Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 25908 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 25908 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 11197/2024 r.g. proposto da:
COGNOME rappresentato dalla procuratrice generale NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME e dell’Avvocato Prof. NOME COGNOME che lo rappresentano e difendono giusta procura speciale allegata al ricorso.
– ricorrente –
contro
NOME, in proprio e quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato Prof.ssa NOME COGNOME che li rappr esenta e difende, unitamente all’Avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale allegata al controricorso.
-controricorrenti –
avverso la SENTENZA, n. cron. 625/2024, depositata dalla CORTE D’APPELLO DI MILANO il giorno 01/03/2024. udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 17/09/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE ed il socio accomandatario NOME COGNOME in proprio proposero opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 10594/2019, emesso dal Tribunale di Milano, con cui era stato intimato loro il pagamento, in favore di NOME COGNOME, della somma di € 1.324.756,47, oltre interessi e spese legali, a titolo di saldo del ‘ prezzo convenuto per la cessione delle quote nonché acquisto degli immobili appartenenti alla stessa società ‘ nel contratto preliminare di compravendita del 23 marzo 2015. Riferirono, tra l’altro, che: i ) detta cessione, già oggetto d ell’indicat o preliminare , era stata formalizzata nell’atto notarile del 16 aprile 2015, con cui il COGNOME aveva ceduto le quote della menzionata società a NOME COGNOME oltre che ai fratelli NOME COGNOME e NOME COGNOME ma la parte acquirente ancora non aveva provveduto a versare il corrispettivo pattuito, non essendo scaduti i termini per il relativo pagamento; ii ) con scrittura privata 14 aprile 2016, il COGNOME aveva acquistato da NOME COGNOME l’intero capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE al prezzo di € 2.000.000,00, corrispondendo la somma di € 1.200.000,00 a titolo di caparra confirmatoria, da detrarsi dal credito di € 1.572.756,47 vantato per la cessione delle quote della Immobiliare Val di Sole e, successivamente, NOME COGNOME aveva provveduto a versare al COGNOME, a mezzo di bonifici bancari, la differenza tra il prezzo ancora dovuto per l’acquisto delle quote della RAGIONE_SOCIALE e l’importo compensato per l’acquisto delle quote della società RAGIONE_SOCIALE Conclusero, pertanto, chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo opposto, stante l’intervenuto integrale pagamento.
NOME COGNOME costituendosi in giudizio, eccepì l’invalidità della scrittura privata del 14 aprile 2016, affermando trattarsi di atto da lui sottoscritto in una situazione di incapacità naturale transitoria, indotta dall’assunzione del farmaco Kreppa per la cura dell’epilessia, che aveva alterato la sua capacità di intendere e di volere. Evidenziò, inoltre, che il prezzo indicato in detta scrittura era evidentemente iniquo, avendo ad oggetto tre autorimesse ubicate in una zona periferica di Milano.
Il tribunale accolse l’opposizione e revocò il decreto ingiuntivo.
Il gravame promosso avverso tale decisione da NOME COGNOME fu respinto dall’adita Corte di appello di Milano con sentenza dell’1 marzo 2024, n. 625, pronunciata nel contraddittorio la RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME in proprio.
Per quanto qui di residuo interesse, quella corte: i ) diede atto, preliminarmente, che parte appellante non aveva impugnato la sentenza nella parte in cui era stata affermata l’infondatezza della domanda di annullamento della scrittura privata del 14 aprile 2016 per sua incapacità naturale e laddove era stata evidenziata la mancata contestazione del pagamento, attraverso bonifici, della somma residua ancora dovuta al COGNOME per effetto della scrittura del 24 marzo 2015 azionata in via INDIRIZZO; ii ) negò che le espressioni riportate dalla parte appellante esprimessero un valido disconoscimento della firma apposta alla scrittura di compravendita dell’aprile 2016; iii ) opinò che, « a volere seguire la tesi dell’appellante, residuerebbe una contestazione sulla ‘validità del contenuto’ della scrittura. Anche in merito a tale contestazione non vengono forniti ulteriori chiarimenti, non avendo parte appellante corredato le sue affermazioni con ulteriori specificazioni concrete. Contestare il contenuto di una scrittura dattiloscritta senza mettere in dubbio la genuinità della sottoscrizione alla stessa apposta, significa, nella sostanza, contestare l’abusivo riempimento absque pactis (non essendo stata dedotta la presenza di alcun patto in senso contrario rispetto a quanto riportato nel documento) di un foglio sottoscritto in bianco », sicché, per privare detta scrittura del valore probatorio che le era proprio, sarebbe stata necessaria una querela di falso, mai proposta, invece, dal COGNOME; iv )
concluse affermando che « L’appello proposto deve, quindi, essere respinto senza che sia necessario esaminare l’aspetto relativo alla carenza di legittimazione della società, aspetto che risulta assorbito dalla reiezione dell’appello nel merito e nei confronti del quale il COGNOME non nutre alcun interesse, in considerazione dell’accertato integrale pagamento del debito nascente dalla scrittura azionata in via monitoria. In ogni caso si rileva, innanzi tutto, che, come già chiarito dal Tribunale, il decreto ingiuntivo è stato ottenuto dal COGNOME in forza del preliminare di cessione delle quote della s.RAGIONE_SOCIALE Val Di Sole di COGNOME RAGIONE_SOCIALE stipulato in data 24.3.15, mentre è solo con l’atto notarile del 16.4.15 che è stata costituita la RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE; inoltre, in tale ultimo atto, è COGNOME NOME, e non la società appena costituita, che ribadisce il suo impegno a pagare, entro un anno, l’importo corrispondente al finanziamento soci elargito da COGNOME alla RAGIONE_SOCIALE.
Per la cassazione di questa sentenza ha promosso ricorso NOME COGNOME rappresentato dalla procuratrice generale NOME COGNOME affidandosi a due motivi, il primo dei quali articolato in plurimi profili. Hanno resistito, con unico controricorso, Immobiliare Val di Sole di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME in proprio.
Il 23/24 luglio 2024, il consigliere delegato ha depositato una proposta di definizione anticipata del giudizio ex art. 380bis cod. proc. civ., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Con istanza del 3/4 settembre 2024, il COGNOME rappresentato dalla suddetta procuratrice generale, ha chiesto la decisione del suo ricorso. Sono state depositate memorie ex art. 380bis .1 cod. proc civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso censura la sentenza impugnata: i ) in primis , « per violazione dell’art. 115 c.p.c., per aver errato il Giudice del merito nella interpretazione del ‘fatto processuale’ circa la validità e ritualità del disconoscimento della scrittura privata, non avendo tenuto conto nella sua decisione di tutte ‘le prove proposte dalle parti’, incorrendo in tal modo in un error in procedendo . In particolare, si contesta alla corte di appello di non
aver considerato, nell’accertamento del suddetto fatto processuale, una prova documentale offerta dalla difesa del Sig. COGNOME richiamata e fatta propria dal difensore nella prima difesa utile e regolarmente acquisita nel processo di primo grado, ovvero la dichiarazione autografa del Sig. NOME COGNOME del 7.11.2019, prodotta nel giudizio di primo grado dalla difesa dell’opposto e che non lasciava dubbio alcuno circa la volontà processuale della parte opposta di disconoscere la scrittura privata del 14.04.2016 prodotta dagli opponenti (Motivo di ricorso formulato in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) »; ii ) di conseguenza, per « violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115, 116, 183, 214, 216 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte di Appello utilizzato come prova la scrittura privata del 14.04.2016 benché il Sig. NOME COGNOME avesse disconosciuto l’autent icità delle pretese sottoscrizioni ivi apposte ed a lui riconducibili. (Motivo di ricorso formulato in riferim ento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) »; iii ) in subordine, per « violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. per ‘motivazione apparente’, non essendo indicato nella sentenza impugnata il criterio logico che ha condotto la Corte di Appello di Milano alla formazione del proprio diverso convincimento circa il fatto processuale della validità del disconoscimento effettuato dal Sig. COGNOME (Motivo di ricorso formulato in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) ».
Il secondo motivo di ricorso lamenta la « Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2313 c.c. e ss. (Motivo di ricorso formulato in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) », per avere la sentenza impugnata « fatto mal governo della disciplina codicistica circa la responsabilità del socio accomandatario nella società in accomandita semplice ». In particolare, viene contestata esclusivamente l’affermazione della corte territoriale secondo cui, « In ogni caso si rileva, innanzi tutto, che, come già chiarito dal Tribunale, il decreto ingiuntivo è stato ottenuto dal COGNOME in forza del preliminare di cessione delle quote della s.aRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE stipulato in data 24.3.15, mentre è solo con l’atto notarile del 16.4.15 che è stata costituita la RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE; inoltre, in tale ultimo atto, è COGNOME NOME,
e non la società appena costituita, che ribadisce il suo impegno a pagare, entro un anno, l’importo corrispondente al finanziamento soci elargito da COGNOME alla società RAGIONE_SOCIALE.
3. Va rilevato, innanzitutto, che la menzionata proposta ex art. 380bis cod. proc. civ. ha ritenuto, quanto al primo motivo di ricorso, che « Questa doglianza è complessivamente insuscettibile di accoglimento posto che: i) il ricorrente incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale (tale essendo l’art. 115 cod. proc. civ. richiamato nella rubrica del primo profilo del motivo in esame) dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, -come chiarito, ancora recentemente da Cass. n. 5375 del 2024 (cfr. in motivazione, dove si richiamano, in senso analogo, Cass. nn. 35782, 16303, 11299 e 28385 del 2023. Nello stesso senso vedasi anche la più recente Cass. n. 11069 del 2024) -un’autonoma questione di malgoverno dell’art. 115 cod. proc. civ. può porsi solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge (cfr. Cass., SU, n. 20867 del 2020, che ha pure precisato che «è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.»; ii) essa non si confronta adeguatamente con l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, rinvenibile nell’assunto secon do cui, da un lato, quanto esposto dal difensore del COGNOME nella sua comparsa di costituzione in primo grado non poteva ritenersi configurare un valido disconoscimento della firma del COGNOME medesimo apposta alla scrittura di compravendita dell’aprile 2 016, mentre, dall’altro, anche a voler seguire la tesi dell’appellante, la contestazione della validità del contenuto di quest’ultima, equivalendo, sostanzialmente, alla prospettazione di un suo abusivo riempimento absque pactis , avrebbe imposto, per privare detta scrittura del valore probatorio che le era proprio, una querela di falso, mai proposta, invece, dal COGNOME; iii) come affatto
condivisibilmente ritenuto da Cass. n. 16057 del 2016 (cfr. in motivazione), ‘ il disconoscimento, pur non richiedendo, ai sensi dell’art. 214 c.p.c., una forma vincolata, deve avere i caratteri della specificità e della determinatezza: ma la relativa valutazione si risolve in un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato ( e plurimis , Cass. 20 agosto 2014, n. 18042). E – in tema d’interpretazione degli atti processuali – la parte, che censuri il significato attribuito dal giudice di merito deve dedurre la specifica violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli art. 1362 ss. c.c., la cui portata è generale, o il vizio di motivazione sulla loro applicazione, dovendo indicare altresì il ricorso, a pena d’inammissibilità, le considerazioni del giudice in contrasto con i criteri ermeneutici e il testo dell’atto processuale oggetto di erronea interpretazione (fra le altre, Cass. 18 marzo 2014, n. 6226; 21 luglio 2003, n. 11343) ‘ ; iv) un’autonoma questione di malgoverno del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. (invocato nella rubrica del secondo profilo del motivo in esame) si pone esclusivamente ove il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di un’eventuale incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia ritenuto assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 15032 e 10794 del 2024; Cass. n. 9021 del 2023; Cass. n. 11963 del 2022; Cass. nn. 17313 e 1634 del 2020; Cass. nn. 26769 e 13395 del 2018; Cass. n. 26366 del 2017; Cass nn. 19064 e 2395 del 2006), da rapportarsi, peraltro, al testo novellato di cui alla citata norma, introdotto dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis , risultando impugnata una sentenza resa in data 1 marzo 2024; v) laddove lamenta un vizio motivazionale (cfr. il terzo profilo della doglianza in esame), mostra di non considerare che la corte distrettuale ha chiaramente argomentato le ragioni fondanti il proprio convincimento, dovendosi qui
ricordare che, come ripetutamente sancito dalla giurisprudenza di legittimità, il vizio di omessa o apparente motivazione della decisione sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (cfr. Cass. nn. 18079, 16117, 9807 e 6127 del 2024; Cass. nn. 33961 e 27501 del 2022; Cass. nn. 26199, 1522 e 395 del 2021; Cass. nn. 23684 e 20042 del 2020; Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 9113 del 2012). Ne deriva che è possibile ravvisare una ‘motivazione apparente’ nel caso in cui le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l’identificazione dell’ iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo risolvendosi in espressioni assolutamente generiche, tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice. Un simile vizio, inoltre, deve apprezzarsi non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva (cfr. Cass. n. 16117 del 2024; Cass. nn. 33961 e 27501 del 2022; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 26893 del 2020; Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 23940 del 2017) » .
La medesima proposta, poi, quanto al secondo motivo di ricorso, ha ritenuto che « Questa doglianza è manifestamente inammissibile, posto che la corte distrettuale, ancor prima di procedere all’appena riportata affermazione, ha opinato che ‘L’appello proposto deve quindi essere respinto senza che sia necessario esaminare l’aspetto relativo alla carenza di legittimazione della società, aspetto che risulta assorbito dalla reiezione dell’appello nel merito e nei confronti del quale il COGNOME no n nutre alcun interesse, in considerazione dell’accertato integrale pagamento del de bito nascente dalla scrittura azionata in via monitoria ‘ . Pertanto, non risultando essere stato minimamente contestato quest’ultimo assunto, agevolmente qualificabile come ulteriore ed autonoma ratio decidendi posta da quella corte a fondamento della sua pronuncia reiettiva del gravame del COGNOME, deve
trovare applicazione il principio secondo cui, ove la corrispondente motivazione della sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata sul punto, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in alcun caso l’annullamento, in parte qua, della sentenza (cfr. , ex multis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 5102 del 2024; Cass. n. 4067 del 2024; Cass. n. 26801 del 2023; Cass. n. 4355 del 2023; Cass. n. 4738 del 2022; Cass. n. 22697 del 2021; Cass., SU, n. 10012 del 2021; Cass. n. 3194 del 2021; Cass. n. 15075 del 2018; Cass. n. 18641 del 2017; Cass. n. 15350 del 2017) ».
Il Collegio reputa affatto condivisibile tali conclusioni, che, pertanto, ribadisce interamente, facendole proprie, altresì evidenziando che le stesse nemmeno risultano efficacemente confutate nella memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. della parte ricorrente del 4 settembre 2025.
4.1. Invero, con riguardo al primo motivo di ricorso, in quella sede si è insistito sul rilievo per cui, « In verità, come si evince chiaramente dal contenuto del ricorso, l’impugnazione ruota intorno a una questione di natura squisitamente processuale: la Corte territoriale ha completamente omesso di considerare un fatto processuale rilevante ( rectius : decisivo), ovverosia il deposito, nel fascicolo di primo grado, del documento autografo del 7 novembre 2019 (cfr. all. 3 ‘lettera scritta di proprio pugno dal Sig. COGNOME) contenente il disconoscimento formale, inequivoco e tempestivo da parte del Sig. COGNOME della scrittura privata del 14 aprile 2016, su cui si è invece fondata l’intera motivazione della sentenza gravata » , per poi trarne la conseguenza che « Non è dunque la valutazione del contenuto delle prove a essere posta in discussione dall’odierno Ricorrente, ma la legittimità dell’utilizzazione di un documento (scrittura privata del 14 aprile 2016) che, a seguito del disconoscimento e della mancata prop osizione di un’istanza di verificazione da parte della Resistente, doveva considerarsi inutilizzabile. Il
vizio, in altri termini, attiene all’omessa considerazione di una prova documentale offerta dalla difesa del Sig. COGNOME.
Tuttavia, non è assolutamente vero che la corte distrettuale abbia omesso l’esame del « fatto processuale rilevante ( rectius : decisivo» ) suddetto . Tanto, infatti, emerge chiaramente proprio dai già riportati passaggi motivazionali della sentenza impugnata ( cfr . § 2 dei ‘ Fatti di causa ‘) in cui la corte d’appello ha esaurientemente spiegato le ragioni per cui ha ritenuto non configurabile un valido ed efficace disconoscimento della sottoscrizione apposta dal COGNOME alla scrittura privata del 14 aprile 2016 nel contenuto del documento autografo del COGNOME stesso del 7 novembre 2019 , da ciò logicamente desumendosi l’avvenuto esame, ad opera della medesima corte, anch e di quest’ultimo documento oltre che la insussistenza della necessità della verificazione di quella sottoscrizione.
È palese, in realtà, che la doglianza di cui al primo motivo di ricorso si risolve nella contestazione del significato e, conseguentemente, del valore probatorio, che la corte territoriale ha inteso attribuire al menzionato scritto del Mazzoni del 14 novembre 2019. Da un lato, dunque, ove ciò volesse considerarsi come l’avvenuta deduzione di un travisamento della prova, tanto non riguarderebbe il fatto processuale, ma quello sostanziale del contenuto del documento che -in tesi – conterrebbe il disconoscimento (negato, invece, dalla sentenza impugnata), ragion per cui il vizio avrebbe dovuto essere dedotto ai sensi dell’art. 360 , comma 1, n. 5, cod. proc. civ. ( cfr . Cass., SU, n. 5792 del 2024), motivo, però, inammissibile nella specie essendosi al cospetto di una fattispecie di cd. doppia conforme. Dall’altro, ed in ogni caso, occorre ricordare che, come già correttamente evidenziato nella proposta ex art. 380bis cod. proc. civ., la valutazione circa la specificità e la determinatezza del disconoscimento ex art. 214 cod. proc. civ. si risolve in un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se, come nella specie, congruamente e logicamente motivato ( cfr., e plurimis , Cass. n. 18042 del 2014, ribadita, in motivazione, dalla successiva Cass. n. 16057 del 2016).
4.2. Con riguardo al secondo motivo di ricorso, invece, ribadita la qui condivisa conclusione rinvenibile, sul punto, nella proposta ex art. 380bis cod. proc civ., è intuitivo che la declaratoria di inammissibilità della precedente doglianza, rende privo di qualsivoglia rilievo l’assunto del COGNOME secondo cui egli « ha espressamente impugnato il capo della sentenza che ha deciso nel merito l’appello. Ne deriva che, in forza dell’effetto espansivo interno di cui all’art. 336, co. 1, c.p.c., l’impugnazione del capo principale travolge automaticamente anche il capo accessorio che da esso dipende, quale è appunto l’assorbimento della questione di legittimazione passiva della società » ( cfr . pag. 6 della sua memoria del 4 settembre 2025).
Resta solo da dire, infine, che l’avvenuta produzione, da parte del COGNOME, contestualmente alla sua memoria ex art. 380bis. 1 cod. proc. civ. del 4 settembre 2025, di una ‘ memoria ex art. 121 c.p.p .’, relativa ad un procedimento penale, e di un ‘ parere tecnico in materia grafica-grafologica ‘, datato 10 luglio 2025, si rivela manifestamente inammissibile perché trattasi di documentazione chiaramente non rientrante nel perimetro di quello il cui deposito è consentito dall’art. 372 cod. proc. civ.
6 . In conclusione, quindi, l’odierno ricorso di NOME COGNOME rappresentato dalla procuratrice generale NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dai costituitasi controricorrent i (costituenti un’unica parte) .
5.1. Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta ex art. 380bis , comma 1, cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), va disposta la condanna della parte istante a norma dell’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ.
Vale rammentare, in proposito, che, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, cod. proc. civ. (pure novellato dal menzionato d.lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. -codifica un’ipotesi normativa di abuso del
processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente ( cfr . Cass., SU, n. 28540 del 2023; Cass. nn. 11346 e 16191 del 2024). Pertanto, non ravvisando il Collegio (stante la complessiva ‘tenuta’, pur nella sua sinteticità, del provvedimento della PDA rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’inammissib ilità del ricorso) ragioni per discostarsi dalla suddetta previsione legale ( cfr ., in motivazione, Cass., SU, n. 36069 del 2023), il ricorrente suddetto, così come rappresentato, va condannato, nei confronti dei controricorrenti, al pagamento della somma equitativamente determinata di € ,00, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
5.2. Deve darsi atto, infine, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME rappresentato dalla procuratrice generale NOME COGNOME e lo condanna al pagamento, in favore dei costituitisi controricorrenti (costituenti un’unica parte), delle spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in € 15.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi, liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Condanna il medesimo ricorrente, così come rappresentato, al pagamento della somma di € 15.000,00 in favore dei costituitisi controricorrenti , e di una ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera del COGNOME, così come rappresentato, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 17 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME