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Distanze legali costruzioni: legge vs regolamento

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4841/2024, ha stabilito l’inderogabilità delle distanze legali costruzioni previste dal Codice Civile. Un regolamento edilizio comunale non può ridurre la distanza minima di tre metri, neppure escludendo dal calcolo le costruzioni al di sotto di una certa altezza. La Corte ha cassato la sentenza d’appello che aveva applicato la norma locale in contrasto con la legge nazionale, riaffermando il principio gerarchico delle fonti del diritto.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Distanze Legali tra Costruzioni: Il Regolamento Comunale Non Può Ridurle

La gestione delle distanze legali costruzioni rappresenta una questione fondamentale nel diritto immobiliare, spesso al centro di accese controversie tra vicini. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 4841/2024) ha ribadito un principio cruciale: i regolamenti edilizi comunali non possono derogare in senso peggiorativo le distanze minime stabilite dal Codice Civile. Analizziamo insieme questa importante decisione.

Il Fatto: Una Costruzione Troppo Vicina

Il caso nasce da una disputa tra proprietari di immobili confinanti in un comune toscano. Uno dei proprietari aveva realizzato una costruzione a soli 1,75 metri dal confine, ma l’edificio in questione aveva un’altezza di 215 cm. La Corte d’Appello, in un primo momento, aveva rigettato la richiesta di arretramento del manufatto. La sua decisione si basava sull’applicazione di un regolamento edilizio locale secondo cui “le costruzioni con altezze inferiori a cm 240 non debbono essere considerate ai fini della distanza”. In pratica, secondo i giudici di secondo grado, quella costruzione, essendo più bassa di 2,40 metri, non andava considerata nel calcolo delle distanze e quindi poteva legittimamente trovarsi a meno di tre metri dal vicino.

La Controversia sulle Distanze Legali Costruzioni

I proprietari dell’edificio confinante hanno impugnato la decisione della Corte d’Appello, presentando ricorso in Cassazione. Il loro argomento principale era la violazione dell’articolo 873 del Codice Civile. Tale articolo stabilisce in modo chiaro che le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a una distanza non minore di tre metri. La norma permette ai regolamenti locali di stabilire una distanza maggiore, ma non inferiore. I ricorrenti sostenevano che il regolamento comunale, restringendo la nozione stessa di “costruzione” rilevante per le distanze, avesse di fatto introdotto una deroga illegittima alla legge nazionale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, cassando la sentenza della Corte d’Appello e rinviando la causa a un nuovo esame. Gli Ermellini hanno affermato con forza il principio della gerarchia delle fonti, secondo cui una norma locale (il regolamento edilizio) non può essere in contrasto con una norma di legge statale (il Codice Civile), soprattutto quando quest’ultima pone dei limiti minimi inderogabili.

Le Motivazioni

La Corte ha chiarito diversi punti fondamentali. Innanzitutto, l’art. 873 c.c. impone una distanza minima di tre metri per proteggere interessi pubblici come la sicurezza e la salubrità, evitando la creazione di intercapedini dannose. Ai regolamenti locali è concessa la facoltà di aumentare questa distanza, ma mai di ridurla.

In secondo luogo, la nozione di “costruzione” ai fini dell’applicazione delle norme sulle distanze è quella definita dalla legge statale e dalla giurisprudenza consolidata. Si considera costruzione qualsiasi manufatto che, per consistenza, stabilità e consistenza, emerga in modo sensibile dal suolo. Questa definizione è unica e non può essere manipolata o ristretta da un regolamento locale. Pertanto, un Comune non può decidere, tramite un proprio atto, che le opere al di sotto di una certa altezza non siano da considerare “costruzioni”.

Di conseguenza, la Corte d’Appello ha errato nel non disapplicare il regolamento comunale in quanto illegittimo, poiché in palese contrasto con una norma di rango superiore. Invece di disapplicare il regolamento, ha finito per disapplicare e violare l’art. 873 del Codice Civile.

Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio cardine del nostro ordinamento: il primato della legge nazionale sulle fonti normative secondarie, come i regolamenti comunali, in materie che toccano diritti fondamentali e standard minimi di sicurezza. Per i proprietari di immobili e i costruttori, la lezione è chiara: non ci si può basare su regolamenti locali che sembrano concedere deroghe favorevoli alle distanze minime, poiché tali norme sono destinate a essere disapplicate dal giudice. La distanza di tre metri fissata dal Codice Civile rimane un baluardo non scalfibile dalla normativa locale, se non per stabilire limiti ancora più restrittivi.

Un regolamento comunale può stabilire una distanza tra costruzioni inferiore a tre metri?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’art. 873 del Codice Civile impone una distanza minima inderogabile di tre metri. I regolamenti locali possono solo stabilire una distanza maggiore, ma mai inferiore.

Un edificio basso, ad esempio di 215 cm, è considerato una ‘costruzione’ ai fini delle distanze legali?
Sì. La nozione di ‘costruzione’ stabilita dalla legge nazionale è unica e si applica a qualsiasi manufatto con caratteristiche di consistenza e stabilità che emerga dal suolo, indipendentemente dalla sua altezza. Un regolamento locale non può restringere questa nozione per escludere le opere al di sotto di una certa altezza.

Cosa deve fare un giudice se un regolamento locale è in contrasto con l’art. 873 c.c.?
Il giudice ha il dovere di disapplicare il regolamento locale. Deve quindi ignorare la norma locale illegittima e applicare direttamente la disposizione del Codice Civile, che ha un rango superiore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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