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Diritto di recesso socio: quando si ‘concorre’?

L’ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione esamina un caso complesso sul diritto di recesso socio in seguito a una fusione. Alcuni soci, dopo aver sostenuto le fasi preliminari di un’operazione di salvataggio, hanno esercitato il recesso astenendosi dal voto finale. I tribunali di merito hanno negato tale diritto, interpretando il loro comportamento complessivo come un ‘concorso’ alla delibera. Data la rilevanza della questione, la Cassazione ha rinviato la causa a pubblica udienza per una decisione approfondita sul significato di ‘non aver concorso’ ai sensi dell’art. 2437 c.c.

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Diritto di recesso socio: cosa significa ‘concorrere’ a una delibera?

Il diritto di recesso socio rappresenta una fondamentale via d’uscita per chi non condivide decisioni societarie di straordinaria importanza, come una fusione. Ma cosa succede se un socio, pur non votando a favore della delibera finale, ha attivamente contribuito a tutte le fasi preparatorie? Una recente ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione rimette in discussione i confini del ‘concorso’ alla deliberazione, una questione cruciale per la tutela degli investimenti e la stabilità delle operazioni societarie.

I Fatti di Causa: Una Complessa Operazione di Salvataggio Societario

La vicenda trae origine da una complessa operazione di integrazione e salvataggio di un gruppo societario in grave crisi finanziaria. Un importante gruppo assicurativo interveniva per risanare la situazione attraverso un progetto che prevedeva, tra le altre cose, un aumento di capitale e una successiva fusione per incorporazione.

I soci di controllo della società in crisi, rappresentati da diverse holding e da membri della stessa famiglia, avevano inizialmente sostenuto l’operazione. Il loro contributo era stato determinante per avviare il processo, in particolare per l’approvazione dell’aumento di capitale, passaggio essenziale e inscindibile per la successiva fusione. Tuttavia, al momento della votazione finale sulla delibera di fusione, questi soci si astenevano e, subito dopo, esercitavano il diritto di recesso, chiedendo la liquidazione delle proprie azioni.

La questione del Diritto di Recesso del Socio

Il gruppo acquirente si opponeva fermamente, sostenendo che il recesso fosse illegittimo. La tesi era che, sebbene i soci non avessero formalmente votato a favore dell’ultima delibera, il loro comportamento complessivo costituiva un ‘concorso’ all’intera operazione. Secondo la società acquirente, l’esercizio del recesso era un atto contrario a buona fede e al principio del venire contra factum proprium (non contraddire il proprio comportamento precedente), configurandosi come una mossa opportunistica per monetizzare la propria partecipazione dopo aver reso possibile un’operazione che, senza il loro iniziale appoggio, non sarebbe mai avvenuta.

I soci recedenti, d’altro canto, si basavano su un’interpretazione formale della norma: non avendo espresso voto favorevole, rientravano a pieno titolo nella categoria dei ‘soci che non hanno concorso’ prevista dall’art. 2437 del Codice Civile, e avevano quindi pieno diritto di recedere.

Le Decisioni dei Giudici di Merito

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno dato ragione al gruppo acquirente. I giudici di merito hanno adottato un’interpretazione sostanziale e non meramente formale del termine ‘concorso’. Hanno ritenuto che il comportamento dei soci dovesse essere valutato nel suo complesso, considerando l’intera operazione di fusione come un procedimento articolato e unitario.

La Corte d’Appello, in particolare, ha sottolineato che il termine ‘concorrere’ ha un significato più ampio di ‘votare a favore’ e include qualsiasi contributo causale determinante alla realizzazione del progetto. Avendo approvato le delibere preparatorie e indispensabili (come l’aumento di capitale), i soci avevano di fatto ‘concorso’ alla fusione, perdendo così il diritto di recesso. Il loro successivo tentativo di dissociarsi è stato qualificato come contrario ai principi di correttezza e buona fede.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, con questa ordinanza interlocutoria, non ha ancora emesso una decisione finale sul merito della controversia. Tuttavia, ha riconosciuto l’enorme importanza e la complessità della questione giuridica. La corretta interpretazione dell’espressione ‘soci che non hanno concorso alle deliberazioni’ ha un chiaro ‘valore nomofilattico’, ovvero è fondamentale per assicurare un’applicazione uniforme della legge in futuro.

Per questa ragione, la Corte ha ritenuto opportuno rimettere la causa a una pubblica udienza, un contesto più solenne rispetto alla camera di consiglio, per un’analisi più approfondita. La decisione finale dovrà bilanciare la tutela formale del socio dissenziente con la necessità di prevenire abusi del diritto e garantire la stabilità di operazioni societarie complesse, che si sviluppano attraverso molteplici fasi collegate tra loro. Il pronunciamento finale farà chiarezza su fino a che punto il comportamento precedente di un socio possa precludergli l’esercizio di un diritto formalmente previsto dalla legge.

Conclusioni

Questo caso evidenzia la tensione tra la lettera della legge e il principio di buona fede nei rapporti societari. La futura sentenza della Corte di Cassazione sarà decisiva per delineare i confini del diritto di recesso socio. Stabilirà se un approccio meramente formale sia sufficiente o se, al contrario, sia necessario valutare la condotta complessiva del socio all’interno di operazioni economiche unitarie e complesse. La risposta avrà implicazioni significative per la governance societaria, le operazioni di M&A e la tutela di tutti gli stakeholder coinvolti.

Qual è la questione giuridica principale di questa ordinanza?
La questione centrale è l’interpretazione dell’articolo 2437 del Codice Civile, in particolare cosa si intenda per ‘soci che non hanno concorso alle deliberazioni’. Si tratta di stabilire se questa categoria includa solo chi ha votato contro o si è astenuto nella delibera finale, oppure se ne siano esclusi anche i soci che, pur astenendosi alla fine, hanno contribuito in modo determinante alle fasi preparatorie e necessarie dell’operazione.

La Corte di Cassazione ha dato ragione a una delle parti?
No. Questa è un’ordinanza interlocutoria, il che significa che la Corte non ha deciso il caso nel merito. Ha invece riconosciuto la complessità e l’importanza della questione e ha rinviato la causa a una pubblica udienza per una trattazione più approfondita prima di emettere una sentenza definitiva.

Perché i giudici di primo e secondo grado hanno negato il diritto di recesso ai soci?
I tribunali di merito hanno ritenuto che i soci avessero ‘concorso’ all’operazione di fusione nel suo complesso. Anche se non hanno votato a favore della delibera finale, il loro voto favorevole nelle fasi preliminari (come l’aumento di capitale) è stato considerato un contributo essenziale e inscindibile all’intero progetto. Pertanto, il loro successivo recesso è stato giudicato un comportamento contrario a buona fede e in violazione del principio che vieta di agire in contraddizione con la propria condotta precedente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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