Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21827 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21827 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 6483 – 2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO , presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO dal quale sono rappresentati e difesi con l’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al controricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 4459/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, pubblicata il 22/12/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/12/2023 dal consigliere COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 5.2.2010, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli -sez. dist. Ischia, i vicini NOME e NOME COGNOME, lamentando che costoro avevano installato, sul lastrico solare dell’immobile di loro proprietà, due serbatoi di acqua potabile collegati con l’appartamento sottostante con relativi tubi di carico e scarico, in violazione dell’art. 889 cod. civ. rispetto alla proprietà degli istanti; chiesero, perciò, di accertare la violazione delle distanze, con conseguente condanna dei convenuti all’arretramento dei serbatoi e tubi sino a distanza legale e al risarcimento dei danni.
I convenuti NOME, costituitisi in giudizio, contestarono la pretesa e spiegarono domanda riconvenzionale per ottenere la condanna degli attori all’arretramento, a distanza legale, del canale di raccolta delle acque pluviali discendente dal loro tetto lungo il muro della cucina in proprietà di COGNOME NOME e del sovrastante cassonetto murario obliquo addossato alla loro fabbrica, con eliminazione della prosecuzione di questo canale all’interno della corte; chiesero, pertanto, di chiamare in causa NOME COGNOME, altra comproprietaria.
Con ordinanza del 17/6/2011, il Giudice istruttore dichiarò l’estinzione del giudizio relativamente alla domanda riconvenzionale per mancata integrazione tempestiva del contraddittorio.
Con sentenza n.10704/2017, il Tribunale di Napoli, sez. di Ischia, per quel che qui ancora rileva, rigettò la domanda di
arretramento dei serbatoi e delle relative condutture di carico e scarico, ritenendo inapplicabile l’art. 889 cod. civ. invocato dagli attori, per essere i due serbatoi impianti fuori terra, non assimilabili né a una cisterna né agli altri impianti contenuti nell’elenco della norma e perciò sottratti alla presunzione di pericolosità e per non essere i tubi attraversati da un flusso costante di acqua, perché destinati al riempimento dei due serbatoi di emergenza, da utilizzarsi per l’erogazione di acqua per uso domestico nei soli giorni – solitamente nel periodo estivo -di interruzione della fornitura idrica pubblica sull’isola d’Ischia.
In accoglimento dell’appello di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, con sentenza n.4459/2020, la Corte d’Appello di Napoli ordinò l’arretramento delle condutture poste lungo il confine, ril evando che, seppure i serbatoi erano utilizzati in limitati periodi dell’anno, comunque i tubi di alimentazione erano attraversati da flusso costante di acqua in quanto collegati alla rete idrica pubblica e, in conseguenza, implicavano pericolo di trasudamento ed infiltrazioni alla proprietà confinante, rispetto a cui erano collocati a distanza inferiore a quella prescritta.
Avverso questa sentenza NOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, a cui hanno resistito con controricorso NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in riferimento all’art. 360 comma 1 n. 3 del cod. proc. civ., NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno lamentato la falsa applicazione dell’art. 889 cod. civ.: la Corte territoriale, a loro dire, avrebbe erroneamente ritenuto le condutture come pericolose, considerandole separatamente dai serbatori cui sono
inscindibilmente collegate e funzionali e di cui ha, invece, escluso la pericolosità.
Per la stessa considerazione di fatto, con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., i ricorrenti hanno prospettato la nullità della sentenza ex art. 132 comma II n. 4 cod. proc. civ., per motivazione apparente, in quanto contraddittoria, sulla valutazione autonoma della natura delle condutture rispetto ai serbatoi.
2.1. I primi due motivi, che possono essere trattati congiuntamente per continuità di argomentazione, sono infondati.
Innanzitutto, quanto alla denunciata nullità ex art. 132 n. 4 cod. proc. civ. per motivazione apparente, questa Corte ha costantemente affermato che che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, nel senso della «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, restando così esclusa qualunque rilevanza del semplice «difetto di sufficienza» della motivazione. Ricorre, allora, il vizio denunciato con il secondo motivo quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante, di
recente, Sez. U, n. 2767 del 30/01/2023, in motivazione, con numerosi richiami; Cass. Sez. 1, n. 7090 del 03/03/2022).
Nella specie, invero, non ricorre alcuna delle ipotesi appena descritte: la Corte territoriale, dedicando alla questione le pag. 6 e 7 della motivazione, ha confermato la non applicabilità ai serbatoi della presunzione ex art. 889 cod. civ. per loro caratteristiche strutturali, in quanto non interrati e realizzati in materiale impermeabile; ha invece ritenuto operante la presunzione di pericolosità delle tubature perché costantemente attraversate dal flusso dell’acqua, seppure, in condizioni di normalità, il liquido ne fuoriesce ad apertura dei rubinetti, come ogni conduttura d’acqua al servizio di immobili.
Nessuna contraddittorietà è ravvisabile in questa motivazione, atteso che serbatoi e tubi, seppure funzionalmente collegati, hanno certamente una ontologica autonomia, tant’è che la loro distanza dal confine è disciplinata differentemente dai due commi del l’art. 889 cod. civ..
Quanto alla dedotta violazione di legge, detto vizio consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. tra le tante, Sez. 1 , Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019).
Ciò chiarito, deve ancora sottolinearsi che sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, non è consentito con il ricorso chiedere, a questa Corte di legittimità, una rivalutazione dei fatti storici operata
dal giudice di merito (Sez. U n. 34476 del 27/12/2019: nella specie, i ricorrenti hanno chiesto alla Corte di Cassazione proprio di considerare i tubi quali accessori dei serbatoi, non separabili, diversamente da quanto ritenuto in sentenza.
In diritto, nessuna violazione di legge o falsa applicazione è ravvisabile nella sentenza impugnata.
Questa Corte ha costantemente affermato, infatti, che nella distinzione «tubi d’acqua pura o lurida» adoperata dal comma 2 dell’art. 889 cod. civ. per stabilire la distanza minima dal confine, deve ritenersi compresa ogni specie di conduttura che serva al passaggio e, comunque, allo scolo di acque, addirittura anche i canali di gronda che, per loro funzione, sono attraversate dall’acqua soltanto in seguito alla pioggia e, perciò, ad intervalli conseguenti al fenomeno (Cassazione civile, sez. II, 28/11/1994, n. 10146; Cassazione civile, sez. II, 08/05/1981, n. 3013 fino a Cassazione civile, sez. II, 24/05/2019, n. 14273); la Corte territoriale, pertanto, ha ricostruito correttamente la nozione di tubi rilevante secondo l’art. 889 II comma, ritenendo l’autonom ia ontologica delle condutture, rispetto al serbatoio o alla cisterna di adduzione, in considerazione della loro funzione e della pericolosità presunta che ne deriva.
Con il terzo motivo, articolato in riferimento al n. 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per omesso esame di fatto decisivo: la Corte territoriale, ponendo a base della sua motivazione la considerazione che i tubi per cui è giudizio «sono attraversati da un flusso costante d’acqua» perché collegati alla rete idrica, non avrebbe considerato che la c.t.u. ha stabilito che le tubazioni per cui è giudizio sono collegate all’appartamento della odiern a ricorrente COGNOME e che i serbatoi installati hanno una funzione di riserva di acqua, sicché non sarebbero «utilizzati per un continuo flusso di acqua»; in tal senso, allora, le tubature
sarebbero escluse dall’applicazione dell’art. 889 cod.civ. per il principio di diritto pacificamente affermato da questa Corte secondo cui la disciplina di cui all’art. 889 c.c. non si applica a quelle tubazioni non attraversate da un flusso costante di liquido o gas.
3.1. Il motivo è inammissibile. La Corte d’appello non ha omesso di considerare la natura dei serbatoi e il loro utilizzo, come riportati dal c.t.u., ma ha esplicitamente affermato, sul punto, che «…per qualsiasi conduttura dell’acqua al servizio di immobi li -al pari dei tubi in esame collegati ai serbatoi di riserva – la costanza del flusso d’acqua non va riferita all’utilizzo giornaliero dell’impianto ma alla presenza costante d’acqua nelle tubazioni pronte all’erogazione all’occorrenza. A voler opinare come il primo giudice, dovrebbe allora escludersi la pericolosità intrinseca dei tubi in tutti i casi di immobili/appartamenti saltuariamente o stagionalmente abitati dai proprietari perché anche per essi l’erogazione effettiva dalla rete idrica pubbli ca è limitata solo ad alcuni periodi dell’anno. Il che non è».
È evidente, allora, che le considerazioni del c.t.u. sul punto, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, sono state prese in esame, ma non condivise perché ritenute non decisive in fatto e in diritto, in quanto è stata ritenuta rilevante, per l’art. 889 II comma cod. civ. co me interpretato da questa Corte, la presenza costante dell’acqua nei tubi, seppure erogata soltanto con l’apertura del rubinetto, per la potenziale attitudine ad arrecare danno alla proprietà contigua a causa di infiltrazioni o trasudamenti; la presunzione di questa pericolosità non ammette prova contraria ( ex multis , Cass. Sez. 2, n. 25475 del 16/12/2010; Sez. 2, n. 14273/2019 cit.).
Per sua formulazione, allora, tutta la censura, ancora una volta, si risolve in una inammissibile sollecitazione a una diversa valutazione dei fatti in merito.
Con il quarto motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., i ricorrenti hanno denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92 cod. proc. civ. per avere la Corte d’appello, in considerazione della soccombenza reciproca, compensato le spese soltanto parzialmente invece che interamente.
Con il quinto motivo, articolato in riferimento al n. 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., i ricorrenti hanno infine sostenuto la nullità della sentenza ex art. 132, n. 4 cod. proc. civ. per omessa motivazione in relazione all’imposizione a loro carico del pagamento delle spese per la frazione non compensata.
5.1. Entrambi i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente perché connessi, sono infondati.
La Corte d’appello ha compensato parzialmente le spese, ponendo il residuo a carico degli attuali ricorrenti, secondo il principio di soccombenza, in considerazione dell’accoglimento soltanto parziale di alcuni capi della domanda degli attori (la motivazione è a pag. 8 della sentenza).
Sul punto, in diritto, deve considerarsi che l’accoglimento parziale di un’unica domanda articolata in più capi, seppure può costituire soccombenza reciproca, comunque non consente la condanna della parte ritenuta vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, comma 2, cod. proc. civ.
Quindi, per principio consolidato, il sindacato di legittimità sulle pronunzie dei giudici del merito sulle spese, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3, del codice di procedura civile, è diretta solamente ad accertare che non risulti violato il principio secondo cui esse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa,
rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione della opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nella ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass. Sez. I, n. 24056 del 06/09/2021; Sez. I, n. 11157 del 27/04/2023).
Infine, la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ., rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito: l’esercizio di questo potere resta sottratto al sindacato di legittimità, non sussistendo alcun obbligo di rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Sez. 2, n. 2149 del 31/01/2014; Sez. 2, n. 30592 del 20/12/2017; Sez. 6 – 3, n. 14459 del 26/05/2021).
Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna dei ricorrenti in solido al rimborso delle spese processuali liquidate in dispositivo in relazione al valore.
Va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda