Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3352 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3352 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11291 R.G. anno 2021 proposto da:
NOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME domiciliata presso gli avvocati NOME e NOME COGNOME
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME , presso il quale è domiciliata;
contro
ricorrente
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 199/2021 depositata il 21 gennaio 2021 della Corte di appello di Napoli.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 gennaio 2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. ─ Con atto di citazione notificato il 13 dicembre 2010 NOME COGNOME ha evocato in giudizio RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE deducendo quanto segue. Tra l’attrice e COGNOME era intercorso un rapporto di mandato fiduciario avente ad oggetto la gestione di un portafoglio titoli; la società fiduciaria, senza che essa attrice avesse impartito alcuna disposizione in tal senso, aveva costituito in pegno i detti titoli in favore di Unicredit, e ciò a garanzia di alcuni rapporti di locazione finanziaria intercorrenti tra quest’ultima e la società RAGIONE_SOCIALE: in seguito, il pegno era stato escusso con la vendita dei titoli . L’attrice ha pure lamentato l’esistenza di un conflitto di interessi tra di essa e Cordusio e tra quest’ultima e Unicredit. Ha quindi domandato accertarsi l’inadempimento della società fiduciaria, la pronuncia della risoluzione ex art. 1453 c.c. del contratto di mandato, la condanna di Cordusio alla restituzione dei compensi percepiti per l’esecuzione dell’incarico, l ‘annullamento dell’atto costitutivo del pegno, la condanna delle due convenute alla restituzione dell’equivalente in denaro dei titoli oggetto della garanzia pignoratizia, in regione dell’importo ricavato dalla vendita, pari a euro 608.991,01, e la condanna in via solidale di Cordusio e Unicredit al risarcimento del danno.
COGNOME e Unicredit Leasing hanno resistito in giudizio chiedendo il rigetto delle domande attrici.
Il Tribunale di Napoli si è dichiarato incompetente con riguardo alle domande concernenti l’inadempimento di COGNOME, per essere la relativa controversia devoluta agli arbitri in forza di clausola compromissoria; ha rigettato nel merito le altre domande proposte.
2 . ─ NOME COGNOME ha proposto appello cui hanno resistito
sia Cordusio che Unicredit.
Il gravame è stato respinto dalla Corte di appello di Napoli con sentenza del 21 gennaio 2021.
La stessa COGNOME ricorre ora per cassazione con un ricorso fondato su due motivi, cui resistono, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
COGNOME e COGNOME hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Col primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 819 ss. c.p.c. e il vizio di omessa pronuncia sulle domande di risoluzione e risarcimento del danno per l’inadempimento di Cordusio agli obblighi del mandato fiduciario. Si rileva che la pattuizione dell’arbitrato irrituale determina l’inapplicabilità delle norme dettate per quello rituale, ivi compreso l’art. 819 -ter c.p.c.. Si assume che a fronte di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale doveva affermarsi la competenza del giudice ordinario a conoscere anche delle domande di risoluzione e di risarcimento dei danni conseguenti alla violazione degli obblighi derivanti dal rapporto gestorio tra la ricorrente e Cordusio.
2 . – Il motivo è infondato.
La Corte distrettuale ha escluso che la competenza relativa alle domande che dovevano essere decise dagli arbitri in forza della clausola compromissoria, afferenti all’esecuzione del contratto di mandato, potessero essere oggetto della cognizione del giudice ordinario in quanto l’art. 819 -ter c.p.c., nel prevedere che la competenza degli arbitri non è esclusa dalla connessione tra la controversia ad essa deferita ed una causa pendente davanti al giudice ordinario implica, in riferimento all’ipotesi in cui sia stata proposta una pluralità di domande, che la sussistenza della competenza arbitrale sia verificata con specifico riguardo a ciascuna di esse, non potendosi devolvere agli arbitri, o al giudice ordinario, l’intera controversia in virtù del semplice vincolo di
connessione.
La decisione è giusta, ma la motivazione della pronuncia sul punto deve essere corretta in diritto.
Vero è che, come dedotto dalla ricorrente, l’art. 819 -ter è norma dettata per l’arbitrato rituale : la pattuizione dell’arbitrato irrituale determina difatti l’inapplicabilità di tutte le norme dettate per quello rituale (per tutte: Cass. 10 novembre 2022, n. 33149; Cass. 10 settembre 2018, n. 21942). Ciò non implica, però, che nel caso di arbitrato irrituale le ragioni di connessione possano sottrarre la controversia agli arbitri. Trova infatti pur sempre applicazione il principio per cui il compromesso per arbitrato irrituale, diretto, cioè, a conseguire a mezzo di mandato, la risoluzione negoziale di una determinata controversia, implica una rinuncia dei contraenti alla tutela giurisdizionale che, escludendo l’applicazione della norma sulla connessione (art. 40 c.p.c..) alla controversia che è oggetto del compromesso, rende improponibile la domanda con la quale una delle parti abbia adito il giudice per ottenere in sede giurisdizionale la decisione di quella controversia, anche quando questa sia connessa con altra domanda di competenza del giudice adito (Cass. 12 aprile 2005, n. 7551; Cass. 12 dicembre 1992, n. 12589; più di recente: Cass. 31 ottobre 2019, n. 28011, non massimata sul punto in CED ).
3 . -Col secondo mezzo si oppone la violazione e falsa applicazione degli artt. 1394 ss., 1431, 1526, 1711, 2719 c.c. e 215 c.p.c.. Si nega che il disconoscimento quanto alla conformità all’originale delle copia dei documenti prodotti da Cordusio, e relativi agli ordini di costituzione in pegno dei titoli, fosse generica, come affermato dalla Corte di merito; si aggiunge che il disconoscimento dell’autenticità delle sottoscrizioni apposte sui due documenti successivamente prodotti in originale era da considerarsi tempestivo: si spiega che i predetti originali furono prodotti da controparte con la prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. e che il disconoscimento
ebbe luogo con la seconda memoria di cui alla richiamata norma. La sentenza impugnata è pure censurata con riguardo alla statuizione di rigetto della domanda di annullamento dei negozi di pegno e di vendita dei titoli per conflitto di interessi; si assume che «gli elementi che integravano la situazione di conflitto in capo alla RAGIONE_SOCIALE, comportando l’annullamento dei contratti impugnati, erano stati allegati e provati dalla fiduciante COGNOME».
4. – In motivo è inammissibile.
Si legge nella sentenza impugnata che i documenti rappresentati vi degli ordini impartiti dall’odierna ricorrente erano stati «genericamente, e dunque inammissibilmente, disconosciuti dalla Inserra per la loro non conformità all’originale, mentre la loro sottoscrizione stata disconosciuta dall’attrice solo tardivamente, ovvero nella prima memoria ex art. 183 c.p.c.». E’ precisato nella pronuncia che il primo disconoscimento avente ad oggetto «tutta la documentazione prodotta in copia dalla RAGIONE_SOCIALE» aveva avuto luogo alla prima udienza del 22 aprile 2011 e che in quella sede non era stato posto in atto alcun disconoscimento della sottoscrizione posta dalla ricorrente odierna in calce ai documenti prodotti (in particolare, della firma che figurava sugli ordini di Cordusio di costituzione di pegno dei titoli in favore di Unicredit).
La ricorrente mostra di non cogliere il senso di questo passaggio della motivazione. Come è noto, il disconoscimento delle copie fotostatiche di scritture prodotte in giudizio, ai sensi dell’art. 2719 c.c., impone che, pur senza vincoli di forma, la contestazione della conformità delle stesse all’originale venga compiuta, a pena di inefficacia, mediante una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all’originale (Cass. 20 dicembre 2021, n. 40750; Cass. 25 maggio 2021, n. 14279; Cass. 20 giugno 2019, n. 16557). La Corte di merito ha inteso quindi proprio rilevare
che un disconoscimento quale quello operato dall’odierna ricorrente, vagamente riferito a tutti i documenti in copia, senza alcuna evidenziazione degli elementi di differenziazione tra gli originali e le riproduzioni, era privo di effetti. L’inidoneità del detto disconoscimento ha avuto, poi, una precisa ripercussione sulla sorte del disconoscimento relativo alla paternità delle sottoscrizioni, operato solo a seguito della produzione degli originali. Infatti, qualora il disconoscimento di conformità della copia fotostatica all’originale non venga effettuato, o venga effettuato – come nel caso in esame in maniera inadeguata dalla parte contro cui sia stata prodotta la copia del documento, la stessa è tenuta ad effettuare l’eventuale disconoscimento dell’autenticità del documento nei termini di cui all’art. 215 c.p.c. con riferimento alla produzione della copia (Cass. 7 luglio 1995, n. 7496; cfr. pure Cass. 27 febbraio 1990, n. 1509). In conclusione, a fronte dell’irrituale, e perciò inefficace, contestazione della conformità delle copie agli originali, il disconoscimento delle sottoscrizioni andava operato alla prima udienza, nella prima risposta successiva alla produzione (che COGNOME aveva operato all’atto della sua costituzione).
Parte ricorrente ha contestato la genericità dell’attuato disconoscimento, ma la deduzione è, a sua volta generica, perché non fornisce alla Corte alcun utile ragguaglio al riguardo. Come è noto, la prospettazione di errores in procedendo implica che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il «fatto processuale» (Cass. Sez. U. 25 luglio 2019, n. 20181): infatti, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo , presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche puntualmente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, dovendo tale specificazione essere contenuta, a pena d’inammissibilità, nello stesso ricorso per
cassazione, per il principio di autosufficienza di esso (Cass. 6 settembre 2021, n. 24048; Cass. 29 settembre 2017, n. 22880). Si impone, così, la trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario, in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (Cass. 30 luglio 2024, n. 21346).
Parimenti carente in punto di specificità è poi la censura vertente sul tema del conflitto di interessi. La Corte di merito ha osservato, al riguardo, che la pertinente deduzione «richiedeva l’indicazione specifica dei profili di conflitto e della loro concreta possibilità di incidere sui contratti posti in essere». La ricorrente si è limitata, in questa sede, a richiamare allegazioni che a suo dire sarebbero rimaste incontestate, senza dare, nemmeno a questo riguardo, la necessaria specificità ai propri assunti.
5. – Il ricorso è respinto.
– Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida per RAGIONE_SOCIALE in euro 4.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge, e per Unicredit in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge ; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione