Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13880 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13880 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 33776-2019 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME ed all’avvocato NOME COGNOME, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
NOME, NOME COGNOME, rappresentate e difese dall’avvocato AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al controricorso;
– ricorrenti incidentali –
nonché contro
COGNOME NOME CONCETTA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1694/2019 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 26/08/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/05/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; Lette le memorie delle parti;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Il Tribunale di Palermo con la sentenza n. 4844 del 15/9/2015 dichiarava aperta la successione di COGNOME NOME, deceduto il 12/12/2003, ed accertava che l’eredità si era ab intestato devoluta in favore del coniuge COGNOME NOME e dei tre figli COGNOME NOME, NOME e NOME; per l’effetto procedeva alla divisione dell’asse, attribuendo la piena proprietà della quota del 50% dei due immobili caduti in successione alla COGNOME ed a COGNOME NOME, con il versamento dell’eccedenza in favore degli altri due condividenti.
Avverso tale sentenza proponevano appello principale COGNOME NOME ed appello incidentale NOME e NOME, cui resisteva NOME NOME.
La Corte d’Appello di Palermo , per quanto ancora rileva in questa sede, con la sentenza n. 1694 del 26/8/2019, in accoglimento del quarto motivo dell’appello principale e del primo e del secondo motivo dell’appello incidentale, confermava l’attribuzione dei beni immobili alle appellanti incidentali, ma previa rideterminazione delle somme dovute, anche a seguito del conguaglio con quanto
dovuto per il godimento esclusivo dei beni comuni da parte di alcuni dei condividenti.
Disattesa la richiesta di includere nell’asse il valore di un’autovettura del de cuius, della quale si era appropriata NOME, atteso che il veicolo alla data della divisione aveva perso ogni valore venale, e confermata la circostanza che NOME, in quanto occupante dell’immobile sito al INDIRIZZO in Palermo, in assenza di un valido titolo giustificativo, dovesse corrispondere ai coeredi la quota parte dei frutti goduti, attesa altresì la mancata formulazione di una valida eccezione di prescrizione, passava ad esaminare il primo motivo dell’appello incidentale con il quale si contestava la mancata inclusione, ai fini della collazione della donazione, della somma di £. 150.000.000 ricevuta da COGNOME NOME dal padre.
Il Tribunale aveva escluso la collazione, in quanto la copia dell ‘atto con il quale il convenuto riconosceva di avere ricevuto tale cifra era stata da questi disconosciuta ai sensi dell’art. 2719 c.c., senza che fosse seguita la produzione dell’originale.
La Corte distrettuale ricordava che il disconoscimento della conformità della copia non impedisce al giudice di poter comunque apprezzare aliunde la corrispondenza del documento all’originale, e ciò anche a mezzo presunzioni.
Ma anche a voler ammettere che fosse stato effettuato il disconoscimento della sottoscrizione in riferimento all’originale, occorreva dare rilievo al contenuto di una successiva scrittura, sempre del COGNOME NOME, nella quale questi ammetteva di avere sottoscritto la dichiarazione disconosciuta, ammissione avente quindi valore di confessione stragiudiziale, che rendeva perciò incompatibile il successivo disconoscimento.
Ne derivava che nell’asse andava ricompresa anche la detta somma, in quanto ne era stata dimostrata la ricezione da parte del COGNOME a titolo di donazione.
Passando ad esaminare il secondo motivo dell’appello incidentale , che investiva invece la debenza dei frutti da parte delle appellanti incidentali, la Corte d’Appello reputava che, in relazione al godimento dell’immobile sito alla INDIRIZZO, ed in vita adibito ad abitazione familiare del de cuius, solo la vedova COGNOME NOME potesse vantare il diritto di abitazione, dovendo invece corrispondere i frutti l’altra occupante, COGNOME NOME, in quanto non titolare di analogo diritto.
Ciò implicava in parte anche l’accoglimento del quarto motivo dell’appello principale con il quale NOME NOME i nstava per una diversa determinazione dei frutti alla stessa dovuti dagli altri condividenti.
Stante l’accoglimento dei già menzionati motivi, la Corte procedeva a rideterminare le somme dovute a titolo di frutti e, previo conguaglio con quanto invece dovuto dalle condividenti assegnatarie dei beni non comodamente divisibili, stabiliva quali somme fossero reciprocamente dovute.
COGNOME NOME ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Palermo sulla base di quattro motivi.
COGNOME NOME e NOME hanno resistito con controricorso, proponendo a loro volta ricorso incidentale affidato a quattro motivi.
NOME non ha svolto attività difensiva in questa fase.
Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
Il primo motivo di ricorso principale denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2730, 2734 c.c. e 115 e 116 c.p.c. nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Si rileva che la decisione gravata è erronea nella parte in cui ha accolto la richiesta delle altre condividenti di collazione della donazione di una somma di denaro asseritamente ricevuta dal ricorrente principale.
Infatti, accanto alla dichiarazione sottoscritta dal COGNOME in data 23/2/2004, nella quale dichiarava di aver ricevuto la somma di £. 150.000.000 dal padre al momento in cui aveva acquistato la casa di INDIRIZZO, dichiarazione che era stata prontamente disconosciuta, una volta versata in atti in fotocopia, la sentenza ha attribuito rilievo alla sua successiva missiva del 29 ottobre 2005 inviata alla madre, nella quale precisava di non avere mai ricevuto alcuna somma dai genitori e che la prima dichiarazione era stata scritta in buona fede essendo stato vittima di un tranello da parte della madre.
Nel momento in cui la Corte ha valorizzato il contenuto di confessione stragiudiziale della seconda dichiarazione, al fine di escludere che la prima dichiarazione potesse essere disconosciuta, occorreva anche dare valenza alle dichiarazioni aggiunte contenute nella stessa, e precisamente alla specificazione che in realtà non vi era stata alcuna donazione di denaro da parte dei genitori.
Assume il ricorrente, che la seconda dichiarazione, in quanto contiene anche fatti favorevoli al ricorrente non può essere considerata come una confessione e che anche a voler annettere tale efficacia alle stessa, non poteva prescindersi dal prendere in esame anche le dichiarazioni aggiunte, atteso il principio di
unitarietà che deva presiedere alla valutazione della cd. confessione complessa.
Trattasi peraltro anche di un fatto decisivo per il giudizio, la cui valutazione è stata colpevolmente omessa dal giudice di merito.
Il secondo motivo del ricorso principale denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2733 c.c., 115 e 116 c.p.c., in quanto è stata utilizzata in chiave probatoria una confessione che era stata resa solo nei confronti di uno dei litisconsorti necessari, e cioè alla madre, laddove l’art. 2733 c.c. al terzo comma prevede che la confessione resa in tal modo debba essere liberamente apprezzata.
Il terzo motivo del ricorso principale denuncia la violazione degli artt. 2729 c.c., 115 e 116 c.p.c., in quanto la sentenza non ha preso in considerazione le molteplici prove anche presuntive offerte dal ricorrente al fine di dimostrare che in realtà non vi era stata alcuna donazione.
In particolare, aveva prodotto l’atto di acquisto dell’immobile di INDIRIZZO, dal quale emergeva un prezzo notevolmente inferiore all’importo della somma asseritamente donata. Inoltre, aveva dimostrato di essersi accollato il mutuo che già gravava sul bene acquistato e di avere personalmente estinto l’obbligo di pagamento del prezzo, mediante assegni bancari ed anche a seguito di un accordo con il venditore, nel quale avevano previsto un piano di rientro.
Inoltre, emergeva che il ricorrente lavorava preso la Fiat sin dal 1988, percependo uno stipendio che lo rendeva autonomo economicamente, non avendo invece i genitori una condizione economica tale da permettere loro di effettuare una donazione di tale elevato importo.
Tali elementi di prova avrebbero dovuto essere invece presi in esame dalla Corte d’Appello in quanto avrebbero condotto ad escludere la valenza privilegiata della dichiarazione asseritamente confessoria.
Il quarto motivo di ricorso principale denuncia l’omessa pronuncia su specifiche eccezioni e domande nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Il ricorrente aveva sempre dedotto che in realtà, ove anche si fosse ravvisata una donazione di denaro, la medesima era stata effettuata da entrambi i genitori e non dal solo de cuius, sicché ai fini della collazione si sarebbe dovuto tenere conto solo della metà dell’importo donato.
La prova di tale assunto emergeva da una serie di missive inviate al ricorrente dalla stessa COGNOME, nelle quali si asseriva che la donazione proveniva dai genitori.
Alcuna risposta è stata fornita a tale deduzione né sono state prese in esame le prove a tal fine prodotte.
I primi due motivi del ricorso principale, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati. La Corte d’Appello, a f ronte della produzione in copia da parte delle altre condividenti della scrittura recante la data del 23 febbraio 2004, con la quale NOME COGNOME dichiarava di avere ricevuto dal padre la somma di £. 150.000.000, a fronte del disconoscimento effettuato dal ricorrente principale, e quanto alla contestazione di cui all’art. 2719 c.c., ha richiamato la costante giurisprudenza che ritiene che (Cass. n. 14950/2018) in tema di prova documentale, il disconoscimento, ai sensi dell’art. 2719 c.c., della conformità tra una scrittura privata e la copia fotostatica, prodotta in giudizio non ha gli stessi effetti di quello
della scrittura privata, previsto dall’art. 215, comma 1, n. 2, c.p.c., in quanto, mentre quest’ultimo, in mancanza di verificazione, preclude l’utilizzabilità della scrittura, la contestazione di cui all’art. 2719 c.c. non impedisce al giudice di accertare la conformità della copia all’originale anche mediante altri mezzi di prova, comprese le presunzioni, ed ha altresì ritenuto preclusa la possibilità di disconoscimento ex art. 214 c.p.c., alla luce del principio secondo cui (Cass. n. 22460/2017) il riconoscimento della scrittura privata può essere anche implicito ed essere efficacemente compiuto in sede extragiudiziale, non essendo necessaria in tale sede la produzione del documento ad opera della controparte, atteso che il riconoscimento, espresso o tacito, ove effettuato fuori dal processo, si inquadra nella fattispecie della dichiarazione confessoria stragiudiziale di cui all’art. 2735 c.c. ovvero della condotta concludente incompatibile con l’esercizio del disconoscimento in giudizio. Ne consegue che il sottoscrittore, che abbia, anche implicitamente, compiuto il riconoscimento in sede extragiudiziale, non può disconoscere la scrittura privata prodotta nel successivo giudizio e fatta valere contro di lui, ostando a ciò i limiti, di cui all’art. 2732 c.c., alla revoca della confessione (conf. Cass. n. 21744/2004).
A tal fine la sentenza gravata ha valorizzato il contenuto della successiva missiva, sempre redatta dal COGNOME, e la cui provenienza non è contestata, nella quale in data 29/10/2005, e quindi successivamente alla prima dichiarazione, precisava che la prima dichiarazione era stata redatta in buona fede, ma in quanto vittima di un tranello da parte della madre, aggiungendosi in altra parte della medesima missiva che in realtà non aveva ricevuto dai genitori alcuna donazione.
Rileva il Collegio che nella fattispecie non possa però trovare applicazione il principio di inscindibilità della confessione, nei termini appunto invocati da parte ricorrente.
A tal fine va effettivamente ricordato che secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 1530/2018) nell’ipotesi di dichiarazioni aggiunte alla confessione, opera, ai sensi dell’art. 2734 cod. civ., il principio di inscindibilità, nel senso che la mancata contestazione di controparte comporta l’esonero del dichiarante dall’onere di provare i fatti aggiunti, assumendo, in tal caso, la dichiarazione valore di prova legale nel suo complesso mentre, solo quando la controparte contesta le dichiarazioni, il confitente ha l’onere di provare i fatti aggiunti, restando affidato al giudice, in difetto di tale prova, l’apprezzamento dell’efficacia probatoria delle dichiarazioni stesse.
Tuttavia, una volta annessa alla seconda dichiarazione valenza confessoria, quanto al riconoscimento dell’avvenuta sottoscrizione della prima dichiarazione, è quest’ultima a venire in rilievo come dichiarazione a sua volta di carattere confessorio, e peraltro priva di dichiarazioni aggiunte, con l’ulteriore conseguenza che il riconoscimento dei fatti nella medesima avvenuto non può essere privato di efficacia se non nei limiti dettati dall’art. 2732 c.c.
Questa Corte ha infatti chiarito che (Cass. n. 17716/2020) la confessione può esser invalidata (e non “revocata”, perché gli effetti sostanziali e processuali di essa non sono rimessi alla volontà del dichiarante) soltanto se il confitente dimostra non solo l’inveridicità della dichiarazione, ma anche che essa fu determinata da errore di fatto o da violenza. Ne consegue che, dovendo il dichiarante allegare e provare anche il vizio d’origine della dichiarazione confessoria, al fine dell’invalidazione non è
sufficiente dedurre prove testimoniali limitatamente alla non rispondenza al vero del fatto confessato (conf. Cass. n. 15618/2004).
Pretendere di attribuire rilevanza alle dichiarazioni aggiunte nella successiva missiva del 29/10/2005, nella parte in cui le stesse vanno a negare la veridicità dei fatti oggetto della prima dichiarazione di carattere confessorio, la cui riconducibilità al ricorrente non è adeguatamente messa in discussione con i motivi di ricorso, equivarrebbe a dare spazio ad una revoca fondata sulla mera affermazione della non veridicità dei fatti confessati senza però che sia stata anche dedotta e documentata l’esistenza del vizio originario della confessione (non avendo avuto seguito nei motivi di ricorso il profilo attinente al preteso tranello che sarebbe stato predisposto dalla madre per indurlo a sottoscrivere la prima dichiarazione).
Correttamente, quindi, non è stata data rilevanza alla dichiarazione aggiuntiva resa nella seconda dichiarazione del 2005, posto che con la stessa si tendeva surrettiziamente, e senza che fossero dimostrati i presupposti per la revoca della prima confessione, a voler privare di efficacia quest’ultima, la cui paternità era ormai indiscutibilmente riferibile al ricorrente.
Del pari priva di fondamento è la deduzione della violazione dell’art. 2733 c.c. e ciò perché la norma invocata prevede una libera valutazione della dichiarazione confessoria, solo nel caso in cui il fatto confessato sia comune a più litisconsorti, e non anche, come invece vorrebbe il ricorrente, nell’ipotesi in cui la confessione concerna fatti sfavorevoli ad una sola parte e sia stata resa nell’ambito di un giudizio litisconsortile, come confermato dal fatto che il terzo comma dell’art. 2733 c.c., parli d i
confessione resa ‘da’ alcuni soltanto dei litisconsorti, ma non anche di confessione resa ‘ad ‘ alcuni dei litisconsorti, come invece si deduce nel motivo.
Ne deriva che poiché la confessione aveva ad oggetto una donazione ricevuta dal solo NOME NOME, e della quale si sarebbero avvantaggiati, mediante l’istituto della collazione tutti gli altri litisconsorti, emerge con evidenza l’inapplicabilità alla fattispecie della norma invece richiamata dal ricorrente.
Quanto al terzo motivo del ricorso principale, ed in disparte il richiamo al profilo sopra illustrato secondo cui, al fine di privare di efficacia la dichiarazione confessoria non sarebbe sufficiente il solo richiamo a fatti che dimostrerebbero la falsità di quanto confessato, in assenza anche della dimostrazione dei presupposti che legittimano la revoca della confessione ex art. 2732 c.c., ritiene il Collegio che lo stesso sia infondato.
La dichiarazione posta alla base dell’accoglimento della domanda di riconoscimento della donazione fa riferimento alla donazione di una somma di denaro effettuata non già al fine di permettere l’acquisto dell’immobile sito alla INDIRIZZO, ma al momento dell’acquisto di tale immobile, distinzione che non è meramente letterale, ma che si riverbera anche nella concreta disciplina applicabile alla collazione, in quanto ove fosse stata accertata la strumentalità della dazione per l’acquisto del bene, ai fini della collazione si sarebbe dovuto prendere in esame il valore del bene acquistato, rapportato alla data di apertura della successione, trattandosi evidentemente di donazione indiretta dell’immobile.
La decisione dei giudici di appello di considerare solo l’ammontare pecuniario della somma donata, evidenzia quindi che non è possibile legare indissolubilmente le sorti della donazione alle
vicende dell’acquisto immobiliare come invece vorrebbe parte ricorrente.
Ne deriva che tutte le circostanze indicate nel mezzo di gravame appaiono prive di decisività, e ciò in quanto ben potrebbe ipotizzarsi, una volta ribadito che la donazione è stata considerata per la somma di denaro in sé e non per l’uso strumentale che ne avrebbe potuto fare il donatario, che l’elargizione sia stata effettuata al fine di rendere più agevole per il ricorrente il dover affrontare gli esborsi correlati all’acquisto immobiliare, ma senza che tra le due vicende fosse riscontrabile un legame univoco.
Nulla peraltro esclude che il donatario, una volta ricevute le somme da parte del padre, abbia deciso di destinarle ad altro scopo, ovvero che siano state solo in parte utilizzate per l’acquisto, sicché la differenza tra l’importo del prezzo e la somma donata, la successiva incapacità del ricorrente di far fronte agli obblighi scaturenti dal contratto di vendita, come anche la asserita autonomia economica di cui godeva appaiono tutte circostanze prive del carattere della decisività al fine di documentare che in realtà le somme non vennero donate dal genitore.
Né, alla luce di tale inquadramento, rileva la circostanza che la nullità di una rilevante somma di denaro sarebbe affetta da nullità, avendo questa Corte precisato che l’eventuale nullità della donazione operata dal “de cuius”, se dichiarata dal giudice, non provoca, ai fini della divisione, risultati dissimili dalla collazione, ma solo più radicali, in quanto fa rientrare nel patrimonio del “de cuius”, come se non ne fossero mai usciti, i beni che ne erano stati oggetto, atteso che per l’ordinamento gli effetti di un contratto nullo e, quindi, anche le attribuzioni patrimoniali con
esso operate, si considerano come mai verificati (Cass. n. 15666/2019). Trattandosi di donazione di somma di denaro, la soluzione non sarebbe stata diversa da quella adottata dal giudice di merito, ove anche si fosse riscontrata la nullità della donazione
Anche il quarto motivo del ricorso principale appare privo di fondamento.
In tal senso rileva il carattere della dichiarazione confessoria posta a fondamento della decisione dei giudici di appello, la quale riporta come donante unicamente il padre del ricorrente, senza che assumano carattere decisivo, al fine di privare di efficacia tale dichiarazione, le diverse affermazioni invocate dalla parte, posto che il riferimento in alcune missive della madre o inviate dal suo legale, al fatto che la somma sarebbe stata data dai genitori, ben può spiegarsi quale riconducibilità della donazione, sebbene effettuata solo da parte del padre, a mezzi economici che comunque erano a disposizione della coppia dei coniugi per far fronte alle loro esigenze di vita comune, ma senza che incida sulla diversa questione dell’appartenenza giuridica del denaro al solo donante.
Il ricorso principale deve essere rigettato.
Passando alla disamina del ricorso incidentale, il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 540 nonché degli artt. 1022, 1023 e 1026 c.c., anche in relazione all’art. 29 Cost. ed ai principi della Carta Costituzionale,
Si deduce che NOME COGNOME non aveva chiesto il riconoscimento in proprio favore del diritto di abitazione, spettante unicamente alla madre, ma aveva evidenziato di avere goduto dell’appartamento come abitazione, in quanto ospite della madre.
Ne consegue che, una volta riconosciuta l’esistenza del diritto di abitazione in favore della COGNOME, la stessa ben poteva liberamente decidere di ospitare la figlia nella casa da lei occupata.
Ha errato quindi la Corte d’Appello a riconoscere ai fratelli una quota dei frutti derivanti dal godimento da parte della ricorrente incidentale della casa in questione.
Il secondo motivo del ricorso incidentale denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, nella parte in cui la sentenza impugnata ha omesso di valutare che NOME COGNOME non aveva rivendicato alcun diritto successorio quanto all’occupazione della casa destinata ad abitazione familiare, deducendo unicamente di essere ospite della madre, e quindi fruendo indirettamente del diritto spettante a quest’ultima.
Il terzo motivo del ricorso incidentale deduce la violazione dell’art. 111 Cost. ed il difetto assoluto di motivazione della sentenza in quanto, una volta attribuito alla madre il diritto di abitazione, e senza che tale statuizione sia stata contestata, non poteva ipotizzarsi una pretesa degli altri coeredi a ricevere i frutti per il godimento da parte della ricorrente incidentale.
I tre motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono fondati.
Ed, invero, una volta statuito che l’abitazione un tempo adibita a casa familiare, era gravata dal diritto di abitazione in favore del coniuge superstite, diritto di abitazione che si estende all’intero godimento della casa, e senza il limite correlato alle esigenze dell’ habitator , come invece prescritto dall’art. 1022 cc., rientrava nella facoltà della madre anche quella di poter liberamente
ospitare la ricorrente incidentale e senza che tale ospitalità possa ingenerare alcun diritto in capo agli altri coeredi di ricevere un corrispettivo per il godimento.
La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata nella parte in cui ha ritenuto che per effetto dell’occupazione dell’immobile di INDIRIZZO COGNOME NOME fosse tenuta a corrispondere un’indennità in favore dei fratelli, trattandosi di godimento avvenuto per effetto dell’ospitalità gratuita offertale dalla madre, e che, anche ove voglia escludersene il carattere gratuito, legittimerebbe la sola COGNOME a richiederne il corrispettivo e non anche gli altri condividenti.
Il quarto motivo del ricorso incidentale che deduce la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. quanto alla regolamentazione delle spese di lite, sul presupposto dell’erroneità della decisione di procedere ad una loro parziale compensazione, resta assorbito per effetto della cassazione della sentenza impugnata, stante la necessità all’esito del rinvio di dover provvedere ad una nuova regolamentazione delle spese anche per le precedenti fasi di merito.
Il Giudice di rinvio che si designa nella Corte d’Appello di Palermo, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Poiché il ricorso principale è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte de l ricorrente
principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P. Q. M.
La Corte accoglie i primi tre motivi del ricorso incidentale, dichiara assorbito il quarto motivo del ricorso incidentale, rigetta il ricorso principale, e per l’effetto cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti, nei limiti di cui in motivazione, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 07 maggio 2024