Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 30167 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 30167 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CONDELLO NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23465/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa, giusta procura in dall’avv.
calce alla memoria di costituzione di nuovo difensore , NOME COGNOME, con domicilio digitale come per legge
-ricorrente – contro
COGNOME NOME
-intimato – avverso la sentenza del Tribunale di Savona n. 586/2022, pubblicata in data 28 giugno 2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26
settembre 2025 dal AVV_NOTAIO dott.ssa NOME COGNOME.
Fatti di causa
NOME COGNOME ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza del Tribunale di Savona n. 586/2022, pubblicata in data 28 giugno 2022, che h a rigettato l’appello dalla stessa proposto avverso la sentenza del Giudice di pace di Savona n. 273/21.
1.1. Riferisce, in punto di fatto, che NOME COGNOME l’aveva convenuta in giudizio, chiedendone, in via principale, la condanna alla restituzione, ex art. 2033 cod. civ., della somma di euro 2.797,53, che asseriva di avere indebitamente pagato a titolo di tassa sui rifiuti (T.A.R.I.), per gli anni 2014-2018, in relazione al l’immobile sito in Savona, INDIRIZZO, sull’assunto che una porzione del bene era stata concessa in locazione alla convenuta fino al 30 settembre 2018; in via sussidiaria, il rimborso della medesima somma ai sensi dell’art. 2041 cod. civ.
Costituendosi in giudizio, aveva eccepito: i) la carenza di legittimazione dell’attore che non aveva un titolo per richiederle il rimborso di somme versate al Comune di Savona; ii) la carenza di legittimazione passiva, dal momento che il rapporto di locazione era intercorso tra la proprietaria dell’immobile, NOME COGNOME, e la società RAGIONE_SOCIALE, di cui era legale rappresentante; in via riconvenzionale, aveva chiesto all’attore la quota parte dei costi relativi alle utenze di luce e gas da lei sostenute per l’intero imm obile e mai rimborsate dal COGNOME, per un importo pari ad euro 7.710,12.
1.2. Il Giudice di Pace di Savona, con sentenza n. 373/2021 l’aveva condannata a pagare, in favore di NOME COGNOME, la somma da questi versata a titolo di T.A.R.I., respingendo la domanda riconvenzionale.
1.3. Il Tribunale di Savona rigettava l’appello interposto dalla soccombente.
Osservava che costituivano circostanze non contestate che NOME COGNOME detenesse, sin dal 2008, una porzione dell’appartamento sito in INDIRIZZO, pari a mq. 54, e che NOME COGNOME avesse detenuto la restante superficie dal 2008 sino al 2018; agli atti di causa vi era il contratto di locazione ad uso commerciale stipulato dalla proprietaria dell’immobile, NOME COGNOME, e dalla COGNOME, nella qualità di amministratore unico di RAGIONE_SOCIALE, registrato in data 11 novembre 2003, nonché atto di risoluzione consensuale del medesimo contratto intervenuto tra la locatrice e la conduttrice, quale titolare della impresa individuale RAGIONE_SOCIALE NOME, datato 28 settembre 2018. Rilevava, con riguardo alla domanda svolta da NOME COGNOME, che il pagamento da questi eseguito non era stato ricevuto dalla COGNOME, ragione che portava ad escludere l’applicabilità dell’art. 2033 cod. civ.; tuttavia, poiché l’art. 1, commi 645, 646, 647 e 648 della legge n. 147/2013, che regolamenta la determinazione della superficie delle unità immobiliari ai fini del calcolo della T.A.R.I., prevede che ‘in caso di pluralità di possessori o detentori, essi sono tenuti in solido all’adempimento dell’unica obbligazione tributaria’, riteneva la domanda di rimborso avanzata dal COGNOME meritevole di accoglimento in forza del disposto di cui all’art. 1299 cod. civ., essendo il COGNOME coobbligato ex lege , in solido con la COGNOME, al pagamento della TARI dovuta in relazione all’intera superficie dell’immobile.
Procedendo, poi, all’esame del la originaria domanda riconvenzionale spiegata dalla COGNOME, poneva in evidenza che il contratto di locazione prevedeva espressamente che erano a carico del conduttore nella misura di 3/5 le spese di elettricità, acqua, riscaldamento autonomo, pulizia e le spese condominiali ad esclusione
di quelle di pertinenza del locatore, mentre l’atto di risoluzione consensuale del 28 settembre 2018 prevedeva che ‘le spese per utenze, luce, gas fino al 28 settembre 2018 ‘ fossero a carico di NOME COGNOME, che avrebbe dovuto provvedere a pagarle, nonché a chiudere i relativi contratti; sulla scorta di tali premesse avallava la decisione del giudice di primo grado, concludendo che la domanda di rimborso di parte delle spese sostenute per le utenze dovesse essere rivolta alla proprietaria locatrice, NOME COGNOME.
1.4. NOME COGNOME, sebbene intimato, non ha svolto attività difensiva in questa sede.
In data 5 gennaio 2024 il difensore di parte ricorrente ha depositato atto di rinuncia al mandato ed in data 17 aprile 2024 si è costituito un nuovo difensore.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell ‘ art. 380bis .1. cod. proc civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, la ricorrente denunzia ‹‹ Violazione e falsa applicazione degli artt. 1299 e 2697 c.c. Violazione e falsa applicazione della norma e del principio che impongono all’attore di provare ciò che afferma (‘ Onus probandi incumbit eu qui dicit ‘) -motivazione apparente della sentenza -conseguente inapplicabilità dell’art. 1299 c.c. -Art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.. ›› , lamentando che il Tribunale ha implicitamente riconosciuto la titolarità passiva, ignorando (e, comunque, non pronunciando circa) l’esistenza del contratto di locazione tra NOME COGNOME e la COGNOME, quale titolare della impresa individuale RAGIONE_SOCIALE, e, quindi, non tenendo conto che l’unico soggetto nei cui confronti il COGNOME avrebbe dovuto rivolgere le sue pretese era unicamente la RAGIONE_SOCIALE, titolare del contratto di
locazione. Il Tribunale -secondo la ricorrente – ha totalmente ignorato che agli atti di causa non risultava alcuna risoluzione del contratto intercorso tra la conduttrice e la locatrice, né un contratto tra quest’ultima e la RAGIONE_SOCIALE; il COGNOME, sul quale incombeva il relativo onere, non aveva, pertanto, dimostrato la titolarità passiva del rapporto in capo alla stessa ricorrente in relazione alla domanda avanzata, pur a fronte della contestazione svolta sul punto, ciò che comportava l’apparenza o inesistenza della motivazione e la violazione d ell’art. 1299 cod. civ.
1.1. La censura è inammissibile per una pluralità di ragioni.
1.2. Anzitutto, il motivo, sotto i diversi profili di doglianza denunciati, si rivela del tutto assertorio, generico e inosservante dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., in quanto si fonda su atti e documenti del giudizio di merito che la ricorrente si limita a richiamare, senza riprodurli nel ricorso, quanto meno nelle parti rilevanti, ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (Cass., sez. U, 27/12/2019, n. 34469).
1.3. Anche se si potesse superare tale assorbente rilievo, il motivo non sfuggirebbe alla declaratoria d’inammissibilità nella parte in cui mira a porre in discussione l’apprezzamento della sussistenza o della insussistenza della non contestazione compiuta dal giudice di merito. Tale apprezzamento esige l’interpretazione della domanda e delle deduzioni delle parti ed è perciò riservato al giudice di merito, essendo sindacabile in cassazione solo per difetto assoluto o apparenza di motivazione o per manifesta illogicità della stessa.
Sul punto, va ribadito il principio di diritto, secondo cui l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non
contestazione, quale contenuto della posizione processuale della parte, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione (Cass., Sez. L, n. 10182 del 03/05/2007; Sez. L, n. 27833 del 16/12/2005); spetta, infatti, solo al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass., Sez. 6 – 1, n. 3680 del 07/02/2019; Cass., sez. 1, 2019, n. 27490).
Nella specie, il Tribunale, quale giudice d’appello, ha spiegato che la circostanza che la odierna ricorrente avesse detenuto l’immobile sito in INDIRIZZO, già a far data dal 2008 e sino al 2018, non fosse stata oggetto di specifica contestazione e, sulla base di tale premessa, è pervenuto ad affermare che, in qualità di detentrice, la ricorrente fosse obbligata al pagamento della T.A.R.I., in solido con l’altro detentore dell’immobile, NOME COGNOME.
La motivazione della sentenza, che non è carente, in quanto esplicita le ragioni su cui poggia il proprio convincimento, valorizza il fatto che soggetto passivo della imposta è il mero detentore o l’occupante dell’immobile e che agli atti di causa risultava documentalmente provato, dall’atto di risoluzione consensuale del contratto di locazione sottoscritto in data 28 settembre 2018 dalla proprietaria dell’immobile e dalla stessa ricorrente, quale titolare della impresa individuale RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME, che l’immobile, se bbene concesso in locazione ad un terzo soggetto, la RAGIONE_SOCIALE (di cui la COGNOME era amministratore unico) in forza di contratto regolarmente registrato, di fatto si trovasse, seppure per una parte della superficie, nella disponibilità materiale della COGNOME che lo aveva adibito a sede
dell’impresa individuale. Da tanto il Tribunale ha desunto che il COGNOME, debitore in solido che aveva pagato al Comune di Savona l’intero importo dovuto a titolo di T.A.R.I. in relazione agli anni d’imposta 2014 -2018, potesse agire in regresso, ai sensi dell’art. 1299 cod. civ., nei confronti dell’altro condebitore , NOME COGNOME, quale soggetto pass ivo d’imposta, per ottenere la restituzione della quota di sua spettanza.
Tanto rende inammissibile l a deduzione di violazione dell’art. 1299 cod. civ., in quanto la sentenza non si discosta dal principio secondo cui l’art. 63 del d.lgs. n. 507 del 1993 e poi l’art. 1, comma 642, della legge n. 147/2013, nel contemplare espressamente e distintamente come debitori della tassa coloro che “occupano” o “detengono” il bene assoggettato a tributo, chiaramente inserisce nella seconda categoria non solo i soggetti esercenti la detenzione della cosa nei sensi e nei limiti stabiliti dall’art. 1140, secondo comma, cod. civ., né tanto meno intende rivolgersi esclusivamente al conduttore dell’immobile, bensì assoggetta alla tassa chiunque possa disporre a qualsiasi titolo (proprietà, possesso, detenzione) del bene stesso, quand’anche di fatto non lo occupi (Cass., sez. 5, 05/11/2004, n. 21212; Cass., sez. 5, 07/12/2018, n. 31743); con la conseguenza che, nel caso di pluralità di detentori o di occupanti, gli stessi sono tenuti, in solido, all’adempimento dell’obbligazione tributaria.
Non sfugge alla declaratoria d’inammissibilità neppure la denuncia di violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. Sez. 3, 29/05/2018, n. 13395; Cass., sez. U, n. 16598/2016, in
motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto).
Con il secondo motivo, censurando la sentenza gravata per ‹‹ violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 2041 c.c. -art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. ›› , la ricorrente contesta al Tribunale di avere reso una motivazione apparente anche là dove ha rigettato la domanda riconvenzionale di rimborso delle spese sostenute per le utenze dell’immobile, fondando il proprio convincimento sulla pattuizione contenuta n ell’atto di risoluzione consensuale del 28 settembre 2008 intercorso tra la stessa ricorrente e la proprietaria dell’immobile, NOME COGNOME, senza illustrare le ragioni per le quali quella clausola non consentisse di richiedere al COGNOME, che pure aveva beneficiato delle utenze nel corso dell’occupazione dell’immobile, la propria quota parte in forza dell’invocato art. 2041 cod. civ.
2.1. Il motivo è inammissibile sotto entrambi i profili denunciati.
2.2. Il giudice d’appello ha affermato che il risultato dell’arricchimento di cui si duole l’odierna ricorrente è derivato dall’atto di risoluzione consensuale del 28 settembre 2018 – sottoscritto dalla stessa COGNOME, quale titolare della impresa individuale, e la proprietaria dell’immobile ─ che espressamente prevede : ‘le spese per utenze luce e fas fino al 28 settembre 2018 sono a carico della Sig.ra NOME COGNOME che provvederà a pagarle e, altresì, provvedere alla chiusura dei relativi contratti’.
La circostanza che la COGNOME abbia sottoscritto detta pattuizione costituisce oggetto di accertamento non sindacabile in questa sede e, d’altro canto, la stessa ricorrente, in ricorso, non nega di averla sottoscritta, ma piuttosto lamenta che quella clausola non le impedirebbe di richiedere al COGNOME, che ha di fatto beneficiato delle utenze durante la occupazione dell’immobile, il rimborso di quota degli importi dalla stessa sostenuti per il pagamento delle bollette relative alle utenze dell’appartamen to.
Ma la postulata violazione dell’art. 2041 cod. civ., sotto l’apparente deduzione di un vizio di violazione di legge, tende surrettiziamente ad ottenere un riesame del merito, pur a fronte di un accertamento svolto dai giudici di merito, i quali hanno rilevato che l ‘ arricchimento patrimoniale di cui si duole la ricorrente trae origine dall’atto concluso in data 28 settembre 2018 e, quindi, da un atto di disposizione volontaria, autonomamente e liberamente assunto dalla RAGIONE_SOCIALE, e che degli effetti da esso derivanti NOME COGNOME si era indirettamente avvalso, in tal modo escludendo la configurabilità di una locupletazione di un soggetto a danno dell’altro avvenuta senza giusta causa.
La censura che la ricorrente muove all’apprezzamento svolto dai giudici di merito, oltre ad essere generica, tende, nella sostanza, a rimettere in discussione la valutazione delle risultanze processuali, preclusa in sede di legittimità.
Sotto altro profilo, la censura non si sottrae alla declaratoria d’inammissibilità nella parte in cui si denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in quanto nella illustrazione del motivo manca qualsiasi riferimento alle ragioni per le quali la decisione impugnata sarebbe incorsa nel presunto vizio di ‹‹omessa pronuncia››.
Il ricorso deve, per le ragioni suesposte, essere dichiarato inammissibile.
Nulla deve disporsi in merito alle spese di lite, essendo NOME COGNOME rimasto intimato.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio del merito dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il
ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile, il 26 settembre 2025
IL PRESIDENTE NOME COGNOME