Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9257 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 9257 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n.
19180/2020 r.g., proposto
da
COGNOME NOME e COGNOME NOME , elett. dom.ti in INDIRIZZOINDIRIZZO Roma, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME
ricorrenti
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.ta presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Torino n. 44/2020 pubblicata in data 02/03/2020, n.r.g. 574/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 30/01/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- RAGIONE_SOCIALE srl -società impegnata nel settore della ricerca, ideazione, realizzazione, promozione e vendita di servizi a valore aggiunto agli utenti telefonici -in data 01/10/2014 aveva assunto COGNOME NOME e COGNOME NOME, con qualifica di quadro e con incarico, per il COGNOME, ‘di ottimizzare le piattaforme tecnologiche, definire le procedure tecniche per il
OGGETTO:
obbligo di fedeltà -riproduzione informatica disconoscimento – effetti poteri di accertamento del giudice di merito
raggiungimento dei target operativi, discutere e interfacciarsi con gli aggregatori ovvero direttamente con gli operatori telefonici, sì da realizzare piattaforme web performanti e di agevole utilizzo sia per gli utenti che per coloro che vi operano’; per la COGNOME, ‘di seguire e ge stire le campagne pubblicitarie, monitorarne l’andamento, individuarne migliorie e correttivi, anche quanto agli aspetti grafici, interfacciandosi per il proficuo svolgimento delle proprie mansioni sia con i publishers che con i gr afici’.
I due dipendenti assunti erano tenuti ad operare in sinergia con RAGIONE_SOCIALE, società con sede in Romania, operante nel settore delle web agencies e che si occupava, per conto di RAGIONE_SOCIALE, di ‘selezionare, avviare, intrattenere e gestire i rapporti con i publishers a cui affidare i messaggi pubblicitari elaborati dalla stessa RAGIONE_SOCIALE per promuovere i propri servizi a valore aggiunto’.
Amministratore di RAGIONE_SOCIALE era il sig. NOME COGNOME amministratrice di RAGIONE_SOCIALE era la sig.ra NOME COGNOME moglie del COGNOME.
Nel dicembre 2014 RAGIONE_SOCIALE, rilevando un notevole calo di fatturato da ottobre di quell’anno, avviò verifiche sui propri collaboratori e sulle imprese concorrenti ed accertò che alla sig.ra COGNOME o al padre di lei, facevano capo sia la RAGIONE_SOCIALE, società con sede in Romania, sia altre società tutte con sede in Romania, aventi ad oggetto le medesime attività svolte da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE. Contestualmente all’avvio di tali verifiche il COGNOME rassegnò le proprie dimissioni da amministratore di RAGIONE_SOCIALE e in data 16/12/2014 rassegnarono le proprie dimissioni anche COGNOME e COGNOME
Da una verifica effettuata da tecnici informatici sui pc portatili che erano stati in dotazione al COGNOME e alla COGNOME, ottenuti in restituzione alla cessazione dei loro rapporti di lavoro, era emerso che fra il 15 ed il 18 dicembre 2014 quei pc erano stati formattati, con la cancellazione di tutti i dati e l’installazione di programmi specificamente destinati ad impedire il recupero dei dati eliminati. Ciononostante i tecnici riuscirono ad accertare che i due, durante il rapporto di lavoro, avevano scambiato numerosi colloqui via mail con i dipendenti infedeli di RAGIONE_SOCIALE ed avevano utilizzato a tal fine gli indirizzi mail EMAIL e EMAIL
RAGIONE_SOCIALE adìva pertanto il Tribunale di Torino, deducendo il gravissimo inadempimento dell’obbligo di fedeltà dei due ex dipendenti e l’illecita sottrazione del patrimonio di informazioni aziendali e di esperienze tecnico-commerciali. Chiedeva pertanto la condanna dei due ex dipendenti a risarcire, in solido fra loro, tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali (all’immagine), cagionati ad essa società, che quantificava in euro 178.191,80 a titolo di danno patrimoniale ed in euro 172.137,94 (o in subordine in euro 158.646,78) a titolo di danno non patrimoniale, nonché ai sensi dell’art. 120 c.p.c. l’ordine , con spese a carico dei due convenuti, di inserire e pubblicare la sentenza sui maggiori quotidiani e sulle riviste di settore; in subordine chiedeva la compensazione del suo maggior credito con quanto da essa dovuto ai convenuti a titolo di retribuzioni residue, dirette, indirette e differite.
2.- Costituitosi il contraddittorio, i due convenuti contestavano le domande e ne chiedevano il rigetto. In via riconvenzionale chiedevano la condanna della società a pagare loro le residue spettanze retributive, pari ad euro 8.654,22 in favore della COGNOME e ad euro 9.759,01 in favore del COGNOME.
3.- Il Tribunale, senza alcuna attività istruttoria, rigettava le domande principali della società, mentre accoglieva la riconvenzionale.
3.- Assunte le prove testimoniali ammesse, con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello accoglieva in parte il gravame interposto dalla società e per l’effetto condannava i due appellati a risarcire a RAGIONE_SOCIALE il danno patrimoniale, che liquidava in euro 178.191,80, nonché a restituire alla società gli importi da loro percepiti in esecuzione della sentenza di primo grado.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
l’istruttoria ha offerto plurimi elementi, di carattere indiziario, idonei ad affermare la responsabilità dei due appellati in termini di violazione dell’obbligo di fedeltà;
il fatto che in sede penale sia stata disposta l’archiviazione del procedimento avviato (per truffa continuata ed aggravata ed altri reati) nei confronti del COGNOME, della di lui moglie COGNOME e degli appellati
è irrilevante, considerata l’autonomia delle valutazioni del giudice del lavoro rispetto al giudice penale;
il COGNOME è certamente responsabile di condotta infedele, come condiviso anche dal Tribunale e dagli appellati, che tentano di riversare sull’ex amministratore tutti gli addebiti, rispetto ai quali professano una posizione di inconsapevolezza;
orbene, quando nell’estate del 2014 il COGNOME decide di aprire un ufficio a Roma assume i sigg.ri COGNOME COGNOME evidentemente scegliendoli perché persone fidate, ossia operatori che per un verso erano dotati di esperienza professionale nel settore e dall’altro fossero resi consapevoli e complici di quanto stava architettando ai danni di RAGIONE_SOCIALE;
indice di tale consapevolezza dei due è sia la circostanza per cui nel settembre 2014, quindi prima della loro assunzione, gli appellati erano già impegnati nello scambio di mail anche utilizzando l’indirizzo infedele flux-mobile con il personale RAGIONE_SOCIALE operante in Romania; sia il tenore del colloquio via mail fra i due che intercorre in data 26/09/2014 (doc. 4 del fasc. società), nel quale si lasciano andare a considerare quali ‘imparare i trucchi’ e ricordano l’un l’altro che l’obiettivo sono i ‘dollars’;
secondo elemento indiziario è l’utilizzo, da parte dei due, dell’account flux-mobile riconducibile alla RAGIONE_SOCIALE, soggetto concorrente con RAGIONE_SOCIALE e facente capo alla COGNOME, moglie del COGNOME;
gli appellati si sono giustificati dicendo che quell’account era stato loro dato da NOME COGNOME, dipendente di RAGIONE_SOCIALE; tuttavia dalla mail di quest’ultima si evince che ella raccomandava espressamente che nei contatti con RAGIONE_SOCIALE fosse utilizzato unicamente l’account RAGIONE_SOCIALE, circostanza questa che prova la clandestinità del contatto flux-mobile, di cui il destinatario di quella comunicazione (il COGNOME) era pienamente consapevole;
infondata è anche la giustificazione di una situazione di confusione, atteso che un dipendente quadro che si occupa di attività commerciale non può ignorare quali interlocutori siano concorrenti e quali no;
negli scambi mail con personale operante in Romania i sigg.ri COGNOME COGNOME dimostrano di essere tutt’altro che inconsapevoli e sprovveduti circa le operazioni illecite orchestrate ai danni della RAGIONE_SOCIALE, loro datrice di lavoro;
il terzo elemento indiziario è rappresentato sia dal contenuto eloquente di molte delle mail scambiate fra il COGNOME e la COGNOME, sia dal contenuto della conversazione del 15/12/2014 tra la COGNOME e NOME COGNOME, altra dipendente RAGIONE_SOCIALE operante in Romania, la quale, preoccupata per l’evoluzione della vicenda (RAGIONE_SOCIALE aveva avviato le verifiche, il COGNOME si era dimesso dalla carica di amministratore e si era reso irreperibile), preannunziava che avrebbe cancellato in un’ora tutta la storia dai computers, al che l’interlocutrice COGNOME la tranquillizzava e condivideva il suo piano di ‘cancellare tutta la storia’;
il quarto elemento indiziario è rappresentato dalla cancellazione di tutti i dati dai pc portatili che erano stati in dotazione alla COGNOME e al COGNOME, avvenuta fra il 15 ed il 18 dicembre 2014, in concomitanza con le loro dimissioni del 16/12/2014, cancellazione confermata dal testimone COGNOME;
peraltro in sede di libero interrogatorio dinanzi alla Corte la stessa COGNOME ha ammesso la cancellazione dei danni, sebbene da lei riferita ai dati personali e non ai dati aziendali;
il quinto elemento indiziario è rappresentato dalle modalità con cui i due appellati hanno cessato il rapporto di lavoro con RAGIONE_SOCIALE, ossia dalle dimissioni da loro rassegnate in data 16/12/2014;
con riguardo alla quantificazione del danno, rilevano in primo luogo i costi sostenuti dalla società per le retribuzioni corrisposte ai due e per i connessi obblighi contributivi, per l’importo complessivo di euro 19.545,02; infatti l’attività dei due nel breve periodo del rapporto di lavoro (ottobre-dicembre 2014) non è andata a vantaggio della datrice di lavoro, ma di terzi in concorrenza con RAGIONE_SOCIALE
per la medesima ragione è fondata anche la richiesta di restituzione delle somme percepite in esecuzione della sentenza di primo grado, come documentato dalla società appellante;
quanto agli ulteriori danni patrimoniali, rileva il calo del fatturato intervenuto negli ultimi tre mesi del 2014 rispetto a quello dei primi nove mesi dello stesso anno, calo pari al 37,5%;
correttamente tale danno è stato proiettato anche nei primi tre mesi del 2015, quale arco necessario per recuperare le perdite, sicché a tale titolo risultano danni per euro 158.646,78, pari al calo della media mensile degli utili per euro 24.441,13 moltiplicato per i sei mesi oggetto di osservazione (da ottobre 2014 a marzo 2015);
l’unica deduzione difensiva degli appellati secondo cui il calo di fatturato sarebbe stato determinato dalla decisione di RAGIONE_SOCIALE, di intesa con RAGIONE_SOCIALE, di sospendere le campagne pubblicitarie -è smentita dalle risultanze processuali e dalle stesse tabelle da loro allegate in sede di costituzione di primo grado, dalle quali si evince che la riduzione o l’azzeramento degli investimenti si erano avuti anche in altri mesi del 2014 (febbraio, marzo ed aprile), senza alcuna ripercussione sui livelli medi di fatturato, che invece si sono ridotti proprio in concomitanza con l’ingresso degli appellati come dipendenti di RAGIONE_SOCIALE;
non può essere invece accolta la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale per lesione dell’immagine della società, poiché non ha trovato alcun riscontro probatorio.
4.- Avverso tale sentenza COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
5.- RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) ha resistito con controricorso.
6.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.
7.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Preliminarmente va rigettata l’eccezione di inesistenza della notifica del ricorso per cassazione e di conseguente inammissibilità.
A prescindere dalle vicende relative alla RAGIONE_SOCIALE (sua fusione per incorporazione in RAGIONE_SOCIALE e conseguente sua cancellazione del registro delle imprese), la costituzione della società controricorrente che si è difesa anche nel merito produce effetto sanante ex art. 156 c.p.c.
Non può ritenersi che questa sanatoria operi solo ex nunc , dal momento
che la notifica del ricorso all’originario procuratore e difensore di RAGIONE_SOCIALE nel giudizio di primo grado aveva un collegamento con la parte (a cui è succeduta RAGIONE_SOCIALE a titolo universale) e, quindi, era semmai nulla, non certo inesistente (Cass. n. 10301/2020; Cass. n. 17521/2015; Cass. n. 6202/2014), sicché la sua eventuale rinnovazione avrebbe determinato la sanatoria ex tunc ai sensi dell’art. 291 c.p.c. Tale effetto è stato conseguito in modo equivalente mediante la volontaria costituzione di RAGIONE_SOCIALE in considerazione del raggiungimento dello scopo, che impedisce la declaratoria di nullità dell’atto processuale (art. 156 c.p.c.)
In ogni caso, come riconosce la stessa controricorrente, questa Corte ha affermato che è ammissibile e quindi valida la notifica dell’impugnazione presso il procuratore della parte che la rappresentava nel grado precedente, qualora l’evento nel caso di specie l’ estinzione di RAGIONE_SOCIALE mediante fusione per incorporazione e la sua cancellazione dal registro delle imprese -non sia stato dichiarato in udienza o non sia stato notificato alle altre parti (Cass. n. 1633/2020).
Nel caso di specie nel verbale di udienza di secondo grado del 28/11/2018 il procuratore di RAGIONE_SOCIALE -avv. COGNOME -dichiarò l’evento. E tuttavia va ricordato che, come affermato da questa Corte in funzione nomofilattica, se è vero che la fusione per incorporazione estingue la società incorporata, nondimeno, ove intervenga in corso di causa, non si determina l’interruzione del processo, esclusa ex lege dall’art. 2504 bis c.c. (Cass. sez. un. n. 21970/2021), sicché resta fermo il principio di ultrattività del mandato (Cass. ord. n. 190/2022). Pertanto, nel caso di fusione di società per incorporazione in corso di causa, la incorporata, ove la incorporante rimanga estranea al processo, può impugnare la decisione o anche ricevere la notifica dell’impugnazione dalla controparte, a mezzo dello stesso difensore per effetto della procura estesa a tutti i gradi di giudizio, fermo restando il principio secondo cui tutti i rapporti sostanziali e processuali continuano nell’ambito della società incorporante o di quella nata dalla fusione (Cass. n. 7700/2024).
2.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 4), c.p.c. i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 2712 c.c. e la conseguente nullità della sentenza, per avere la Corte territoriale attribuito valore di prova
legale a riproduzioni meccaniche oggetto di disconoscimento, senza esperire in contraddittorio gli accertamenti tecnici finalizzati ad accertarne la genuinità.
Il motivo è infondato.
La Corte territoriale ha utilizzato gli esiti di quegli accertamenti informatici in quanto corroborati dalla deposizione testimoniale del tecnico COGNOME il quale ha confermato la conformità delle conversazioni skype e le e-mail prodotte dalla società agli originali da lui visionati ed estratti dal pc in dotazione ai due ex dipendenti. Quindi si è trattato del tipico esercizio del prudente apprezzamento del materiale probatorio e non già dell’attribuzione di valore di prova legale a quella relaz ione tecnica. L’art. 2712 c.c. risulta dunque rispettato.
In ogni caso va tenuto fermo il principio, affermato da questa Corte, secondo cui in tema di disconoscimento di conformità della copia prodotta in giudizio, il “diniego di originale” non attiene alla contestazione del contenuto, ma all’esistenza stessa del documento, con la finalità di espungerlo dall’ordinamento in quanto artificiosamente creato, e richiede la querela di falso, proponibile anche avverso la copia prodotta in giudizio, per rimuovere la sua efficacia probatoria di scrittura privata; invece il disconoscimento di conformità, che attiene al contenuto del documento prodotto in copia e non alla sua provenienza o paternità, presupponendo l’esistenza di un originale, consente l’utilizzazione della scrittura e, in particolare, l’accertamento della conformità all’originale della copia prodotta anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass. ord. n. 24029/2024).
Quindi se gli odiern i ricorrenti con il loro ‘disconoscimento’ intendevano contestare l’esistenza di quelle conversazioni skype o di quelle mail, avrebbero dovuto allora proporre querela di falso, nella specie non proposta; se invece intendevano contestare il contenuto di quei documenti, ossia la loro conformità all’originale, è sufficiente certo il disconoscimento, ma in tal caso l’accertamento della conformità della copia prodotta all’originale è possibile attraverso qualunque mezzo di prova, compresa quella testimoniale, come accaduto nella specie, e addirittura mediante presunzioni. Al riguardo questa Corte ha affermato che l’eventuale disconoscimento di tale conformità non ha gli stessi effetti di quello della scrittura privata previsto dall’art. 215, co. 2, c.p.c. poiché, mentre nel secondo caso, in mancanza di richiesta di
verificazione e di esito positivo della stessa, la scrittura non può essere in alcun modo utilizzata, nel primo caso non può escludersi che il giudice possa accertare la rispondenza all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass. ord. n. 5141/2019; Cass. n. 3122/2015; Cass. ord. n. 17810/2020).
Dunque si rivela in ogni caso infondata la tesi dei ricorrenti, secondo cui in presenza di un disconoscimento ex art. 2712 c.c. la riproduzione informatica perderebbe ogni valenza probatoria (v. ricorso per cassazione, pp. 15-16). Questa Corte, infatti, ha già affermato che in tema di efficacia probatoria delle riproduzioni informatiche di cui all’art. 2712 c.c., il disconoscimento ha soltanto l’effetto di degradare quelle riproduzioni a presunzioni semplici (Cass. ord. n. 12794/2021; Cass. n. 17526/2016), fermo restando il potere del giudice di accertarne la conformità all’originale mediante qualunque mezzo di prova, comprese le presunzioni (v. supra ), nel qual caso quelle riproduzioni riprendono interamente la loro valenza probatoria ex art. 2712 c.c.
Quindi il disconoscimento ex art. 2712 c.c. determina solo la regressione della riproduzione informatica da prova piena (e non prova legale) a presunzione semplice, che, in quanto tale, ben può essere integrata da altri elementi presuntivi ed arrivare così ad ass urgere a prova ai sensi dell’art. 2729 c.c.
3.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. i ricorrenti lamentano un travisamento delle fonti di prova per avere la Corte territoriale formato il proprio convincimento in ordine a punti decisivi della controversia sulla base di informazioni probatorie contraddette o smentite dagli esiti dell’istruttoria.
Il motivo -previa conversione nel vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. -è inammissibile, perché mira in realtà a sollecitare a questa Corte un diverso apprezzamento delle fonti di prova, interdetto in sede di legittimità. Le censure, infatti, si appuntano sull’avere la Corte d’Appello trascurato alcune informazioni probatorie che -secondo i ricorrenti -se valutate avrebbero gravemente compromesso quelle altre ritenute derivate da determinati mezzi di prova (come ad esempio la testimonianza del perito COGNOME. Tale verifica non può essere sollecitata a questa Corte, perché implica una diversa riconsiderazione complessiva delle fonti di prova e finirebbe per eludere la
riserva al giudice del merito dell’attività valutativa delle prove raccolte nell’esercizio del suo prudente a pprezzamento, che comprende anche la scelta di privilegiare alcune fonti di prova piuttosto che altre.
Al riguardo questa Corte ha affermato che in tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme (Cass. ord. n. 10927/2024; Cass. sez. un. n. 5792/2024).
D’altronde la censura si appunta su un elemento (la provenienza di quelle conversazioni su skype e di quelle mail dai pc in dotazione ai due ex dipendenti) che la Corte territoriale ha ritenuto soltanto indiziario e non probatorio (come riconoscono anche i ricorrenti: v. ricorso per cassazione, pp. 23-24), sebbene poi utilizzato unitamente ad altri indizi, tutti conclusivamente e complessivamente ritenuti gravi, precisi e concordanti ai fini dell’art. 2729 c.c. e pertanto considerati idonei a dimostrare la condotta illecita dei due ex dipendenti, con un apprezzamento ampiamente motivato.
4.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. i ricorrenti lamenta no ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 2727 e 2729 c.c. per avere la Corte territoriale fatto ricorso ad una c.d. doppia presunzione e per avere sussunto nell’art. 2729 c.c. fatti privi delle caratteristiche legali di gravità, univocità e concordanza, disattendendo lo standard probatorio civilistico del ‘più probabile che non’.
In particolare lamentano che:
con riguardo ai primi tre indizi, la Corte d’Appello sarebbe incorsa in una doppia presunzione, ossia in una praesumptio de praesumpto inammissibile ex art. 2727 c.c.;
ciascuno degli elementi indiziari valutati dai giudici d’appello non avrebbe le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza imposte dall’art. 2729 c.c. ai fini probatori.
Il motivo è infondato in relazione alla prima censura, inammissibile in relazione alla seconda.
Sub a), quelle circostanze che i ricorrenti indicano in relazione ai primi tre
indizi come la prima presunzione -ossia che nell’estate del 2014 fosse già in atto un disegno illecito del COGNOME, unitamente alla propria moglie, sig.ra COGNOME, ai danni di RAGIONE_SOCIALE; che il personale dipendente di RAGIONE_SOCIALE, operante in Romania alle dirette dipendenze della COGNOME, fosse necessariamente coinvolto nelle operazioni illecite poste in essere da quest’ultima; che il COGNOME, nella conversazione con COGNOME Clara, avesse palesato la realizzazione di operazioni al di fuori di Big RAGIONE_SOCIALEnon sono una presunzione, ma il risultato del libero convincimento formato su una pluralità di elementi. Questi ultimi sono stati analiticamente indicati dalla Corte territoriale:
-il tenore della difesa degli ex dipendenti, che nel corso dei due gradi di giudizio aveva no sempre riversato sull’ex amministratore COGNOME tutti gli addebiti;
-il fatto -oggettivamente accertato -che la moglie del COGNOME era amministratrice di plurime società con sedi in Romania, tutte impegnate nelle medesime attività di RAGIONE_SOCIALE, pure da lei amministrata, non a caso scelta dal COGNOME, in qualità di amministratore di RAGIONE_SOCIALE, per lo sviluppo dell ‘ attività commerciale di quest’ultima società;
-il fatto -oggettivamente accertato -che fu sempre il COGNOME a individuare in NOME COGNOME e NOME COGNOME i potenziali collaboratori per l’avvio dell’iniziativa romana;
-il fatto -oggettivamente accertato -che nella conversazione con la sig.ra COGNOME NOME il COGNOME così si esprimeva: ‘ posso immaginare, se ossi al tuo posto, avrei le stesse difficoltà, doppia identità Flex e Flux + mettere lei/lui in copia, non mettere lui/lei ‘.
Da questi elementi certi, in quanto oggettivamente dimostrati, la Corte territoriale ha desunto (e non presunto) il significato probatorio ritenuto -secondo il suo prudente apprezzamento -ricavabile, dimostrativo sia del fatto che il COGNOME aveva assunto l’iniziativa romana proprio con l’intento ab initio di danneggiare RAGIONE_SOCIALE; sia del fatto che i due ex dipendenti erano pienamente consapevoli di tale programma illecito; sia del fatto che gli stessi avevano adoperato gli account della società concorrente RAGIONE_SOCIALE, diversa da RAGIONE_SOCIALE e pur sempre amministrata e diretta dalla sig.ra COGNOME
La successiva presunzione, ossia che i sigg.ri COGNOME e COGNOME fossero altresì compartecipi di quel programma illecito, è l’unica presunzione operata dai giudici d’appello , sicché il divieto della c.d. doppia presunzione risulta rispettato e non violato.
Sub b) va premesso che in tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia di regola desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza. Inoltre il giudice è tenuto ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi soltanto quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass. ord. n. 9054/2022). Quindi per restare nell’ambito della violazione di legge, la critica deve concentrarsi sull’insussistenza dei requisiti della presunzione nel ragionamento condotto nella sentenza impugnata, mentre non può svolgere argomentazioni dirette ad infirmarne la plausibilità (criticando la ricostruzione del fatto ed evocando magari altri fatti che non risultino dalla motivazione), vizio valutabile, ove del caso, nei limiti di ammissibilità di cui all’art. 360, co.
1, n. 5 c.p.c. (Cass. n. 18611/2021).
Posti questi principi, la censura dei ricorrenti è inammissibile, perché sollecita a questa Corte un diverso apprezzamento di ciascun indizio, laddove il sindacato di legittimità deve arrestarsi al profilo c.d. estrinseco del ragionamento presuntivo. E sotto questo profilo il ragionamento condotto e articolato dalla Corte territoriale è del tutto coerente con i criteri dettati dall’art. 2729 c.c. per ricavarne una presunzione, secondo una relazione tra fatti noti e quelli ignoti che risponde al criterio di normalità sociale. Le censure dei ricorrenti si risolvono in argomentazioni dirette ad infirmare la plausibilità della presunzione, criticando la ricostruzione del fatto ed evocando altri fatti che non risultano dalla motivazione della sentenza impugnata, e finiscono per esaurirsi nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta e applicata dal giudice di merito.
5.Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 5), c.p.c. i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 2697 c.c., la falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. circa il quantum debeatur e il relativo travisamento delle fonti di prova, per avere la Corte territoriale sussunto nell’art. 2729 c.c. fatti privi delle caratteristiche legali.
Il motivo è infondato.
L’importo di euro 158.646,78 è stato calcolato dai giudici d’appello come calo medio di fatturato sulla base mensile di euro 26.441,13, moltiplicato per il numero di mesi (sei) nel periodo da ottobre 2014 a marzo 2015. Con riguardo a tale periodo la Corte territoriale ha adeguatamente motivato il suo riferimento, individuandolo come ‘ arco di tempo presumibilmente necessario per recuperare le perdite ‘.
La coincidenza temporale fra l’inizio del calo del fatturato a ottobre 2014 -e l’assunzione degli odierni ricorrenti rappresenta il dato che la Corte territoriale ha valorizzato in quanto ritenuto molto significativo, sicché coerentemente sul piano causale quel calo è stato ricondotto alle condotte illecite dei due ex dipendenti. Trattasi di elementi di prova tutti offerti dalla società, in grado di dimostrare sia il danno nella sua concretezza (che i ricorrenti non contestano nel suo ammontare), e non in re ipsa , sia la sua riconducibilità alle condotte dei due ex dipendenti, sicché nessuna violazione dell’art. 2697 c.c. è ravvisabile.
Infatti, anche se, in ipotesi, quel danno fosse stato determinato pure da ulteriori condotte illecite di terzi, resterebbe comunque configurabile un concorso di cause umane, ciascuna rilevante ai sensi degli artt. 40 e 41 c.p. e idonea a far sorgere una responsabilità solidale dei danneggianti (art. 2055 c.c., applicabile anche in tema di responsabilità contrattuale).
Neppure fondata è la censura di violazione dell’art. 2729 c.c., atteso che contrariamente all’assunto interpretativo dei ricorrenti (v. ricorso per cassazione, pp. 34-35) -ai fini della correttezza e quindi della legittimità del ragionamento presuntivo, il legame tra fatto noto e fatto ignoto non deve essere ricostruito in termini di necessità causale, essendo sufficiente una conseguenzialità apprezzabile in termini di probabilità o di ragionevole possibilità, secondo un criterio di normalità sociale (Cass. sez. un. n. 9961/1996; Cass. n. 26081/2005) ovvero secondo comuni regole di esperienza (Cass. n. 22656/2011; Cass. n. 3513/2019; Cass. n. 1163/2020).
Per il resto il motivo è inammissibile, perché sollecita a questa Corte un diverso apprezzamento degli elementi emersi dall’istruttoria, interdetto in sede di legittimità.
6.Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. i ricorrenti lamentano il travisamento delle fonti di prova con riguardo alla restituzione delle somme da loro percepite a titolo di retribuzioni ai fini della determinazione del quantum debeatur a titolo risarcitorio.
Il motivo è inammissibile per manca ta specificazione sia del ‘fatto storico’ di cui sarebbe stato omesso l’esame, sia della sua decisività.
7.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data