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Diritto di accessione: il contratto può escluderlo?

Una società costruisce un impianto industriale su un terreno di proprietà di un’altra società, concesso in comodato. Al fallimento della società costruttrice, sorge una disputa sulla proprietà dell’impianto. La Corte di Cassazione stabilisce che il diritto di accessione, per cui la costruzione appartiene al proprietario del suolo, non è assoluto e può essere derogato da un accordo contrattuale. La Corte annulla la decisione precedente, che non aveva analizzato il contratto di comodato, e rinvia il caso al Tribunale per una nuova valutazione basata sull’interpretazione dell’accordo tra le parti.

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Diritto di Accessione: il Contratto può Escluderlo? L’Analisi della Cassazione

Il principio del diritto di accessione, sancito dall’articolo 934 del Codice Civile, stabilisce che qualunque costruzione realizzata su un terreno diventa di proprietà del proprietario del terreno stesso. Ma questa regola è assoluta? O l’autonomia delle parti può prevalere attraverso un contratto? Con la sentenza n. 11344/2024, la Corte di Cassazione offre un importante chiarimento, sottolineando la centralità dell’accordo contrattuale nel regolare la proprietà di un bene costruito su suolo altrui, specialmente in un contesto complesso come quello di una procedura fallimentare.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda due società. La prima, proprietaria di alcuni terreni, li concede in comodato d’uso gratuito alla seconda, affinché questa vi installi un grande impianto industriale per la lavorazione di materiali inerti. Successivamente, la società che ha costruito e gestisce l’impianto viene dichiarata fallita.

A questo punto, la società proprietaria del terreno rivendica, in sede di accertamento del passivo fallimentare, la proprietà non solo dei terreni ma anche dell’impianto industriale su di essi costruito, invocando appunto il diritto di accessione. La Curatela Fallimentare si oppone, sostenendo che il contratto di comodato stipulato tra le parti avesse lo scopo di derogare a tale principio, mantenendo la proprietà dell’impianto in capo alla società costruttrice (ora fallita).

La Decisione del Tribunale e i Ricorsi in Cassazione

In prima istanza, il Tribunale accoglie la domanda della proprietaria del terreno, dichiarando che essa ha acquistato l’impianto per accessione. Tuttavia, condanna la stessa a versare al Fallimento una cospicua somma a titolo di indennizzo, pari al valore dell’impianto.
Sia il Fallimento che la società proprietaria impugnano questa decisione davanti alla Corte di Cassazione, per motivi diversi:
– Il Fallimento lamenta che il Tribunale abbia omesso di esaminare le clausole del contratto di comodato, che a suo avviso escludevano l’operatività dell’accessione.
– La Società proprietaria contesta, tra le altre cose, di essere stata condannata a pagare un indennizzo mai richiesto dalla Curatela, incorrendo in un vizio di “ultra petita” (decisione oltre il domandato).

Il Diritto di Accessione e le Deroghe Contrattuali secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione accoglie i motivi di ricorso di entrambe le parti che riguardano la mancata valutazione del contratto. Gli Ermellini chiariscono che il principio del diritto di accessione non ha carattere di assolutezza. Può essere validamente derogato da un “titolo contrario”, che può consistere non solo in un diritto reale (come il diritto di superficie), ma anche in un accordo con efficacia meramente obbligatoria tra le parti.

Il Tribunale ha errato nel non esaminare ed interpretare le clausole del contratto di comodato. Proprio da quell’accordo sarebbe potuta emergere la volontà delle parti di creare un diritto personale di godimento in capo alla società costruttrice, consentendole di edificare e mantenere la proprietà dell’opera per tutta la durata del rapporto. La Corte richiama un importante precedente delle Sezioni Unite (n. 8434/2020), che ha riconosciuto la validità di contratti atipici di “concessione ad aedificandum” con natura personale, che comportano una rinuncia agli effetti dell’accessione.

Inoltre, i giudici di legittimità precisano che le norme sull’accessione (in particolare l’art. 936 c.c., relativo alle opere fatte da un terzo con materiali propri) presuppongono l’assenza di un vincolo contrattuale tra il proprietario del fondo e il costruttore. Quando, come nel caso di specie, esiste un rapporto contrattuale (comodato, locazione, appalto), la disciplina dei diritti e degli obblighi delle parti va cercata nel contratto stesso e nelle norme che lo regolano, non nelle regole generali sull’accessione.

La Pronuncia Ultra Petita

La Cassazione accoglie anche il motivo di ricorso relativo alla condanna al pagamento dell’indennità. La Corte rileva che la Curatela Fallimentare non aveva mai presentato una domanda per ottenere tale somma. Il Tribunale, quindi, pronunciandosi su una richiesta inesistente, è andato “oltre il domandato”. Anzi, la Corte specifica che una simile domanda, qualificabile come riconvenzionale, sarebbe stata comunque inammissibile nel particolare procedimento di opposizione allo stato passivo.

Le Motivazioni della Cassazione

La decisione della Suprema Corte si fonda su principi cardine del diritto civile e processuale. In primo luogo, viene ribadito che l’autonomia contrattuale permette alle parti di regolare i propri rapporti in modo diverso da quanto previsto dalle norme dispositive di legge, come quelle sull’accessione. Il giudice di merito ha il dovere di interpretare il contratto per ricostruire la reale volontà delle parti. In secondo luogo, viene riaffermato il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.), che vieta al giudice di attribuire a una parte un bene della vita che essa non ha richiesto, pena la nullità della sentenza per vizio di ultra petita. Infine, la Corte distingue nettamente le ipotesi in cui opera l’istituto dell’accessione (assenza di rapporto contrattuale) da quelle in cui i rapporti sono regolati da un accordo specifico.

Conclusioni

La sentenza rappresenta un monito fondamentale: quando si realizzano opere su suolo altrui, è cruciale definire chiaramente la sorte della proprietà delle costruzioni attraverso un contratto ben redatto. L’accordo tra le parti prevale sulla regola generale del diritto di accessione. La Corte di Cassazione, annullando la decisione impugnata, ha rimesso la causa al Tribunale, che dovrà ora procedere a una nuova valutazione incentrata sull’esame approfondito del contratto di comodato per stabilire a chi appartenga effettivamente la proprietà dell’impianto industriale.

Il principio del ‘diritto di accessione’, per cui ciò che è costruito sul suolo diventa del proprietario del suolo, è sempre valido?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che questo principio non è assoluto. Può essere derogato da un titolo contrario, come una specifica pattuizione contrattuale tra le parti che regoli la proprietà della costruzione.

Se una società costruisce un impianto su un terreno di un’altra società in base a un contratto di comodato, a chi appartiene l’impianto in caso di fallimento della società costruttrice?
La proprietà dell’impianto dipende dall’interpretazione del contratto di comodato. Il tribunale deve esaminare le clausole dell’accordo per verificare se le parti avevano inteso derogare al principio di accessione, attribuendo la proprietà della costruzione alla società costruttrice per tutta la durata del rapporto.

In un giudizio di opposizione allo stato passivo fallimentare, il giudice può condannare il proprietario del terreno a pagare un’indennità al fallimento per il valore dell’impianto, anche se il fallimento non l’ha chiesto?
No. La Corte ha stabilito che una tale condanna costituisce un vizio di ‘ultra petita’ (decisione oltre il richiesto), poiché il giudice si è pronunciato su una domanda mai formulata. Inoltre, una domanda di questo tipo (riconvenzionale) da parte della curatela fallimentare non è ammissibile in questo tipo di procedimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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