidato, inaugurato dalle Sezioni Unite nel 2011.

Principio di Efficacia Diretta e Prevalenza Gerarchica

Il punto centrale della decisione riguarda la natura giuridica dell’art. 9 del D.M. 1444/68. La Cassazione ha ribadito che questo decreto, emanato su delega della legge urbanistica, ha efficacia di legge dello Stato. Le sue disposizioni in materia di limiti inderogabili di densità, altezza e distanze tra costruzioni prevalgono sulle previsioni contrastanti dei regolamenti locali.
Questo significa che la norma nazionale si applica con immediata operatività nei rapporti tra privati, attraverso un meccanismo di inserzione automatica. In pratica, la norma del D.M. 1444/68 sostituisce di diritto qualsiasi norma comunale meno restrittiva, senza bisogno di un atto formale di recepimento. Pertanto, la Corte d’Appello ha correttamente disapplicato il regolamento locale del 1995 (che prevedeva una distanza inferiore) e applicato la norma statale che impone i 10 metri.

Reiezione del Motivo di Omessa Pronuncia

Anche il secondo motivo è stato ritenuto infondato. La Corte ha chiarito che la decisione della Corte d’Appello non costituiva un’omissione. Ritenere ‘assorbite’ le questioni relative a tetto, vedute e tubature era una conseguenza logica dell’ordine di arretramento dell’intero piano sopraelevato. Se la struttura principale deve essere demolita per rispettare le distanze, vengono meno anche le violazioni relative alle sue parti accessorie.

Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un principio di certezza del diritto di fondamentale importanza nel settore edilizio. Chiunque intraprenda una nuova costruzione o una sopraelevazione deve fare riferimento primario alle norme nazionali sulle distanze tra costruzioni, in particolare al D.M. 1444/68. Confidare in regolamenti locali meno severi è un rischio che può portare a conseguenze drastiche, come l’ordine di demolizione dell’opera e la condanna al risarcimento dei danni. La gerarchia delle fonti è chiara: la legge dello Stato prevale, garantendo uniformità e tutela dei diritti dei proprietari su tutto il territorio nazionale.

Una norma nazionale sulle distanze tra edifici si applica anche se il regolamento comunale è meno restrittivo e precedente?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che le disposizioni del D.M. 1444/68, avendo efficacia di legge dello Stato, prevalgono sui regolamenti locali contrastanti e si applicano direttamente nei rapporti tra privati, sostituendosi automaticamente alle norme locali meno severe.

La distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate è sempre obbligatoria?
Sì, secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza citata, l’art. 9 del D.M. 1444/68 stabilisce limiti inderogabili che non possono essere ridotti dagli strumenti urbanistici locali. Tale distanza è quindi un requisito fondamentale da rispettare nelle nuove costruzioni e sopraelevazioni.

Se un giudice ordina la demolizione di un piano di un edificio, deve pronunciarsi anche sulle singole parti di quel piano (es. tetto, tubature) che violano altre norme?
Non necessariamente. La Corte ha stabilito che quando viene ordinato l’arretramento o la demolizione della struttura principale (il piano), le questioni relative alle sue parti accessorie (tetto, vedute, tubazioni) possono essere considerate ‘assorbite’ e risolte dalla decisione principale, senza necessità di una pronuncia autonoma.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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