Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26994 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26994 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1720/2021 R.G. proposto da:
ECCELLENTE COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME;
-ricorrente-
contro
ECCELLENTE COGNOME, ECCELLENTE NOME, ECCELLENTE NOME, ECCELLENTE COGNOME, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME, MORMILE COGNOME;
-controricorrenti-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 1975/2020 depositata il 04/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/06/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME, medico chirurgo, costituì con le sorelle e con la madre una società, l’RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto la predisposizione dei servizi in materia di medicina e chirurgia generale, fisioterapia ed estetica medica. Della società NOME era amministratrice unica e NOME COGNOME il direttore sanitario.
Nel corso dell’attività, la società chiese al Monte dei Paschi di Siena finanziamenti per un totale di € 217.636,44 concessi a seguito di garanzia fideiussoria di tutti i soci.
Successivamente, la banca dopo aver revocato tutti gli affidamenti concessi alla società debitrice aveva costituito in mora NOME COGNOME quale fideiussore per il pagamento della somma di euro 217.636,44 che veniva pagata definendo così la sua posizione di cofideiussore della società. La Banca a seguito del pagamento stipulava con il dottAVV_NOTAIO COGNOME un pactum de non petendo con la banca.
Successivamente, NOME COGNOME ingiungeva alla madre di pagare la somma di 43.114,37 quale cofideiussore.
Proponeva opposizione NOME COGNOME che preliminarmente: disconosceva la sottoscrizione opposta alla fideiussione non riconoscendola come propria; assumeva poi l’invalidità del decreto ingiuntivo per assoluta indeterminatezza delle somme asseritamente pagate dal figlio e richieste in regresso con il
monitorio stesso, rispetto all’effettivo debito della società garantita; riteneva in ogni caso che la ripartizione del debito della società garantita tra i vari cofideiussori non potesse avvenire in parti uguali, atteso che tutte le obbligazioni garantite erano state assunte nell’interesse esclusivo del dottore COGNOME il quale aveva costituito la società al solo fine di ottenere benefici fiscali e intestando solo fittiziamente le quote della stessa madre; riteneva, poi, che lo stesso non poteva agire in regresso in quanto l’art . 10 dell’atto di fideiussione subordinava tale azione alla integrale estinzione di tutte le ragioni di credito del Monte dei Paschi, circostanza che non era sussistente; assumeva inoltre che la fideiussione risultava prestata in data 5 maggio 2003 mentre il contratto di finanziamento asseritamente garantito era del 12 maggio 2003 e che quindi si trattava di fideiussione prestata per obbligazioni future invalida in quanto non sussistevano i presupposti di cui all’articolo 1938 c.c. non risultando determinabile il debito futuro garantito; denunciava anche che i finanziamenti garantiti, che si sono stanziavano in mutui di scopo per l’acquisto di macchinari, non erano stati utilizzati per detta finalità e quindi le garanzie fideiussorie non potevano operare; infine, assumeva anche l’estinzione della fideiussione ai sensi dell’articolo 1955 c.c. e, comunque, la liberazione dei fideiussori e sensi dell’articolo 1956 c.c.
Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 1017/2016, rigettava l’opposizione e confermava il decreto ingiuntivo opposto. Riteneva che nella vicenda in esame ricorresse una ipotesi di cofideiussione tra l’opponente e l’opposto da cui conseguiva che l’opposto, dopo aver interamente pagato il debito, aveva la possibilità di agire nei confronti dell’opponente in via di regresso. Il tribunale, inoltre, escludeva, in assenza di prove, la prospettazione dell’opponente in ordine ad una diversa ripartizione dell’obbligazione fideiussoria
La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza n. 1975 del 4 giugno 2020, accogliendo l’appello degli eredi della NOME, NOME, NOME, NOME e NOME, riformava la sentenza impugnata ritenendo che sulla base dell’art. 9 delle fideiussioni del 27 dicembre 1999, del 24 novembre 2000, del 5 maggio 2003 ed all’art. 10 della fideiussione del 23 febbraio 2000, le parti avevano testualmente convenuto che il cofideiussore non avrebbe potuto esercitare il diritto di regresso o di surroga che gli spetta nei confronti del debitore, di coobbligato e dei garantiti, ancorché cofideiussori, sino a quando ogni ragione della banca non fosse stata interamente estinta. Poiché al momento del sorgere del diritto del regresso in capo all’appellato il debito della banca Monte dei Paschi di Siena, nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, non risultava integralmente estinto con la conseguenza che il dottor NOME COGNOME non avrebbe potuto esercitare tale diritto in regresso in quanto pattiziamente subordinato ad una condizione non ancora avveratasi e, cioè, all’estinzione di ogni regione ragione creditoria della banca garantita.
Ne d’altronde, la clausola sottoscritta dalle parti sulla base del tenore letterale non poteva interpretarsi diversamente anche considerato che la stessa banca Monte dei Paschi riteneva che con il suddetto ‘ Patto ‘ non aveva affatto inteso rimettere al AVV_NOTAIO, anche solo parzialmente, il debito derivante dalla prestata fideiussione essendosi, invece, limitata a dichiarare di non voler richiedere più somme all’COGNOME stesso in conseguenza dell’importi dallo stesso già pagato a titolo fideiussorio. C onseguentemente il giudice dell’appello dopo aver revocato il decreto opposto ha affermato che il ricorso monitorio dell’RAGIONE_SOCIALE non era proponibile.
Propone ricorso per cassazione NOME COGNOME, sulla base di due motivi.
NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME resistono con controricorso.
Tutte le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
5.1. Con il primo motivo, parte ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio discusso inter partes e la violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 1703 e ss., 1722, 1724, 1725, 2727 e ss. c.c., nonché degli artt. 61, 82, 83, 84, 85, 112, 115, 116, 117, 118, 156, 163, 182, 183, 188, 214, 215, 228, 229 e ss., 258 c.p.c. (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.)
Sostiene l’erroneità della decisione della Corte d’appello, così come del Tribunale, per aver ritenuto valida ed efficace la procura alle liti rilasciata, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, dalla Bencivegna all’AVV_NOTAIO, quando invece: da un lato, non risultava apposta in calce all’atto di opposizione al decreto ingiuntivo, ma all’ingiunzione di pagamento notificata; dall’altro, il nominativo di detto difensore era stato sovrascritto a quello di altro procuratore, occultato da sbianchettature. Il che avrebbe comportato la nullità del rapporto processuale instaurato da difensore privo di mandato.
5.2. Con il secondo motivo, il AVV_NOTAIO COGNOME denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 81, 100, 112 e 324 c.p.c., nonché degli artt. 1292 e ss. c.c., in particolare dell’art. 1299 c.c. in relazione all’art. 1954, 1321, 1322, 1325, 1334, 1341, 1342, 1353, 1358, 1362 e ss. c.c., nonché degli artt. 1372, 1374, 1375, 1944 e ss., 2727 c.c. e dell’art. 55 L.F. (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.).
L’errore in cui è incorso il giudice del gravame consiste nel non aver ritenuto legittima l’azione di regresso del fideiussore nei confronti dei cofideiussori solidali inadempienti per la parte di
debito residua, a seguito del pactum de non petendo con la Banca creditrice.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile sotto plurimi profili.
Con riferimento alla dedotta violazione di legge, osserva il collegio come l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., impone al ricorrente, che denuncia il vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, ‘di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare -con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (cfr. Cass. Sez. Un. 23745/2020; Cass. 18998/2021)’ (cfr. ex plurimis, da ultimo, Cass. civ., Sez. I, Ord., 27 maggio 2024, n. 14696; Cass. civ., Sez. II, Ord., 21 maggio 2024, n. 14038; Cass. civ., Sez. III, Ord., 17 aprile 2024, n. 10416; Cass. civ., Sez. II, Ord., 20 marzo 2024, n. 7503; Cass. civ., Sez. V, Ord., 15 marzo 2024, n. 7063).
Nel caso in esame, parte ricorrente non ha compiuto alcuna specificazione e raffronto tra la decisione impugnata e le numerose norme indicate nell’epigrafe del motivo, dal momento che, attraverso il parametro della violazione di norme di diritto, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., quel che si censura in realtà non è l’interpretazione della fattispecie astratta delle numerose disposizioni di legge solo richiamate (artt. 111 Cost., 1703 e ss., 1722, 1724, 1725, 2727 e ss. c.c., nonché 61, 82, 83, 84, 85, 112, 115, 116, 117, 118, 156, 163, 182, 183, 188, 214, 215, 228, 229 e ss., 258 c.p.c.), quanto la ricostruzione della fattispecie concreta operata dalla Corte d’appello sulla base dell’apprezzamento delle
emergenze istruttorie, ricostruzione che è sindacabile soltanto nei limiti dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
Ma tale doglianza di omesso esame di un fatto decisivo, pure contenuta nel primo motivo, è parimenti inammissibile, infrangendosi contro il consolidato principio di diritto secondo cui, nelle ipotesi di doppia conforme, ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., non può validamente spiegarsi tale tipo di censura (cfr. Cass. civ., Sez. lav., Ord., 16 maggio 2024, n. 13643; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 27 marzo 2024, n. 8288; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 13 febbraio 2024, n. 3929; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 30 gennaio 2024, n. 2825; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 12 gennaio 2024, n. 1355; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 12 gennaio 2024, n. 1332). Del resto, il ricorrente non ha neppure dimostrato l’esistenza di diversità tra le ragioni della decisione di primo e secondo grado ¬ -unica ipotesi a consentire, secondo orientamento consolidato, una denunzia di omesso esame a fronte di una c.d. doppia conforme (cfr. Cass. civ., Sez. III, Ord., 2 febbraio 2024, n. 3123; Cass. civ., Sez. III, Ord., 1° febbraio 2024, n. 3026; Cass. civ., Sez. V, Ord., 31 gennaio 2024, n. 2906) -essendo fra loro sovrapponibili.
Detto ciò, occorre precisare che la certificazione del difensore nel mandato alle liti in calce o a margine di atto processuale riguarda solo l’autografia della sottoscrizione della persona che, conferendo la procura, si fa attrice o della persona che nell’atto si dichiara rappresentante della persona fisica o giuridica che agisce in giudizio, e non altro, con la conseguenza che deve considerarsi essenziale, ai fini della validità della procura stessa, che in essa, o nell’atto processuale al quale accede, risulti indicato il nominativo di colui che ha rilasciato la procura, facendosi attore nel nome proprio o altrui, in modo da rendere possibile alle altre parti e al giudice l’accertamento della sua legittimazione e dello ” ius postulandi del difensore.
Nel caso di specie la Corte d’appello ha confermato le argomentazioni del primo giudice, evidenziando che l’assunto del ricorrente sull’inesistenza di un mandato alle liti valido della Bencivegna in favore dell’AVV_NOTAIO era stato smentito dalle dichiarazioni dalla stessa rese in sede di interrogatorio libero del 21 febbraio 2008, laddove ha affermato di aver inteso conferire a detto legale procura alle liti mediante la modifica, da lei stessa richiesta, della firma apposta con timbro a stampa sulla copia notificata del decreto ingiuntivo opposto (v. p. 11, sentenza impugnata n. 1975/2020).
Al riguardo, e con specifico riferimento al valore delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio libero, istituto finalizzato alla chiarificazione delle allegazioni delle parti e dotato di funzione probatoria a carattere sussidiario, il giudice dell’appello ha ritenuto che costituisce ius receptum il principio secondo cui ‘non possono avere valore di confessione giudiziale ai sensi dell’art. 229 c.p.c., ma possono solo fornire al giudice elementi sussidiari di convincimento utilizzabili ai fini del riscontro e della valutazione delle prove già acquisite; pertanto, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la scelta relativa alla concreta utilizzazione di tale strumento processuale, non suscettibile di sindacato in sede di legittimità’ (cfr. principio sancito da Cass. civ., Sez. lav., 22 luglio 2010, n. 17239; ribadito in molte successive pronunce, anche da ultimo, Cass. civ., Sez. lav., Ord., 15 giugno 2023, n. 17209; Cass. civ., Sez. I, Ord., 6 dicembre 2021, n. 38623; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 20 agosto 2021, n. 23187; Cass. civ., Sez. I, Ord., 27 maggio 2021, n. 14867; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 3 febbraio 2020, n. 2357).
Comunque, occorre correggere la motivazione della sentenza impugnata perché la procura alle liti deve essere correttamente allegata dal momento che inizia il procedimento. Detto ciò, il ricorrente denunciando che il nominativo del difensore era stato
sovrascritto al nominativo di altro procuratore, occultato da sbianchettature, sta, in realtà, evocando la falsità della procura. Considerato che la Corte d’appello ha valutato valida la procura, sulla base delle considerazioni già sopra riportate, il ricorrente avrebbe dovuto contestarla attraverso la querela di falso.
6.1. Il secondo motivo di ricorso è pure inammissibile per più ragioni.
Anzitutto, è formulato in modo non adeguato, dolendosi il ricorrente, ancora una volta, di una presunta violazione di legge e dell’omesso esame di un fatto decisivo, l’uno e l’altro non integranti però i parametri richiesti dall’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. per poter anche solo configurare i vizi denunciati.
Aggiungasi che, in tema di interpretazione del contratto e di applicazione delle regole ermeneutiche, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé riservato al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, ‘con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati’ (cfr. da ultimo, ex plurimis, Cass. civ., Sez. I, Ord., 17 maggio 2024, n. 13737; Cass. civ., Sez. I, Ord., 22 aprile 2024, n. 10786; Cass. civ., Sez. II, Ord., 4 aprile 2024, n. 8983; Cass. civ., Sez. I, Ord., 29 febbraio 2024, n. 5444; Cass. civ., Sez. II, 23 febbraio 2024, n. 4812).
Per questa ragione, quindi, la parte che intende denunciare in cassazione un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale non può limitarsi al generico richiamo delle regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., come indicate dal AVV_NOTAIO unitamente a molte altre norme, ma ha l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi
discostato (cfr. Cass. civ., Sez. II, Ord., 16 gennaio 2024, n. 1708; Cass. civ., Sez. I, Ord., 21 settembre 2023, n. 26986; Cass. civ., Sez. I, Ord., 4 settembre 2023, n. 25671; Cass. civ. Sez. I, Ord., 13 gennaio 2023, n. 824). Onere non minimamente assolto da parte ricorrente che, in tal modo, non ha fornito al giudicante elementi sufficienti per conseguire il convincimento circa la verità dei fatti allegati e asseritamente rilevanti per la decisione.
In ogni caso, osserva il collegio come, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i profili denunciati dal parte ricorrente, l’interpretazione del contratto data dal giudice non deve essere l’unica possibile, o la migliore in astratto, ma una di quelle possibili. Nella fattispecie, il AVV_NOTAIO, malgrado i formali richiami ai vizi di cui ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c., ha in realtà fornito una diversa interpretazione delle risultanze di causa, in particolare del contratto di fideiussione, dandone una lettura a lui più favorevole, senza spiegare però quali sarebbero i canoni ermeneutici violati dalla Corte territoriale. Così facendo, è incorso nell’annunciata inammissibilità, essendo le sue doglianze ampiamente superate dalle argomentazioni del giudice del gravame, il quale, ha spiegato le ragioni del suo convincimento in modo adeguato e non implausibile, ricorrendo a una motivazione rispettosa della soglia del ‘c.d. minimo costituzionale’ (cfr. Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. NUMERO_DOCUMENTO).
Di tal che, la soluzione interpretativa prescelta dalla Corte partenopea si sottrae al sindacato di legittimità.
Tali dirimenti considerazioni esimono dalla valutazione che, in ogni caso, la censura sull’esistenza di un ‘sostanziale giudicato esterno’, che sarebbe disceso dalla sentenza n. 1251/2016 della medesima Corte d’appello di Napoli, sarebbe infondata.
Sul punto, infatti, giova ricordare come, per parlarsi di giudicato esterno, che può formare la premessa logica indispensabile della statuizione di un giudizio ancora in corso, è necessario che, tra i
due giudizi, uno dei quali definito con sentenza passata in giudicato, vi sia identità del rapporto giuridico e di parti.
Nel caso in esame, tali presupposti non ricorrono, essendo differente sia il petitum che le parti, con conseguente inesistenza di un giudicato esterno efficace e vincolante nel presente giudizio.
Per tutte le ragioni sopraesposte, il ricorso merita di essere rigettato.
7. Le spese del giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo a favore delle controricorrenti seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 6.200,00, di cui euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore delle controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza