Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21991 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 21991 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/08/2024
SENTENZA
sul ricorso 11236/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (già di RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende giusta procura in atti;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 75/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE, SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata in data 31/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Udito il P.M. in persona del AVV_NOTAIO procuratore Generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo di ricorso e per il rigetto dei restanti. Uditi l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME per il ricorrente e l’AVV_NOTAIO
NOME COGNOME per il controricorrente.
Fatti causa
NOME COGNOME citò in giudizio la RAGIONE_SOCIALE chiedendo che la convenuta fosse condannata a demolire un edificio limitrofo a quello dell’attrice, a causa del mancato rispetto della distanza legale di dieci metri tra pareti finestrate e di cinque metri dalle costruzioni (parte prospiciente la rampa d’accesso al garage del piano seminterrato e parte prospiciente la ‘Gravina di S. NOME‘), nonché alla messa in opera del giunto tecnico; inoltre chiese condannarsi la convenuta a risarcire il danno procurato al proprio immobile, rimasto lesionato.
Il Tribunale, in accoglimento delle domande, dichiarata la violazione delle distanze legali tra le costruzioni, condannò la convenuta alla demolizione e a risarcire il danno, quantificato in € 4.039,00.
La Corte d’appello di Lecce, Sezione Distaccata di Taranto, rigettò l’impugnazione di RAGIONE_SOCIALE, in sintesi e per quel che ancora rileva, argomentando come appresso.
-Con il primo motivo l’appellante aveva criticato la sentenza di primo grado per avere recepito acriticamente le conclusioni del c.t.u., così violando e/o falsamente applicando l’art. 9 d.m. n. 1444/1968, il quale aveva ipotizzato che le finestre, sebbene murate, avrebbero potuto essere riaperte in futuro, oltre ad avere affermato che la misurazione della distanza tra fabbricati andava effettuata in maniera radiale, invece che lineare, così finendo per giudicare non rispettata la distanza di legge anche per quella parte dei fabbricati che non si fronteggiavano.
La Corte d’appello supera la censura affermando essere sufficiente che i fabbricati si fronteggino in parte, senza che rilevi che una sola delle due costruzioni sia finestrata; l’occlusione delle finestre dell’attrice non appariva superare la provvisorietà. La distanza di dieci metri di cui al d.m. citato <>.
-Con il secondo motivo l’appellante aveva sostenuto che, avuto riguardo all’art. 3 delle N.T.A. del Comune di Massafra, il Tribunale aveva sbagliato a reputare che la rampa d’accesso al seminterrato risultasse posta alla distanza irregolare di m. 3,30 dal muro attoreo, invece che a quella di m. 5, non avendo considerato che una tale distanza andava rispettata quando non si intenda o non si possa costruire sul confine o in aderenza e la parte del fabbricato di RAGIONE_SOCIALE prospiciente la Gravina di San NOME era da reputarsi seminterrato e che tra il muro della rampa e quello della COGNOME non operava la regola sulle distanze.
La Corte d’appello ha disatteso la censura evidenziando che la rampa del garage deve considerarsi fabbricato assoggettato al rispetto delle distanze, poiché <>.
-Con il terzo motivo l’appellante, deduce violazione o falsa applicazione dell’O.P.C.M. n. 3274/2003 e della l. n. 1086/1971, lamentando che il Tribunale aveva assegnato alla nozione di ‘giunto tecnico’ il significato di un’opera fisica che distanziava le costruzioni, trattandosi, invece di uno spazio di discontinuità prescritto dalla normativa antisismica, al fine di permettere agli edifici, in caso di eventi tellurici, di non scaricarsi reciprocamente il movimento indotto. Il distanziamento risultava segnato da un divisore in polistirolo. Inoltre un tale obbligo al tempo dell’edificazione non era vigente, poiché il fabbricato poteva essere costruito in deroga alla normativa di settore nel periodo transitorio di diciotto mesi dall’entrata in vigore dell’O.P.C.M. n. 3274/2003, cioè fino all’8/11/2014, previo denuncia all’Ufficio regionale (effettuata il 5/11/2004), ai sensi dell’art. 4, l. n. 1068/1971, in data antecedente l’entrata in vigore del d.m. 14/9/2005.
La Corte d’appello ha rigettato la censura sulla base di due argomenti: il Tribunale aveva spiegato che per giunto tecnico doveva intendersi l’interspazio fra due costruzioni e non la realizzazione di un manufatto; l’inizio dei lavori aveva avuto decorrenza dal 20/1/2006; i lavori, pur autorizzati in precedenza, ma iniziati successivamente, dovevano rispettare la normativa antisismica di cui al d.m. 16/1/1996, ai sensi dell’art. 14 della l. n. 167/2005, mentre quelli iniziati in data antecedente al 23/10/2005, poiché avviati sotto la vigenza del regime derogatorio di cui all’O.P.C.M. n. 3274/2003, potevano non applicare la disciplina antisismica. Nella specie non risultava essere stato realizzato un giunto tecnico conforme alla normativa vigente al momento della costruzione, in quanto la separazione fra i fabbricati avrebbe dovuto interessare dalle fondamenta al torrino dell’edificio.
Con il quarto motivo l’appellante aveva lamentato che le cavillature presenti sul muro di confine erano preesistenti.
La Corte d’appello, sulla base della c.t.u. ha disatteso la doglianza.
RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso sulla base di quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria.
L’intimata ha resistito con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria.
All’esito dell’adunanza camerale del 23/1/2024 il processo è stato rimesso in pubblica udienza.
All’approssimarsi di questa la ricorrente ha depositato nuova memoria e il AVV_NOTAIO Generale in persona del AVV_NOTAIO, ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto accogliersi il primo motivo del ricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 9 d.m. n. 1444/1968, 873, 877, 878, 879 cod. civ., 3 N.T.A. del P.d.F. del Comune di Massafra.
Questa la sintesi delle mosse censure:
i fabbricati delle parti in causa erano posti in aderenza, salvo che per la <>, e, pertanto non potevano considerarsi frontistanti;
-il c.t.u. aveva errato a misurare la distanza ‘a raggio’, modalità riservata alla sola misurazione della distanza dalle vedute e non per quella tra fabbricati e, pertanto, <>;
-la Corte di merito, ignorando l’art. 3 delle norme locali, aveva reputato dovesse valere la distanza di dieci metri tra pareti
finestrate di cui al citato art. 9, affermando erroneamente che i due fabbricati si fronteggiavano sia pure parzialmente, assumendo doversi effettuare la misurazione con metodo radiale, invece che lineare;
non si era tenuto conto <>;
-aveva sbagliato il Giudice d’appello a reputare che andasse tutelata una finestra del tutto coperta dalla scala edificata dalla controparte, apoditticamente ipotizzando che in futuro la COGNOME avrebbe potuto rimuovere la scala e pretendere d’usufruire della finestra, non vedendo che la ricorrente era tenuta a rispettare la costruzione della controparte siccome si presentava al momento della propria edificazione, posta al confine dell’avversa costruzione, includente la scala;
non era stato applicato correttamente il citato art. 3 a riguardo alla rampa del garage e ai muretti che lo delimitavano: la scala era completamente interrata e risultava delimitata da due parapetti, posti a protezione del transito pedonale; sulla facciata della rampa si aprivano due luci; la sentenza aveva erroneamente affermato che il parapetto doveva essere mantenuto alla distanza di cinque metri in applicazione del precitato art. 3, ciò in violazione dell’art. 878 cod. civ., trattandosi di un muro isolato di altezza non superiore a tre metri;
-la decisione era erronea anche quanto al disposto arretramento della terrazza retrostante l’edificio della ricorrente <> , stante che l’immobile era stato edificato sul confine e, quindi, anche il prolungamento
costituito dalla terrazza, ciò nel rispetto del principio di prevenzione.
6.1. Il motivo è fondato, sia pure per una diversa e assorbente ragione.
La sentenza, senza darne compiuta spiegazione, applica due distinte e diverse normative: a pag. 6, con riferimento alla distanza tra il fabbricato di RAGIONE_SOCIALE e la porzione del fabbricato di COGNOME che forma un angolo di 20 gradi lato INDIRIZZO, richiama l’art. 9 del d. m. n. 1444/1968, mentre a pag. 7, con riferimento al muro che dà sulla rampa del garage, sempre dal lato di INDIRIZZO e con riferimento alla parte del fabbricato retrostante prospiciente la Gravina San NOME, richiama le norme tecniche di attuazione del piano di fabbricazione del Comune di Massafra.
La normativa applicabile non può che essere una sola e l’individuazione di essa spetta al Giudice del merito in base al principio ‘iura novit curia’.
I metodi di misurazione dipendono dalla normativa che viene in rilievo.
In materia di distanze tra fabbricati l’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, che prescrive una distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, è applicabile anche nel caso in cui una sola delle due pareti fronteggiantesi sia finestrata e indipendentemente dalla circostanza che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell’edificio preesistente, o che si trovi alla medesima altezza o ad altezza diversa rispetto all’altro (Sez. 2, n. 24471, 01/10/2019, Rv. 655256 -01). Ed ancora: la distanza minima di dieci metri tra le costruzioni stabilita dall’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 deve osservarsi in modo assoluto, essendo “ratio” della norma non la tutela della riservatezza, bensì quella della salubrità e sicurezza. Detta norma va, pertanto, applicata indipendentemente dall’altezza degli edifici antistanti e
dall’andamento parallelo delle loro pareti, purché sussista almeno un segmento di esse tale che l’avanzamento di una o di entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento (Sez. 2, n. 24076, 03/10/2018, Rv. 650635 -01; si vedano pure Cass. nn. 12129/2018, 8209/2023).
Le norme dei regolamenti edilizi che stabiliscono le distanze tra le costruzioni, e di esse dal confine, sono volte non solo ad evitare la formazione di intercapedini nocive tra edifici frontistanti, ma anche a tutelare l’assetto urbanistico di una data zona e la densità edificatoria in relazione all’ambiente, sicché, ai fini del rispetto di tali norme, rileva la distanza in sé, a prescindere dal fatto che le costruzioni si fronteggino e dall’esistenza di un dislivello tra i fondi su cui esse insistono (Sez. 2, n. 3854, 18/02/2014, Rv. 629629 -01; conf., fra le tante, Cass. nn. 22054/2018, 120/2024).
6.2. È appena il caso di soggiungere che l’esposta soluzione non costituisce ‘terza via’, in ordine alla quale sarebbe occorso interpellare le parti ai sensi dell’art. 101, co. 2, cod. proc. civ.
Invero, laddove la vicenda giudiziaria si risolva sulla base di valutazione squisitamente giuridica, non implicante lo scrutinio di questioni di fatto o miste, la decisione giudiziale non giunge inaspettata per la basilare ragione che di essa questione giuridica le parti hanno piena conoscenza sin dall’inizio e in relazione a essa possono esercitare le facoltà illustrative e argomentative che reputino opportune (cfr., ex multis, Cass. nn. 11453/2014, 24312/2017, 19278/2020).
E certamente è di puro diritto la questione che involge la ricerca della disciplina normativa regolante la fattispecie.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 32 l. n. 64/1974, 5, co. 2-bis (introdotto dall’art. 14 -undecies l. n. 168/2005), 20, co. 2 d.l. n. 248/2007, nonché del d.m. 14/9/2005.
Rileva in particolare la società ricorrente che: la l. n. 64/1974 stabiliva prescrizioni particolari per le costruzioni in zone sismiche, rinviando alle norme tecniche ministeriali e fino all’emanazione ed entrata in vigore di quest’ultime continuavano a trovare applicazione le disposizioni di cui alla l. n. 1684/1962. L’art. 5, co. 2-bis, d.l. n. 136/2004, convertito nella l. n. 186/2004, aveva previsto per un periodo di diciotto mesi dalla sua entrata in vigore, la possibilità di applicare, in alternativa alla disciplina anteriore, quella di cui alle ll. nn. 1086/1971 e 64/1974; termine poi prorogato da norme successive fino al 30/6/2009. Entrate in vigore le norme tecniche di cui al d.m. 14/9/2005 (G.U. 23/9/2005) dal 23/10/2005, la disciplina in deroga consentiva di continuare ad applicare la normativa previgente e ciò fino al 30/6/2009. Poiché il titolo abilitativo era antecedente al 23/10/2005 e l’inizio dei lavori risaliva al 20/1/2006, l’esponente aveva facoltà d’applicare la normativa antecedente alle leggi nn. 1086/1971 e 64/1974 e, quindi, la progettazione poteva non tenere conto del d.m. 14/9/2005.
7.1. Il motivo è fondato.
Come si è riportato, la sentenza (v. pag. 8) ha accertato in punto di fatto che i lavori iniziarono ex novo il 20/1/2006 in forza di un nuovo titolo abilitativo (il permesso di costruire n. 128/2015). Ha, inoltre richiamato, in conformità, la sentenza del T.A.R. della Regione Puglia, Sez. di Lecce, n. 131/2018.
Tuttavia, essa non ha correttamente individuato la disciplina antisismica applicabile, essendosi limitata (v. pagg. 8 e ss.) a riportare i pareri dei consulenti tecnici (ing. COGNOME e ing. COGNOME), i quali coadiuvano il giudice per gli accertamenti fattuali e tecnici, ma non possono di certo prenderne il posto nella sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta, prevista dal legislatore.
L’individuato difetto non consente a questa Corte di conoscere quale sia la scelta motivata fatta propria dalla Corte locale e, in conseguenza, di valutare la conformità a diritto della realizzazione del giunto tecnico.
Con il terzo motivo , posto in via di subordine rispetto al secondo, si denuncia violazione e falsa applicazione del d.m. 14/9/2005 e dell’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274/2003, sostenendosi non essere necessario che il giunto tecnico corra dalle fondamenta fino alla sommità del torrino dell’immobile della COGNOME.
8.1. L’esposto motivo resta logicamente assorbito in senso proprio dall’accoglimento del secondo.
Con il quarto motivo si denuncia nullità della sentenza per violazione degli artt. 111 Cost. e 132, n. 4, cod. proc. civ.
Deduce la ricorrente che la sentenza, in assenza assoluta di motivazione, o con motivazione apparente, aveva confermato la liquidazione del danno effettuata dal Tribunale, senza in alcun modo valutare le conclusioni del c.t.u., il quale, alle pagg. da 36 a 41 della sua relazione aveva escluso che una parte delle lesioni lamentate dall’attrice potessero addebitarsi ai lavori di costruzione dell’edificio della ricorrente.
9.1. Il motivo è fondato sotto il profilo della motivazione apparente.
Come chiarito anche dalle SSUU il vizio di motivazione apparente ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante, Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 2023; Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016 Rv. 641526; Sez. U,
Sentenza n. 16599 del 2016; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022 Rv. 664061; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019 Rv. 654145).
Nel caso in esame, deve rilevarsi l’insanabile vuoto motivazionale della sentenza, la quale ha affermato che sulla base delle risultanze della c.t.u. doveva reputarsi sussistere il nesso di causalità fra le lesioni sul muro di confine del fabbricato della COGNOME e le opere edili effettuate da RAGIONE_SOCIALE. Per contro, riporta la ricorrente, con sufficiente specificità, che il consulente tecnico aveva escluso, alle pagg. da 36 a 41 della sua relazione, la connessione eziologica con i lavori di una parte delle cavillature riscontrate nell’edificio della COGNOME.
Come si vede, il vizio si concretizza nel fatto che l’ordito argomentativo della sentenza si risolve nell’apparenza motivazionale (benché graficamente esistente esso non rende percepibile il fondamento della decisione, perché recante una spiegazione obiettivamente inidonea a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture.
Per vero l’aver affermato di condividere le risultanze della c.t.u., tuttavia giungendo a diversa conclusione, senza dare spiegazione alcuna del diverso opinamento, non può che integrare una mera parvenza di motivazione.
10. In conclusione, per le ragioni esposte la sentenza deve essere cassata con rinvio. Il Giudice del rinvio (che si individua nella stessa Corte, ma in diversa composizione) regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo, il secondo e il quarto motivo del ricorso e dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Lecce, in diversa
composizione, anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità
Così deciso nella camera di consiglio del 24 giugno2024