Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3431 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3431 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/02/2025
ORDINANZA
sul giudizio introdotto con ricorso iscritto al n. 29612 R.G. anno 2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
ricorrente
contro
Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME domiciliat o presso l’avvocato NOME COGNOME
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 455/2020 del 3 febbraio 2020 della Corte di appello di Napoli
riunito al giudizio introdotto con ricorso iscritto al n. 4441 R.G. anno 2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’avvocato
NOME COGNOME
ricorrente
contro
Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME domiciliato presso l’avvocato NOME COGNOME;
contro
ricorrente
avverso la sentenza n. 3212/2023 del 5 luglio 2024 della Corte di appello di Napoli.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 gennaio 2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
─ Con citazione notificata il 31 ottobre 2014 RAGIONE_SOCIALE in seguito assoggettata a fallimento, ha convenuto in giudizio Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. innanzi al Tribunale di Napoli chiedendo accertarsi la nullità parziale di un contratto di conto corrente e condannarsi l’istituto di credito alla restituzione di quanto da questo indebitamente percepito a titolo di interessi ultralegali e capitalizzazione trimestrale, oltre che di commissioni e spese non convenute.
Nella resistenza della banca il Tribunale ha condannato quest’ultima al pagamento, in favore del fallimento, della somma di euro 141.626,30, oltre interessi.
2 . ─ La pronuncia è stata impugnata da entrambe le parti avanti alla Corte di appello di Napoli, la quale ha riformato parzialmente la sentenza di primo grado condannando Banca Monte dei Paschi di Siena al pagamento della minor somma di euro 61.927,90, «oltre interessi legali, capitalizzazione e maggior danno da svalutazione».
Contro questa decisione ha proposto un ricorso per cassazione, basato su tre motivi, il Fallimento RAGIONE_SOCIALE, cui resiste
con controricorso Banca Monte dei Paschi di Siena.
─ Avverso la stessa pronuncia il Fallimento RAGIONE_SOCIALE ha proposto impugnazione per revocazione, ex art. 395 n. 4 c.p.c.. Ha denunciato l’errore di fatto in cui sarebbe incorsa la Corte di appello, la quale aveva dichiarato inammissibile il proprio gravame; ha dedotto, in particolare, che la costituzione nel giudizio di appello della curatela aveva avuto luogo non già il 4 marzo 2018, come riportato nella sentenza impugnata, ma il 1 marzo dello stesso anno, e dunque nel rispetto del termine cui era assoggettato il gravame; ha esposto ancora il Fallimento che, una volta disposta la revocazione della sentenza impugnata, avrebbe dovuto essere esaminato il proprio appello incidentale, con cui si era lamentata l’utilizzazione, ai fini della decisione, di alcuni documenti prodotti in copia, disconosciuti quanto alla loro conformità rispetto all’originale.
Si è costituita Banca Monte dei Paschi di Siena, la quale ha chiesto il rigetto della proposta impugnazione.
La Corte di Napoli, con sentenza del 5 luglio 2023, ha riconosciuto che la sentenza impugnata era affetta dal dedotto errore di fatto ma, in sede rescissoria, ha respinto l’appello incidentale del Fallimento, rilevando, in sintesi, e per quanto qui rileva , che l’attuato disconoscimento risultava essere irrituale in quanto generico.
5 . -Il Fallimento RAGIONE_SOCIALE ha impugnato per cassazione questa seconda decisione della Corte partenopea con un ricorso basato su di un solo motivo. Ad esso resiste con controricorso Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a..
Sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-I due giudizi vanno riuniti (per tutte: Cass. 6 luglio 2022, n. 21315).
─ E’ necessario accordare priorità di trattazione al secondo procedimento: quello con cui è stata impugnata la sentenza resa in esito
al giudizio di revocazione.
3. ─ Chi ricorre denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 2719 c.c., 115 e 116 c.p.c., 24 Cost. 6 CEDU, 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Il motivo si articola in più censure. Riassumendo, deduce il Fallimento istante: che, secondo quanto affermato da Cass. 27 febbraio 2017, n. 4912, l’art. 2719 c.c. esige un disconoscimento espresso, non anche la precisazione degli aspetti per i quali si assume vi sia difformità tra la copia e l’originale; che «nel disconoscimento privo dell’indicazione delle ragioni di difformità non v’è un uso distorto dell’istituto, ma il mero eser cizio della prerogativa processuale di far sì che il giudizio si svolga sugli originali o su copie debitamente certificate conformi all’originale»; che il disconoscimento può attuarsi anche negando l’esistenza dell’originale e che RAGIONE_SOCIALE «aveva negato già in citazione di aver concluso per iscritto i contratti relativi ai rapporti tratti a giudizio, di essi dicendo che erano tutti privi di forma scritta», onde «versava nella incolpevole impossibilità di indicare il profilo contestato, poiché, secondo sua scienza, coscienza e prospettazione, non esistevano profili contestabili, non esistendo alcun originale rispetto alle copie non autenticate depositate», donde anche la violazione 24 Cost. 6 CEDU, 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ; che la Corte di appello aveva contraddittoriamente ritenuto che l’allegazione della società in bonis , contenuta in citazione, di non aver mai fissato «per iscritto i disciplinari economici che sarebbero stati applicati ai rapporti» implicasse la negazione dell’esistenza degli originali, giudicandola però non utile ai fini del disconoscimento, visto che la deduzione andava ribadita a seguito della produzione dei documenti disconosciuti; che, in violazione dell’art. 24 Cost. la Corte distrettuale aveva invaso il campo riservato alla discrezionalità tecnica del difensore allorquando aveva asserito che «se l’atto non è stato mai redatto per iscritto allora non si comprende perché, prodotta la copia, sia stata disconosciuta la sua
conformità all’originale ─ che, logicamente, ne postula necessariamente l’esistenza ─ invece di tacciare di falsità il documento».
4 . ─ Il motivo è infondato, e così il ricorso.
Per la giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, il disconoscimento delle copie fotostatiche di scritture prodotte in giudizio, ai sensi dell’art. 2719 c.c., impone che, pur senza vincoli di forma, la contestazione della conformità delle stesse all’originale venga compiuta, a pena di inefficacia, mediante una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all’originale (Cass. 13 dicembre 2017, n. 29993; Cass. 30 ottobre 2018, n. 27633; Cass. 20 giugno 2019, n. 16557; Cass. 25 maggio 2021, n. 14279; Cass. 20 dicembre 2021, n. 40750; il principio è stato ribadito di recente anche con riferimento al disconoscimento della conformità all’originale di copia analogica di un documento informatico: Cass. 28 agosto 2024, n. 23213). Sul tema della necessità di un disconoscimento circostanziato si è giustamente osservato: « Qualsiasi contestazione in ambito processuale non può essere ambigua o generica, perché lascerebbe irrisolto il dubbio se i fatti dubitabilmente contestati debbano essere provati o meno. Per queste ragioni la contestazione generica deve ritenersi tamquam non esset : e ciò sia per quanto attiene le modalità di contestazione dei fatti processuali allegati dalla controparte; sia per quanto attiene le modalità di contestazione della conformità all’originale della copia di un documento » (così Cass. 3 aprile 2014, n. n. 7775, in motivazione).
Non coglie nel segno quanto asserito dal ricorrente con riguardo alla negazione, formulata nell’atto introduttivo del giudizio, circa la mancata documentazione dei «disciplinari economici che sarebbero stati applicati ai rapporti». Siffatta deduzione non era certamente idonea a integrare il disconoscimento, e ciò in quanto, come si è visto,
il disconoscimento deve contenere specifico riferimento al documento ed al profilo di esso che venga contestato: sicché, ove venga formulato preventivamente senza riferimento circoscritto a un determinato documento, la contestazione non preclude l’utilizzazione della copia come mezzo di prova, a meno che non venga ribadita successivamente alla produzione del documento e con espresso riferimento ad esso (Cass. 19 agosto 2004, n. 16232). Ebbene, il disconoscimento è stato reiterato a seguito della produzione delle copie, avendo la società contestato espressamente la non conformità di queste agli originali. Con ciò la prima dichiarazione è stata superata, avendo Telecontrolli implicitamente, ma incontrovertibilmente, ammesso che gli originali dei documenti prodotti in copia esistessero (non spiegandosi, diversamente, come si potesse predicare la difformità di questi rispetto a quelli). E tuttavia, questo disconoscimento deve ritenersi irrituale in quanto mancante dell’indicazione degli elementi di differenziazio ne delle copie rispetto agli originali.
La doglianza incentrata sulla violazione del diritto di difesa è poi priva di concludenza proprio in quanto, come si è appena visto, è stata la stessa società poi fallita ad ammettere, col disconoscimento attuato a seguito della produzione in giudizio delle copie, che esistesse l’originale. E del resto, se mai RAGIONE_SOCIALE avesse voluto realmente prospettare l’inesistenza degli originali non avrebbe potuto limitarsi a disconoscere la conformità agli stessi delle copie prodotte: infatti, il «diniego di originale» non attiene alla contestazione del contenuto, ma dell’esistenza stessa del documento, con la finalità di espungerlo dall’ordinamento in quanto artificiosamente creato, e richiede la querela di falso, proponibile anche avverso la copia prodotta in giudizio, per rimuovere la sua efficacia probatoria di scrittura privata, mentre il disconoscimento di conformità, che attiene al contenuto del documento prodotto in copia e non alla sua provenienza o paternità, presupponendo l’esistenza di un originale, consente l’utilizzazione della
scrittura e, in particolare, l’accertamento della conformità all’originale della copia prodotta anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass. 6 settembre 2024, n. 24029). Ne discende che la società in bonis non era affatto priva degli strumenti attraverso cui reagire all’acquisizione processuale dei documenti in questione: ove avesse inteso affermare che non esisteva l’originale, avrebbe dovuto proporre querela di falso; ove avesse inteso lamentare che le copie prodotte non erano conformi agli originali avrebbe dovuto circostanziare il disconoscimento individuando gli elementi di difformità tra le une e gli altri.
Non ha consistenza, da ultimo, la deduzione secondo cui la Corte di appello avrebbe «invaso il campo riservato in via esclusiva alla discrezionalità tecnica del difensore». Come è fin troppo facile comprendere, il Giudice distrettuale, nel rimarcare che la mancata redazione per iscritto di un accordo non era compatibile col successivo disconosci mento della conformità della copia rispetto all’originale che lo documenti, ha inteso dare evidenza alla contraddittorietà della condotta processuale della società: e la formulazione di un tale giudizio è pienamente legittima, trovando fondamento nell’art. 116 c.p.c..
5 . ─ Il ricorso di cui al giudizio R.G. n. 4441/2024 è dunque respinto.
─ Passando al secondo giudizio, questi i motivi posti a fondamento dell’impugnazione.
─ Col primo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 16 -bis , comma 7, d.l. n. 179/2012, nonché la nullità della sentenza e del procedimento. La censura investe la declaratoria di inammissibilità dell’appello incidentale del Fallimento: rileva il ricorrente che la propria costituzione nel giudizio di appello avvenne non il 4 marzo 2018, come riportato nella sentenza impugnata ma il 1° marzo dello stesso anno, e dunque nel rispetto del termine cui era assoggettato il gravame. Si osserva, in particolare, che la ricevuta
di consegna del deposito telematico della comparsa di costituzione recante appello incidentale riportava la suddetta data del 1 marzo 2018.
Il secondo mezzo, formulato in via condizionata al mancato accoglimento del primo, prospetta la nullità della sentenza o del procedimento per motivazione apparente oltre che la violazione o falsa applicazione degli artt. 1350, 1284 e 1419 c.c.. E’ impugnato il capo della sentenza in cui si afferma essere stati regolarmente pattuiti gli interessi debitori. Sostiene il ricorrente che la decisione resa dalla Corte di Napoli sarebbe, sul punto, meramente apparente; deduce, inoltre, che ai fini della valida pattuizione di interessi ultralegali sarebbe necessario che il documento contrattuale sia sottoscritto anche dal soggetto legittimato ad impegnare la banca, così come disposto dall’art. 1284 c.c.: in tal senso, la scrittura privata prodotta, recante la sola firma del correntista, non giustificherebbe la pattuizione di interessi ultralegali.
Col terzo motivo, svolto in via subordinata rispetto al primo e al secondo, si lamenta la nullità della sentenza per motivazione apparente, oltre che la violazione o falsa applicazione degli artt. 117, comma 6, t.u.b., 1346, 1419, 1362 c.c. e 12 preleggi. Si censura la sentenza impugnata nel passaggio, sopra richiamato, afferente la pattuizione degli interessi debitori. Secondo la parte ricorrente le intercorse pattuizioni risulterebbero carenti di trasparenza, essendo assolutamente incerto il campo di applicazione delle medesime, contenute nei contratti del 9 aprile 1998 e del 28 marzo 2000. Assume, ancora, il Fallimento istante che la Corte distrettuale sarebbe incorsa in errore nell’applicazione dei canoni normativi ermeneutici estendendo il portato dei patti sugli interessi contenuti nei contratti del 9 aprile 1998 e del 28 marzo 2000 all’apertura di credito del 27 marzo 1998 .
8. ─ Il primo motivo è inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto la statuizione di inammi ssibilità dell’appello incidentale è stata rimossa dalla sentenza di cui ci si è in precedenza
occupati.
9. ─ I restanti motivi del ricorso di cui al R.G. n. 29612 del 2020 vanno esaminati. Il primo motivo non è stato infatti accolto e il condizionamento espresso nel ricorso era comunque finalizzato a far salva la confutazione di quanto affermato nella sentenza n. 455 del 2020 con riguardo alla pattuizione degli interessi debitori: tema, questo, non inciso dalla pronuncia sulla revocazione, con la quale la Corte di Napoli si è limitata, come si è visto, a dar conto dell’errore revocatorio e a riconoscere che l’attu ato disconoscimento non poteva ritenersi rituale.
10. ─ Il secondo motivo è infondato.
La Corte di appello ha rilevato che nei contratti documentati in giudizio, e datati 9 aprile 1998 e 28 marzo 2000, gli interessi debitori erano stati pattuiti per iscritto, così come la commissione di massimo scoperto.
Tale motivazione non è affatto apparente, per tale dovendosi considerare quella motivazione che, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. 1 marzo 2022, n. 6758; Cass. 23 maggio 2019, n. 13977).
Quanto alla censura di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c., essa è infondata per le ragioni che seguono.
Vero è che, come osservato da questa Corte, nei contratti bancari conclusi prima dell’entrata in vigore della l. n. 154 del 1992, il requisito della forma scritta richiesto dall’art. 1284 c.c. ai fini della valida pattuizione di interessi superiori rispetto alla misura legale, deve essere inteso in senso strutturale e non funzionale; pertanto, la sua violazione
determina l’ordinaria forma di nullità assoluta, con conseguente necessità, ai fini della validità del patto, della sottoscrizione di entrambe le parti, sia pure con atti distinti, purché inscindibilmente connessi, senza poter integrare tale presupposto formale attraverso il c.d. contratto monofirma (così Cass. 15 giugno 2022, n. 19298; nel senso che l’art. 1284, comma 3, c.c. richied a una pattuizione sottoscritta da entrambi i contraenti, cfr. pure, ad esempio, Cass. 11 febbraio 2014, n. 3017).
La norma codicistica non ha tuttavia modo di operare con riferimento ai contratti disciplinati dal testo unico bancario, dal momento che riguardo ad essi è operante, per il principio di specialità, la previsione dell’art. 11 7, comma 4, il quale prevede che i contratti bancari indichino « il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora ».
In temini generali, la forma contemplata dall’art. 117 t.u.b. per la stipula dei contratti bancari ha, come è noto, una finalità informativa, onde il requisito in questione va inteso in senso funzionale e non strutturale: tant’è che ai fini della validità del contratto è sufficiente che esso sia redatto per iscritto, ne sia consegnata una copia al cliente e vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, potendo il consenso della banca desumersi alla stregua di comportamenti concludenti (Cass. 12 ottobre 2023, n. 28500; Cass. 6 giugno 2018, n. 14646). Obbedisce alla stessa finalità la forma documentale prescritta, dal cit. quarto comma dell’art. 117, per le richiamate condizioni contrattuali: si tratta, infatti, di una disciplina di completamento della regola sulla documentazione dell’accordo , volta a chiarire che l ‘informazione circa la componente economica di questo va sempre veicolata dalla convenzione scritta.
Posta la distinzione tra le due discipline -quella codicistica, di portata generale, presidiata da una nullità strutturale, e quella, speciale, dettata dal testo unico bancario, la quale è diretta a secondare
una finalità informativa – è fac ile comprendere che la mancata sottoscrizione, da parte del soggetto deputato a rappresentare l’istituto bancario, del documento contrattuale recante la pattuizione degli interessi non possa determinare ex se la nullità del contratto.
Ne discende che con riferimento ai due negozi di cui qui si discute, conclusi nel periodo di vigenza del testo unico, l’assenza della detta sottoscrizione non assume il rilievo che le annette il ricorrente.
11. ─ Il terzo motivo è inammissibile.
Esso reca questioni di cui la sentenza impugnata non si è occupata e che il Fallimento non deduce siano state sottoposte alla Corte di appello. Ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 1 luglio 2024, n. 18018; Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430).
─ In conclusione, entrambi i ricorsi vanno respinti.
─ Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
dispone la riunione dei ricorsi e li rigetta entrambi; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza
dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione