Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 17793 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 17793 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 05013/2021 R.G. proposto da
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME.
-ricorrente – contro
NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME presso il cui studio in Vasto, INDIRIZZO è elettivamente domiciliato.
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 1026/2020, resa dalla Corte d’Appello di L’Aquila, pubblicata il 20/7/2020 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/05/2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
1. Con atto di citazione notificato il 7/3/2008, COGNOME NOME, proprietario di cinque unità immobiliari ubicate nel condominio RVA1 sito in Vasto e comproprietario della strada privata INDIRIZZO convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Vasto, NOME, proprietario di un fabbricato confinante con la predetta strada privata, in quanto, nell’area cortilitizia un tempo adibita a giardino, aveva realizzato una nuova costruzione in aderenza all’edificio già esistente, consistente in due piani e mansarda con finestre e copertura per metà a tetto e per metà a terrazza, a distanza inferiore rispetto a quella prevista dal regolamento comunale e dal codice civile, chiedendone la condanna alla riduzione ripristino mediante abbattimento della costruzione realizzata a distanza illegale e al risarcimento del danno.
Costituitosi in giudizio, NOME contestò le domande attoree, rappresentando di aver realizzato, con permesso del Comune di Vasto, un porticato per il quale non doveva applicarsi la distanza minima di 10 mt. prevista per gli edifici di nuova costruzione con pareti finestrate, contestò la titolarità del diritto di proprietà dell’attore sulla strada, che doveva considerarsi di uso pubblico e quindi equiparata alle strade pubbliche per le quali non trovavano applicazione le norme sulle distanze, e chiese il rigetto delle domande e la condanna dell’attore per lite temeraria.
Con sentenza n. 399/2014 del 14/10/2014, il Tribunale di Vasto accolse la domanda dell’attore.
Il giudizio di gravame, instaurato da NOME si concluse, nella resistenza di COGNOME NOME, con la sentenza n. 1026/2020, pubblicata il 20/7/2020, con la quale la Corte d’Appello
di L’Aquila rigettò l’appello, considerando pacifica la qualificazione dell’opera in termini di costruzione; accertata la sua collocazione in zona B1A disciplinata dall’art. 9 delle N.T.A. del P.R.G. che rinvia agli artt. 56, 57 e 58 delle medesime N.T.A., operante l’inserzione automatica dell’art. 9 d.m. 2 aprile 1968, n. 1444; infondata la proposta qualificazione della strada come pubblica e, comunque, irrilevante alla luce dell’art. 57 delle N.T.A.; infondata la doglianza sulla condanna al risarcimento, essendo il danno in siffatte fattispecie in re ipsa .
Avverso la suddetta sentenza, NOME propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi. COGNOME NOME resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Considerato che :
1.1 Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la nullità della sentenza per errores in procedendo e la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del giudicato, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano ritenuto applicabile il ridetto d.m. n. 1444 del 1968 sul rilievo che la normativa dello strumento urbanistico (art. 99 delle N.T.A.), espressamente invocato dall’appellante, non contenesse alcuna disposizione sulle distanze, senza considerare che né le parti, né il c.t.u. avevano mai fatto riferimento a tale normativa, sulla quale non vi era stato alcun contraddittorio, con la conseguenza che era stato violato sia il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in ragione della realizzata ultrapetizione, sia quello del giudicato, posto che la qualificazione della domanda, in assenza di specifico motivo, non poteva essere modificata, e senza tener conto delle modifiche legislative apportate al citato d.m. dalla legge n. 55 del 2019. Peraltro, nessun contrasto vi era
stato tra la normativa statale e quella comunale, tale da dar luogo all’inserimento automatico delle disposizioni del d.m. del 1968, ma si era soltanto ritenuto, sulla scorta del parere personale del c.t.u., che il regolamento locale fosse silente in tema di distanze, benché l’art. 99 del medesimo contenesse tutti i parametri destinati a disciplinare l’attività edilizia (allineamento e altezze), senza fare alcuna menzione degli artt. 56, 57 e 58.
1.2 Il primo motivo è infondato.
Si osserva, innanzitutto, che i principi della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ. e del tantum devolutum quantum appellatum ex artt. 434 e 437 cod. proc. civ., lamentati dal ricorrente, implichino il divieto, per il giudice, di attribuire alla parte un bene della vita diverso da quello richiesto ( petitum mediato ) oppure di emettere qualsiasi pronuncia su domanda nuova, quanto a causa petendi , ma non gli impediscano di rendere la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, o in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi e, in genere, all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante (Cass., Sez. L, 12/5/2006, n. 11039; Cass., Sez. L, 11/7/2007, n. 15496; Cass., Sez. 6-L, 11/1/2019, n. 513), o in base a ragioni diverse da quelle adottate dal giudice di primo grado o formulate dalle parti, attraverso l’evidenziazione, nella motivazione, di elementi di fatto risultanti dagli atti, ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice, purché si resti nell’ambito del petitum e della causa petendi (Cass., Sez. 6-L, 11/1/2019, n. 513; Cass., Sez. 3, 25/9/2009, n. 20652). Il vizio in esame riguarda, infatti, soltanto l’ambito oggettivo della pronuncia, e non anche le ragioni di diritto e di fatto assunte a sostegno della decisione (Cass. Sez. 2, 26/1/2021, n. 1616).
Nella specie, rientra senz’altro nei limiti sopra indicati l’individuazione, da parte del giudice, delle norme applicabili in materia di distanze, operando sul punto il principio iura novit curia , in virtù del quale spetta al giudice e quindi anche a questa Corte di legittimità acquisire conoscenza d’ufficio, quando la violazione sia dedotta dalla parte, delle prescrizioni che disciplinano le distanze nelle costruzioni, anche con riguardo ai confini, in quanto integrative del codice civile (art. 873 cod. civ.) e valenza, pertanto, di norme giuridiche (anche se di natura secondaria) (cfr. Cass., Sez. 2, 5/2/2020, n. 2661; Cass., Sez. 2, 02/12/2014, n. 25501; Cass., Sez. 2, 15/06/2010, n. 14446).
Tale principio rileva a maggior ragione con riguardo ai contenuti del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, il quale ha efficacia di legge dello Stato, essendo stato emanato su delega del legge 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41quinquies (c.d. legge urbanistica), sicché le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica (Cass., Sez. U, 07/07/2011, n. 14953, Rv. 617949), con la conseguenza che, come chiarito da Cass., Sez. 2, 12/12/2017, n. 29732, non massimata, le distanze “minime” tra fabbricati per ciascuna zona territoriale omogenea, dettate dall’art. 9 del ridetto d.m., acquistano efficacia precettiva, in quanto integrativa dell’art. 873 cod. civ., anche nei rapporti tra privati, sia quando siano recepite dallo strumento urbanistico, sia quando vi siano inserite automaticamente sia in caso di disposizioni contrastanti con il suddetto d.m., sia di mancata previsione di norme sulle distanze.
Ciò comporta che nessuna violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato possa ravvisarsi
nell’individuazione, ad opera del giudice, della corretta normativa applicabile, alla quale è, peraltro, come si è visto tenuto.
Né può dirsi che con l’applicazione di tale disposizione i giudici di merito abbiano violato il giudicato, come pure lamentato.
Questa Corte ha, infatti, già avuto modo di affermare che il giudicato interno si forma solo su di un capo autonomo di sentenza che, restando del tutto indipendente, risolva una questione avente una propria individualità e autonomia, la quale non può dirsi sussistente allorché consista in una mera argomentazione, ossia nella semplice esposizione di un’astratta tesi giuridica, pur se funzionale a risolvere questioni strumentali rispetto all’attribuzione del bene controverso. In quest’ultimo caso, infatti, l’impugnazione della pronunzia di merito coinvolge necessariamente anche il ragionamento giuridico – esatto o errato che sia – che la sostiene, lasciando libero il giudice dell’impugnazione di confermare la decisione anche sulla base di una diversa motivazione in diritto (Cass., Sez. 1, 30/6/2022, n. 20951; Cass., Sez. 3, 05/09/2005, n. 17767; Cass., Sez. 1, 28/10/2005, n. 21092; Cass., Sez. 2, 03/07/2003, n. 10527; Cass., Sez. 3, 23/01/2002, n. 738; Cass., Sez. 3, 17/05/2001, n. 6757; Cass., Sez. 3, 02/10/1997, n. 9628). In particolare, ai fini della selezione delle questioni, di fatto o di diritto, suscettibili di devoluzione e, quindi, di giudicato interno se non censurate in appello, la locuzione giurisprudenziale ” minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno ” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che a esso ricolleghi un dato effetto giuridico, con la conseguenza che, sebbene ciascun elemento di detta sequenza possa essere oggetto di singolo motivo di appello, nondimeno l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo di essi riapre la cognizione sull’intera statuizione (fra le
tante Cass., Sez. 3, 19/10/2022, n. 30728; Cass., Sez. 6-L, 12/8/2018, n. 24783, non massimata).
E’ allora evidente come l’impugnazione proposta sulla sussistenza o meno della dedotta violazione delle norme in tema di distanze abbia reinvestito il giudice di merito dell’intera questione, permettendogli di individuare la normativa applicabile alla specie.
Deriva da quanto detto l’infondatezza della censura.
2. Con il secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 872 cod. civ., della legge 5 agosto 1978, n. 457, degli artt. 27, 28 e 29 della legge Abruzzo 12 aprile 1983, n. 18, dell’art. 5 della legge 14 giugno 2019, n. 55, e dell’art. 99 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Vasto, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello applicato il d.m. n. 1444 del 1968, ritenendo che si fosse in presenza di un vuoto normativo, senza considerare che l’assenza di indicazioni sulle distanze nell’art. 99 delle N.T.A., in quanto afferenti alle zone di recupero, non comportava il ricorso agli artt. 56, 57 e 58 N.T.A.; che il predetto d.m. non costituiva un limite invalicabile, in quanto l’art. 2 -bis del d.P.R. n. 380 del 2001 ne consentiva la deroga; che l’art. 9 del d.m., come interpretato dall’art. 5 della legge n. 55 del 2019, aveva reso applicabili le distanze ivi previste alle sole zone C di cui al primo comma n. 3, ossia a quelle inedificate o edificate con limiti di superficie destinati a nuovi complessi insediativi, ma non anche alle zone A, cui era assimilabile la zona B1A della specie, per le quali, in caso di operazioni di risanamento conservativo e di ristrutturazioni, le distanze tra costruzioni non potevano essere inferiori a quelle intercorrenti tra volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente prive di valore storico, artistico e ambientale.
3. Con il terzo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 824, 826 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 1, 3 e 5, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito escluso la natura pubblica della strada sulla base dell’assenza di dati meramente formali (provvedimento dell’autorità, convenzione o accertamento dell’usucapione), senza tener conto dei dati sostanziali dati dall’uso da parte di un numero indeterminato di persone, dall’ubicazione della strada nel centro abitato, dalla sua inclusione nella toponomastica comunale, dalla presenza di numerazione civica, dal comportamento concludente della P.A.
4. Il terzo motivo, da trattare per primo per motivi di priorità logica, è fondato.
Si premette al riguardo che i giudici di merito hanno ritenuto infondate le censure riguardanti la natura della strada denominata INDIRIZZO COGNOME, sostenendo che la comproprietà della stessa in capo all’appellante non risultasse dai documenti allegati; che la qualificazione di una strada come pubblica richiedesse la sussistenza di un titolo legale (provvedimento dell’autorità, convenzione con il privato e usucapione in caso di prova dell’uso protratto del bene privato da parte della collettività per il tempo necessario all’acquisto di tale diritto); che la via in questione fosse posta a servizio del complesso edilizio RVA1 – ove si si trovavano gli immobili dell’appellato -e dei residenti negli immobili retrostanti; che la presenza di paletti infissi al suolo, ammessa dallo stesso appellante, impedisse l’accesso a INDIRIZZO con gli automezzi; che comunque la natura della strada non impedisse di considerare integrata la violazione della distanza di mt. 5 dalle strade urbane di quartiere, dalle strade locali e da altre strade non classificate nei centri abitati, imposta dall’art. 57 delle N.T.A. del P.R.G., essendo stato il manufatto realizzato al confine con la INDIRIZZO
Orbene, tali considerazioni non tengono conto del principio, più volte espresso da questa Corte, secondo cui, ai fini dell’esonero dall’obbligo dell’osservanza delle distanze legali nelle costruzioni, può essere invocata la presunzione iuris tantum di demanialità stabilita dall’art. 22 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. F, restato in vigore anche dopo il d.lgs. 1 dicembre 2009, n. 179, il quale stabilisce che « Il suolo delle strade nazionali è proprietà dello Stato; quello delle strade provinciali appartiene alle province ed è di proprietà dei comuni il suolo delle strade comunali. . Nell’interno delle città e villaggi fanno parte delle strade comunali, le piazze, gli spazi e i vicoli ad esse adiacenti e aperti sul solo pubblico, restando però ferme le consuetudini, le convenzioni esistenti e i diritti acquisiti ».
L’operatività della presunzione iuris tantum di demanialità contenuta nella suddetta disposizione anche agli effetti degli artt. 879, secondo comma, e 905, terzo comma, cod. civ., rispetto alle piazze, agli spazi ed ai vicoli all’interno delle città, adiacenti alle strade comunali o aperti sul suolo pubblico, postula, in sostanza: l’ubicazione delle aree all’interno dell’abitato; l’immediata contiguità di esse alla via pubblica; l’essere le stesse in comunicazione diretta con il suolo pubblico.
Avverso la stessa può essere fornita la prova contraria, che la legge circoscrive all’esistenza di consuetudini che escludano la demanialità per il tipo di aree di cui faccia parte quella considerata o di convenzioni che attribuiscano la proprietà ad un soggetto diverso dal comune ovvero alla natura privata della proprietà dell’area stessa), tenendo presente che la convenzione che qualifichi le strade come private non equivale a quella che attribuisce le aree medesime a soggetti diversi dal Comune e che resta irrilevante la loro mancata inclusione nell’elenco delle strade
comunali, atteso il carattere dichiarativo, e non costitutivo di detto elenco.
In tutti i casi, il giudizio relativo all’esistenza in concreto dei requisiti per l’applicazione di detta presunzione costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (in questi termini Cass., Sez. 2, 20/3/1991, n. 2974; Cass., Sez. 2, 16/2/1993, n. 1927; Cass., Sez. 2, 27/5/2002, n. 7708).
La Corte d’Appello, come si è visto, non si è attenuta ai suddetti principi, in quanto non ha verificato se, alla luce del compendio probatorio acquisito, sussistessero gli elementi per ritenere superata la presunzione di demanialità della strada, ciò che comporta la fondatezza della censura.
L’accoglimento del terzo motivo comporta l’accoglimento anche del secondo.
I giudici di merito, dopo avere considerato il manufatto, realizzato dal Flamini in zona B1A, come nuova costruzione, soggetta, in quanto tale, al rispetto delle distanze sancite dal codice civile e dai regolamenti locali, hanno evidenziato che l’art. 99 delle N.T.A. del Comune di Vasto, approvato con delibera c.c. n. 45 del 19/4/2000, vigente all’epoca dell’edificazione, subordinava le trasformazioni edilizie all’approvazione di un piano di recupero, in assenza del quale erano consentiti interventi di ristrutturazione con ampliamento ex art. 64 lett. D), N.T.A., purché nel rispetto delle distanze di mt. 10 tra pareti finestrate, come sancito dal D.M. n. 1444 del 1968, avente immediata e inderogabile portata precettiva, idonea a integrare il regolamento privo di indicazioni al riguardo o a sostituirne le previsioni in contrasto con esso.
Orbene, l’art. 9 del ridetto d.m. n. 1444 del 1968, stabilisce, in particolare, che «Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:
Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale;
Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;
Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all’altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml. 12.
Le distanze minime tra fabbricati – tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di: ml. 5 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7; ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15; ml. 10 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.
Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all’altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all’altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche».
Tuttavia, a norma dell’art. 5, comma 1, lettera bbis ), del D.L. 18 aprile 2019, n. 32, convertito con modificazioni dalla legge 14 giugno 2019, n. 55, « le disposizioni di cui all’art. 9, commi secondo
e terzo, del suddetto d.m., si interpretano nel senso che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti esclusivamente alle zone di cui al primo comma, numero 3), dello stesso articolo 9) » (ossia alle zone C, tali essendo quelle parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o nelle quali l’edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie e densità di cui alla precedente lettera B), norma che, come chiarito da Cass., Sez. 2, 12/3/2021, n. 7027, ha carattere interpretativo, in quanto recepisce le indicazioni provenienti sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. T.A.R. Genova sez. I, 28/11/2018, n. 933, secondo cui il secondo comma ed il primo periodo del terzo comma dell’articolo 9 DM 1444 del 1968 sono applicabili ai soli edifici ubicati in zona urbanistica “C”, posto che detta interpretazione, oltre che basata sul tenore letterale della normativa richiamata, trae fondamento da una lettura logico-sistematica della disciplina, che regola in modo differenziato la pianificazione urbanistica a seconda del diverso stato di urbanizzazione delle aree, differenziando le prescrizioni a seconda che l’edificazione venga effettuata in aree in gran parte già edificate e urbanizzate, in zone di espansione o di nuova edificazione).
Posto che tale disposizione esclude le zone diverse dalla C dall’applicazione delle distanze tra fabbricati tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli, appare evidente come, parlandosi nella specie di zona B1A, assuma valenza essenziale la previa individuazione della natura pubblica o privata della strada, potendo trovare applicazione il primo comma dell’art. 9, n. 2, del d.m. n. 1444 del 1968, quale norma integrativa sulle distanze in assenza di altre determinazioni negli strumenti urbanistici locali (in tal senso Cass., Sez. 2, 10/5/2023, n. 12562;
Cass., Sez. 2, 12/12/2017, n. 29732; Cass., Sez. 2, 26/7/2016, n. 15458), soltanto in quest’ultimo caso.
6.1 Con il quarto motivo, si lamenta, infine, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito dichiarato che il danno in siffatte evenienze fosse in re ipsa , senza considerare che l’attore non aveva dimostrato di avere subito effettivamente alcun danno.
6.2 Il quarto motivo resta assorbito dall’accoglimento del secondo e del terzo.
In conclusione, dichiarata l’infondatezza del primo motivo, la fondatezza del secondo e del terzo e l’assorbimento del quarto, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di L’Aquila, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte di cassazione accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso, rigettato il primo ed assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di L’Aquila, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28/05/2025.