Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14531 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14531 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28064/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI ROMA n. 2438/2021, depositata il 02/04/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Decidendo nel merito la lite insorta tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, la Corte d’Appello di Roma, p er quanto ancora interessa in questa sede, ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza di primo grado (Tribunale di Tivoli n. 2313/2015) che aveva, a sua volta, per quanto di stretto interesse in questa sede, disatteso la domanda riconvenzionale da essa proposta con cui si chiedeva dichiararsi la nullità oppure la risoluzione per eccessiva onerosità o per grave inadempimento del contratto per notaio COGNOME 11.1.2001 (contratto con cui, a fronte della concessione per quaranta anni del diritto di superficie ad aedificandum da parte della società proprietaria RAGIONE_SOCIALE la RAGIONE_SOCIALE si impegnava a pagare un canone annuale di €. 1.549,37 , con la previsione che la concedente avrebbe corrisposto alla scadenza del contratto il valore commerciale del fondo con le relative costruzioni valutato alla data di cessazione del diritto di superficie).
Per giungere a tale conclusione, la Corte romana ha osservato:
che lo squilibrio economico iniziale tra le prestazioni non privava di causa il contratto in virtù del principio dell’autonomia negoziale e, quindi, non ne determinava la nullità, se non nei limiti della pattuizione di un prezzo del tutto privo di valore, tale però non potendo considerarsi la somma di €. 1.549,00 per anno convenuta tra le parti;
– quanto alla prospettata eccessiva onerosità, essa doveva essere accertata con riferimento al momento stabilito per l’adempimento della prestazione (art. 2 del contratto 11.01.2001): pertanto, essa sarebbe diventata certa ed esigibile solo alla scadenza del termine quarantennale della concessione (nel 2041), sicché non era allo stato prevedibile se effettivamente a quella data potesse sussistere l’eccessiva onerosità dedotta dalla RAGIONE_SOCIALE. Del resto, le parti non avevano introdotto alcuna indicazione o limitazione riguardo alla tipologia e consistenza dei manufatti realizzandi: la parte concedente aveva accettato, quindi, il rischio della costruzione di manufatti che, in ragione delle loro caratteristiche e destinazione, avrebbero potuto acquisire un valore economico assai rilevante;
non meritava accoglimento la domanda di risoluzione del contratto per grave inadempimento di RAGIONE_SOCIALE ex art 1453 cod. civ., per aver edificato la struttura eliportuale in contrasto con lo spirito del contratto e con la comune intenzione delle parti, e senza peraltro richiedere ed ottenere il consenso del proprietario del fondo. In mancanza di indicazioni o limiti riguardo alle caratteristiche dei manufatti e della previsione di un consenso da parte dei concedenti per la loro realizzazione, doveva ritenersi che le opere realizzate dalla RAGIONE_SOCIALE fossero state preventivamente accettate dai danti causa dell’odierna appellante; tanto era confermato dal fatto che la stessa RAGIONE_SOCIALE costituiva in favore della superficiaria una servitù volontaria di elettrodotto con successivo contratto sottoscritto il 28.06.2006.
Contro questa sentenza RAGIONE_SOCIALE ricorre per cassazione con quattro motivi contrastati con controricorso da RAGIONE_SOCIALE
Comunicata proposta di definizione ex art. 380 bis cpc del Consigliere Delegato, la ricorrente ha chiesto la decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si deduce nullità della sentenza e del procedimento, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ., per violazione dell’art. 356 cod. proc. civ. La ricorrente lamenta l’omessa pronuncia della Corte territoriale in ordine alla richiesta di ammissione della C.T.U. – reiterata anche in secondo grado sia con atto di appello, sia in sede di comparsa conclusionale – volta alla quantificazione del valore di mercato dei beni edificati. Tale omissione -si assume – avrebbe impedito di acquisire al processo il dato fondamentale relativo al peso economico dell’obbligazione assunta da RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto il versamento della somma pari al valore di mercato dei beni edificati, con ogni conseguenza in termini di nullità del contratto costitutivo del diritto di superficie, ovvero di risoluzione del medesimo per eccessiva onerosità sopravvenuta o per grave inadempimento.
Il motivo è inammissibile.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il vizio di omessa pronuncia, che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., rilevante ai fini di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, dello stesso codice, si configura esclusivamente con riferimento a domande attinenti al merito, e non anche in relazione ad istanze istruttorie per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (censura , quest’ultima, peraltro non più ammessa se non nei ristretti limiti di cui al n. 5 dell’ art. 360 cod. proc. civ.): Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 24830 del 20/10/2017, Rv. 646049 –
01; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13716 del 05/07/2016, Rv. 640358 -01).
Nel caso in esame, la censura riguarda appunto la nomina di un consulente, cioè una istanza istruttoria, la cui valutazione spetta al giudice di merito, e che evidentemente è stata ritenuta implicitamente assorbita una volta escluse le ipotesi di nullità o risoluzione contrattuale.
2. Con il secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione delle norme di diritto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., con riferimento agli artt. 1418, 1325, 952 e 953 cod. civ. Secondo la ricorrente, la nullità del negozio costitutivo del diritto di superficie, che si riverbera sul successivo contratto del 28.06.2006, si deduce dalla natura simbolica del corrispettivo pattuito con il contratto e, quindi, dal difetto di causa derivante dall’assenza di controprestazione, rilevabile sia nella pattuizione di un canone simbolico (pari a €. 1.549,00 annui, ossia €. 129,11 mensili), sia dal fatto che l’acquisto da parte dell’odierna ricorrente della proprietà dei beni edificati al termine del contratto di superficie è accompagnato dal pagamento del valore integrale e di mercato dei beni edificati.
Il motivo è infondato.
Solo l’indicazione di un prezzo assolutamente privo di valore, meramente apparente e simbolico, può determinare la nullità della vendita per difetto di uno dei suoi requisiti essenziali, mentre la pattuizione di un prezzo, notevolmente inferiore al valore di mercato della cosa venduta, ma non del tutto privo di valore, pone solo un problema concernente l’adeguatezza e la corrispettività delle prestazioni ed afferisce, quindi, all’interpretazione della volontà dei contraenti ed all’eventuale configurabilità di una causa diversa del
contratto (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 9640 del 19/04/2013; Sez. 1, Ordinanza n. 7368 del 2024).
Ed è il caso di sottolineare, in termini generali, che lo squilibrio tra le prestazioni dei singoli contratti, in caso di collegamento degli stessi, ben può rappresentare un esito coerente col programma negoziale, inteso nel suo complesso: sovente, infatti , è la finalizzazione dell’operazione a un risultato economico unitario e complesso a implicare che l’assetto di interessi definito dai singoli contratti, considerati isolatamente, presenti sbilanciamenti, più o meno marcati (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 14561 del 2023).
Nel caso in esame , la Corte d’Appello ha ritenuto che il corrispettivo di € . 1.549,00 per anno non appare assolutamente privo di valore economico, (v. sentenza pag. 4); la critica si risolve pertanto in una censura sull’apprezzamento riservato al giudice di merito, come tale sottratto al sindacato di legittimità.
3. Con il terzo motivo si deduce violazione o falsa applicazione delle norme di diritto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., con riferimento agli artt. 1467, 952 e 953 cod. civ. La rimprovera alla Corte d’Appello avrebbe dovuto rilevare che la ricorrente non aveva accettato il rischio dell’edificazione di qualsivoglia struttura, ma unicamente di quelle strutture compatibili con la destinazione agricola del terreno: pertanto, conclude la ricorrente, la realizzazione di una struttura connessa con attività eliportuale rappresenta -diversamente da quanto statuito in motivazione dal giudice di seconde cure -circostanza straordinaria, non prevedibile alla data di sottoscrizione del contratto costitutivo del diritto di superficie.
Il motivo è infondato.
La Corte territoriale ha escluso la straordinarietà ed imprevedibilità della sopravvenuta realizzazione di un eliporto -così traendo la conseguenza dell’assunzione del rischio derivante dalla costruzione di manufatti che, in ragione delle loro caratteristiche e destinazione d’uso, avrebbero potuto assumere un valore economico assai rilevante -non solo dal fatto che il contratto dell’11.01.2001 non conteneva indicazione né limitazione alcuna riguardo alla tipologia ed alla consistenza dei manufatti realizzandi (v. sentenza p. 5, 3° capoverso); bensì anche dalla successiva sottoscrizione del contratto di costituzione di servitù di elettrodotto, finalizzata all’attivazione di autonome utenze a servizio della struttura eliportistica (v. sentenza p. 6, 1° capoverso). Con la precisazione che tale ultimo contratto era stato stipulato in data 28.06.2006, quando era ormai nota alla stessa RAGIONE_SOCIALE (subentrata ai danti causa NOME COGNOME e NOME COGNOME con atto del 24.12.2002) l’ut ilizzazione del terreno a fini eliportuali da parte della superficiaria.
La censura si risolve, in definitiva, nella contestazione dell’interpretazione della volontà delle parti (accettazione del rischio di costruzione di manufatti di rilevante valore economico), senza neppure denunciare specificamente i canoni ermeneutici violati.
Con il quarto motivo si deduce violazione o falsa applicazione delle norme di diritto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., con riferimento all’art. 1374 cod. civ., ed al D.M. 8 agosto 2003 (Norme di attuazione della legge 2 aprile 1968, n. 518, concernente la liberalizzazione dell’uso delle aree di atterraggio), artt. 3, 7, comma 6, 8 comma 4. La ricorrente censura la pronuncia impugnata nella parte in cui non ha rilevato che l’edificazione da parte della RAGIONE_SOCIALE di un eliporto sia stata realizzata in assenza del consenso
scritto del proprietario del fondo ai sensi della normativa di settore sopra citata, da ritenersi parte integrante del contratto di costituzione del diritto di superficie, che prevede come requisito essenziale per l’esercizio di un a avio/elisuperficie il consenso espresso in forma scritta dal proprietario del fondo sul quale la struttura è ubicata. Tanto è confermato anche dalla nota ENAC del 21.03.2005, con la quale si afferma di dover attivare procedure limitative dell’operatività dell’elisuperficie stan te richiesta espressa della proprietà con denuncia del 16.12.2004.
Il motivo è inammissibile in quanto pone una questione di diritto nuova: la violazione del D.M. del 8.8.2003 non risulta che sia stata posta in sede di merito.
Ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (tra le varie, Sez. 2 – , Ordinanza n. 2038 del 24/01/2019).
Nel caso in esame, la sentenza non contiene alcun accenno alla normativa di settore oggi richiamata e la ricorrente non chiarisce dove e quando la specifica normativa è stata invocata in appello.
In conclusione, il ricorso va respinto con inevitabile addebito di spese secondo soccombenza.
Essendo la decisione resa nel procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380bis cod. proc. civ. (novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, parte ricorrente deve essere, inoltre, condannata al pagamento delle ulteriori somme ex art. 96, commi 3 e 4 cod. proc. civ., sempre come liquidate in dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che liquida in €. 5 .000,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Condanna altresì la ricorrente, ai sensi dell’art. 96, comma 3 cod. proc. civ., al pagamento a favore della parte controricorrente di una somma ulteriore di €. 5 .000,00 equitativamente determinata, nonché -ai sensi dell’art. 96, comma 4 cod. proc. civ. – al pagamento della somma di €. 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2024.
Il Presidente
COGNOME