Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24936 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24936 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/09/2024
Oggetto:
Distanze legali
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3138/2020 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO del Foro dell’Aquila con procura speciale in calce al ricorso ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-ricorrente – contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO del Foro dell’Aquila, con procura speciale a margine del controricorso, ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dello stesso difensore;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello dell’Aquila n. 982 depositata il 5 giugno 2019 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 dicembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Osserva in fatto e in diritto
Con atto di citazione notificato il 28 maggio 2004, NOME COGNOME evocava in giudizio, dinnanzi al Tribunale di L’Aquila, NOME COGNOME, chiedendone la condanna al ripristino delle distanze e al risarcimento del danno arrecato alla propria veduta, a seguito di lavori di ristrutturazione del suo fabbricato, effettuati in violazione dell’art. 46 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune dell’Aquila e della concessione edilizia allo stesso rilasciata, per avere ampliato con sopraelevazione sul prolungamento delle mura esistenti sia la parte in adiacenza all’edificio di proprietà attorea sia la porzione di piano terra a confine con la corte antistante l’abitazione di proprietà di NOME COGNOME, facendo diventare la stessa di due piani così come il resto dell’intero edificio del convenuto .
Instaurato il contraddittorio, resisteva NOME COGNOME oltre a svolgere domanda riconvenzionale con cui lamentava l’illegittima sopraelevazione di m. 2 del fabbricato dell’attore per avere lo stesso realizzato una mansarda in spregio alla disciplina delle distanze previste per le nuove costruzioni, per cui ne chiedeva l’arretramento e la condanna al risarcimento .
Il giudice adito, espletata C.T.U. ed escussi i testi, con sentenza n. 603 del 24 ottobre 2013, rigettava sia la domanda attorea sia quella riconvenzionale, compensando le spese di lite.
I n virtù di gravame interposto dall’originario attore, la Corte di appello di L’Aquila, nella resistenza dell’appellato che formulava anche appello incidentale, con sentenza n. 982/2019, pubblicata il 5 giugno 2019, accoglieva tanto l’appello principale quanto l’incidentale, condannando NOME COGNOME all’arretramento di m. 3,00 della parte di fabbricato sopraelevata e al pagamento di euro 5.000 quale risarcimento del danno liquidato in via equitativa;
ordinava a NOME COGNOME di abbassare la sopraelevazione/sottotetto del suo fabbricato di m. 1,30 e per la lunghezza di m. 6 dal confine, con compensazione anche delle spese di appello.
A sostegno della decisione adottata la Corte distrettuale evidenziava che l’opera realizzata da NOME COGNOME costituiva una vera e propria nuova costruzione, avente volumetria maggiore rispetto a quella originaria e diversa sagoma per avere trasformato il terrazzo aperto posto al primo piano in un ambiente coperto con ampliamento anche del vano WC. Con la conseguenza che avrebbero dovuto essere rispettate le distanze di cui all’art. 46 delle N.T.A. vigenti all’epoca, norma che prevedeva distanze minime di « 3,00 mt. dai confini » e « 6,00 mt. tra edifici ». Né rilevava la circostanza che per l’opera fosse stata rilasciata concessione edilizia proprio nei termini in cui l’opera era stata realizzata, trattandosi di titolo edilizio non incidente su diritti soggettivi, e a tal fine riconosceva anche il danno in re ipsa di euro 5.000,00; secondo la Corte di merito, la stessa relazione peritale evidenziava, altresì, che la sopraelevazione, realizzata dall’originario attore e risalente agli anni ’60, era stata ulteriormente rialzata di m. 1,30 con l’apposizione di blocchi di cemento e rifacimento del tetto con travi e tavole di legno che già ad un esame visivo non apparivano affatto vetuste, così da poterne presumibilmente collocare la realizzazione negli anni ’90, come riferito anche dai testi indotti da NOME COGNOME, le cui dichiarazioni erano risultate suffragate dalla C.T.U.
P er la cassazione della sentenza della Corte di appello dell’Aquila NOME COGNOME propone ricorso, articolato in tre motivi, cui resiste con controricorso NOME COGNOMECOGNOME
In prossimità dell’adunanza camerale il solo ricorrente ha curato anche il deposito di memoria ex art. 380 bis. 1 c.p.c.
Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5) c.p.c., per travisamento delle prove, per avere il giudice del merito illegittimamente rigettato l’eccezione di usucapione relativa alla sopraelevazione della mansarda, non tenendo in debito conto le conclusioni del C.T.U. secondo il quale, contrariamente a quanto sostenuto nella pronuncia impugnata, non risulterebbe accertabile la data di esecuzione della sopraelevazione, circostanza che ove esaminata o comunque correttamente interpretata avrebbe, a cascata, inficiato la stessa attendibilità delle dichiarazioni dei testi di parte appellata.
Il motivo è infondato.
Va preliminarmente precisato che non vi è interferenza con la questione rimessa alle SSUU in ordine al travisamento delle prove (v. ordinanze interlocutorie n. 11111/2023 e 8896/2023), non venendo qui in rilievo l’ipotesi del travisamento in senso proprio, per non avere il ricorrente contestato il fatto nella sua oggettività, ossia le caratteristiche costruttive della sopraelevazione realizzata ed adibita a mansarda, ma la valutazione delle stesse ai fini della decisione, che costituisce una tipica questione di merito.
Tanto chiarito, nella sostanza, il ricorrente invoca un improprio riesame di merito degli apprezzamenti istruttori, fondati sulle risultanze testimoniali e della consulenza tecnica di ufficio: accertamento che, ovviamente, è precluso al giudice di legittimità.
Sotto altro profilo, va ricordato che la ricostruzione probatoria, anche qualora sostenuta dall’asserita violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può essere contestata in questa sede, poiché, come noto, l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito non è sindacabile, neppure attraverso l’evocazione dell’art. 116 c.p.c., in quanto una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr., Cass. n. 27000 del 2016). Punto di diritto, questo, che ha
trovato conferma nei principi enunciati dalle Sezioni Unite anche in epoca recente (sent. n. 20867 del 2020, conf. Cass. n. 16016 del 2021), essendosi affermato che in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione. E inoltre per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.
Nella specie la Corte di appello ha ampiamente ed approfonditamente esaminato le conclusioni dell’ausiliario del giudice e ritenendo illogica ed erronea l’interpretazione delle stesse operata dal giudice di prime cure, da una preminenza letterale delle valutazioni del c.t.u., ha tratto il convincimento che la
sopraelevazione era successiva all’epoca di edificazione dell’originario fabbricato (v. pag. 6 della sentenza impugnata) e da questo ha poi concluso -anche sulla base delle prove testimoniali di parte appellata -che la sua realizzazione era da collocare negli anni ’90, contrariamente a quanto affermato dai testi di parte appellante principale, argomentando in modo logico ed adeguato le ragioni di siffatta differenza, ravvisate soprattutto nella diversità delle caratteristiche costruttive fra la prima parte dell’edificio e quella rialzata, circostanze che non trovano alcuna critica nel motivo articolato.
– con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ex art. 360, co. 1, n. 3) c.p.c., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 46 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di L’Aquila, in combinato disposto con gli artt. 872 e 873 c.p.c., per avere il giudice di merito errato nel condannare il ricorrente ad arretrare la sopraelevazione del proprio fabbricato di mt 6,00 in applicazione dell’art. 46 delle NTA del PRG locale anziché a m. 3,00 dal confine, come invece sarebbe previsto dalla normativa regolamentare, considerata l’insussistenza del presupposto della frontistanza dei due manufatti per l’applicazione della disciplina in materia di distanze legali tra gli edifici, in quanto il fabbricato del ricorrente nella parte del tetto supererebbe l’altezza dell’edificio della controricorrente.
Il secondo motivo è fondato per quanto di ragione e nei termini di seguito esposti.
Va subito chiarito che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, le norme dei regolamenti edilizi che impongono distanze tra le costruzioni maggiori rispetto a quelle previste dal codice civile o stabiliscono un determinato distacco tra le costruzioni e il confine sono volte non solo a regolare i rapporti di vicinato evitando la formazione di intercapedini dannose, ma anche a soddisfare esigenze di carattere generale, come quella della
tutela dell’assetto urbanistico, così che, ai fini del rispetto di tali norme, rileva la distanza in sé, a prescindere dal fatto che gli edifici si fronteggino (tra le varie, v. Sez. 2 – , Ordinanza n. 22054 del 11/09/2018; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 3854 del 18/02/2014). Quindi l’accertamento della frontistanza non è un dato rilevante ai fini che qui interessano, trattandosi di applicare la normativa regolamentare locale.
La Corte di appello ha constatato che NOME COGNOME ha sopraelevato l’edificio preesistente di 130 cm, con conseguente maggiore estensione in altezza e in ampiezza del fabbricato originario. La sopraelevazione realizzata ha superato le distanze legali tra i due edifici (6,00 metri) previste dalle N.T.A. del P.R.G. del Comune di L’Aquila, aggettando verso la proprietà di NOME COGNOME.
La Corte di appello è pervenuta a questi esiti analizzando direttamente i documenti grafici prodotti in atti e i rilievi fotografici del sottotetto effettuati dal c.t.u., che evidenziano ‘l’apposizione di blocchi di cemento sull’originario muro di pietra’, e ha desunto che l’opera realizzata integri la realizzazione di una nuova costruzione, soggetta all’obbligo delle distanze, richiamando la distinzione tra ricostruzione e nuova costruzione tracciata da questa Corte.
La decisione è, pertanto, corretta laddove ha definito nuova la costruzione comportante un aumento di volumetria e sagoma, con conseguente violazione delle distanze fra costruzioni, ma è errata nel disporre di abbassare il manufatto nuovo, e non già di arretrare lo stesso sino al rispetto del distacco minimo tra costruzioni. Infatti, ne è derivato un dispositivo della sentenza incerto, oltre che contradditorio con la motivazione (ove si parla di distanza tra edifici (v. pag. 6 penultimo capoverso della motivazione), privo di indicazioni sulle modalità di ‘abbassamento’ (e dunque difficilmente eseguibile), per il quale NOME COGNOME viene condannato ad ‘ abbassare la sopraelevazione/sottotetto del suo fabbricato di m. 1,30 per la lunghezza di m. 6 dal confine ‘.
Questa Corte ha chiarito che in tema di distanze legali, sono da ritenere integrative del codice civile le disposizioni dei regolamenti edilizi locali relative alla determinazione della distanza tra i fabbricati in rapporto all’altezza e che regolino, con qualsiasi criterio o modalità, la misura dello spazio che deve essere osservato tra le costruzioni, mentre le norme che, avendo come scopo principale la tutela d’interessi generali urbanistici, disciplinano solo l’altezza in sé degli edifici, senza nessuna relazione con le distanze intercorrenti tra gli stessi, proteggono, nell’ambito degli interessi privati, esclusivamente il valore economico della proprietà dei vicini, con la conseguenza che, nel primo caso, sussiste, in favore del danneggiato, il diritto alla riduzione in pristino, nel secondo, invece, è ammessa unicamente la tutela risarcitoria (Cass. n. 5142 del 2019; precedentemente, Cass. n. 1073 del 2009).
La decisione della Corte di merito, per contro, risulta non avere consapevolezza di siffatti profili e la pronuncia dà conto di una misura di tutela, quale l’ abbassamento del manufatto, che non risulta contemplata dalla legge , giacchè ai sensi dell’art. 873 c.c. il giudice deve ordinarne la riduzione in pristino con demolizione delle parti che superano tali limiti (arg. da Cass. 28 novembre 2018 n. 30761), e non può, viceversa, soltanto disporre, come avvenuto nel caso in esame, l’esecuzione di accorgimenti comunque inidonei ad impedire la violazione accertata.
Limitatamente a questa parte della statuizione il motivo va, pertanto, accolto.
Con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza per la violazione e la falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., avendo il giudice di secondo grado ordinato l’arretramento della mansarda alla distanza di m. 6 dall’edificio del vicino, sulla base di una non contestazione dell’applicabilità di tale previsione normativa delle
N.T.A. alla fattispecie, nonostante il principio di non contestazione non sia applicabile alla disciplina giuridica e restando la sua operatività confinata soltanto rispetto ai ‘fatti’ e non alle norme applicabili alla fattispecie.
La terza e ultima censura è inammissibile in quanto la Corte distrettuale (a sostegno del decisum , fondato sulla idoneità del quadro probatorio a supportare la domanda riconvenzionale) si è limitata a rilevare (in termini di mero obiter dictum ) come il rispetto della distanza per una lunghezza di m. 6 fosse non contestata quanto alla sua applicazione in tema di distanze tra edifici, per quanto previsto dall’art. 46 delle N.T.A. vigenti all’epoca in caso di interventi definiti di nuova costruzione, senza che la statuizione abbia una diretta incidenza sulla risoluzione delle quaestiones oggetto specifico del giudizio.
Conclusivamente, va accolto, con le precisazioni di cui sopra, solo il secondo motivo di ricorso, mentre vanno rigettati il primo e il terzo motivo e la sentenza impugnata va cassata la nei limiti del motivo accolto.
Decidendo nel merito a norma dell’art. 384, comma 3 c.p.c., visto che non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, venendo in rilievo nel giudizio in esame una deduzione in tema di violazione delle distanze tra edifici già accertata dal giudice del merito, NOME COGNOME va condannato alla riduzione in pristino mediante arretramento della sopraelevazione di m. 1,30 sino al rispetto della distanza di 6,00 mt dal contiguo edificio.
Le spese del presente giudizio e quelle dei giudizi svoltisi avanti al Tribunale di L’Aquila e della Corte di appello di L’Aquila possono compensarsi per l’intero, stante la reciprocità della soccombenza, tenendo conto del l’esito complessivo della lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie nei termini di cui in motivazione il secondo motivo di ricorso, rigettati il primo ed il terzo;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna NOME COGNOME alla riduzione in pristino mediante arretramento della sopraelevazione di m. 1,30 sino al rispetto della distanza di 6,00 mt dal contiguo edificio.
Dichiara interamente compensate fra le parti le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda