Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5364 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 5364 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23289/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
(ZCHCRL64R30F839M)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO TORINO n. 843/2023 depositata il 18/07/2023; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/1/2025 dal
Consigliere NOME COGNOME:
Rilevato che:
Per quanto qui interessa, RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, otteneva dal Tribunale di Cuneo decreto ingiuntivo per euro 22.989,62, oltre interessi e spese, nei confronti di NOME COGNOME per fideiussione, essendo debitrice principale RAGIONE_SOCIALE cancellatasi dal registro delle imprese -, somma che sarebbe stata dovuta per inadempimento del contratto di leasing relativo ad una vettura.
Il COGNOME si opponeva, disconoscendo la sottoscrizione della fideiussione; controparte si costituiva, insistendo nella sua pretesa. Il Tribunale, con sentenza n. 162/2021, rigettava l’opposizione.
Il COGNOME proponeva appello, cui Ifis resisteva. La Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 843/2023, accoglieva il gravame, per avere l’appellante disconosciuto e controparte non avendo chiesto la verificazione, il resto rimanendo assorbito, quindi revocava il decreto ingiuntivo.
Banca Ifis ha proposto ricorso, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. Il COGNOME si è difeso con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo si denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’articolo 214 c.p.c.
1.1 Il Tribunale aveva ritenuto il disconoscimento ‘generico, e come tale inammissibile’, affermando che il COGNOME non aveva
‘espresso una chiara ed inequivoca volontà di disconoscere la sottoscrizione, genericamente disconoscendo <> e la sottoscrizione della presunta fideiussione, con la conseguenza che la sottoscrizione non può ritenersi formalmente disconosciuta’.
Il COGNOME nella citazione di opposizione aveva affermato: ‘in diritto, si disconosce la scrittura e la sottoscrizione della presunta fideiussione prodotta dalla opposta’. Osserva la ricorrente che il giudice d’appello ha definito ciò ‘pacifico’, qualificandolo ‘chiara manifestazione di volontà senza nessuna possibilità di fraintendimento o dubbio interpretativo’. Il che confliggerebbe con la giurisprudenza di legittimità, per cui ‘il disconoscimento della propria sottoscrizione deve avvenire in modo formale ed inequivoco’ (Cass. 17313/2021).
1.2 Cass. 1537/2018 condivisibilmente afferma che il disconoscimento ex articolo 214 c.p.c., ‘pur non richiedendo formule sacramentali o vincolate, deve comunque rivestire i caratteri della specificità e della determinatezza … La relativa valutazione costituisce giudizio di fatto riservato al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità’.
Su questa linea conformemente si sono poste Cass. 18042/2014 (per cui il disconoscimento è ‘incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato’), Cass. 2290/1996 (‘Ai fini del disconoscimento di una scrittura privata’ ex articolo 214 c.p.c., ‘pur non occorrendo alcuna formula sacramentale speciale, è necessaria un’impugnazione specifica e determinata, da compiersi con atto processuale immediatamente successivo … Il convincimento del giudice di merito circa l’idoneità di una determinata deduzione o condotta difensiva ad integrare gli estremi del disconoscimento costituisce … giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità’), Cass. 9543/2002 (‘l’idoneità delle espressioni utilizzate a configurare un valido disconoscimento costituisce giudizio di fatto ed è incensurabile in sede di legittimità se
congruamente motivato’), Cass. 1591/2002 (‘Il convincimento del giudice di merito circa l’idoneità di una determinata deduzione o condotta difensiva a integrare gli estremi del disconoscimento costituisce … giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità’; conforme è pure Cass. 2083/1976 che riconosce l’insindacabilità del giudizio ‘se sorretto da corretta e adeguata motivazione’, al pari della già citata Cass. 2290/ 1996 -).
Essendo dunque il disconoscimento un giudizio di fatto – che il motivo censura apertamente, e non per difetto motivazionale sussiste evidente inammissibilità.
Con il secondo motivo, ex articolo 360, primo comma, n.4 c.p.c., si denuncia nullità della sentenza per violazione degli articoli 112 e 216 c.p.c.
2.1 La corte territoriale ha ritenuto che l’attuale ricorrente non avesse presentato ‘valida istanza di verificazione’ perché sarebbe stata una ‘istanza di verificazione del contratto di leasing, e non del contratto di fideiussione’. Così avrebbe errato, perché Ifis, nella comparsa di risposta di primo grado, ‘si riservava’ di produrre l’originale contratto di fideiussione e di proporre ‘istanza di verificazione’. In seguito, ovvero nella seconda memoria istruttoria, Ifis ‘proponeva istanza di verificazione facendo effettivamente riferimento, per mero lapsus calami , al contratto di leasing anziché a quello di fideiussione’: sarebbe stato evidentemente un refuso, e il giudice d’appello non avrebbe dovuto vagliare l’istanza di verificazione ‘solo alla luce del mero tenore letterale’, dovendo invece tenere conto ‘anche della natura delle vicende rappresentate’, e in sostanza del ‘complessivo comportamento processuale’ (qui si invocano, tra l’altro, S.U. 2041/2007 per cui l’interpretazione della domanda, al di là delle espressioni letterali, deve coglierne il contenuto sostanziale – e le conformi Cass. 8107/2006, Cass. 18653/2004 e S.U. 10840/2003),
applicando nell’interpretazione degli atti processuali il principio di conservazione di cui all’articolo 1367 c.c.
Comunque, all’udienza di discussione dei mezzi istruttori l’attuale ricorrente, ‘a scioglimento della riserva assunta con il proprio atto costitutivo, rinnovava l’istanza di verificazione già formulata in comparsa di costituzione e risposta’. Pertanto l’istanza di verificazione (che non richiede formule particolari) era stata tempestivamente avanzata ‘prima della decisione sulle istanze istruttorie ai sensi dell’art. 183 c.p.c. (formulazione ante riforma c.d. ‘Cartabia’)’.
2.2 Ovviamente non si può attribuire alcuna incidenza a quanto affermato nella comparsa di risposta, perché si trattava di una mera riserva, non costituendo quindi l’esercizio di alcunché.
Quanto poi all’istanza di verificazione nella seconda memoria, era tempestiva, ma la stessa ricorrente riconosce che si riferiva al contratto di leasing, ed è insufficiente sostenere che fu un lapsus , anche perché COGNOME avrebbe dovuto immediatamente segnalarlo nella difesa successiva, cioè nella terza memoria. Invece COGNOME – ammette essa stessa lo chiedeva con riferimento esatto solo all’udienza di discussione dei mezzi istruttori ( rectius : delle già presentate istanze istruttorie): dal verbale riportato (ricorso, pagina 13) emerge che il giudice istruttore aveva effettivamente fissato una udienza attinente alle istanze istruttorie.
L’istanza di verificazione è stata dunque tardiva (per di più la ricorrente dichiara che era stata una rinnovazione dell’istanza avanzata nella comparsa di risposta, ove, come già si è visto, l’istanza non c’era). L’asserto che il Tribunale avrebbe dovuto intenderla istanza di verifica tardiva ‘recuperata’ è inaccettabile: si è dinanzi alla decadenza processuale, non superabile per lapsus calami , bensì ex articolo 153 cpv. c.p.c., fattispecie qui non ricorrente sicché tale norma non è stata applicata né invocata.
La doglianza, in conclusione, non gode di alcuna fondatezza.
Con il terzo motivo si denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’articolo 214 c.p.c.
3.1 In entrambi i gradi l’attuale ricorrente avrebbe evidenziato ‘alcuni fatti che … avrebbero dovuto condurre a rendere predetto disconoscimento come inammissibile’, e che nel motivo si illustrano (ricorso, pagine 15 ss.).
3.2 Si tratta di un vero e proprio motivo per gravame d’appello, visto il contenuto direttamente fattuale. Costituisce, per di più, una censura comunque irrilevante, perché, se non avviene verificazione, vale il disconoscimento, e questo ha avuto per oggetto proprio la fideiussione.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 4.200,00, di cui euro 4.000,00 per onorari, oltre a sese generali e accessori di legge, in favore del controricorrente.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 17 gennaio 2025